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In vigore al: 30/06/2015

Corte costituzionale - Sentenza N. 271 del 30.06.1994
Uso della lingua tedesca e del ladino nel processo penale - Facoltà dell`imputato di madre-lingua tedesca di optare per lo svolgimento del giudizio in italiano (madre-lingua del difensore)

Sentenza (22 giugno) 30 giugno 1994, n. 271; Pres. Casavola - Red. Cheli.

 
Ritenuto in fatto: 1. Nel corso dei procedimenti penali a carico di Hubert Rabensteiner, imputato di ricettazione, e di Hubert Putzer, imputato di lesioni personali volontarie, il Pretore di Bolzano, con due ordinanze di identico contenuto, adottate in data 22 giugno 1993 (n. 801 e n. 802), ha sollevato questione di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 17, comma 6, d.P.R. 15 luglio 1988 n. 574 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari), per violazione dell'art. 24 Cost. nonché dell'art. 100 dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige « nella parte in cui impedisce al cittadino di esprimersi nella propria madre-lingua, anche se diversa dalla lingua del processo » e per violazione dell'art. 3 Cost. « nella parte in cui prevede, quale sanzione per la formulazione degli atti nella lingua diversa da quella del processo, la nullità assoluta e insanabile degli atti » stessi.
Rilevano le ordinanze che l'illegittimità costituzionale era stata eccepita nei due procedimenti dalla difesa e il pubblico ministero si era associato, in seguito al non accoglimento da parte del Pretore della richiesta dell'imputato di rendere, in un caso, « dichiarazioni spontanee » (ord. n. 801) e di rispondere, nell'altro, all'« esame » (ord. n. 802) nella propria lingua materna (tedesco), diversa da quella del processo (italiano), ritualmente scelta dagli stessi imputati ai sensi dell'art. 17, comma 1, d.P.R. n. 574 del 1988.
Premesso che gli imputati avevano scelto che il processo si svolgesse in italiano perché i rispettivi avvocati di fiducia avevano accettato l'incarico a tale condizione e che gli atti processuali successivi ai sensi dell'art. 17, comma 6, d.P.R. n. 574 cit., avrebbero dovuto essere formulati, a pena di nullità assoluta e insanabile, in italiano, in quanto lingua del processo, il pretore remittente prospetta da parte della norma in questione la violazione:
a) dell'art. 24 Cost., per la lesione apportata al diritto di difesa, che comprende — anche ai sensi dell'art. 6, n. 3, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo — « tanto il diritto di difendersi di persona quanto il diritto di giovarsi dell'assistenza di un difensore ». Nei due casi di specie, il diritto degli imputati alla assistenza tecnica e professionale sarebbe garantito dalla presenza del difensore di fiducia, mentre il diritto ad esercitare l'autodifesa risulterebbe di fatto leso a causa della impossibilità di rendere dichiarazioni spontanee o di essere sottoposto ad esame nella propria lingua materna, in quanto lingua diversa da quella del processo;

b) dell'art. 100 dello Statuto speciale, in attuazione del quale è stato emanato il d.P.R. n. 574 del 1988, che prevede la facoltà dei cittadini di lingua tedesca di usare la propria lingua nei rapporti con gli organi giurisdi-zionali;

c) dell'art. 3 Cost., perché, nella parte in cui prevede, quale sanzione per la formulazione degli atti nella lingua diversa da quella del processo, la nullità assoluta e insanabile « introduce, immotivatamente , una disparità di trattamento tra la lingua scelta dall'imputato e quella ufficiale dello Stato, posto che l'art. 109 c.p.p., in materia di lingua degli atti, prevede come sanzione la nullità relativa ».

2. Nel giudizio si sono costituiti entrambi gli imputati, riportandosi alle ordinanze di rimessione, ed è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato.
3. Il Presidente del Consiglio conclude per l'inammissibilità e comunque per l'infondatezza della questione. Muovendo dalla considerazione che la libertà dell'imputato nella scelta del difensore risulta salvaguardata dall'art. 15, comma 5, dello stesso d.P.R. n. 574 (dove si consente al difensore di madre-lingua diversa da quella del processo di svolgere i propri interventi orali, a scelta, in italiano o in tedesco), l'Avvocatura sostiene che appare coerente non consentire all'imputato — alla cui libera volontà risale la scelta della lingua del processo — di esprimersi diversamente dalla lingua prescelta.
Rispetto alla tesi del Pretore, secondo la quale il diritto alla difesa tecnica non può prevalere sul diritto all'autodifesa, l'Avvocatura dello Stato rileva che la soluzione accolta dal d.P.R. n. 574 assicurerebbe il massimo contemperamento possibile tra i due aspetti del diritto di difesa, anche in considerazione della circostanza che l'uso di una lingua diversa in sede di interrogatorio potrebbe pregiudicare proprio la piena intesa tra imputato e difensore. Quanto alla astratta ipotizzabilità di un processo bilingue, viene poi richiamata la sentenza di questa Corte n. 62 del 1992 che, in una questione attinente alla minoranza linguistica slovena, ha fatto rinvio, ai fini della tutela di tale minoranza nei rapporti con gli organi giurisdizionali, alla discrezionalità del legislatore in ragione delle condizioni sociali esistenti e della disponibilità di risorse organizzative e finanziarie.
Soprattutto, la suddetta sentenza è richiamata nella parte in cui afferma che la tutela della minoranza linguistica è assicurata quando si consenta a questi cittadini di non essere costretti ad adoperare una lingua diversa da quella materna nei rapporti con l'autorità giudiziaria.
Con riferimento, infine, alla contestata lesione del principio di eguaglianza l'Avvocatura rileva che la nullità assoluta viene a rafforzare la tutela dell'imputato appartenente alla minoranza tedesca e che, comunque, la diversità di disciplina rispetto al codice di procedura penale trova la sua giustificazione nella specialità della situazione che caratterizza le Regioni a statuto speciale.
4. In prossimità dell'udienza le parti private hanno presentato memorie di identico contenuto, dove, pur riconoscendosi che la disciplina prevista dal d.P.R. n. 574 del 1988 appare ispirata ad una tutela ottimale del cittadino di lingua tedesca, si mette in risalto la lesione del diritto all'autodifesa che deriverebbe da un sistema rigido quale quello introdotto con la norma impugnata, che non consentirebbe deroghe alla lingua del processo prescelta dall'imputato.
In particolare, richiamando le norme del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 19 dicembre 1966 e della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, le memorie si soffermano sul diritto di difesa come diritto inviolabile della persona, non comprimibile da norme finalizzate a proteggere il gruppo linguistico minoritario.
La difesa delle parti private si sofferma anche sulle maggiori garanzie riconosciute alle minoranze linguistiche dal nuovo codice di procedura penale e prospetta la possibilità di un'integrazione tra la normativa codicisti-ca e quella posta in sede di norme di attuazione. In questa ottica si richiama, in particolare, l'art. 109 c.p.p., che attribuisce al cittadino italiano appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta il diritto ad essere interrogato o esaminato, a sua richiesta, nella madrelingua ed a vedere redatto il relativo verbale nella stessa lingua, oltre che in quella ufficiale del processo, nonché l'art. 26 delle norme attuative di detto codice, relativo al diritto di nominare il difensore senza limiti derivanti dall'appartenenza etnica o linguistica dello stesso.
 
Considerato in diritto: 1. Il Pretore di Bolzano dubita della legittimità costituzionale dell'art. 17, comma 6, d.P.R. 15 luglio 1988 n. 574, nella parte in cui tale disposizione « impedisce al cittadino di esprimersi nella propria madre-lingua, anche se diversa dalla lingua del processo », nonché nella parte in cui « prevede, quale sanzione per la formulazione degli atti nella lingua diversa da quella del processo, la nullità assoluta e insanabile », deducendo, per il primo profilo, la violazione dell'art. 24 Cost. e dell'art. 100 dello Statuto speciale e per il secondo la violazione dell'art. 3 Cost.
Le due ordinanze di rimessione muovono dal presupposto che, ai sensi della norma impugnata, l'imputato appartenente alla minoranza linguistica tedesca che abbia scelto come lingua del processo l'italiano non sia più legittimato a rendere dichiarazioni spontanee o ad essere esaminato, a sua richiesta, nella propria lingua materna, con la conseguenza che gli atti processuali adottati in violazione di tale divieto verrebbero a incorrere in una nullità assoluta e insanabile.
2. La questione non è fondata nei termini di seguito precisati.
L'art. 100, comma 1, dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige dispone che « i cittadini di lingua tedesca della provincia di Bolzano hanno facoltà di usare la loro lingua nei rapporti con gli uffici giudiziari e con gli organi e uffici della pubblica amministrazione situati nella provincia o aventi competenza regionale..... ». Al fine di dare attuazione a tale principio è stato emanato il d.P.R. 15 luglio 1988 n. 574, che ha disciplinato l'uso della lingua tedesca, parificata nella Regione a quella italiana nei rapporti con gli organi e gli uffici, amministrativi e giurisdizionali, e con i concessionari di servizi di pubblico interesse, nonché negli atti pubblici (art. 1, comma 1), statuendo, tra l'altro, che gli organi, gli uffici ed i concessionari in questione « devono predisporre o adeguare le strutture organizzative al fine di consentire l'uso dell'una o dell'altra lingua » (art. 3, comma 1).
Per quanto concerne, in particolare, il processo penale, la lingua da usare per gli atti processuali è quella materna dell'indiziato o dell'imputato, lingua che può essere dichiarata dalla persona inquisita — in sede di arresto in flagranza o di fermo di polizia e di primo interrogatorio — ovvero individuata in via presuntiva in base alla notoria appartenenza ad un gruppo linguistico e ad altri elementi già acquisiti al processo (artt. 14 e 15 d.P.R. n. 574).
A chiusura di tale disciplina generale, l'art. 17, commi 1, 2 e 3, dello stesso d.P.R. n. 574 prevede, peraltro, che l'imputato, dopo il primo interrogatorio e non oltre l'apertura del dibattimento, « può decidere che il processo prosegua nell'altra lingua », mediante dichiarazione sottoscritta dallo stesso imputato, resa una sola volta per ciascun grado del giudizio. A seguito dell'esercizio di tale facoltࠗ prosegue il comma 6 dello stesso articolo — « gli atti successivi vengono formulati nell'altra lingua a pena di nullità ai sensi del capoverso dell'art. 185 del precedente codice di procedura penale ».
Quest'ultima norma viene censurata dal giudice a quo con riferimento alla sua asserita rigidità, sul presupposto che, una volta operata da parte dell'imputato la scelta della lingua del processo, come lingua diversa da quella materna, non sarebbe più concessa allo stesso imputato la possibilità di rendere dichiarazioni spontanee o di essere esaminato nella propria ma-dre-lingua.
Tale interpretazione non può essere condivìsa, dal momento che trova il suo fondamento esclusivamente nella disciplina speciale emanata per il Trentino-Alto Adige con il d.P.R. 15 luglio 1988 n. 574, senza dare adeguato rilievo alle norme successivamente introdotte, in tema di lingua degli atti del processo penale, dal nuovo codice di procedura penale, approvato con d.P.R. 22 settembre Ì988 n. 447.
L'art. 109, comma 2, di detto codice emanato in attuazione della direttiva n. 102 espressa nella legge di delegazione 16 febbraio 1987 n. 81, ha garantito, infatti, in generale al cittadino italiano appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta il diritto ad essere interrogato o esaminato nella madre-lingua (con la conseguente redazione del relativo verbale in tale lingua, oltre che in quella ufficiale del processo), diritto attivabile a richiesta dell'interessato davanti all'autorità giudiziaria avente competenza, in primo o secondo grado, nel territorio di insediamento della stessa minoranza.
Tale garanzia, in quanto destinata a preservare l'effettività del diritto alla difesa di cui all'art. 24, comma 2, Cost., non solo come difesa tecnica, ma anche come autodifesa, non può non spettare — indipendentemente dai contenuti particolari della disciplina introdotta per il Trentino-Alto Adige con il d.P.R. n. 574 — anche ai cittadini di lingua tedesca della Provincia di Bolzano, rispetto ai quali — sempre ai sensi dell'art. 109, comma 2, c.p.p. — restano peraltro salvi « gli altri diritti stabiliti da leggi speciali e da convenzioni internazionali ».
Nei confronti dei cittadini appartenenti al gruppo linguistico tedesco della Provincia di Bolzano il diritto relativo alla scelta della lingua del processo di cui all'art. 17 d.P.R. n. 574 non si presenta, quindi, alternativo, bensì concorrente con il diritto attribuito in generale a tutti i cittadini appartenenti a minoranze linguistiche riconosciute ad essere interrogati o esaminati, a propria richiesta, nella lingua materna: collegandosi il primo diritto all'art. 6 Cost., in relazione alle esigenze di tutela riconosciute a favore del patrimonio culturale di una particolare minoranza, ed il secondo all'art. 24 Cost., in relazione all'esigenza di far salvo, attraverso la difesa in giudizio, un diritto inviolabile della persona umana.
Questa Corte, ha già avuto modo di rilevare tale diversità dei due piani di garanzia, quando ha sottolineato l'« interferenza », ma non la « coincidenza o sovrapposizione » tra la tutela spettante alla minoranza linguistica riconosciuta, che si realizza non costringendo gli appartenenti a tale minoranza ad usare nei rapporti con le autorità pubbliche una lingua diversa da quella materna, e la tutela connessa alla garanzia costituzionale del diritto di difesa riferita al singolo e suscettibile di realizzarsi, in relazione all'esigenza di una corretta utilizzazione degli strumenti processuali e di una adeguata comprensione degli stessi, attraverso l'uso da parte dell'inquisito stesso della lingua materna (v. sent. 62 del 1992). L'interferenza tra le due garanzie consente, in questo caso, all'imputato appartenente alla minoranza linguistica tedesca di scegliere, ai sensi della disciplina speciale posta in sede di attuazione statutaria, la lingua del processo anche in funzione delle esigenze della difesa tecnica, senza per questo dover rinunciare all'esercizio del diritto di autodifesa, ai sensi dell'art. 109, comma 2, c.p.p., nella propria lingua materna.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17, comma 6, d.P.R. 15 luglio 1988 n. 574 (Norme di attuazione dello Statuto speciale in materia di uso della lingua tedesca e ladina nei procedimenti giurisdizionali), in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. ed all'art. 100 dello Statuto speciale del Trentino — Alto Adige, questione sollevata dal. Pretore di Bolzano con le ordinanze di cui in epigrafe.
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