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In vigore al: 14/04/2016

Corte costituzionale - sentenza del 1 luglio 2013, n. 172
Provincia di Trento - assegno di cura - residenza triennale richiesta ai soggetti extracomunitari - illegittimità

Sentenza 1 luglio 2013 (4 luglio 2013), n. 172; Pres. Gallo; Red. Grossi

 

Ritenuto in fatto 1. − Con ricorso notificato il 28 settembre 2012 e depositato il successivo 4 ottobre, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha proposto in via principale – in riferimento all’articolo 8, numero 25, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), ed agli articoli 3, 10, 117, primo comma (per violazione dell’art. 21, numero 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, del 25 marzo 1957), e 117, quarto comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 1, (nonché la lettera a dello stesso comma 1), della legge della Provincia autonoma di Trento 24 luglio 2012, n. 15 (Tutela delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie e modificazioni delle leggi provinciali 3 agosto 2010, n. 19, e 29 agosto 1983, n. 29, in materia sanitaria).

La disposizione censurata identifica quali beneficiari della provvidenza economica erogata dalla Provincia autonoma sotto forma di «assegno di cura» (volta a favorire la permanenza dell’assistito nel proprio domicilio) i cittadini italiani, i cittadini comunitari, gli apolidi e gli stranieri in possesso della carta di soggiorno ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), «purché sussistano congiuntamente le seguenti condizioni: a) siano residenti nel territorio della Provincia di Trento da almeno tre anni continuativi; b) siano dichiarati non autosufficienti secondo quanto previsto dall’art. 2; c) siano in possesso dei requisiti economico-patrimoniali definiti ai sensi dell’art. 10, comma 6».

Osserva il ricorrente che – nell’introdurre dette preclusioni destinate a discriminare (tra i possibili destinatari della provvidenza in esame), da un lato, tutti i soggetti che non abbiano la residenza temporalmente protratta richiesta da tale norma, e, dall’altro lato (tra gli stranieri), coloro che non siano in possesso del particolare permesso di soggiorno richiesto – la disposizione eccede la competenza legislativa esclusiva in materia di «assistenza e beneficenza pubblica» attribuita alla Provincia autonoma di Trento dall’art. 8, numero 25, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, nonché la competenza residuale in materia di servizi sociali riconosciuta alle Regioni ordinarie dall’art. 117, quarto comma, Cost., da estendersi alla Provincia di Trento ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

In primo luogo, l’Avvocatura deduce che l’esclusione dal beneficio di intere categorie di persone, fondata sulla mancanza di una residenza temporalmente protratta, lede il principio di uguaglianza, in quanto (come rilevato dalla Corte rispetto ad analoga previsione regionale dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 40 del 2011) introduce nel tessuto normativo un elemento di distinzione arbitrario, in assenza di alcuna ragionevole correlabilità tra la condizione positiva di ammissibilità al beneficio (quale la residenza protratta da almeno tre anni) e gli altri particolari requisiti (consistenti in situazioni di bisogno e di disagio riferibili direttamente alla persona in quanto tale) che costituiscono il presupposto di fruibilità di una provvidenza sociale. Inoltre, tale previsione pone una misura restrittiva delle libertà di circolazione e di soggiorno previste dall’art. 21, numero 1, del TFUE (come interpretato dalla Corte di giustizia e dalla Commissione europea), poiché il requisito della residenza per un periodo così prolungato eccede quanto necessario al raggiungimento dei legittimo obiettivo di preservare l’equilibrio finanziario del sistema locale di assistenza sociale, e quindi vulnera anche l’art. 117, primo comma, Cost.

In secondo luogo, l’Avvocatura lamenta che (con riferimento ai cittadini stranieri), circoscrivere l’attribuzione dell’«assegno di cura» ai soli soggetti che siano in possesso dello specifico titolo costituito dal permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, determina una discriminazione tra gli stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale, in contrasto con l’art. 41 del citato decreto legislativo n. 286 del 1998 e con l’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), che, ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, equiparano ai cittadini italiani gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno.

Infine, con particolare riferimento all’attribuzione delle prestazioni assistenziali alle persone straniere regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale, il ricorrente richiama i princìpi affermati dalla giurisprudenza costituzionale (di cui cita, tra l’altro, le sentenze n. 306 del 2008 e n. 61 del 2011), deducendo ancora la violazione dei princìpi di ragionevolezza e di uguaglianza, nonché dell’art. 10, primo comma, della Costituzione, dal momento che tra le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute rientrano quelle che, nel garantire i diritti fondamentali della persona indipendentemente dall’appartenenza a determinate entità politiche, vietano discriminazioni nei confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato.

2. − Si è costituita in giudizio la Provincia autonoma di Trento, concludendo per la inammissibilità e/o l’infondatezza della questione, con riserva di esporre le relative ragioni, successivamente svolte nella memoria di udienza, in cui chiede il rigetto del ricorso.

Osserva in particolare la Provincia (che deduce di essere dotata, ai sensi dell’art. 8, numero 25, dello statuto speciale, di competenza primaria in materia di «assistenza e beneficienza» e, ai sensi del successivo art. 9, numero 10, di competenza concorrente in materia di «igiene e sanità, ivi compresa l’assistenza sanitaria e ospedaliera») che l’assegno di cura costituisce una prestazione ulteriore e facoltativa, che si pone al di sopra dei livelli minimi essenziali, finanziata dalla Provincia per propria libera scelta e con i propri mezzi; e che dunque per la sua attribuzione la Provincia legittimamente richiede un particolare legame con il territorio della comunità, che dispone in questo modo delle proprie risorse. E quello della residenza per trentasei mesi costituisce un requisito che non discrimina in base alla cittadinanza, né altrimenti in relazione all’origine, in quanto la sua funzione è quella di scoraggiare il fenomeno dei trasferimenti di residenza fittizi o opportunistici, non collegati ad un reale intento di inserimento nella comunità (così da evitare anche fluttuazioni della richiesta derivanti da circostanze contingenti), nonché quella di garantire la sostenibilità finanziaria del beneficio facendo sì che i richiedenti abbiano contribuito, seppur in piccola parte, a finanziare la provvidenza attraverso il prelievo fiscale.

La Provincia afferma quindi la non fondatezza della censura riferita alla violazione dell’art. 3 Cost., richiamando, in ordine alla non irragionevolezza della previsione del requisito della residenza continuativa per l’erogazione di prestazioni assistenziali o sociali, sia la giurisprudenza della Corte (di cui cita, tra le altre, le sentenze n. 432 del 2005 e n. 493 del 1990 e le ordinanze n. 32 del 2008 e n. 393 del 2007), sia la normativa statale (in particolare il decreto- legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria»), e quella regionale o provinciale (legge della Provincia autonoma di Bolzano 12 ottobre 2007, n. 9, «Interventi per l’assistenza alle persone non autosufficienti», nonché legge della Regione Veneto 10 agosto 2012, n. 29 «Norme per il sostegno delle famiglie monoparentali e dei genitori separati o divorziati in situazione di difficoltà»), ed escludendo l’estensibilità nella specie del dictum della citata sentenza n. 40 del 2011, riguardante (a suo dire) il diverso caso di una legge regionale che regolava l’accesso al complesso delle prestazioni del sistema dei servizi sociali e quindi anche a prestazioni essenziali, che potevano toccare direttamente la dignità della persona in condizione di bisogno.

Quanto alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. per lesione dell’art. 21 del TFUE, la Provincia rileva (dopo aver analizzato varie sentenze della Corte di giustizia europea) che anche nel diritto europeo le condizioni di residenza continuativa nel territorio di uno Stato sono considerate legittime, nonostante la loro astratta idoneità a determinare discriminazioni indirette, trattandosi di requisiti che possono essere soddisfatti più agevolmente dai cittadini che non dagli stranieri .

Infine, la Provincia sostiene anche la infondatezza della questione relativa all’ulteriore requisito della carta di soggiorno, giacché l’esistenza di uno status privilegiato per lo straniero soggiornante di lungo periodo, operante anche con riferimento all’accesso alle prestazioni sociali, non è stata eliminata neppure dalle pronunce con le quali è stata più volte dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000 in relazione a determinate provvidenze sociali (sentenze n. 40 del 2013, n. 329 e n. 61 del 2011, n. 187 del 2010, n. 11 del 2009 e n. 306 del 2008). Laddove, peraltro, neppure il principio di parità di trattamento tra cittadini e stranieri con permesso di lungo periodo è assoluto, visto che l’art. 11 della direttiva 25 novembre 2003, n. 2003/109/CE (Direttiva del Consiglio relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo) consente agli Stati membri di «limitare la parità di trattamento in materia di assistenza sociale e protezione sociale alle prestazioni assistenziali».

Considerato in diritto 1. − Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna in via principale l’articolo 9, comma 1 (nonché la lettera a dello stesso comma 1), della legge della Provincia autonoma di Trento 24 luglio 2012, n. 15 (Tutela delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie e modificazioni delle leggi provinciali 3 agosto 2010, n. 19, e 29 agosto 1983, n. 29, in materia sanitaria), secondo il quale «Sono destinatari dell’assegno di cura i cittadini italiani o di Stati appartenenti all’Unione europea, gli apolidi e gli stranieri in possesso della carta di soggiorno ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), purché sussistano congiuntamente le seguenti condizioni: a) siano residenti nel territorio della Provincia di Trento da almeno tre anni continuativi; b) siano dichiarati non autosufficienti secondo quanto previsto dall’articolo 2; c) siano in possesso dei requisiti economico-patrimoniali definiti ai sensi dell’articolo 10, comma 6».

Il ricorrente deduce che la disposizione eccede la competenza legislativa esclusiva in materia di «assistenza e beneficenza pubblica» attribuita alla Provincia autonoma di Trento dall’art. 8, numero 25, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché la competenza residuale in materia di servizi sociali riconosciuta alle Regioni ordinarie dall’art. 117, quarto comma, della Costituzione, che ritiene spettante alla Provincia autonoma di Trento ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

In particolare, da un lato, l’esclusione dal beneficio delle persone prive del requisito della residenza temporalmente protratta nel territorio provinciale è censurata in quanto lesiva dell’art. 3 Cost., giacché introdurrebbe un elemento di distinzione arbitrario, in assenza di alcuna ragionevole correlabilità tra tale condizione positiva di ammissibilità al beneficio e gli altri particolari requisiti, che costituiscono il presupposto di fruibilità di una provvidenza sociale; e dell’art. 117, primo comma, Cost., poiché porrebbe una misura restrittiva delle libertà di circolazione e di soggiorno previste dall’art. 21, numero 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea del 25 marzo 1957. Dall’altro lato, la limitazione (per gli stranieri extracomunitari) dell’attribuzione dell’«assegno di cura» ai soli soggetti che siano in possesso dal permesso di soggiorno di lungo periodo, violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto determina una discriminazione tra gli stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale, in contrasto con l’art. 41 del citato decreto legislativo n. 286 del 1998 e con l’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001); nonché l’art. 10, primo comma, Cost., poiché tra le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute rientrano quelle che, nel garantire i diritti fondamentali della persona indipendentemente dall’appartenenza a determinate entità politiche, vietano discriminazioni nei confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato.

2. − Le questioni sono entrambe fondate in riferimento all’art. 3 Cost.

2.1. − Va, innanzi tutto, rilevato che la legge provinciale n. 15 del 2012 – sulla premessa che «La Provincia autonoma di Trento tutela in funzione dei bisogni le persone non autosufficienti e ne sostiene le famiglie, assicurando mezzi adeguati alle loro esigenze di vita», promuovendo «la permanenza delle persone non autosufficienti nel proprio ambito familiare» (art. 1, comma 1); e considerate, ai fini della legge, «non autosufficienti le persone che sono prive dalla nascita o che hanno subito una perdita permanente parziale o totale dell’autonomia delle abilità fisiche, psichiche, sensoriali, cognitive e relazionali con conseguente incapacità di compiere gli atti essenziali della vita quotidiana senza l’aiuto determinante di altre persone» (art. 2, comma 1) – stabilisce che la medesima Provincia «assicura alle persone non autosufficienti l’erogazione di qualificati interventi di cura, di assistenza e di protezione sociale secondo quanto previsto da questa legge, compatibilmente con le risorse organizzative, strumentali e finanziarie disponibili, privilegiando le modalità che garantiscono la permanenza della persona non autosufficiente nel proprio ambito familiare» (art. 6, comma 1), mediante l’erogazione di un “assegno di cura”, appunto «orientato a favorire la permanenza dell’assistito nel proprio domicilio» e «correlato alla misura del bisogno della persona non autosufficiente da garantire in ambito domiciliare e semiresidenziale» (art. 10, comma 1, primo periodo) nonché destinato ai soggetti portatori dei requisiti individuati nel censurato art. 9, comma 1, tra i quali quelli oggetto delle spiegate censure.

Di conseguenza, risulta palese (come peraltro non contestato) che la normativa in oggetto rientri nell’ámbito di competenza legislativa esclusiva in materia di «assistenza e beneficenza pubblica» attribuita alla Provincia autonoma di Trento dall’art. 8, numero 25, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, oltre che in quello di competenza residuale in materia di servizi sociali, riconosciuta alle Regioni ordinarie dall’art. 117, quarto comma, Cost., e che può ritenersi estesa, per il principio di maggiore autonomia, alla Provincia autonoma di Trento ai sensi dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

3. − Ciò premesso, relativamente alla lamentata violazione del canone di ragionevolezza determinata dalla esclusione dal beneficio di tutti coloro (italiani e stranieri) i quali non siano residenti da almeno tre anni continuativi nel territorio provinciale (art. 9, comma 1, lettera a), va ribadito che – se al legislatore, sia statale che regionale (e provinciale), è consentito introdurre una disciplina differenziata per l’accesso alle prestazioni assistenziali al fine di conciliare la massima fruibilità dei benefici previsti con la limitatezza delle risorse finanziarie disponibili (da ultimo sentenza n. 133 del 2013) e che quello della residenza costituisce «un criterio non irragionevole per l’attribuzione del beneficio» (sentenza n. 432 del 2005) – tuttavia la legittimità di una simile scelta non esclude che i canoni selettivi adottati debbano comunque rispondere al principio di ragionevolezza, in quanto l’introduzione di regimi differenziati è consentita solo in presenza di una causa normativa non palesemente irrazionale o arbitraria, che sia cioè giustificata da una ragionevole correlazione tra la condizione cui è subordinata l’attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio (sentenze n. 133 e n. 2 del 2013, n. 40 del 2011 e n. 432 del 2005).

Orbene, nella specie, non è dato riscontrare proprio tale ragionevole correlazione tra l’impugnato presupposto di ammissibilità al beneficio (residenza protratta nel tempo) e gli altri peculiari requisiti (situazione di bisogno e di disagio anche economico riferibili direttamente alla persona non autosufficiente in quanto tale), che costituiscono le condizioni di fruibilità della provvidenza in esame. La mancanza di correlazione determina il venir meno della ragionevolezza della previsione di un requisito differenziato (e, nella specie, pesantemente aggravato), che, lungi dal trovare giustificazione nella essenza e finalità del beneficio, contraddittoriamente potrebbe portare ad escludere soggetti altrettanto (se non più) esposti alle condizioni di bisogno e di disagio (che il censurato sistema di prestazioni e servizi si propone di superare perseguendo una finalità eminentemente sociale), senza che sia possibile presumere, in termini assoluti, che lo stato di bisogno di chi risieda (seppur regolarmente) nella Provincia da meno di tre anni sia minore rispetto a chi vi risieda da più anni (sentenze n. 133, n. 4 e n. 2 del 2013).

3.1. − Tale previsione realizza dunque una discriminazione, che contrasta con la funzione e la ratio normativa stessa, in violazione del limite di ragionevolezza imposto anche dal rispetto del principio di uguaglianza.

Né rileva in senso contrario la circostanza – su cui si sofferma la difesa della Provincia resistente – che l’assegno di cura costituisce una prestazione ulteriore e facoltativa, che si pone al di sopra dei livelli minimi essenziali, dalla Provincia stessa finanziata per libera scelta e con i propri mezzi; e che, dunque, per la sua attribuzione sarebbe legittimamente richiesto un particolare legame con il territorio della comunità (senza discriminazioni in base alla cittadinanza ovvero all’origine), al fine di scoraggiare fenomeni di trasferimenti di residenza fittizi o opportunistici, nonché di garantire la sostenibilità finanziaria del beneficio. Va, al contrario, ribadita l’affermazione di questa Corte, secondo cui tanto l’una che l’altra circostanza eccepite non escludono «che le scelte connesse alla individuazione dei beneficiari – necessariamente da circoscrivere in ragione della limitatezza delle risorse disponibili – debbano essere operate sempre e comunque in ossequio al principio di ragionevolezza» (sentenze n. 2 del 2013, n. 40 del 2011 e n. 432 del 2005).

4. − Altrettanto fondato risulta il secondo profilo di censura, relativo alla limitazione della attribuzione dell’«assegno di cura» ai soli soggetti (extracomunitari) che siano in possesso dello specifico titolo costituito dalla «carta di soggiorno ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286» (art. 9, comma 1).

Come sottolineato, da ultimo, dalla sentenza n. 40 del 2013, la carta di soggiorno è stata sostituita, a far data dal 2007, con il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, a norma dell’art. 2, comma 3, del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo), il cui conseguimento da parte dello straniero è condizionato: a) dalla disponibilità di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati dall’art. 29, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina della immigrazione e norme sulla condizione dello straniero); b) dalla disponibilità di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall’Azienda unità sanitaria locale competente per territorio; c) dal possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità.

Si tratta di requisiti (che vanno da parametri di squisita connotazione censuaria ad altri che attengono alle generali condizioni di vita, per finire con un presupposto di tipo meramente temporale, relativo al periodo di permanenza in Italia con regolare permesso di soggiorno) che non si raccordano (ed anzi presentano carattere fortemente derogatorio) con la generale previsione dettata in materia di prestazioni sociali ed assistenziali in favore dei cittadini extracomunitari dall’art. 41 del decreto legislativo n. 286 del 1998, il quale prevede che «Gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti».

4.1. − La limitazione del novero dei fruitori della provvidenza in esame operata dalla norma, censurata anche sotto questo profilo, deve ritenersi lesiva dell’art. 3 Cost. (sentenza n. 4 del 2013), non essendovi alcuna ragionevole correlazione tra la condizione di accesso dei cittadini extracomunitari alle prestazioni assistenziali in questione e le situazioni di bisogno o disagio, riferibili direttamente alla persona in quanto tale, che costituiscono il presupposto di fruibilità dell’assegno di cura. Va ribadito, infatti, che non è possibile presumere in modo aprioristico che stranieri non autosufficienti, titolari di un permesso per soggiornanti di lungo periodo – in quanto già presenti in precedenza sul territorio nazionale in base a permesso di soggiorno protratto per cinque anni – versino in stato di bisogno o disagio maggiore rispetto agli stranieri che, sebbene anch’essi regolarmente presenti nel territorio nazionale, non possono vantare analogo titolo legittimante.

Come già affermato da questa Corte, mentre è possibile subordinare, non irragionevolmente, l’erogazione di determinate prestazioni sociali, non dirette a rimediare a gravi situazioni di urgenza, alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero alla permanenza nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata, una volta che il diritto a soggiornare alle predette condizioni non sia in discussione, l’accesso a una misura sociale non può, invece, essere differenziato in ragione della «necessità di uno specifico titolo di soggiorno» (sentenza n. 61 del 2011), che di fatto porti ad escludere proprio coloro che potrebbero risultare i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni e servizi si propone di superare perseguendo una finalità eminentemente sociale (sentenza n. 40 del 2011).

Ciò che, dunque, assume valore dirimente agli effetti del sindacato di costituzionalità, non è la denominazione o l’inquadramento formale della singola provvidenza, quanto, piuttosto, il concreto atteggiarsi di questa nel panorama delle varie misure e dei beneficii di ordine economico che il legislatore (statale o regionale) ha predisposto quali strumenti di ausilio ed assistenza in favore di categorie “deboli”. La compatibilità costituzionale delle scelte legislative va dunque affermata se ed allorquando, «alla luce della configurazione normativa e della funzione sociale», la misura presa in considerazione integri un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento di “bisogni primari” inerenti alla sfera di tutela della persona umana, che è compito della Repubblica promuovere e salvaguardare (sentenze n. 329 del 2011 e n. 187 del 2010). Condizione questa che certamente (per quanto detto) si configura relativamente alla provvidenza in esame, che è espressamente destinata a coinvolgere e salvaguardare beni e valori tutti di primario risalto nel quadro dei diritti fondamentali della persona non autosufficiente anche con riferimento al contesto familiare in cui è inserita. Senza pertanto che valga l’eccezione mossa dalla resistente in ragione del fatto che l’assegno de quo è «misura integrativa dell’indennità di accompagnamento» (art. 10, comma 2, ultimo periodo), giacché (come già detto) la classificazione del beneficio va operata imprescindibilmente con riferimento alla natura e alla portata teleologica che ne caratterizzano la predisposizione e la prestazione.

5. – Conseguentemente, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, della legge provinciale n. 25 del 2012, nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione dell’assegno di cura agli stranieri legalmente residenti nella Provincia autonoma di Trento; e va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole «da almeno tre anni continuativi».

Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.

 

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Trento 24 luglio 2012, n. 15 (Tutela delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie e modificazioni delle leggi provinciali 3 agosto 2010, n. 19, e 29 agosto 1983, n. 29, in materia sanitaria), nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione dell’assegno di cura agli stranieri legalmente residenti nella Provincia autonoma di Trento;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 1, lettera a), della medesima legge della Provincia autonoma di Trento n. 15 del 2012, limitatamente alle parole «da almeno tre anni continuativi».

 

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