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In vigore al: 18/02/2017

Corte costituzionale - Sentenza N. 273 del 17.07.1998
Atto di indirizzo e coordinamento relativo alla procedura di impatto ambientale

Sentenza (7 luglio) 17 luglio 1998, n. 273; Pres. Granata – Red. Chieppa
 
Ritenuto in fatto: 1. La Provincia autonoma di Trento, con ricorso notificato il 5 ottobre 1996 e depositato il 9 ottobre 1996, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento al d.P.R. 12 aprile 1996 (Atto di indirizzo e coordinamento per l'attuazione dell'art. 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale), pubblicato nella Gazzetta ufficiale, n. 210, serie generale, del 7 settembre 1996.
La Provincia ricorrente premette che l'atto impugnato costituisce ulteriore fase di attuazione a livello statale della direttiva comunitaria 85/337/CEE.
Mentre, infatti, per le opere di cui all'allegato I della direttiva, l'obbligo di sottoporle a valutazione ambientale è stato, in forza dell'art 6 della legge 8 luglio 1986, n. 349 e dei decreti attuativi, sostanzialmente trasposto in ambito nazionale, per le opere elencate nell'allegato II, di natura e consistenza strutturale meno rilevanti, è stato introdotto nella legge 22 febbraio 1994, n. 146 l'art. 40, che fa carico al Governo di definire "condizioni, criteri e norme tecniche per l'applicazione della procedura di impatto ambientale ai progetti" anche in riferimento "alla necessità di individuare idonei criteri di esclusione o definire procedure semplificate per progetti di dimensioni ridotte o durata limitata, realizzati da artigiani o piccole imprese".
Il d.P.R. 12 aprile 1996 è attuativo dell'art. 40 della legge 22 febbraio 1994, n. 146.
Le censure investono l'atto impugnato per violazione dell'art. 8, numeri 3, 5, 6, 7, 9, 11, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 20, 21, 24 dello statuto di autonomia, che assegnano alla Provincia autonoma ricorrente potestà legislativa primaria in materia di tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico, e popolare, urbanistica, tutela del paesaggio; dell'art. 9, numeri 9 e 10 dello statuto, attributivi alla Provincia autonoma di Trento di potestà legislativa concorrente in materia di utilizzazione delle acque pubbliche, igiene e sanità; dell'art. 16 dello statuto; del sistema delle norme di attuazione ed in particolare dell'art. 3 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266; ed altresì, dei principi costituzionali relativi all'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento; infine, dell'art. 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86, con particolare riferimento al comma 3.
Le lamentate censure muovono da un comune denominatore: l'atto statale di indirizzo avrebbe dovuto limitarsi alla fissazione del "principio-obbiettivo", inteso quale "necessaria presa in considerazione dei progetti di cui all'allegato II della direttiva", assicurando alle Regioni un margine di autonomia normativa per l'adeguamento della propria legislazione in materia di valutazione di impatto ambientale.
Oltretutto, la ricorrente sottolinea come a riguardo si sia dotata, in ossequio alla legge n. 86 del 1989 che garantisce l'autonomia delle Regioni e Province in ordine all'adeguamento delle rispettive legislazioni alla normativa di fonte comunitaria, di una disciplina completa ed articolata di cui alla legge provinciale 29 agosto 1988, n. 28 (modificata con le successive leggi nn. 3 e 33 del 1990 e n. 21 del 1993), e alle norme regolamentari contenute nel decreto del Presidente della Giunta provinciale 22 novembre 1989, n.13-11/Leg. e 10 maggio 1995, n.7-21/Leg.
Nella premessa all'analitica disamina delle singole disposizioni impugnate, la Provincia rileva che, contraddicendo - di fatto - l'art. 1, comma 1, del d.P.R. impugnato, contenente la sola fissazione del predetto obiettivo, più volte nel decreto si fa specifico riferimento ad essa Provincia quale diretta destinataria dei precetti ed oneri ivi previsti, ciò che apparirebbe come sicuro indice, unitamente alla mancata previsione di una clausola generale di salvaguardia, che l'atto di indirizzo e coordinamento debba trovare applicazione anche nei confronti della Provincia.
Ad avviso della ricorrente, le singole disposizioni del decreto confermerebbero nello specifico quanto lamentato.
L'art. 1, comma 2, prescrive l'obbligo di adeguamento "ad una precisa normativa statale" tale da tradire la natura di atto di indirizzo per assumere piuttosto sul piano sostanziale quella di legge quadro.
Risulterebbe violata, oltre alla disposizione di cui all'art. 9, comma 3, della legge n. 86 del 1989, che circoscrive la portata precettiva delle leggi statali di adeguamento alle direttive in materia di competenza regionale alla sola previsione dei "principi vincolanti", la normativa recata nel d.lgs. n. 266 del 1992, che garantisce l'ambito di autonomia della Provincia di cui allo statuto di autonomia, in forza dell'art. 3, comma 2, laddove stabilisce che gli atti di indirizzo "vincolano la Regione e le Province autonome solo al conseguimento degli obiettivi e risultati in essa stabiliti" escludendo implicitamente la legittimità di specifiche prescrizioni vincolanti.
Pertanto dovrebbe essere ritenuta illegittima la pretesa di ridurre le attribuzioni della Provincia alla sola facoltà, di cui all'art.1, comma 7, di "definire tipologie progettuali e/o aree predeterminate sulla base degli elementi indicati dall'allegato D, un incremento o decremento delle soglie di cui all'allegato B nella misura massima del 30%".
Alla medesima stregua dovrebbero essere censurati gli artt. 4 e 5. In particolare quest'ultima norma darebbe vita ad una minutissima disciplina riguardante la domanda con il progetto dell'opera (comma 1), le modalità di presentazione (comma 3), i termini per l'amministrazione (commi 2 e 3), le modalità operative (commi 2, 3 e 6); mentre la previsione di facoltà circoscritte a presupposti di fatto e temporalmente limitate apparirebbe del tutto anomala.
Gli artt. 6 e 8 si connoterebbero per determinare vincoli attuativi per la Provincia, quali, esemplificativamente, quello "di individuare ulteriori appropriate forme di pubblicità"; (cfr. comma 3), o di promuovere "modalità semplificate" per i progetti di ridotte dimensioni o durata limitata.
Infine l'art. 10, sarebbe affetto dagli stessi vizi laddove pretende di stabilire regole procedurali, termini e modalità operative per gli uffici: prescrizioni controbilanciate da presunte "facoltà" ristrette nell'ambito sostanziale-applicativo.
L'impugnazione è estesa altresì agli allegati A, B, C e D, richiamati per relationem dalle disposizioni normative censurate.
2. Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.
Secondo la difesa erariale il rilievo e l'importanza della disciplina dell'impatto ambientale, tali da rendere obbligatoria la procedura anche in relazione ai progetti di cui all'allegato II della direttiva 85/337/CEE, consentono l'adozione dello strumento dell'atto di indirizzo e coordinamento nell'esigenza di coniugare, ad un tempo, criteri e soglie minime (di cui all'art. 4 della direttiva), con riferimento alle dimensioni strutturali ed alla tipologia degli interventi, con la competenza delle Regioni e Province.
La natura flessibile dell'atto di indirizzo e coordinamento, idonea ad assicurare ambiti di autonoma conformazione delle normative locali, controbilanciata dalla necessaria omogeneità degli elementi essenziali propri di un quadro normativo nazionale di derivazione comunitaria, rende ragione delle singole disposizioni contenute nel decreto.
A tale stregua la stessa qualificazione di importanza e rilevanza dell'impatto, espressione di valutazione tecnico-discrezionale, non può sottrarsi ad una disciplina uniforme sebbene modulata secondo le esigenze territoriali delle Regioni o Province.
In questa prospettiva la banda di oscillazione del 30%, lungi dall'essere sintomo di lesione delle competenze garantite, assicura un margine certo delle difformità ammissibili.
Ad avviso dell'Avvocatura, la riconosciuta portata vincolante delle disposizioni censurate è giustificata, in relazione al rilievo sovranazionale della materia e agli interessi pubblici ad essa sottesi, dall'assicurare un quadro chiaro di competenze amministrative, oltre alla previsione di garanzie inderogabili di contraddittorio, pubblicità e partecipazione.
3. In prossimità dell'udienza la Provincia autonoma di Trento ha depositato memoria nella quale, ribadendo le censure già formulate, precisa che in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni (seduta dell'8 febbraio 1996) si era concordato l'inserimento della clausola di salvaguardia di cui all'art. 1 dell'atto di indirizzo e coordinamento impugnato. Del tutto contraddittoriamente, a tale emendamento, non ha fatto seguito nel testo finale la modifica delle norme che vincolano la Provincia in modo puntuale all'osservanza di modalità esecutive, senza far salva la specifica competenza di cui la Provincia è dotata in materia.
Pertanto, sottolinea la ricorrente che l'atto impugnato ha "conservato" immotivatamente un contenuto difforme dalle intenzioni dello stesso Ministro per gli affari regionali e dal parere della Conferenza Stato-Regioni.
 
Considerato in diritto: 1. La Provincia autonoma di Trento ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in ordine al d.P.R. 12 aprile 1996 (Atto di indirizzo e coordinamento per l'attuazione dell'art. 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale) nelle parti in cui stabilisce, all'art 1, escluso il comma 1, l'ambito di applicazione, all'art. 4 i compiti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, all'art. 5 la procedura di valutazione di impatto ambientale, all'art. 6 lo studio di impatto ambientale, all'art. 8 le misure di pubblicità, all'art. 10 le procedure di verifica, nonché agli allegati A, B, C, D.
La Provincia ha denunciato la violazione dell'art.8, numeri 3, 5, 6, 7, 9, 11, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 20, 21, e 24 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige; dell'art. 9 , numeri 9 e 10, dell'art. 16 dello Statuto; del sistema delle norme di attuazione ed in particolare dell'art. 3 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266; dei principi costituzionali relativi all'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento; dell'art. 9, comma 3, della legge 9 marzo 1989, n. 86, e ha chiesto l'annullamento del d.P.R. impugnato in quanto invasivo delle attribuzioni riservate alla stessa Provincia autonoma in materia di valutazione di impatto ambientale.
2. Il ricorso è privo di fondamento in quanto, sulla base testuale del primo comma dell'art. 1 del d.P.R. 12 aprile 1996 e dei lavori preparatori, del resto richiamati nella premessa dell'atto, risulta la precisa intenzione sia del Governo sia della Conferenza Stato-Regioni di salvaguardare la particolare posizione delle Regioni a statuto speciale e delle Provincie autonome di Trento e Bolzano, di modo che l'"ambito di applicazione" della direttiva nei loro confronti deve ritenersi limitato ad un obbligo di "attuazione degli obiettivi del presente atto nel rispetto di quanto previsto nei rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione". Questa delimitazione di ambito di applicazione deve considerarsi generale rispetto a tutte le disposizioni che seguono, soprattutto in riferimento alle modalità in cui era sorto il problema nell'ambito della Conferenza Stato-Regioni e alla volontà di introdurre un emendamento idoneo a risolverlo.
Di conseguenza, la seconda parte del comma 1 dell'art. 1 del d.P.R. denunciato con conflitto di attribuzione ha valore di criterio interpretativo anche di quelle disposizioni particolari che fanno riferimento specifico alle Province autonome di Trento e di Bolzano, di modo che deve escludersi in radice la sussistenza di lesione della sfera di competenza della Provincia autonoma di Trento, anche se l'atto nel testo definitivo non è stato oggetto di un attento coordinamento.
3. Per quanto riguarda la circostanza, asserita dalla difesa della Provincia autonoma di Trento, che la Provincia si è già data una normativa in materia di valutazione di impatto ambientale, adeguata alle direttive comunitarie, e che non sussisterebbe una inadempienza normativa, giova sottolineare che ciò non esclude che lo Stato possa emanare un atto di indirizzo e coordinamento valevole - nei sensi innanzi precisati - nei confronti anche delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, oltre che, si intende, nei confronti delle Regioni a statuto ordinario: il termine prefissato di adeguamento e di armonizzazione delle disposizioni vigenti non poteva che essere unico, in relazione alla necessità di assicurare il soddisfacimento di esigenze unitarie in materia e l'assolvimento degli obblighi comunitari, in ordine ai quali lo Stato ha una specifica responsabilità (sentenze nn. 304 e 210 del 1987).
E' altresì evidente che una Provincia autonoma, che pur si sia dotata di una propria normativa in materia, deve procedere comunque ad una valutazione della corrispondenza della normativa stessa alla direttiva comunitaria, alla eventuale normativa statale di completamento degli spazi espressamente lasciati alle determinazioni nazionali e al conseguimento degli obiettivi individuati nel sopravvenuto atto di indirizzo governativo. Ed è questa la interpretazione che, in conformità ai principi costituzionali che regolano i rapporti tra Stato e Regioni a statuto speciale e Province autonome, deve essere data all'obbligo di armonizzazione delle disposizioni vigenti con l'atto di indirizzo per quanto riguarda la Provincia ricorrente.
Di conseguenza deve escludersi che l'atto impugnato abbia per le Province autonome e le Regioni a statuto speciale un valore di normativa dettagliata e assolutamente vincolante nei particolari procedurali.
4. Per quanto riguarda la individuazione dei progetti da sottoporre a valutazione di impatto ambientale, deve essere sottolineato che il sistema voluto dalla direttiva comunitaria - a parte le categorie di progetti che per principio (art. 4, par. 1 e allegato I direttiva 27 giugno 1985 85/337/CEE) devono essere sottoposti a valutazione sistematica che qui non interessa - presuppone per le opere appartenenti alle classi elencate nell'allegato II (di natura e consistenza meno rilevanti) un quadro normativo nazionale affidato agli Stati membri, cui compete una valutazione delle caratteristiche, con una determinazione, ai fini dell'obbligo della sottoposizione alla valutazione, anche attraverso specificazione di tipi di progetti o fissazione di criteri e soglie limite (art. 4, par. 2, e allegato II, direttiva citata).
Secondo l'ordinamento italiano, pur potendo la materia della valutazione di impatto ambientale articolarsi in una molteplicità di discipline regionali, la individuazione dei casi in cui vi deve essere un obbligo di compiere tale valutazione per i progetti inclusi nell'allegato II della predetta direttiva CEE, resta disciplinata dall'art. 40 della legge 22 febbraio 1994, n. 146 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - legge comunitaria 1993). Detta norma di legge (che, si noti, non è stata contestata dalla Provincia ricorrente) costituisce la base normativa dell'esercizio dell'atto di indirizzo e coordinamento impugnato, che provvede a delimitare l'ambito delle "condizioni, criteri e norme tecniche" stabilite per l'applicazione della procedura di impatto ambientale ai progetti inclusi nell'allegato II", anche in riferimento "alla necessità di individuare idonei criteri di esclusione o definire procedure semplificate per progetti di dimensioni ridotte o durata limitata, realizzati da artigiani o piccole imprese".
Ed appunto l'art. 40 della legge n. 146 del 1994 deve essere interpretato in logico collegamento con la direttiva 85/337/CEE, di cui costituisce attuazione per la parte che qui interessa (art. 4, par. 2 della stessa direttiva CEE).
Infatti, la qualificazione di importanza dell'impatto per i progetti di cui all'allegato II della direttiva CEE, in relazione a probabili ripercussioni sull'ambiente, è il risultato di un apprezzamento tecnico-discrezionale necessariamente unitario nell'ambito del singolo Stato membro e, come tale, impegna tutte le Regioni e Province autonome ad osservarlo, rimanendo suscettibile, tuttavia, in base all'atto di indirizzo, di variazioni, a seconda delle particolarità delle esigenze del territorio regionale, limitate a una banda di oscillazione delle soglie del 30% in più o in meno (art. 1, comma 7, in riferimento agli allegati D e B, dell'atto impugnato). Tale misura risulta tutt'altro che irragionevolmente limitativa della sfera regionale e provinciale, lasciando un margine compatibile con l'autonomia della Provincia di Trento, e uno spazio sufficientemente ampio all'esercizio del potere normativo delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome per quanto riguarda la determinazione delle tipologie dei progetti per i quali viene resa obbligatoria la valutazione di impatto ambientale.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spetta allo Stato adottare anche nei confronti della Provincia autonoma di Trento, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, un atto di indirizzo e coordinamento relativo alle condizioni, criteri e norme tecniche per l'applicazione della procedura di impatto ambientale ai progetti inclusi nell'allegato II alla direttiva comunitaria 85/337/CEE.
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