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In vigore al: 14/04/2016

Corte costituzionale - Sentenza N. 420 del 04.11.1999
Raccolta del sangue - Coordinamento dell´attività dei centri regionali di coordinamento e compensazione

Sentenza (27 ottobre) 4 novembre 1999, n. 420; Pres. Granata – Red. Capotosti
 
Ritenuto in fatto: 1. Con ricorso notificato il 14 novembre 1997 e depositato il successivo 20 novembre, la Provincia di Trento ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione agli articoli 1, 2, comma 1, lett. b), c), d), e) ed f), e 4, comma 2, del decreto del Ministro della sanità 17 luglio 1997, n. 308, concernente "Regolamento recante norme per la disciplina dei compiti di coordinamento a livello nazionale delle attività dei centri regionali di coordinamento e compensazione in materia di sangue ed emoderivati”. Secondo la Provincia, il provvedimento ministeriale -che all'art. 4, comma 2, si indirizza espressamente anche alle Province autonome, e che la ricorrente ritiene però di impugnare "in via cautelativa” anche con riferimento alle altre disposizioni, che si riferiscono più genericamente alle "Regioni”- invade le proprie competenze in materia di igiene e sanità, in violazione dell'art. 9, numero 10) e dell'art. 16 dello statuto speciale di autonomia; dell'art. 2, comma 2, del d.P.R. 28 marzo 1975 n. 474 (Norme di attuazione dello Statuto per la Regione Trentino Alto-Adige in materia di igiene e sanità); dell'articolo 8, comma 1, comma 2, lett. b) e c) e comma 4, e dell'articolo 11, comma 1 e comma 3, lett. h), della legge 4 maggio 1990, n. 107 (Disciplina per le attività trasfusionali relative al sangue umano ed ai suoi componenti e per la produzione di plasmaderivati), ed infine dell'art. 136 della Costituzione e dell'art. 17, comma 1, lett. b), e comma 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri).
La Provincia premette che, nel settore delle attività trasfusionali e della raccolta di sangue umano, il Ministro della sanità è titolare di un potere regolamentare limitato all'ambito "della competenza sua propria e delle autorità a lui sottordinate”, anche per effetto della sentenza n. 49 del 1991 della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo l'art. 11, comma 1, della citata legge n. 107 del 1990, nella parte in cui detta disposizione prevedeva un potere del Ministro di emanare norme di indirizzo e coordinamento nei confronti delle Regioni e delle Province autonome. Il provvedimento impugnato, secondo la ricorrente, esorbita quindi dalle competenze ministeriali, proprio perché stabilisce una serie di compiti, di adempimenti, di finalità che intendono indirizzare l'attività dei servizi sanitari della Provincia nel settore delle emotrasfusioni e della raccolta del sangue.
2. In particolare la Provincia deduce l'invasività dell'art. 1 del decreto, in quanto pone quale compito del decreto stesso quello di individuare "gli obiettivi generali e gli interventi da compiere per assicurare una risposta organica ai problemi che caratterizzano il settore trasfusionale”, compito che, sempre ad avviso della Provincia, non può essere assunto da un regolamento ministeriale ma, se mai, da una legge-quadro.
Anche l'art. 2, comma 1, lettere b), c), d), esorbita, secondo la ricorrente, dalle competenze statali, in quanto prevede il potere del Ministro della sanità di definire particolari procedure fondate su "poteri ministeriali di codeterminazione e verifica” nello specifico settore delle attività relative al raggiungimento della autosufficienza di sangue, in violazione del principio secondo cui le funzioni amministrative dirette ad assicurare l'autosufficienza di sangue ed emoderivati e le eventuali redistribuzioni spettano ai centri regionali di coordinamento. Lo stesso art. 2, comma 1, lettere e) ed f), sarebbe altresì illegittimo in quanto attribuisce al Ministro della sanità il compito di "emanare le linee guida relative ai modelli organizzativi e di funzionamento delle attività trasfusionali ed alla pratica trasfusionale nonché alla formazione ed all'aggiornamento del personale, che competono alle regioni ed all'istituto superiore di sanità”, nonché quello, ulteriore, di definire "il programma di emovigilanza”, nozione che non sarebbe prevista dalla legislazione vigente.
Infine, l'art. 4, comma 2, del decreto impugnato è invasivo, ad avviso della Provincia, delle proprie attribuzioni, poiché dispone, al fine di assicurare "il coordinamento delle attività trasfusionali sotto il profilo programmatorio e finanziario”, che le regioni e le province autonome adottino le iniziative di carattere organizzativo necessarie per espletare una serie di funzioni che la stessa disposizione elenca alle lettere a), b), c), d) ed e). La ricorrente lamenta che una tale previsione configurerebbe l'esercizio di una vera e propria funzione di indirizzo e coordinamento dell'attività regionale e conclude chiedendo l'annullamento del decreto, limitatamente alle disposizioni impugnate.
3. Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile ovvero infondato, in quanto, a suo avviso, il decreto impugnato non sarebbe espressione di una funzione di indirizzo e coordinamento, invasiva della sfera di competenza costituzionalmente riservata alle Regioni ed alle Province autonome. In una memoria depositata in prossimità dell'udienza, la difesa erariale osserva che l'art. 1 del decreto integra una mera dichiarazione di intenti, di per sé stessa non lesiva, e comunque rientrante nella competenza dello Stato. Le lettere b), c), e d) dell'art. 2, contengono, ad avviso dell'Avvocatura generale, soltanto una sollecitazione alla collaborazione - costituzionalmente obbligatoria - da parte delle Regioni e delle Province autonome. Inoltre, per quanto attiene alle lettere e) ed f) dello stesso articolo, la Provincia non avrebbe interesse ad impugnarle, in quanto sia le "linee guida” sia "il programma di emovigilanza” cui esse fanno riferimento non sarebbero comunque vincolanti per la Provincia stessa.
La difesa dello Stato eccepisce infine l'inammissibilità della censura riferita all'art. 4, comma 2, per difetto di una congrua motivazione, e comunque ne deduce l'infondatezza, perché la disposizione tende ad assicurare la soluzione del problema dell'autosufficienza della disponibilità di sangue, che è obiettivo direttamente fissato dall'art. 8, comma 1, della legge n. 107 del 1990. L'art. 4 del decreto, di conseguenza, stabilisce che le regioni si organizzino per svolgere una serie di funzioni che "discendono, o sono collegate” agli obiettivi posti dallo stesso art. 8, lasciando alla "assoluta discrezionalità degli enti locali” la scelta di stabilire se e quali iniziative adottare per l'espletamento di dette funzioni.
Considerato in diritto: 1. Il ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato promosso dalla Provincia autonoma di Trento ha per oggetto l'art. 1, l'art. 2, comma 1, lett. b), c), d), e) ed f) e l'art. 4, comma 2, del decreto del Ministro della sanità 17 luglio 1997, n. 308. Queste disposizioni, stabilendo una serie di compiti, di adempimenti, di finalità relativi all'attività dei servizi sanitari della Provincia nel settore delle emotrasfusioni e della raccolta del sangue, ad avviso della ricorrente, violerebbero, in quanto invasive delle competenze provinciali, l'art. 9, numero 10) e l'art. 16 dello statuto speciale di autonomia, come attuato dall'art. 2, comma 2, del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474, che appunto prevedono la competenza provinciale in materia di igiene e sanità, nonché l'art. 8, comma 1, comma 2, lett. b) e c) e comma 4, e l'art. 11, comma 1 e comma 3, lett. h) della legge 4 maggio 1990, n. 107. Secondo la Provincia ricorrente, inoltre, sarebbero violati, sotto diversi profili, anche l'art. 136 della Costituzione e l'art. 17, comma 1, lett. b) e comma 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400.
2. Il ricorso deve essere accolto.
Il conflitto in esame verte sull'asserita invasione, da parte del decreto ministeriale impugnato, delle attribuzioni in materia di igiene, sanità ed assistenza sanitaria ed ospedaliera, riservate alla Provincia di Trento dalle suindicate disposizioni statutarie e di attuazione, in base alle quali "alle Province autonome competono le potestà legislative ed amministrative attinenti al funzionamento ed alla gestione delle istituzioni ed enti sanitari".
L'accertamento del carattere lesivo del predetto decreto deve quindi prendere le mosse dall'individuazione del suo fondamento legislativo al fine di precisarne l'ambito di applicazione; a questo riguardo appaiono invocabili essenzialmente l'art. 8, comma 4, della legge 4 maggio 1990, n. 107 e l'art. 11 della stessa legge.
La prima di queste due disposizioni, che va considerata "in particolare" - come risulta testualmente stabilito dal preambolo dell'atto impugnato- prevede come proprio soggetto l'Istituto superiore di sanità, cui compete il compito di coordinare l'attività dei centri regionali e di favorire l'autosufficienza nazionale di sangue e di emoderivati, mentre al Ministro della sanità compete solo di emanare, sentita la Commissione nazionale per il servizio trasfusionale, le "normative tecniche", che appunto l'Istituto superiore di sanità deve attuare.
La seconda disposizione da prendere in considerazione è l'art. 11 della stessa legge n. 107, che nel testo originario stabiliva che il Ministro della sanità "emana le norme di indirizzo e coordinamento alle quali devono conformarsi le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per l'attuazione della presente legge". Senonché questa Corte con la sentenza n. 49 del 1991 ha deciso che, pur potendosi considerare, per certi aspetti, la predetta legge n. 107 come legge-cornice, non era comunque possibile ricondurre, per forma e per contenuti, la potestà normativa prevista dall'art. 11, comma 1, alla funzione di indirizzo e coordinamento, cosicché doveva essere dichiarato costituzionalmente illegittimo l'inciso "di indirizzo e coordinamento, alle quali devono conformarsi le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano". Il comma in questione pertanto, secondo la predetta sentenza, "rimane circoscritto alla previsione che il Ministro della sanità "emana le norme per l'attuazione della presente legge”, naturalmente nel rispetto dei limiti, trattandosi di potestà regolamentare volta all'attuazione della legge, previsti dall'art. 17 della legge n. 400 del 1988, tra cui quello fissato dal primo comma lett. b) che preclude appunto alla fonte secondaria di disciplinare "materie riservate alla competenza regionale" (sentenza n. 49 del 1991). In base a queste due disposizioni, che costituiscono lo specifico fondamento legislativo del decreto, si può dunque ritenere che la competenza normativa del Ministro della sanità in questo settore vada essenzialmente circoscritta alla formulazione di norme di attuazione della legge n. 107 del 1990, non incidenti su materie "riservate alla competenza regionale". Questi limiti, però, non appaiono rispettati dal decreto ministeriale in oggetto.
3. Premesso che, riguardo al testo normativo in esame, non c'è ragione per discostarsi da quanto stabilito nella citata decisione n. 49 del 1991 in ordine alla conclusione che "la locuzione "regioni” abbia il suo significato più ampio comprensivo anche delle province ad autonomia differenziata, oltreché delle regioni a statuto speciale", il primo profilo da valutare concerne proprio l'incidenza del decreto impugnato su materie riservate alla competenza provinciale.
A questo riguardo, è palese il carattere invasivo delle competenze provinciali del suddetto regolamento ministeriale, che, all'art. 1, si propone di individuare addirittura "gli obiettivi generali e gli interventi da compiere per assicurare una risposta organica ai problemi che caratterizzano il settore trasfusionale"; all'art. 2 stabilisce, tra l'altro, che il Ministero della sanità concorda con le regioni, evidentemente in funzione di indirizzo e coordinamento, particolari procedure per il raggiungimento della autosufficienza di sangue o per la distribuzione dei plasmaderivati eccedenti, emana "le linee guida relative ai modelli organizzativi e di funzionamento delle attività trasfusionali ed alla pratica trasfusionale nonché alla formazione ed aggiornamento del personale che competono alle regioni ed all'Istituto superiore di sanità" e definisce altresì "il programma di emovigilanza"; all'art. 4 dispone che, al fine di assicurare "il coordinamento delle attività trasfusionali sotto il profilo programmatorio e finanziario", "le regioni e le province autonome adottano le iniziative di carattere organizzativo" necessarie per l'adempimento di una serie di funzioni.
4. Si tratta di prescrizioni che, per il loro contenuto diretto a vincolare lo svolgimento di funzioni provinciali attraverso la fissazione di particolari compiti e procedure obbligatoriamente concordati con regioni e province, nonché di forme di verifica ministeriali, chiaramente eccedono l'ambito dell'attuazione della legge per integrare viceversa un modo surrettizio di esercizio di una vera e propria funzione di indirizzo e coordinamento dell'attività provinciale in materia; funzione già dichiarata illegittima da questa Corte. Risulta così lesa la competenza provinciale nel settore dell'assistenza sanitaria ed ospedaliera, non potendo un regolamento ministeriale porre norme volte a limitare la sfera delle competenze delle Regioni e delle Province autonome in materie loro attribuite (sentenze n. 61 del 1997 e n. 250 del 1996). Né, d'altronde, è evidentemente accoglibile la prospettazione della difesa dello Stato che, nel caso in esame, si tratterebbe di una pura "sollecitazione alla collaborazione" tra Stato e Provincia, giacché l'atto impugnato ha comunque l'efficacia tipica di una fonte.
D'altra parte, l'atto impugnato neppure realizza una particolare forma di coordinamento "tecnico", perché, in base all'art. 8, comma 4, della legge n. 107, tale coordinamento doveva essere affidato all'Istituto superiore di sanità, in quanto dotato delle necessarie competenze tecniche (sentenza n. 49 del 1991), mentre al Ministro della sanità spettava solo l'emanazione di "normative tecniche", basate cioè su criteri e giudizi scientifici, quali invece non possono considerarsi le disposizioni in esame, che appaiono precipuamente dirette "a fissare criteri di organizzazione, ad individuare organi e procedure" (sentenza n. 61 del 1997).
Per tutte queste ragioni è quindi palese il carattere invasivo del decreto impugnato rispetto alle attribuzioni della Provincia ricorrente. L'accoglimento del ricorso per i motivi prospettati assorbe ogni altra censura.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta allo Stato stabilire, con decreto del Ministro della sanità, in materia di raccolta del sangue ed emoderivati, vincoli, indirizzi o obblighi nei confronti delle Regioni e Province autonome, in sede di attuazione degli artt. 8, comma 4, e 11 della legge 4 maggio 1990, n. 107 e conseguentemente annulla il decreto del Ministro della sanità 17 luglio 1997, n. 308, limitatamente agli artt. 1, 2, comma 1, lettere b), c), d), e) ed f) e all'art. 4, comma 2.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 ottobre 1999.
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