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In vigore al: 14/10/2016

Corte costituzionale - Sentenza N. 438 del 14.12.1993
Nuova disciplina elettorale per la Camera dei deputati - Seggi da attribuire secondo il sistema proprozionale - Clausola di sbarramento

Sentenza (13 dicembre) 14 dicembre 1993, n. 438; Pres. Casavola - Red. Ferri
 
Ritenuto in fatto: 1. Con ricorso notificato il 4 settembre 1933, la Provincia autonoma di Bolzano ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 5 1. 4 agosto 1993 n. 277, recante « Norme per l'elezione della Camera dei deputati ».
La ricorrente premette che le norme impugnate prevedono che la ripartizione del 25 % dei seggi attribuiti secondo il metodo proporzionale si effettui in sede di Ufficio centrale nazionale.
Per accedere a tali seggi è stata inserita una clausola di sbarramento del 4 %, per cui i partiti che nell'ambito nazionale non raggiungono tale soglia sono automaticamente esclusi dall'assegnazione dei suddetti seggi.
Il sistema adottato dalla nuova legge per l'elezione della Camera dei deputati esclude pertanto le liste che rappresentano minoranze linguistiche riconosciute dalla possibilità di partecipare con successo al riparto di seggi assegnati con il metodo proporzionale, dal momento che esse — come risulta evidente — non potranno mai raggiungere sul piano nazionale la soglia del 4%.
E una realtà storica — prosegue la ricorrente — che nella Regione Trentino-Alto Adige, sin dalle prime elezioni politiche (1948), hanno sempre partecipato alle elezioni, oltre a liste di partiti nazionali, anche liste locali che raggruppano candidati delle minoranze etniche e che sono state votate dalla quasi totalità delle minoranze stesse. Esse hanno avuto successo elettorale, tanto vero che in Parlamento siedono costantemente dal 1948 in poi sempre 6 (o almeno 5) parlamentari che rappresentano le minoranze etniche tedesca e ladina, che nella provincia autonoma di Bolzano sono la popolazione numericamente prevalente (censimento 1991: cittadini di lingua tedesca 67,99 % + cittadini di lingua ladina 4, 36 % = 72,35 %).
Sarebbe stato facile ovviare ai lamentati inconvenienti inserendo al-l'art. 1, lett. a), dopo le parole « La ripartizione dei seggi attribuiti secondo il metodo proporzionale, a norma degli articoli 77, 83 e 84, si effettua in sede di Ufficio centrale nazionale », le seguenti « e per la circoscrizione elettorale Trentino-Alto Adige in sede di Ufficio centrale circoscrizionale ». Altra soluzione sarebbe stata quella di prevedere nell'art. 5 della legge impugnata una norma speciale per cui lo sbarramento del 4 % non si applica alle liste presentate nella circoscrizione Trentino-Alto Adige (nella quale vivono appunto minoranze linguistiche riconosciute), ovvero prevedere che per la regione Trentino-Alto Adige lo sbarramento del 4 % e la ripartizione dei seggi attribuiti secondo il metodo proporzionale si effettua nell'ambito della circoscrizione elettorale stessa.
Questi emendamenti, che furono proposti in sede parlamentare, non hanno, però, trovato accoglimento.
Ciò posto, la ricorrente solleva due distinte questioni di costituzionalità, svolgendo le seguenti argomentazioni.
A) Violazione da parte degli artt. 1 e 5 della legge impugnata degli artt. 6 e 10 Cost. e dei principi di eguaglianza (formale e sostanziale) e di libertà del voto ex artt. 3 e 48 Cost.; violazione dell'art. 2 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige ( D.P.R. 31 agosto 1972 n. 670), dell'Accordo di Parigi del 5 settembre 194.6, dell'Accordo internazionale Italo-Austriaco di chiusura della controversia sul pacchetto (aprile 1992), dell'art. 5 della « Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale » (New York, 21 dicembre 1965), dell'art. 14 della « Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Roma 4 novembre 1950) dell'art. 3 del 1° Protocollo addizionale alla Convenzione stessa (Parigi 20 marzo 1952).
Secondo i risultati del censimento dell'anno 1991, alla Regione Trentino-Alto Adige spettano 10 deputati dei quali — in base all'art. 7, n. 1 b), della legge in questione — n. 8 deputati saranno eletti con il metodo maggioritario (4 nei collegi uninominali della Provincia di Trento e 4 nei collegi uninominali della Provincia di Bolzano). Mentre per gli 8 deputati che saranno eletti col metodo maggioritario non sorgono problemi, questioni di costituzionalità sorgono invece per quanto riguarda i 2 seggi attribuiti alla Regione Trentino-Alto Adige secondo il metodo proporzionale.
La prima doglianza investe il fatto che, anziché emanare norme a tutela delle minoranze linguistiche riconosciute, si emanano norme in materia di elezione della Camera dei deputati che limitano il diritto al voto e alla rappresentanza politica parlamentare dei due gruppi etnici riconosciuti.

Palese è anzitutto la violazione dell'art. 6 Cost., che impone a favore delle minoranze un trattamento di favore, specifico ed adeguato alla loro particolare situazione, disponendo che « la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche ». La stessa Corte costituzionale ha chianto che « tutela della minoranza tedesca e ladina significa esigenza di un trattamento specificatamente differenziato in applicazione dell'art. 6 Cost. » (sent. n. 86 del 16 aprile 1975).

Altrettanto palese è la violazione dell'art. 2 dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige, che stabilisce l'obbligo di « salvaguardare le rispettive caratteristiche etniche e culturali » dei tre gruppi linguistici che vivono in Provincia di Bolzano.
Vi è poi l'Accordo di Parigi, che non solo è parte integrante del Trattato di Pace, ma la cui osservanza è stata riconfermata anche recentemente in sede internazionale fra l'Italia e l'Austria (atti relativi alla chiusura del pacchetto: aprile 1992) in cui si parla di un « quadro delle disposizioni speciali destinate a salvaguardare il carattere etnico e lo sviluppo culturale ed economico del gruppo di lingua tedesca ».
La legge impugnata — prosegue la ricorrente — viola anche altri impegni internazionali assunti dallo Stato, relativi al diritto di voto da garantire, senza limiti di sorta, alle minoranze etniche. Infatti, sul piano internazionale, fra i diritti fondamentali garantiti alle minoranze riconosciute, è da annoverare come fondamentale il diritto civile e politico al libero esercizio del diritto al voto, senza discriminazione.

A tale uopo si ricorda che l'art. 5 della Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (New York, 21 dicembre 1965) statuisce — con particolare riguardo alle minoranze etniche — che: « In base agli obblighi fondamentali di cui all'art. 2 della presente Convenzione, gli Stati contraenti si impegnano a vietare e ad eliminare la discriminazione razziale in tutte le sue forme ed a garantire a ciascuno il diritto alla eguaglianza dinanzi alla legge senza distinzione di razza, colore ed origine nazionale o etnica, nel pieno godimento dei seguenti diritti: c) Diritti politici ed in particolare il diritto di partecipare alle elezioni, di votare e di presentarsi candidato in base al sistema del suffragio universale ed uguale per tutti ... ».

Statuizioni analoghe sono contenute anche nell'art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Roma, 4 novembre 1950), integrato dall'art. 3 del 1° Protocollo addizionale alla Convenzione stessa (Parigi 20 marzo 1952).
Da quanto sopra emerge con tutta chiarezza il dovere del legislatore di salvaguardare con apposite norme il diritto elettorale delle minoranze etniche e dei cittadini ad esse appartenenti. Per i gruppi etnici minoritari e per i cittadini ad essi appartenenti non è sufficiente affermare la « non discriminazione » — atteggiamento meramente passivo — ma è necessario, viceversa, provvedere alla tutela dei loro diritti elettorali con particolari misure che evitino di farle soccombere sotto la scure dello sbarramento del 4 %.
Le « apposite norme di tutela », pur potendo apparire come un privilegio, di fatto tendono soltanto a salvaguardare gli interessi delle minoranze linguistiche ed a bilanciare quella situazione di svantaggio obiettivo, nella quale le minoranze si trovano, per la loro stessa natura di gruppo etnico minoritario, che non può raggiungere il 4 % e che non deve essere « costretto » a votare per i partiti nazionali. Il loro mancato inserimento nella legge impugnata comporta peraltro anche violazione dei principi costituzionali di eguaglianza (anche sostanziale) e di ragionevolezza ex art. 3 Cost., secondo cui situazioni diverse devono essere trattate dalla legge in modo differente, anche in relazione al diritto di voto (art. 48 Cost.).
B) Violazione da parte degli artt. 1 e 5 della legge impugnata degli artt. 3, commi 1 e 2, e 48 Cost., degli artt. 18 e 49 Cost. in relazione all'art. 6 Cost., dell'art. 2 dello Statuto Speciale Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972 n.. 670), dell'Accordo di Parigi del 5 settembre 1946 e dell'Accordo internazionale Italo-Austriaco di chiusura della controversia sul pacchetto (aprile 1992).
Gli articoli 1 e 5 della legge impugnata violano anche il principio di parità ed eguaglianza nell'esercizio del diritto elettorale fra i cittadini residenti nella Regione Trentino-Alto Adige di lingua tedesca e ladina da un lato e quelli di lingua italiana dall'altro.
Oltre che nell'art. 3 Cost., il principio di eguaglianza sostanziale viene affermato, in riferimento alla regione Trentino-Alto Adige, nell'art. 2 dello Statuto Speciale del Trentino-Alto Adige, che dispone: « Nella Regione è riconosciuta parità di diritti ai cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengono, e sono salvaguardate le rispettive caratteristiche etniche e culturali ».
Anche l'Accordo di Parigi del 5 settembre 1946 prevede che: «... gli abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano e quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento godranno di completa eguaglianza di diritti rispetto agli abitanti di lingua italiana, nel quadro delle disposizioni speciali destinate a salvaguardare il carattere etnico ... ».
Infine negli accordi italo-austriaci dell'aprile 1992 (chiusura della controversia sul pacchetto) si ribadisce e si ripete espressamente l'impegno dello Stato di garantire l'eguaglianza sostanziale con apposite norme.
La sostanziale eguaglianza garantita dall'ordinamento giuridico (in particolare anche dal comma 2 dell'art. 3 Cost.) va salvaguardata ovviamente in tutti i settori e principalmente nell'ambito del diritto di voto, che è uno dei diritti fondamentali spettanti alle minoranze etniche.
E evidente che la legge impugnata ha commesso una grave violazione del diritto di eguaglianza, nei confronti dei cittadini appartenenti alle minoranze di lingua tedesca e ladina e della loro rappresentanza politica, escludendole dall'assegnazione dei seggi da attribuire secondo il metodo proporzionale, in quanto evidentemente le liste che sono espresse da tali minoranze non possono raggiungere la soglia del 4 % su base nazionale.
Pertanto, i partiti che rappresentano le minoranze ed i loro candidati rimarrebbero categoricamente esclusi dalla competizione democratica per la conquista dei seggi, assegnati in ragione proporzionale, mentre gli appartenenti al gruppo di lingua italiana che vivono nella Regione Trentino-Alto Adige — che di regola hanno sempre votato per i partiti nazionali — possono invece concorrere e, quindi, esprimere con successo il loro voto politico. Di qui la sostanziale disuguaglianza in cui incorre la legge impugnata.

Osserva ancora la ricorrente che, essendo fin troppo chiaro che nessuno vota per un partito che non ha la minima possibilità di successo, si viene in conclusione a togliere ai cittadini appartenenti alle minoranze etniche viventi nella Regione Trentino-Alto Adige la possibilità di farsi rappresentare da propri rappresentanti, candidati su liste locali.

In tal modo risultano violati anche i principi costituzionali (artt. 18 e 49 Cost. in relazione all'ari. 6 Cost.) che garantiscono ai cittadini appartenenti a minoranze linguistiche la libertà di associazione ed il diritto di associarsi « liberamente » in partiti politici per potere concorrere in condizioni di eguaglianza alla determinazione della politica nazionale, in primo luogo mediante la rappresentanza parlamentare.

Il principio di eguaglianza, dal canto suo, comporta il divieto di discriminazioni di qualsiasi genere, cui consegue l'illegittimità di qualunque misura che limita i diritti politici dei cittadini appartenenti alle minoranze etnico-linguistiche, costringendoli a votare per i partiti nazionali.

Per veder realizzate le proprie caratteristiche particolari le minoranze linguistiche riconosciute necessitano di una « tutela positiva », quale può risultare soltanto da provvedimenti particolari e derogatori, di cui si può fare a meno solo qualora siano « ingiustificati ».

Nel caso dì specie l'adozione di misure particolari o l'adozione di provvedimenti speciali rappresenta una forma di necessaria attuazione del principio di eguaglianza, inteso anche in senso sostanziale, e di ragionevolezza (art. 3, commi 1 e 2, e 48 Cost.).

2. Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza delle questioni.
Osserva, innanzitutto, l'Avvocatura dello Stato che già in sede di dibattito parlamentare fu messa in rilievo l'impossibilità di vanificare l'istituto della clausola di sbarramento con disposizioni correttive a favore delle svariate minoranze esistenti in Italia (laddove sarebbe oltretutto impensabile tutelare solamente le due presenti nel territorio della Provincia ricorrente).
Proprio sulla scorta del dettato dell'art. 6 Cost., che prevede che la Repubblica tuteli con apposite norme le minoranze linguistiche, la legge n. 29 del 1948, che introdusse in Italia il regime proporzionale e che è stata ora modificata con le norme impugnate, non fu motivata dall'esigenza di tutelare le minoranze linguistiche e la possibilità per talune di queste minoranze di venire rappresentate in Parlamento fu un portato del sistema proporzionale voluto da noti motivi storici e politici che riguardavano la vita dell'intera nazione.
Già in base a tale rilievo è di assoluta evidenza — prosegue la difesa del Governo — che allorquando, come nel caso di cui trattasi, pari esigenze di interesse nazionale — peraltro sulla scorta di una precisa indicazione referendaria — hanno indotto Parlamento e Governo a mutare il sistema di rappresentanza, appare non pertinente la protesta della ricorrente proprio perché qualsiasi deroga particolare all'istituto della soglia, che si è ritenuto di introdurre quale il più efficace strumento per la migliore adeguatezza del sistema elettorale, verrebbe a costituire un regime privilegiato in insanabile contraddizione con il principio di uguaglianza dei cittadini sancito dall'art. 3 Cost.

Le considerazioni svolte dimostrano d'altra parte che, comunque, il problema sollevato non appare configurabile come problema di autonomia, bensì come logica di costituzione di organi nazionali che non impone la presenza di rappresentanze etniche e neppure regionali, se non quando espressamente previsti (es. delegati per l'elezione del Presidente della Repubblica). Tale logica si muove, quindi, su binari posti al di sopra dei problemi autonomistici.

Nella più ferma osservanza del dettato costituzionale che impone la salvaguardia delle minoranze, conclude l'Avvocatura, lo Stato non può derogare dalla ratto di una legge votata dal Parlamento nazionale per tenere m vita il portato di un sistema che solo per incidens ha consentito l'accesso m Parlamento alle minoranze altoatesine; la tutela delle minoranze linguistiche si esplica attraverso svariati canali, ma non può, ovviamente, intaccare questioni attinenti l'indirizzo politico del Paese, surrogato oltretutto dalla espressa volontà popolare, e per quanto riguarda lo specifico della Provincia di Bolzano, si soddisfa nella disciplina che attiene agli organi di Governo e di Amministrazione della Provincia stessa (es. proporzionale etnica).

3. Ha depositato memoria la Provincia di Bolzano, la quale, dopo aver replicato alle argomentazioni svolte dall'Avvocatura dello Stato nell'atto di costituzione, insiste sulle conclusioni già formulate nel ricorso, rilevando anche che in altri Stati la questione è stata risolta in modo ragionevole, come in Germania (art. 6 della legge elettorale) e in Polonia (art. 5 della recente legge elettorale 28 maggio 1993 n. 295).
 
Considerato in diritto: 1. La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Provincia autonoma di Bolzano mediante ricorso in via principale investe gli artt. 1 e 5 1. 4 agosto 1993 n. 277 — recante « Norme per l'elezione della Camera dei deputati » — per contrasto con gli artt. 3, 6, 10, 18, 48 e 49 Cost., nonché con l'art. 2 dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige.
La Provincia ricorrente è legittimata a proporre direttamente la questione, in forza dell'art. 98, comma 1, del citato Statuto speciale, secondo il quale: « Le leggi e gli atti aventi valore di legge della Repubblica possono essere impugnati dal Presidente della giunta regionale o da quello della giunta provinciale ... per violazione del presente statuto o del principio di tutela delle minoranze linguistiche tedesca e ladina ». Pertanto, è essenzialmente in relazione all'art. 2 dello Statuto e al principio di tutela delle minoranze linguistiche tedesca e ladina che la questione stessa deve essere esaminata e valutata.

2. La recente legge n. 277 del 4 agosto 1993 ha radicalmente modificato il sistema elettorale pre vigente, fondato sullo scrutinio di lista con l'attribuzione proporzionale dei seggi: sistema già applicato nel 1919 e nel 1921, reintrodotto nel 1946 per le elezioni dell'Assemblea costituente e mantenuto senza sostanziali modifiche fino alle innovazioni legislative adottate dal Parlamento nel corso del corrente anno. Con la legge citata il legislatore ha praticamente esteso all'elezione della Camera dei deputati il sistema messo a punto per il Senato dalla legge 4 agosto 1993 n. 276, con la quale è stata data attuazione in sede legislativa alla radicale riforma scelta direttamente dal corpo elettorale attraverso il referendum abrogativo di alcune parti della legge elettorale del Senato.

Le caratteristiche del nuovo sistema elettorale possono così riassumersi: il territorio nazionale è diviso in circoscrizioni elettorali corrispondenti alle regioni, salvo le regioni maggiori per le quali le circoscrizioni sono più di una; ad ogni circoscrizione è attribuito un numero di seggi, naturalmente in rapporto alla popolazione: di questi il settantacinque per cento viene attribuito ai candidati che ottengano la maggioranza, anche soltanto relativa, in altrettanti collegi uninominali nei quali ogni circoscrizione è suddivisa; il restante venticinque per cento è attribuito, mediante riparto in ragione proporzionale, tra liste presentate in sede circoscrizionale: il riparto viene effettuato in sede nazionale sommandosi i voti delle liste aventi il medesimo contrassegno, ma ne sono escluse quelle liste che non abbiano conseguito a livello nazionale almeno il quattro per cento dei voti validi espressi. La ricorrente contesta precisamente quest'ultima disposizione, sotto l'aspetto congiunto della ripartizione da effettuarsi in sede nazionale, anziché circoscrizionale, e del quorum minimo del quattro per cento richiesto per concorrere al riparto. Verrebbero in tal modo vulnerati i diritti della minoranza di lingua tedesca e ladina e il principio della parità di diritti per i cittadini nella regione, qualunque sia il gruppo linguistico di appartenenza, sancito dal già menzionato art. 2 dello Statuto speciale.

3. Così precisata nei suoi aspetti essenziali la questione, la Corte deve innanzi tutto affrontare il problema della estensione della garanzia di tutela e di parità assicurata alle minoranze di lingua tedesca e ladina dallo Statuto speciale, garanzia cui si collegano direttamente, o, per così dire, sullo sfondo i parametri costituzionali invocati.

Secondo l'Avvocatura dello Stato, la suddetta garanzia sarebbe limitata all'ambito dell'autonomia regionale: non potrebbe quindi minimamente estendersi a norme attinenti alla formazione di organi nazionali ed in particolare al sistema di elezione della massima istituzione costituzionale, espressione diretta della sovranità popolare, qual è il Parlamento. Inoltre il mutamento del sistema elettorale sarebbe stato provocato da esigenze di interesse nazionale sulla scorta di una precisa indicazione referendaria. In ordine a quest'ultima affermazione è sufficiente richiamare, per dimostrarne l'infondatezza — come esattamente rileva la Provincia ricorrente —, che la tutela delle minoranze linguistiche locali è espressamente compresa fra gli interessi nazionali dall'art. 4 dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige, e del resto questa Corte ha ricordato trattarsi « di un principio costituzionale che, affermato in via generale dall'art. 6 Cost., ha nello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige un significato particolar-mente pregnante » (cfr. sent. n. 242 del 1989). Tale principio, poi, come meglio si vedrà in seguito, non può non estendere la propria efficacia anche nei confronti del diritto all'elezione della rappresentanza politica.

4. Lo speciale regime che ne deriva è ulteriormente rafforzato dal fatto che esso costituisce l'esecuzione di un accordo internazionale, intervenuto fra il governo italiano ed il governo austriaco il 5 settembre 1946, (comunemente noto come l'accordo De Gasperi-Grùber), richiamato a sua volta dal Trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947. Vero è che a tale accordo è stata data esecuzione con legge ordinaria (è inconferente pertanto il riferimento all'art. 10 Cost. che riguarda soltanto le norme di diritto internazionale di carattere consuetudinario); ma esso costituisce pur sempre la migliore chiave interpretativa per comprendere la specialità dell'ordinamento autonomistico realizzato nel Trentino-Alto Adige (sent. n. 242 del 1989 già citata).

Non si può quindi pienamente apprezzare la portata e il carattere di queste particolari garanzie se non si tengono nel conto dovuto i ben noti precedenti storici ed i problemi nazionali, etnici e culturali che sono a monte dell'accordo e della sua complessa e travagliata attuazione.

Il ricordato accordo De Gasperi-Gruber trovò immediata attuazione nello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige (articolata nelle due province autonome) approvato dalla Costituente il 26 febbraio 1948.

Negli anni che seguirono, le nuove controversie insorte hanno trovato composizione nell'accordo sul cosiddetto « pacchetto » di misure di revisione statutaria, sanzionate dalle modifiche allo Statuto speciale approvate con legge costituzionale 10 novembre 1971 n. 1; esse sono caratterizzate dal trasferimento di poteri e funzioni già della Regione alle province autonome e da maggiori garanzie per la minoranza (v. ad es. l'art. 98 sopra citato). Sono poi state adottate le previste norme di attuazione, e infine nel 1992 lo scambio di note italo-austriaco ha dato atto del pieno soddisfacimento degli impegni assunti dall'Italia.

5. Per quanto ora più direttamente interessa, la questione cioè della rappresentanza politica, va ricordata la legge 30 dicembre 1991 n. 422 con la quale sono state modificate le circoscrizioni territoriali dei collegi della Regione Trentino— Alto Adige per l'elezione del Senato, in attuazione — secondo l'intitolazione della legge stessa— della misura 111 (del cosiddetto pacchetto) a favore della popolazione alto-atesina. Tale sistemazione dei collegi è stata salvaguardata, in deroga alla normativa generale, dall'art. 1 della nuova legge elettorale per il Senato, n. 276 del 4 agosto 1993. Anche nella nuova legge elettorale per la Camera, all'art. 7, comma 1, lett. a), è prevista una deroga ai principi e ai criteri generali, fissati per la delimitazione dei collegi, nelle zone in cui siano presenti minoranze linguistiche riconosciute.
Ma al di là dei richiami testuali, va aggiunto che giova all'interesse nazionale, cui è riferita la tutela delle minoranze linguistiche, ed al principio stesso dell'unità nazionale — la quale dalle autonomie speciali non viene inficiata, bensì rafforzata ed esaltata — che la minoranza possa esprimere la propria rappresentanza politica in condizioni di effettiva parità. Siffatte condizioni si sono realizzate dal 1948 ad oggi, ed infatti la minoranza di lingua tedesca ha potuto eleggere i propri deputati e senatori, né ha avanzato alcuna particolare richiesta, se si eccettua quella relativa alle circoscrizioni territoriali dei collegi per l'elezione del Senato, risolta — come si è detto — dalla legge n. 422 del 1991 attuativa della misura n. 111 del « pacchetto ».
6. Tornando dunque alla questione sottoposta al giudizio della Corte, una volta riconosciuto che alla minoranza di lingua tedesca e ladina è costituzionalmente garantito il diritto di esprimere in condizioni di effettiva parità la propria rappresentanza politica, si dovrebbe ora verificare se tale diritto sia compromesso dalla nuova legge elettorale oggetto di impugnazione.
La stessa provincia ricorrente ammette che, per quanto riguarda i deputati da eleggere nei collegi uninominali col metodo maggioritario, in numero di otto per la circoscrizione Trentino-Alto Adige, « non sorgono questioni », dato che i quattro collegi del Trentino e i quattro dell'Alto Adige sono costituiti così da corrispondere « alla realtà etnica locale ».
Contrasterebbe invece con il principio di parità e di tutela della minoranza la normativa prevista per l'elezione a scrutinio di lista dei due seggi residui attribuiti alla Regione; ciò a causa dell'assegnazione da effettuarsi in sede nazionale con la condizione del raggiungimento del quorum non inferiore al quattro per cento. Afferma la ricorrente che, ove la minoranza voglia esprimere la propria rappresentanza, (come fino ad oggi è avvenuto), attraverso candidati e lista che si caratterizzino proprio sul connotato etnico linguistico culturale, si vedrebbe preclusa qualsiasi possibilità, anche in astratto, di concorrere all'assegnazione dei due seggi suddetti, data la consistenza numerica dell'elettorato di lingua tedesca e l'evidente impossibilità di presentare liste analoghe in altre circoscrizioni. Verrebbe così violato il diritto degli elettori appartenenti alla minoranza, diritto che, secondo la formulazione dell'art. 4 del Testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati n. 361 del 1957, come sostituito dall'art. 1 lett. e) 1. n. 277 del 1993, si estrinseca nella disponibilità di due voti, uno per l'elezione del candidato nel collegio uninominale, uno per la scelta della lista ai fini dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale; d'altra parte la presentazione della lista nella circoscrizione è resa obbligatoria dalla legge, in quanto essa prevede (art. 18 del T.U. n. 361 del 1957, sostituito dall'art. 2 lett. e) 1. n. 277 del 1993) per i singoli candidati nei collegi uninominali il collegamento a liste « cui gli stessi aderiscono con l'accettazione della candidatura ».
7. A questo punto, prima di procedere oltre nell'esame, il Collegio deve prioritariamente porsi il problema delle conseguenze che discenderebbero da un ipotetico riconoscimento della fondatezza della questione. Le soluzioni possibili per ovviare ai presunti vizi delle norme impugnate sarebbero invero diverse, come risulta innanzi tutto dai lavori preparatori della legge. Furono infatti presentati in parlamento, sia alla Camera che al Senato, emendamenti alternativi tendenti a risolvere il problema posto dalla minoranza di lingua tedesca (o di altre minoranze). In buona sostanza si chiedeva che l'attribuzione dei seggi assegnati alle liste col metodo proporzionale avvenisse per il Trentino-Alto Adige (e per il Friuli-Venezia Giulia) in sede circoscrizionale anziché in sede nazionale. Ma venne anche formulato un altro emendamento tendente ad escludere dalla clausola di sbarramento le « liste di candidati che rappresentino minoranze linguistiche riconosciute ».
Queste due diverse soluzioni prospettate e respinte in sede parlamentare, — cui la stessa Provincia autonoma fa riferimento nel ricorso —, non esauriscono comunque la gamma dei meccanismi correttivi in astratto configurabili.
8. Non essendovi, pertanto, di fronte ad una ipotetica illegittimità costituzionale, una soluzione obbligata ma una pluralità di soluzioni, questa Corte non potrebbe in alcun modo, secondo la propria costante giurisprudenza (cfr., ad esempio, sentt. nn. 194 del 1984, 109 del 1986, 1107 del 1988 e 205 del 1992), sostituirsi al legislatore in una scelta a lui riservata.
Va dunque dichiarata l'inammissibilità della questione.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 5 1.4agosto 1993 n. 277 (Norme per l'elezione della Camera dei deputati), sollevata, in riferimento agli arti. 3, 6,10,18, 48 e49Cost. e all'art. 2 dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige, dalla Provincia autonoma di Bolzano con il ricorso in epigrafe.
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