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In vigore al: 14/04/2016

Corte costituzionale - sentenza del 14 gennaio 2016, n. 2
Questione di legittimità costituzionale delle disposizioni regionali e provinciali che considerano, per prestazioni di natura assistenziale, anche il reddito del nucleo familiare – presunta violazione dei principi della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità - infondatezza

Sentenza 1 dicembre 2015 (14 gennaio 2016), n. 2; Pres. Criscuolo; Red. Grossi

 

 

Ritenuto in fatto 1.– Con ordinanza del 25 giugno 2013, il Tribunale ordinario di Trento, sezione distaccata di Tione di Trento, solleva – in riferimento agli artt. 38, primo comma, della Costituzione e 4 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Testo unico delle leggi costituzionali concernente lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), in relazione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006 – questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge della Provincia autonoma di Trento 27 luglio 2007, n. 13 (Politiche sociali nella provincia di Trento), nella parte in cui prevede che i soggetti che fruiscono di prestazioni assistenziali consistenti nella erogazione di un servizio siano chiamati a compartecipare alla spesa in relazione alla condizione economico-patrimoniale del nucleo familiare di appartenenza, anziché in riferimento al reddito esclusivo dello stesso interessato.

Premette il giudice a quo di essere stato investito da un ricorso proposto, a norma degli artt. 702-bis e 702-ter del codice di procedura civile, da una persona dichiarata invalida con totale e permanente inabilità lavorativa e con necessità di assistenza continua, avendo come unica fonte di reddito una pensione e un’indennità di accompagnamento complessivamente insufficienti a sostenere la retta giornaliera della casa di riposo nella quale è ospitata.

Secondo la ricorrente, ai fini della determinazione della quota di contribuzione a carico dell’assistito, dovrebbe farsi riferimento – ai sensi dell’art. 3, comma 2-ter, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109 (Definizioni di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, a norma dell’articolo 59, comma 51, della L. 27 dicembre 1997, n. 449), e successive modificazioni – esclusivamente al reddito della persona e non anche a quello dei familiari, come invece ritenuto dal convenuto Comune di Tione di Trento, competente per l’erogazione del contributo.

Secondo quest’ultimo, al contrario, la normativa statale non sarebbe, nella specie, applicabile, in ragione della competenza legislativa esclusiva della Provincia autonoma in materia di assistenza e beneficenza pubblica e della previsione secondo cui l’amministrazione comunale concede un intervento economico solo quando la situazione dell’utente e del suo nucleo familiare non consenta il pagamento della retta (la cui quota socio-sanitaria, a differenza di quella alberghiera, è tuttavia già a carico del Comune).

Disattendendo i rilievi della ricorrente e reputando inconferente, in ragione del riparto della potestà legislativa, il richiamo alla normativa statale (la quale, tra l’altro, come si dà atto, ha recentemente «introdotto la necessità di prendere in considerazione anche il reddito del nucleo familiare della persona interessata»), il giudice a quo ritiene che la normativa provinciale non risulti, tuttavia, in linea con i princìpi della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata dall’Italia con la legge 3 marzo 2009, n. 18 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità): tale strumento pattizio imporrebbe agli Stati aderenti – in particolare nel preambolo e negli artt. 3 e 25 – il dovere di valorizzare la persona disabile in quanto tale, come soggetto autonomo, a prescindere dal contesto familiare in cui si trova collocato, anche se ciò possa comportare un aggravio economico per gli enti pubblici. La normativa censurata, al contrario, anziché garantire l’indipendenza anche economica delle persone con disabilità, le renderebbe prive di autonomia, costringendole, in caso di rifiuto dei familiari, «ad intraprendere iniziative giudiziarie nei loro confronti e lasciandoli nel frattempo privi di ogni tutela».

Una legislazione interna che riversasse l’obbligo di tutela sui familiari determinerebbe, così, una sostanziale “abrogazione” della Convenzione, dovendo quell’obbligo essere assunto in via diretta dagli Stati, tenuti – a norma dell’art. 4, comma 2, della Convenzione stessa – ad assicurare i diritti economici, sociali e culturali sino al massimo delle risorse disponibili, nel quadro, anche, della cooperazione internazionale.

La disposizione censurata – a differenza degli artt. 6 e 7 della legge provinciale 28 maggio 1998, n. 6 (Interventi a favore degli anziani e delle persone non autosufficienti o con gravi disabilità), che si limiterebbero a prevedere la compartecipazione alle spese da parte degli utenti, senza considerare i redditi dei familiari – si porrebbe, dunque, in contrasto con l’art. 4 del d.P.R. n. 670 del 1972, nella parte in cui prescrive «il rispetto degli obblighi internazionali», e con l’art. 38, primo comma, Cost., traendosi dal relativo enunciato l’assunto per il quale «la persona inabile assume rilievo di per se stessa, senza alcun riferimento al suo nucleo familiare, posto che la norma costituzionale non contiene alcun riferimento a detto nucleo».

2.– Nel giudizio è intervenuta la Provincia autonoma di Trento, rappresentata e difesa come in atti, la quale ha concluso chiedendo dichiararsi «inammissibile per sua insussistenza ed infondatezza» la proposta questione.

Dopo aver evidenziato il perimetro della questione all’esame, per come definito dal giudice a quo, la difesa della Provincia contesta l’assunto – implicitamente presupposto dal giudice rimettente – secondo il quale la Convenzione di New York avrebbe efficacia immediatamente precettiva per gli Stati e conterrebbe disposizioni autoapplicative, dalle quali possa comunque trarsi il principio secondo cui, allo scopo del riconoscimento dei benefici assistenziali, dovrebbe farsi riferimento alla situazione reddituale del solo disabile. La medesima Convenzione non conterrebbe, d’altra parte, norme che impongano agli Stati di assumere obblighi finanziari al di fuori delle esigenze di compatibilità di bilancio.

Una norma di principio come quella evocata dal giudice a quo non sarebbe, del resto, presente neppure nell’ordinamento statale, posto che, al contrario, il riferimento al reddito del nucleo familiare e al dovere di solidarietà dei congiunti sarebbe «principio ad esso immanente» (a cominciare dall’art. 433 del codice civile e fino alla disciplina sugli indicatori per la valutazione della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni o servizi sociali o assistenziali), secondo un’opzione da considerarsi implicitamente asseverata anche da questa Corte (sentenze n. 296 e n. 297 del 2012). E la disciplina provinciale risulterebbe, a questi fini, molto «più articolata e flessibile di quella statale».

Sarebbe correlativamente non fondata anche la censura dedotta in riferimento all’art. 38, primo comma, Cost., dal momento che la limitazione delle risorse disponibili e l’obbligo di solidarietà da parte dei familiari comporterebbero valutazioni rimesse alla discrezionalità del legislatore; la scelta, del resto, di considerare la sola condizione reddituale del soggetto interessato, lungi dall’affermare un principio di libertà e di indipendenza dell’individuo, si risolverebbe in un semplice aggravio delle prestazioni assistenziali, con un’ingiustificata parificazione, peraltro, tra persone disabili di condizioni sociali ed economiche diverse.

3.– Costituendosi in giudizio, l’amministratore di sostegno della parte privata del giudizio a quo ha chiesto dichiararsi l’illegittimità costituzionale della norma censurata, riproponendo, in sintesi, le deduzioni svolte dal giudice rimettente.

4.– Hanno depositato atto di intervento la ANFFAS Onlus (Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale) nonché l’Associazione Senza Limiti Onlus, che hanno concluso chiedendo la declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione denunciata.

5.– In data 19 novembre 2015, fuori termine, l’amministratore di sostegno della parte privata e ANFFAS Onlus hanno depositato entrambi una propria memoria.

6.– All’udienza del 1° dicembre 2015 è stata letta l’ordinanza, allegata alla presente sentenza, con la quale l’intervento delle predette Associazioni è stato dichiarato inammissibile.

Considerato in diritto 1.– La Corte è chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge della Provincia autonoma di Trento 27 luglio 2007, n. 13 (Politiche sociali nella provincia di Trento), sollevata dal Tribunale ordinario di Trento, sezione distaccata di Tione di Trento, in riferimento agli artt. 38, primo comma, della Costituzione e 4 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Testo unico delle leggi costituzionali concernente lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), in relazione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, nella parte in cui prevede che i soggetti che fruiscono di prestazioni assistenziali consistenti nella erogazione di un servizio siano chiamati a compartecipare alla spesa in relazione alla condizione economico-patrimoniale del nucleo familiare di appartenenza, anziché in riferimento al reddito esclusivo dello stesso interessato.

2.– Va preliminarmente confermata l’inammissibilità dell’intervento di ANFFAS Onlus – Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale – e dell’Associazione Senza Limiti Onlus, secondo quanto disposto, sulla scorta della costante giurisprudenza di questa Corte, con l’ordinanza letta all’udienza del 1° dicembre 2015 e allegata alla presente sentenza.

3.– La questione non è fondata.

3.1.– Il giudice rimettente pone a fulcro delle proprie doglianze l’assunto secondo il quale la predetta Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (evocata quale parametro interposto della dedotta violazione dell’art. 4 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché l’art. 38, primo comma, Cost. avrebbero posto la condizione individuale e autonoma della persona disabile come specifico ed esclusivo oggetto di protezione. Ne deriverebbe che, ai fini della conformazione degli istituti di assistenza, non possa né debba assumere alcuna rilevanza la situazione del relativo nucleo familiare: non soltanto sul piano delle garanzie e dei diritti della persona interessata, ma anche – ed è questo il punto che rileva agli effetti del presente scrutinio – sul versante dei possibili doveri o obblighi dei suoi familiari.

Le previsioni della Convenzione innanzi citata e della norma costituzionale di cui si lamenta diretta violazione imporrebbero, in altri termini, di rappresentare la persona disabile in una condizione più che soltanto di autonomia rispetto al proprio nucleo familiare, quasi di totale indipendenza o perfino di relativo isolamento, anche sul piano strettamente economico; come se, al contrario, il rilievo attribuito, sotto diversi profili, alla sua collocazione all’interno di un tessuto familiare implicasse, per se stesso, un’inammissibile diminuzione di tutela.

L’assunto appare incongruo e privo di rispondenza con i parametri evocati a corredo della censura. Esso risulta, oltretutto, in diretta e palese antitesi con l’opposta tendenza – dichiaratamente e non irragionevolmente privilegiata tanto dalla normativa provinciale quanto, più di recente, da quella statale di settore – a far sì che sia proprio la famiglia la sede privilegiata del più partecipe soddisfacimento delle esigenze connesse ai disagi del relativo componente, così da mantenere intra moenia il relativo rapporto affettivo e di opportuna e necessaria assistenza, configurando solo come sussidiaria – e comunque secondaria e complementare – la scelta verso soluzioni assistenziali esterne (sentenza n. 203 del 2013).

D’altra parte, quanto al rispetto degli obblighi internazionali, va rilevato come il principio del necessario rispetto, da parte dei legislatori interni, dei vincoli derivanti dall’adesione ad una Convenzione internazionale – nella specie, firmata dall’Italia il 30 marzo 2007 ma ratificata e resa esecutiva con la legge 3 marzo 2009, n. 18 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità), in epoca dunque successiva alla promulgazione del provvedimento legislativo che contiene la disciplina censurata – si configura alla stregua, per così dire, di “obblighi di risultato”: gli strumenti pattizi si limitano, infatti, ordinariamente, a tracciare determinati obiettivi riservando agli Stati aderenti il compito di individuare in concreto – in relazione alle specificità dei singoli ordinamenti e al correlativo e indiscusso margine di discrezionalità normativa – i mezzi ed i modi necessari a darvi attuazione.

Ciò comporta, evidentemente, che – anche sul piano della individuazione delle relative risorse finanziarie – l’obbligo internazionale e convenzionale non possa, di regola, implicare e tantomeno esaurire le scelte sul quomodo: ciò che, invece, il giudice a quo erroneamente presuppone, laddove reputa che la Convenzione di New York avrebbe, in forma, per così dire, “autoapplicativa”, inteso specificamente precludere agli Stati di tenere conto dei livelli di reddito dei familiari della persona disabile, ancorché civilisticamente obbligati, al fine di stabilire il quantum delle prestazioni assistenziali da erogare.

Ove, del resto, così fosse stato, la Convenzione avrebbe, da un lato, direttamente inciso sull’ordinamento civile interno, frustrando, in parte qua, la disciplina dettata dagli artt. 433 e seguenti del codice civile; dall’altro, si sarebbe – indebitamente – sostituita al legislatore nazionale, nel determinare una normativa di dettaglio, quale certamente è quella destinata a stabilire i criteri di commisurazione della base reddituale per fruire di una contribuzione pubblica.

Nessuna delle accennate evenienze può, peraltro, dirsi riscontrabile nella Convenzione di cui si tratta. Essa, infatti, si limita, secondo la propria natura, a consacrare una serie di importanti princìpi, tutti coerentemente tesi a realizzare le finalità tracciate dalle Parti contraenti e paradigmaticamente sintetizzate, all’art. 1, nell’enunciazione dello scopo di «promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità».

Il nucleo della Convenzione ruota, così, essenzialmente, intorno all’avvertita esigenza di conformare i vari ordinamenti interni in chiave non già meramente protettiva delle persone con disabilità, ma piuttosto in una prospettiva dinamica e promozionale, volta a garantire a ciascuna di esse la più efficace non discriminazione, non solo sul piano formale ma su quello delle effettive condizioni di esistenza: attraverso, cioè, anzitutto, il pieno e integrale riconoscimento di diritti e di tutele che, in quanto fondamentali, non possono non essere adeguate alla dignità di qualsiasi persona in quanto tale, ma anche attraverso la predisposizione di misure idonee a compensare, per quanto possibile, e nelle forme più compatibili, la condizione di chi si trovi così particolarmente svantaggiato.

Nulla, dunque, che possa vincolare gli Stati aderenti ad adottare scelte normative dirette ad allontanare o, perfino, a sradicare la persona disabile dal sistema delle relazioni familiari o a disconoscerne il diritto all’appartenenza al medesimo; e neppure, di riflesso, nulla che possa indurre a sollecitare, sul piano normativo, l’esclusione dei familiari, o il loro disimpegno, da qualsiasi programma di assistenza che, sulla base delle diverse condizioni economiche, consenta di articolare differenziati livelli di compartecipazione ai programmi medesimi.

Al contrario, si può semmai cogliere, fin dal preambolo della Convenzione, una indicazione di segno opposto, essendo, alla lettera (x), formulato l’esplicito richiamo alla famiglia come « nucleo naturale e fondamentale della società» insieme all’espresso convincimento che tanto le persone con disabilità quanto i «membri delle loro famiglie dovrebbero ricevere la protezione ed assistenza necessarie a permettere alle famiglie di contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità».

Il che sembra presupporre, ai fini delle discipline in tema di sostegno alle persone disabili, la tendenza a prevedere l’intervento dei pubblici poteri, con l’onere per l’intera collettività, in funzione prevalentemente sussidiaria e in presenza di condizioni di difficoltà economiche anche delle relative famiglie; richiedendosi, nel contempo, primariamente a queste ultime, in relazione alle proprie capacità, l’adempimento di un naturale e diretto dovere di solidarietà, oltre che dei correlativi obblighi giuridici.

3.2.– A proposito, poi, della violazione dell’art. 38, primo comma, Cost., l’ordinanza di rimessione, oltre che apparire fortemente carente in punto di motivazione, finisce per rivelarsi incoerente rispetto all’oggetto stesso della censura che propone, sostenuta esclusivamente dall’assunto, del tutto apodittico, secondo cui, nel parametro evocato, la persona inabile «assume rilievo di per se stessa, senza alcun riferimento al suo nucleo familiare».

È, infatti, del tutto evidente che la garanzia costituzionale del «diritto al mantenimento e all’assistenza sociale» presuppone che la persona disabile sia «sprovvista dei mezzi necessari per vivere» e che l’accertamento di questa condizione di effettiva indigenza possa richiedere anche una valutazione delle condizioni economiche dei soggetti tenuti all’obbligo alimentare.

Ove così non fosse, verrebbero, d’altra parte, a poter irragionevolmente godere dello stesso trattamento di assistenza e di mantenimento, con conseguente identico carico finanziario e sociale, tanto le persone con disabilità individualmente e “familiarmente” non abbienti, quanto quelle prive di reddito ma concretamente assistite o anche potenzialmente assistibili da familiari con consistenti possibilità economico-patrimoniali.

 

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge della Provincia autonoma di Trento 27 luglio 2007, n. 13 (Politiche sociali nella provincia di Trento), sollevata, in riferimento agli artt. 38, primo comma, della Costituzione e 4 del D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Testo unico delle leggi costituzionali concernente lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), in relazione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, dal Tribunale ordinario di Trento, sezione distaccata di Tione di Trento, con l’ordinanza in epigrafe.

 

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