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In vigore al: 25/10/2021

Corte costituzionale - Sentenza N. 214 del 22.07.1985
Espropriazione per pubblica utilità - Legge statale di accelerazione delle procedure per l'esecuzione di opere pubbliche non si estende alle autonomie speciali

Sentenza (11 luglio) 22 luglio 1985, n. 214; Pres. Roehrssen – Rel. Saja
 
Ritenuto in fatto: 1. Con ricorso notificato il 13 febbraio 1978 (reg. ric. n. 8 del 1978) la Regione Lombardia chiedeva che venisse dichiarata l'illegittimità costituzionale della l. statale 3 gennaio 1978 n. 1, avente per oggetto l'accelerazione delle procedure di esecuzione di opere pubbliche e di impianti e costruzioni industriali, per violazione dell'art. 117 Cost., nella parte in cui le disposizioni in essa contenute si applicano alle opere rientranti nella materia .
La Regione sostiene che gli artt. 1, 3, 5, 7, 10, 12, 14, 15, 16, 21, 22, 23, 25 della legge impugnata invadono la sua sfera di competenza, disciplinando procedure e rapporti già regolati con proprie leggi o comunque soggetti alla propria potestà legislativa.
L'incostituzionalità della l. stat. n. 1 del 1978 risulterebbe anche dal fatto che gli artt. 79, 80 e 87 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 hanno trasferito alla potestà delle regioni a statuto ordinario le materie dell'urbanistica e delle opere pubbliche. Benvero, prosegue la ricorrente, che l'art. 35 della legge impugnata affida alle regioni l'emanazione di leggi adatte ad accelerare l'esecuzione di opere pubbliche secondo i principi fondamentali enunciati nella legge medesima, ma gli altri articoli, ossia quelli impugnati, rendono evidente come le regioni stesse siano soggette a disposizioni tanto specifiche e dettagliate da rimanere vanificata la loro potestà legislativa, e non enunciazioni generali e di principio.
2. Con ricorso notificato il 13 febbraio 1978 (reg. ric. n. 6 del 1978) la Provincia di Bolzano chiede che venga dichiarata l'illegittimità costituzionale della stessa legge statale 3 gennaio 1978 n. 1 per violazione degli artt. 8 nn. 5, 17, 22 e 28 dello Statuto del Trentino-Alto Adige, ossia per lesione delle potestà, legislativa primaria e amministrativa, spettanti alla Provincia stessa nelle materie dell'urbanistica, della viabilità, acquedotti, lavori pubblici ed espropriazioni per pubblica utilità.
La ricorrente sostiene di avere esercitato la propria potestà legislativa emanando il t.u. 23 giungo 1970 n. 20 e succ. mod. per la materia urbanistica, la l. 20 agosto 1972, n. 15 per le espropriazioni, la l. 24 dicembre 1975 n. 55 per l'edilizia scolastica, la l. 3 agosto 1976 n. 26 per i lavori pubblici. Ciò nondimeno – secondo la ricorrente – lo Stato si è ingerito con la legge ora impugnata nelle dette materie attraverso molteplici disposizioni di dettaglio (art. 1, 2, 3 e 4) e non di principio, e quindi tali da esorbitare dai suoi legittimi poteri.
3. La Presidenza del Consiglio dei ministri si costituisce in entrambe le cause, negando che la l. n. 1 del 1978 invada le potestà legislative locali sostenendo che essa modifica disposizioni di precedenti leggi statali allo scopo di accelerare e semplificare l'esecuzione di opere pubbliche e perciò in definitiva amplia e non restringe i poteri regionali.
 
Considerato in diritto: 1. La Regione Lombardia e la Provincia autonoma di Bolzano hanno impugnato in via principale, sia pure per motivi diversi, la medesima legge 3 gennaio 1978 n. 1,statale, relativa all'accelerazione delle procedure per l'esecuzione di opere pubbliche, di impianti e costruzioni industriali; pertanto, dato il comune oggetto delle impugnazioni, può disporsi la riunione dei due giudizi e deciderli con unica sentenza.
2. La Regione Lombardia si duole che il legislatore statale abbia violato con la legge suddetta la competenza legislativa ripartita ad essa spettante in tema di urbanistica e di opere pubbliche regionali, deducendo, quali parametri, l'art. 117 Cost. nonché gli artt. 79, 80 e 87 D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616; precisamente la ricorrente eccepisce che, sebbene essa avesse già legiferato in subiecta materia, l'impugnata legge statale, invece di limitarsi a dettare disposizioni di principio, conterrebbe anche norme di dettaglio (in proposito, vengono indicati gli artt. 1, 3, 7, 10, 12, 14, 15, 16, 21, 22, 23 e 25), le quali, perché tali, invaderebbero appunto la sua sfera di attribuzione, disciplinando procedure e rapporti già regolati da leggi regionali o comunque soggetti alla potestà legislativa locale.
3. L'impugnativa non è fondata.
Con la ricordata L. n. 1 del 1978 il legislatore ha disposto una serie di misure intese ad accelerare le procedure ed i modi di attuazione delle opere pubbliche dello Stato, delle regioni e degli altri enti territoriali, al fine di eliminare gli inconvenienti insistentemente lamentati in materia di lavori pubblici e incidenti sulla politica economica generale. In particolare, tali inconvenienti traevano origine dagli abituali, notevoli ritardi nella realizzazione delle opere suddette, da cui derivavano gravi conseguenze negative, quali principalmente, da un lato, lo sconvolgimento dei piani finanziari, con enorme aumento di costi a carico della pubblica amministrazione, e, dall'altro, le ricorrenti interruzioni dei lavori, che cagionavano frequenti stasi del livello di occupazione e appesantivano la posizione delle imprese, costrette ad un'attività discontinua.
Il legislatore, come risulta dai lavori preparatori (si veda relaz. al Disegno di legge, Camera dei Deputati, Atto n. 1432 del 1977), ebbe ben presente che la materia non era estranea alle attribuzioni regionali ed espressamente avvertì che intendeva rispettare detta competenza ed emanare perciò una legge-cornice. Il che trova precisa ed esplicita conferma, in particolare, nell'art. 35, il quale impose alle Regioni (naturalmente a statuto ordinario) di adottare legislativamente entro novanta giorni le misure idonee ad accelerare le procedure facenti capo ad esse, secondo i principi fondamentali previsti dalla legge in questione.
4. Senonché, deduce la Regione Lombardia, tale intenzione non sarebbe stata nella realtà completamente tradotta nella legge impugnata, la quale, nonostante la precedente legislazione regionale, conterrebbe le norme sopra specificate, caratterizzate da un contenuto analitico e puntuale. In proposito va anzitutto osservato che la dedotta circostanza della sussistenza di una precedente regolamentazione regionale non impediva allo Stato di esercitare la potestà, istituzionalmente spettantegli, di ridisciplinare la materia, tenendo conto dei mutamenti della situazione e delle nuove esigenze richiedenti una diversa normativa più aderente alla realtà socio-economica. È ben evidente, infatti, come le attribuzioni statali non vengono paralizzate dalla circostanza che l'ente regionale abbia precedentemente emanato una legislazione di dettaglio, ma possono trovare ulteriore e successiva esplicazione se diverse esigenze di politica legislativa, frattanto emerse, lo richiedano. Né la legge dello Stato deve essere necessariamente limitata a disposizioni di principio, essendo invece consentito l'inserimento anche di norme puntuali di dettaglio, le quali sono efficaci soltanto per il tempo in cui la regione non abbia provveduto ad adeguare la normativa di sua competenza ai nuovi principi dettati dal Parlamento. La pretesa di una parte della dottrina, secondo cui nell'ipotesi prospettata la precedente normativa regionale impedirebbe allo Stato di integrare la legislazione di principio con quella di dettaglio, non può essere seguita dalla Corte. Con essa, infatti, si perverrebbe all'assurdo risultato che la preesistente legislazione regionale, in difetto del necessario adeguamento a quella statale successiva, vanificherebbe in realtà quest'ultima, i cui (nuovi) principi resterebbero senza effettiva applicazione, sicché risulterebbe compromessa l'intera regolamentazione della materia alla quale essi si riferiscono: situazione questa che sicuramente si sarebbe verificata nella fattispecie, dato che la legge impugnata ha profondamente innovato, mediante disposizioni dirette ad eliminare i gravi in convenienti in precedenza verificatisi e ispirate quindi a criteri profondamente diversi. In proposito è anche significativo che la legge non sia stata impugnata dalle altre regioni ordinarie, le quali hanno così chiaramente dimostrato di considerarne legittimo il contenuto, siccome ispirato alla fondamentale esigenza di evitare un vuoto legislativo per tutto il tempo necessario all'emanazione delle conseguenti norme di competenza locale.
Peraltro, la stessa Regione Lombardia ha avvertito la necessità di sostituire, a seguito della nuova normazione statale, la preesistente propria legislazione, divenuta ormai inidonea e di fatto inoperante: e a ciò essa ha provveduto con la L.R. 12 settembre 1983 n. 70, con la quale ha recepito le disposizioni della legge-quadro, comprese quelle di cui aveva particolarmente sostenuto l'illegittimità (si vedano artt. 50 e 51 della predetta l. regionale).
Sicché va riconosciuta la legittimità costituzionale della legge impugnata nella sua interezza sino all'entrata in vigore della nuova normativa regionale, mentre quest'ultima - da quella data - viene a sostituire le norme di dettaglio della legge (sta tale) predetta. Deve pertanto concludersi che non vi è stata nessuna violazione della competenza regionale e che il ricorso della Regione Lombardia non può trovare accoglimento.
5. Differente è la portata dell'impugnazione della Provincia di Bolzano , la quale , richiamata la disposizione dell'art . 11 legge citata (che si riferisce a tutte le regioni anche a statuto speciale, e alle due province autonome di Trento e Bolzano), deduce che la stessa legge avrebbe violato le sue competenze primarie in materia di urbanistica e di opere pubbliche locali. La Provincia muove chiaramente dal presupposto di essere destinataria dell'intera nuova normativa, così come le Regioni di diritto comune, e lamenta conseguentemente il mancato rispetto dello Statuto speciale del Trentino Alto Adige.
In contrario è però anzitutto da richiamare quanto già rilevato sulla volontà del legislatore circa i limiti soggettivi della nuova normativa: volontà risultante sia dai lavori preparatori sia dalle singole disposizioni della legge, e particolarmente dal citato art. 35. Il quale, disponendo che le regioni, entro novanta giorni, dovranno emanare le norme di dettaglio necessarie all'attuazione della legge, nel rispetto dei principi fondamentali della materia contenuti nella legge stessa, non può, in base alla disciplina del vigente ordinamento costituzionale, che riferirsi alle regioni a statuto ordinario, sicché restano escluse quelle differenziate.
Né, sotto altro profilo, sarebbe stato consentito al legislatore statale legiferare in materia, non ricorrendo alcuno dei limiti previsti dallo Statuto speciale della Regione Trentino Alto Adige, quanto alla potestà legislativa primaria della Provincia di Bolzano: in particolare la legge impugnata, pur se di notevole rilievo, non comporta certo, per il suo contenuto prevalentemente procedimentale e per il suo carattere temporaneo (art. 1, settimo comma), una grande riforma economico-sociale in senso tecnico; né intuitivamente può ritenersi che essa esprima principi generali dell'ordinamento giuridico ovvero concerna interessi nazionali, la cui tutela è estranea alla competenza regionale. Ciò chiarito, deve dedursi, coordinando la disposizione dell'art. 1 con quella dell'art. 35 della legge impugnata, che il legislatore statale non ha voluto imporre in ogni caso la nuova disciplina alle regioni a statuto speciale e alle due province autonome, dotate in subiecta materia di competenza primaria. Il disposto del ricordato art. 1, con il riferimento esteso ai suddetti enti locali, va inteso, quindi, nel senso dell'applicabilità ad essi della sopravvenuta normativa soltanto nel caso in cui ne fossero sprovvisti: il che è del tutto corretto, dato che l'applicazione della legge statale, anche per quanto riguarda le regioni a statuto speciale, incontra delle limitazioni soltanto nel caso in cui la potestà legislativa locale sia stata in concreto effettivamente esercitata.
Così inteso - e questa sembra l'unica interpretazione possibile in base alle normali regole d'ermeneutica - , il disposto normativo si presenta costituzionalmente corretto e non merita quindi la censura mossa col ricorso in esame.
Va infine rilevato che, a parte ogni altra considerazione, la materia regolata dalla impugnata legge presenta profili del tutto nuovi, con implicazioni vaste e complesse. Pertanto il censurato intervento statale trova giustificazione anche nella circostanza che non sarebbe stato possibile accertare in astratto ed a priori se la materia disciplinata fosse realmente coperta dalle singole normative di tutte le regioni a statuto speciale e delle due province autonome; o se, invece, com'era più probabile, sussistessero dei settori non regolati da dette normative, con la conseguenza che per essi fosse necessaria e dovesse provvisoriamente applicarsi la disciplina statale. Trattasi, comunque, di un problema di interpretazione delle due leggi (statale e locale) circa la reciproca portata e la conseguente loro applicabilità, ma non è in proposito ravvisabile una questione di legittimità costituzionale.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i ricorsi,
a) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. 3 gennaio 1978 n. 1, sollevata col ricorso indicato in epigrafe dalla Regione Lombardia in riferimento agli artt. 117 Cost. nonché 79, 80 e 87 D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616;
b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della citata legge del 1978, sollevata col ricorso indicato in epigrafe dalla Provincia autonoma di Bolzano in riferimento agli artt. 8 n. 5, 17, 22 e 28 del T.U. delle leggi concernenti lo statuto speciale per il Trentino Alto Adige approvato con D.P.R. 3l agosto 1972 n. 670.
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