Sentenza del 19 aprile 2005, n. 140; Pres. ff. Rossi Dordi, Est. Pantozzi Lerjefors
Nel caso in cui venga accertato che sussiste incompatibilità del bando di gara con il diritto comunitario e che l'autorità aggiudicatrice ha reso eccessivamente difficile, con il proprio comportamento, l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento comunitario ad un'impresa di altro paese dell'Unione europea che sia stata esclusa dall'aggiudicazione di un pubblico appalto (nella specie, per non aver fornito prova documentale dell'avvenuta iscrizione alla Cassa edile della provincia di Bolzano, prevista dal capitolato), il giudice ha l'obbligo di dichiarare ammissibile il motivo di illegittimità con il quale viene dedotta la su indicata incompatibilità, previa disapplicazione della norma nazionale che prevede il termine di decadenza per l'impugnazione del bando di gara (art. 21 primo co. della L. n. 1034/1971), termine il cui rispetto comporterebbe, d'altra parte, la violazione del principio comunitario di effettività della tutela giurisdizionale: ciò alla stregua di quanto sancito dalla Corte di Giustizia CE sez. VI con la pronunzia del 27 febbraio 2003, C-n. 327/00.
Può dirsi esistente, nel diritto comunitario, una presunzione relativa di incompatibilità con il Trattato CE di quella normativa degli stati membri che determini una restrizione al principio della libera prestazione dei servizi di cui agli artt. 49–55 del Trattato medesimo, presunzione che può essere superata dai singoli stati membri solo attraverso la dimostrazione rigorosa dell'esistenza, nel caso concreto, delle ragioni imperative inerenti all'interesse generale, tra cui è da annoverarsi la tutela sociale dei lavoratori (ivi compresi quelli del settore edile).
Con la direttiva 96/71/CE del 16 dicembre 1996, il legislatore comunitario introduce l'obbligo al rispetto di alcune norme minime vincolanti, relative alle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati da altro paese dell'Unione europea e, contestualmente, garantisce agli stati membri, nel rispetto del Trattato, la facoltà di estendere alcune norme del paese ospitante ai lavoratori dipendenti distaccati. Peraltro, il legislatore italiano, che con il D.Lgs. 25 febbraio 2000 n. 72 ha dato attuazione alla citata direttiva, non indica espressamente quali disposizioni minime del diritto nazionale siano applicabili nella materia in esame, limitandosi con l'art. 3 co. 1 a fare generale rinvio all'intera disciplina del diritto del lavoro. Inoltre, la L. 19 marzo 1990 n. 55 all'art. 18 e la L.P. 17 giugno 1998 n. 6 agli artt. 47 e 48, nel prescrivere l'obbligo per le imprese appaltatrici di denunzia agli enti previdenziali, inclusa la Cassa edile, non fanno alcuna distinzione tra imprese aventi sede in Italia e imprese aventi sede in altro stato membro dell'Unione europea.
La disciplina dettata dal D.Lgs. 25 febbraio 2000 n. 72 si pone in contrasto con il principio comunitario di libera prestazione di servizi, di cui all'art. 49 del Trattato CE, nel punto in cui afferma che ai lavoratori distaccati si applicano le “medesime condizioni di lavoro” previste dalle leggi italiane e dai contratti collettivi, di fatto rendendo applicabile, ai lavoratori distaccati, l'intero diritto del lavoro italiano. Ciò in evidente contrasto con lo spirito della direttiva 96/71/CE, la quale ha consentito agli stati membri di estendere l'applicazione della citata direttiva a determinate materie, ma non ha consentito di rendere vincolante l'intero diritto del lavoro, senza alcuna limitazione, privando di ogni effetto utile le disposizioni comunitarie volte a garantire la libera prestazione dei servizi.
Al lavoratore dipendente di una impresa edile avente sede in Austria vengono garantite in Austria prestazioni identiche, ovvero sostanzialmente paragonabili, a quelle offerte dalla Cassa edile della Provincia autonoma di Bolzano. Di conseguenza, l'imposizione alla ditta austriaca partecipante ad un appalto pubblico del pagamento dei contributi alla Cassa edile si pone in contrasto con il principio della libera prestazione dei servizi di cui all'art. 49 e ss. del Trattato e con la direttiva 96/71/CE in materia di distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi.
La Corte Costituzionale, allineandosi alla posizione espressa dalla Corte di Giustizia CE, secondo cui le norme di diritto comunitario sono fonte immediata di diritti e obblighi per gli stati membri, ha riconosciuto al giudice italiano il potere di disapplicare, senza ricorrere alla stessa Corte Costituzionale, l'eventuale legge ordinaria contrastante non solo con un regolamento comunitario, ma anche con quelle norme comunitarie cui è riconosciuta efficacia diretta. Queste sono prevalenti sull'ordinamento interno e comportano pertanto l'invalidità degli eventuali atti applicativi.