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In vigore al: 30/06/2015

Corte costituzionale - Sentenza N. 507 del 30.12.1991
Sanità -Qualità delle acque destinate al consumo umano - Decreto ministeriale disciplinante, oltre le norme tecniche, anche attività di vigilanza sull'applicazione del decreto stesso

Sentenza (19 dicembre) 30 dicembre 1991 n. 507; Pres. Corasaniti - Red. Greco
 
Ritenuto in fatto. 1. La Provincia autonoma di Bolzano, con ricorso del 6 giugno 1991, ha premesso che il d. P. R. 24 maggio 1988 n. 236, in attuazione della direttiva del Consiglio della C. E. E. n. 80/778 e della delega di cui all'art. 15 l. 16 aprile 1987 n. 183, ha stabilito i requisiti di qualità delle acque destinate al consumo umano, per la tutela della salute pubblica e per il miglioramento di vita e ha introdotto misure finalizzate a garantire la difesa delle risorse idriche. Ha distinto le funzioni di competenza dello Stato e quelle delle Regioni in materia di identificazione e di controllo dei suddetti requisiti (artt. 8 e 9).
L'art. 22, n. 3, dello stesso d. P. R. ha previsto l'emanazione delle norme tecniche di prima attuazione entro sessanta giorni dalla sua entrata in vigore.
Tanto premesso, la ricorrente ha esposto che in data 26 marzo 1991 il Ministro della Sanità ha emesso un suo decreto che, secondo il preambolo, dovrebbe contenere delle norme tecniche.
Con l'art. 8 n. 1, si è regolata invece l'attività di vigilanza sull'applicazione del decreto affidandola ad ispettori nominati dallo stesso Ministro della Sanità e con l'art. 10 si è stabilito che i compiti affidati alle Regioni dal decreto suddetto per il Trentino Alto Adige si intendono conferiti alle province di Trento e Bolzano, parificandole così, secondo la ricorrente, alle regioni a statuto ordinario.
Il suddetto art. 8 violerebbe gli artt. 8, comma 1, n. 5, n. 6 e n. 21; 9, comma 1, n. 9 e n. 10; 16, comma 1, dello Statuto speciale e relative norme di attuazione (in particolare i d. P. R. 22 marzo 1974 n. 279; 22 marzo 1974 n. 381; 28 marzo 1975 n. 474; 19 novembre 1987 n. 526, e successive modificazioni), perché, trattandosi di competenza esclusiva, spetta alla provincia la funzione ispettiva e non allo Stato né tanto meno la deroga può disporsi con decreto ministeriale.
L'art. 10 del d. m. lederebbe le specifiche competenze attribuite alla Provincia remittente dallo Statuto, fatte salve dall'art. 20 d. P. R. n. 236 del 1988.
Ad avviso della ricorrente, ai suddetti vizi si aggiunge anche quello dell'incompetenza dell'organo che ha emanato il decreto impugnato, perché la materia disciplinata non è di competenza esclusiva del Ministro della Sanità ma necessita anche del concerto col Ministro dell'Ambiente.
2. Nel giudizio si è costituita, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, l'Avvocatura Generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza del ricorso in quanto in materia la Provincia ricorrente non ha competenza esclusiva.
3. Nell'imminenza dell'udienza, hanno presentato memorie l'Avvocatura dello Stato e la difesa della Provincia ricorrente.
La prima ha ribadito anzitutto che le competenze provinciali in materia di acque, igiene e sanità, secondo i nn. 9 e 10 dell'art. 9 dello Statuto speciale, sono di tipo concorrente.
Ha poi rilevato che:
— la disciplina dettata dal decreto è funzionale alla tutela di interessi nazionali relativi all'adempimento di obblighi comunitari e alla realizzazione di uniformi condizioni, in tutto il territorio nazionale, per la tutela della salute;
— l'attività di vigilanza è strumentale soltanto alla funzione statale di acquisizione di dati ed informazioni;
— il concerto ha solo rilevanza interna alla struttura governativa;
— il decreto impugnato si configura come un insieme di norme tecniche che interessano la potabilizzazione in senso lato, che è di competenza del solo Ministro della Sanità.
La difesa della ricorrente ha osservato che il carattere concorrente della competenza pone solo un problema di gravità della denunciata violazione; e che la carenza di una idonea base legislativa del provvedimento statale costituisce vizio denunciabile in sede di conflitto di attribuzione (sent. n. 204 del 1991).
 
Considerato in diritto: 1. La Provincia autonoma di Bolzano ha promosso conflitto, sostenendo che il d. m. della Sanità 26 marzo 1991 è arbitrariamente invasivo delle competenze riservatele dagli artt. 8, comma 1, nn. 5, 6 e 21; 9, comma 1, nn. 9 e 10; 16, comma 1, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con d. P. R. 31 agosto 1972 n. 670, e relative norme di attuazione (in particolare d. P. R. 22 marzo 1974 n. 279;
d. P. R. 22 marzo 1974 n. 381; d. P. R. 28 marzo 1975 n. 474; d. P. R. 19 novembre 1987 n. 526 e successive modificazioni) perché:
a) equipara le Province autonome alle Regioni a Statuto ordinario nel renderle destinatario delle prescrizioni poste dal decreto stesso, trascurando di considerare che le stesse ricadano nell'ambito delle competenze suddette, fatte espressamente salve dall'art. 20 d. P. R. n. 236 del 1988;
b) detta norme di natura non tecnica e quindi diverse da quelle per le quali tale ultimo d. P. R. ha previsto la competenza ministeriale;
c) è altresì viziato di incompetenza, essendo stato emesso senza il previo concerto col Ministro dell'Ambiente.
In particolare, assoggetta la Provincia ricorrente all'esercizio delle funzioni di vigilanza ed ispettiva esercitate da ispettori ministeriali.
L'assunto della ricorrente non è fondato per quanto riguarda l'art. 10 del decreto ministeriale.
Esso prevede che i compiti affidati alle regioni dal decreto stesso, per il Trentino Alto Adige si intendono conferiti alle Province autonome di Trento e Bolzano. Si osserva che detta disposizione non attua una parificazione della Provincia autonoma di Bolzano alle regioni a statuto ordinario ma contiene solo una clausola di stile.
Per quanto riguarda l'art. 8 del decreto ministeriale si rileva che, come leggesi nel preambolo, il decreto impugnato, emanato dal Ministro della Sanità in base all'art. 22, comma 3, d. P. R. n. 236 del 1988, che ha dettato le norme di attuazione della direttiva C. E. E. n. 80/778, concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano, avrebbe dovuto contenere solo norme tecniche di prima attuazione del decreto presidenziale per i profili di igiene e sanità. Peraltro, l'art. 8 d. P. R. n. 236 del 1988, nello stabilire le competenze statali nella materia disciplinata, prevede testualmente l'oggetto delle norme tecniche da emanarsi dai vari Ministri interessati (Ministro dell'Ambiente, dei Lavori pubblici, della Sanità, da soli o di concerto). Al Ministro della Sanità è attribuita la competenza esclusiva per i provvedimenti in materia di potabilizzazione delle acque.
Invece, come si evince dalla semplice lettura delle disposizioni in cui esso si articola, il decreto impugnato non disciplina solo i profili tecnici della materia di competenza esclusiva.
Per esempio, si prevedono controlli sanitari, provvedimenti contingibili ed urgenti, approvvigionamenti idrici di emergenza ecc..
Ed in particolare, nell'art. 8 impugnato sono previste funzioni ispettive per la vigilanza sull'attuazione dello stesso decreto ministeriale, affidate a persone nominate con apposito decreto dal Ministro della Sanità.
Né, come sostiene l'Avvocatura Generale dello Stato, la materia trattata può ritenersi rientrante in una nozione lata di potabilizzazione delle acque. Non si tratta di acquisire dati e informazioni ma è prevista una vera e propria attività ispettiva, di vigilanza e di controllo.
Pertanto, il motivo va accolto.
L'accoglimento importa che si debbano ritenere assorbiti tutti gli altri motivi.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta al Ministro della Sanità dettare la disciplina della attività di vigilanza, che esula dalla competenza tecnica a lui attribuita ed annulla di conseguenza l'art. 8 del decreto da lui emesso in data 26 marzo 1991 di cui in epigrafe.
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