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Corte costituzionale - Sentenza N. 261 del 19.06.1995
Elezione diretta del sindaco e modifica del sistema di elezione dei consigli comunali - Tutela della minoranza linguistica ladina

Sentenza (14 giugno) 19 giugno 1995, n. 261; Pres. Baldassarre – Red. Vari
 
Ritenuto in fatto: 1. Con ricorso notificato in data 27 dicembre 1994, Carlo Willeit, nella sua qualità di componente unico del gruppo linguistico ladino del Consiglio regionale della Regione autonoma Trentino-Alto Adige, ha impugnato - ai sensi del comma 2 dell'art. 56 d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) - la legge regionale 30 novembre 1994 n. 3 (Elezione diretta del sindaco e modifica del sistema di elezione dei consigli comunali nonché modifiche alla legge regionale 4 gennaio 1993 n. 1).
Il ricorso - nel denunciare violazione degli artt. 2, 56, 61, 62, 92 e 102 dello Statuto speciale della Regione autonoma Trentino-Alto Adige, nonché degli artt. 2, 3, 6, 48, 49 e 51 Cost. - investe la legge sia nella sua interezza, sia negli artt. 2, commi 5 e 6;17, comma 1; 32, comma 1, lett. b); 35, comma 1, lett. h) e comma 3, lett. c); 36, comma 1, lett. h) e comma 3, lett. c); 65, comma 1.
2. Premesso che la considerazione delle minoranze linguistiche è, nello Statuto speciale, tale che l'art. 56, comma 2, prevede un meccanismo assolutamente originale di garanzia, consistente in un ricorso collettivo, a tutela della parità dei diritti fra cittadini dei diversi gruppi linguistici e delle caratteristiche etniche e culturali dei gruppi stessi, si lamenta anzitutto violazione del predetto art. 56 « in riferimento agli artt. 2, 61, 62 e 102 del medesimo Statuto e 2, 3 e 6 Cost. ». Si deduce, nel contempo, che, per quanto attiene alla rappresentanza a livello locale, costituiscono disposizioni di riferimento gli artt. 61 e 62 dello Statuto medesimo, quali norme direttamente espressive del principio generale di tutela delle minoranze linguistiche (art. 6 Cost.), secondo quanto precisato da questa Corte nella sentenza n. 289 del 1987. L'art. 62 detterebbe, in favore di una minoranza-numericamente esigua, quale quella ladina, una disciplina più vantaggiosa di quella prevista indifferentemente per tutti i gruppi linguistici dal precedente art. 61, garantendo la necessaria presenza del gruppo ladino negli organi collegiali degli enti locali della Provincia di Bolzano, ivi compresi i comuni.
Una disciplina, dunque, che troverebbe il suo fondamento negli artt. 2, 3 e 6 Cost., i quali impongono, secondo quanto si desume dalla giurisprudenza costituzionale, l'adozione per le minoranze linguistiche di un trattamento specificamente differenziato (sentt. nn. 86 del 1975 e 312 del 1983), in corrispondenza con il principio generale del necessario intervento a favore dei gruppi sociali meno favoriti (sent. n. 109 del 1993), non senza rilevare che profonde ragioni di diritto costituzionale sono alla base delle norme statutarie, la cui interpretazione deve essere ispirata alla maggiore espansione possibile del valore costituzionale protetto, non a caso definito essenziale dalla stessa Corte (sent. n. 242 del 1989). Né ad avviso del ricorrente varrebbe, in contrario, opporre che l'art. 62 dello Statuto non fa espresso riferimento ai comuni, ma menziona gli enti pubblici locali, essendo il comune - per risalente tradizione del nostro ordinamento e come dimostrano le numerose sentenze della Corte stessa che vengono richiamate nel ricorso l'esempio più naturale di tale categoria.
Per contro, la legge impugnata, non assicurando la presenza dei ladini, né nei consigli né nelle giunte dei comuni della Provincia di Bolzano, contrasterebbe con i richiamati parametri, nonché con gli artt. 48 e 49 Cost., i quali garantiscono ai cittadini il diritto di partecipare alla vita politica con il voto e con la loro attività in associazioni collettive.
La legge contrasterebbe anche con l'art. 92 dello Statuto, che prevede la possibilità di impugnativa degli atti amministrativi ritenuti lesivi del principio di parità dei cittadini appartenenti ad un gruppo linguistico, da parte di consiglieri regionali, provinciali e comunali; in particolare, quanto a questi ultimi, degli atti dei comuni della Provincia di Bolzano. Venendo meno, per un gruppo esiguo come quello ladino, la garanzia della rappresentanza negli organi collegiali del comune, verrebbe meno anche tale meccanismo di tutela.
3. Sulla base dei riferiti motivi, il ricorrente assume l'illegittimità costituzionale della legge regionale 30 novembre 1994 n. 3, nella sua interezza, e al tempo stesso, la diretta ed immediata illegittimità, ciascuna per violazione di tutti i parametri in precedenza indicati, delle seguenti disposizioni:
- art. 2, comma 6, che ometterebbe di dare attuazione alt art. 62 dello Statuto, riprendendo soltanto la formulazione dell'art. 61, comma 2;
- art. 17, comma 1, che non conterrebbe, per il gruppo linguistico ladino, norme di favore, in ordine al numero di firme necessario per la presentazione delle candidature;
- artt. 32, comma 1, lett. b); 35, comma 1, lett. h); 36, comma 1, lett. h), che non prevederebbero alcun meccanismo per garantire la rappresentanza ladina nei consigli comunali;
- artt. 35, comma 3, lett. c), e 36, comma 3, lett. c), che - riservando al candidato alla carica di sindaco risultato non eletto al secondo turno il primo seggio assegnato alla lista di appartenenza - non appresterebbero alcun correttivo per evitare che tale meccanismo possa risolversi nella privazione della rappresentanza del gruppo ladino, qualora a detta lista spetti un solo seggio e il candidato più votato sia un appartenente al gruppo linguistico ladino;
- art. 65, comma 1, che, nel dettare la disciplina generale sulla elezione dei consigli circoscrizionali, non prevederebbe alcuna garanzia della rappresentanza del gruppo linguistico ladino.
4. Oltre che per le disposizioni relative agli organi collegiali dei comuni, la legge viene denunciata, per violazione dei principi statutari (artt. 2 e 102) e costituzionali (artt. 2, 3, 6 e 51) in materia di rappresentanza del gruppo linguistico ladino, anche per quanto attiene alla formazione degli organi « monocratici dei comuni della Provincia di Bolzano ».
La censura investe, in particolare, l'art. 2, commi 5 e 6, nella parte in cui « impedisce l'elezione a sindaco e la nomina a vicesindaco di cittadini appartenenti al gruppo linguistico ladino ». Da una parte, il comma 5 - disponendo, per i comuni con più di 13.000 abitanti della Provincia di Bolzano, che, se nel consiglio comunale sono presenti più gruppi linguistici, il vicesindaco deve appartenere a quello di maggiore consistenza, escluso quello cui appartiene il sindaco impedirebbe l'accesso alla carica di vicesindaco di cittadini appartenenti al gruppo ladino, poiché in nessuno di tali comuni esso è (almeno) il secondo per consistenza. Dall'altro, il comma 6, disponendo che i posti spettanti in giunta a ciascun gruppo linguistico si calcolano computando anche il sindaco, non consentirebbe al sindaco del gruppo ladino, eventualmente eletto, di far parte della giunta medesima, nell'ipotesi che l'art. 61, comma 2, dello Statuto si interpreti (peraltro, è da ritenere, illegittimamente) nel senso che solo i gruppi linguistici con almeno due consiglieri comunali possono essere rappresentati in giunta.
5. Nel giudizio si è costituita la Regione Trentino-Alto Adige, chiedendo il rigetto del ricorso. Con successiva memoria, presentata in prossimità dell'udienza, nel riconfermare detta richiesta, la difesa della Regione osserva che i comuni non possono farsi rientrare tra gli « enti pubblici locali » menzionati dall'art. 62 dello Statuto. La espressione sarebbe, infatti, da riferire agli enti locali non territoriali, come confermato dal precedente art. 61 che, mentre fa riferimento, al comma 1, agli « enti pubblici locali », contiene, al comma 2, una apposita disciplina per i comuni, volta a garantire una rappresentanza automatica limitatamente alla giunta.
Secondo la memoria, l'art. 62 riguarderebbe i salienti pubblici diversi dai comuni, atteso che, nello Statuto, la dizione generale « enti locali » (denominazione del Titolo IV dello Statuto medesimo) comprenderebbe, in base alla tradizione legislativa e, comunque, alla luce dello Statuto di autonomia, due distinte categorie; da una parte i comuni e, dall'altra, gli enti pubblici locali, come due diverse specie alle quali si applicano diverse discipline. D'altronde, il riferire la garanzia dell'art. 62 agli enti funzionali sub-provinciali risponderebbe, oltre che alla terminologia utilizzata dal legislatore nel d.P.R. n. 616 del 1977, anche ad una esigenza di logicità e ragionevolezza del sistema, se si considera che i ladini sono concentrati in un numero esiguo di comuni della Provincia di Bolzano, mentre, negli altri, la loro presenza è quasi irrilevante, sicché una diversa interpretazione imporrebbe una loro partecipazione agli organi di tutti i comuni, anche in quelli in cui non sono presenti. Osservato, poi, che, per gli enti pubblici funzionali, in assenza di un qualunque legame con una comunità da essi rappresentata, è naturale che il legislatore statutario abbia avvertito il bisogno di assicurare, in un primo momento, la rappresentanza proporzionale dei vari gruppi nei loro organi (art. 61, comma 2) e, in un secondo momento, di garantire, comunque, in essi la rappresentanza del gruppo ladino (art. 62), si deduce che, per i comuni, in virtù del radicamento nel territorio dei gruppi linguistici, la rappresentanza delle minoranze linguistiche trova la sua garanzia già nella adozione del sistema elettorale proporzionale.
Sarebbero, perciò, infondate le varie censure proposte con il ricorso. Anzitutto quella relativa alla violazione dell'art. 92 dello Statuto, non trattandosi di questione autonoma in quanto pur sempre riconducibile al problema « di chi abbia diritto ad essere consigliere »; in secondo luogo quella che investe l'art. 2, commi 5 e 6 della legge impugnata, atteso che il comma 5, nello stabilire la appartenenza del vicesindaco al gruppo linguistico maggiore, trarrebbe la sua giustificazione dal « principio della maggiore rappresentatività », mentre il comma 6 sarebbe interpretato dal ricorso in modo erroneo, in quanto il sindaco fa comunque parte della giunta, a qualunque gruppo linguistico appartenga. Quanto all'art. 17, censurato perché non conterrebbe norme di favore per la presentazione di candidature ladine, la doglianza, oltre che infondata, dovrebbe ritenersi inammissibile, perché generica. Se la stessa dovesse essere intesa come esigenza della sottoscrizione da parte di un numero di elettori meno elevato per la presentazione di candidati ladini, la questione « sarebbe comunque ispirata ad una logica diversa da quella propria del ricorso », nonché priva di fondamento nello Statuto.
Nel rilevare che i problemi sollevati attengono, essenzialmente, all'interpretazione degli artt. 61 e 62 dello Statuto, si osserva, che, ove si intenda rettamente la portata di dette disposizioni, il riferimento fatto dal ricorso alle altre norme costituzionali non può consentire il superamento del principio di uguaglianza nel voto politico, di cui agli artt. 3 e 48 Cost. Si chiede, perciò, il rigetto del ricorso, non senza dedurre che la questione relativa alla legge nella sua interezza, in quanto prospettata in modo generico, è non solo infondata, ma anche inammissibile.
6. Anche la difesa del gruppo linguistico ladino ha presentato, in prossimità dell'udienza, una memoria con la quale si insiste per l'accoglimento del ricorso, soffermandosi, con ampiezza di richiami di dottrina e di giurisprudenza, sulla tesi della riconducibilità, in conformità della tradizione consolidata dell'ordinamento positivo, del comune alla categoria degli enti locali, di cui agli artt. 118 e 130 Cost. D'altra parte - si sostiene - la stessa legge impugnata sembrerebbe aver presupposto una tale interpretazione, quando si è trattato di muoversi in attuazione dell'art. 61 dello Statuto, ché altrimenti non si spiegherebbe la adozione di un sistema elettore le proporzionale per tutti i comuni della Provincia di Bolzano, a differenza di quelli della Provincia di Trento. La legge se ne sarebbe, invece, discostata quando si è trattato di dare attuazione all'art. 62, donde il contrasto della normativa impugnata con la logica dello Statuto che, sviluppando i principi di cui ali art. 6 Cost., ha voluto prevedere una maggiore protezione (richiedendo vere e proprie « azioni positive ») per il gruppo ladino, in quanto « minoranza nella minoranza ».
In particolare, l'art. 2, commi 5 e 6 della legge - impedendo l'elezione a sindaco e la nomina a vicesindaco dei cittadini appartenenti al gruppo linguistico ladino - violerebbe il valore costituzionale fondamentale, connesso al principio di eguaglianza, contenuto nell'art. 51, comma 1, Cost., determinando al contempo la lesione dei valori protetti dall'art. 56 dello Statuto del Trentino-Alto Adige.
 
Considerato in diritto: 1 Il ricorso in epigrafe investe, anzitutto, nella sua interezza, la legge regionale del Trentino-Alto Adige 30 novembre 1994 n. 3 (Elezione diretta del sindaco e modifica del sistema di elezione dei consigli comunali nonché modifiche alla legge regionale 4 gennaio 1993 n. 1), chiamando la Corte a stabilire se:
a) la legge in questione violi l'art. 56 dello Statuto speciale, in riferimento agli artt. 2, 61, 62 e 102 del medesimo Statuto e 2, 3, 6, 48 e 49 Cost., In quanto non garantisce la presenza della minoranza linguistica ladina né nei consigli, né nelle giunte dei comuni della Provincia di Bolzano;

b) se la medesima legge contrasti, altresì, con l'art. 92 dello Statuto, che prevede la possibilità di impugnativa di atti amministrativi lesivi del principio di parità dei cittadini appartenenti ad un gruppo linguistico, perché venendo meno, per il gruppo ladino, la garanzia della rappresentanza negli organi collegiali del comune, verrebbe meno anche tale meccanismo di tutela, alla cui attivazione sono legittimati i consiglieri dei comuni della Provincia di Bolzano.

2. Il ricorso, secondo quanto eccepito anche dalla difesa della Regione resistente, è da reputare, per questa parte, inammissibile.
È affermazione costante della giurisprudenza della Corte che, anche nei ricorsi in via principale, ogni questione di legittimità costituzionale deve essere definita nei suoi precisi termini e deve essere adeguatamente motivata, al fine di rendere possibile l'inequivoca determinazione dell'oggetto del giudizio e di consentire la verifica dell'eventuale pretestuosità dei dubbi di costituzionalità sollevati, nonché il vaglio, in limine litis, attraverso l'esame della motivazione e del suo contenuto, della sussistenza in concreto dello specifico interesse a ricorrere in relazione alle disposizioni impugnate. In conformità a detta giurisprudenza il ricorso, nella parte che investe la legge nel suo complesso, va, pertanto, dichiarato inammissibile, tanto più che le censure contestualmente mosse alle singole disposizioni non appaiono necessariamente estensibili a tutta la legge.
3. Quanto alle censure avanzate in ordine ai singoli articoli, vengono - in relazione ai principi costituzionali sopra menzionati - impugnati:
- l'art. 2, comma 6, che si limiterebbe a riprendere la formulazione dell'art. 61, comma 2, dello Statuto, omettendo di dare attuazione a quanto previsto dall'art. 62, in favore della minoranza ladina;
- l'art. 17, comma 1, che non detterebbe, per il gruppo linguistico ladino, norme di favore, in ordine al numero di firme necessario per la presentazione delle candidature, ingenerando casi il rischio che tale gruppo non possa presentare candidati ed assicurarsi la possibilità di rappresentanza, come invece vorrebbe l'art. 62 dello Statuto;
- gli artt. 32, comma 1, lett. b); 35, comma 1, lett. h); 36, comma 1, lett. h), che non prevederebbero alcun meccanismo per garantire la rappresentanza ladina nei consigli comunali;
- gli artt. 35, comma 3, lett. c), e 36, comma 3, lett. c), che, riservando al candidato alla carica di sindaco risultato non eletto al secondo turno il primo seggio assegnato alla lista di appartenenza, non appresterebbero alcun correttivo per evitare che tale meccanismo possa risolversi nella privazione della rappresentanza del gruppo ladino, qualora a detta lista spetti un solo seggio e il candidato più votato sia un appartenente al gruppo linguistico ladino;
- l'art. 65, comma 1, che detterebbe la disciplina generale dell'elezione dei consigli circoscrizionali, senza prevedere alcuna garanzia della rappresentanza del gruppo linguistico ladino.
4. Con riguardo, poi, all'art. 56 dello Statuto e in riferimento agli artt. 2 e 102 del medesimo e agli artt. 2, 3, 6 e 51 Cost., ed in particolare ai principi statutari e costituzionali in materia di rappresentanza del gruppo linguistico ladino negli organi collegiali e monocratici dei comuni della Provincia di Bolzano, il ricorso assume l'illegittimità anche dell'art. 2 della legge nella parte in cui prevede:
- al comma 5, che, per i comuni con più di 13.000 abitanti, se nel consiglio comunale sono presenti più gruppi linguistici, il vicesindaco deve appartenere a quello di maggiore consistenza, escluso quello cui appartiene il sindaco, impedendo così l'accesso alla carica di vicesindaco di cittadini appartenenti al gruppo ladino, poiché in nessuno di tali comuni esso è(almeno) il secondo per consistenza;
- al comma 6, che i posti spettanti in giunta a ciascun gruppo linguistico si calcolano computando anche il sindaco, rendendo così impossibile - in relazione all'interpretazione dell'art. 61, comma 2, dello Statuto, secondo la quale solo i gruppi linguistici con almeno due consiglieri comunali possono essere rappresentati in giunta - al sindaco del gruppo ladino, eventualmente eletto, di far parte della giunta medesima.
5. Le questioni non sono fondate.
In proposito, la Corte ritiene di effettuare un sia pur breve richiamo del quadro storico e normativo nell'ambito del quale esse si collocano, rammentando che il complesso delle disposizioni che formano lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, nelle peculiarità proprie di tale ordinamento, caratterizzato dall'essenziale valore riconosciuto alle minoranze linguistiche locali, è stato il risultato di una delicata e non facile elaborazione, basata sull'Accordo De Gasperi-Gruber raggiunto il 5 settembre 1946, intesa a creare le premesse per una pacifica convivenza fra i gruppi, di cui i maggiori sono il tedesco e l'italiano, nella equilibrata tutela e garanzia dei valori di cui ciascuno è portatore.
In questo assetto generale hanno trovato spazio anche le esigenze della minoranza ladina, delle cui vicende, sul piano della ricostruzione storica e legislativa, la Corte ha avuto più volte occasione di occuparsi (v. da ultimo sent. n. 233 del 1994); minoranza oggetto, anch'essa, di considerazione nelle norme dello Statuto che, coerentemente con gli accennati obiettivi, indicano a più riprese (v. artt. 2, 4, 19, 56 e 102) i valori e gli interessi nel cui bilanciamento si risolve la tutela da apprestare e cioè: da una parte la parità dei diritti fra i cittadini dei vari gruppi linguistici, e, dall'altra, la salvaguardia delle caratteristiche etniche e culturali delle minoranze. Espressive di un tale generale disegno sono non solo le disposizioni che si pongono, nel quadro ordinamentale in parola, quale esplicazione ed attuazione sostanziale di siffatti valori, ma anche quelle che, a tutela degli stessi, prevedono sul piano processuale speciali rimedi, come il ricorso qui azionato dal gruppo linguistico ladino.
Come risulta dalle precedenti affermazioni della giurisprudenza di questa Corte, la tutela delle minoranze linguistiche costituisce uno dei principi fondamentali dell'ordinamento, in quanto espressione della garanzia indicata dall'art. 6 Cost., nonché il punto di riferimento primario delle disposizioni contenute nello Statuto speciale per il Trentino Alto Adige (sentt. nn. 768 del 1988 e 242 del 1989). E questo può comportare, come già da tempo evidenziato dalla giurisprudenza, la necessità talora di un trattamento specificamente differenziato, proprio al fine di garantire alle minoranze forme e modi di partecipazione all'organizzazione politico-amministrativa della Provincia e della Regione in proporzione alla loro consistenza numerica (sent. n. 86 del 1975).
Nell'ambito di tali obiettivi si collocano gli artt. 61 e 62 dello Statuto speciale, che fanno parte del Titolo IV dello Statuto, dedicato agli enti locali. Il primo articolo pone, al comma 1, una regola di carattere generale, risalente già alla legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 5, con la quale venne approvato lo Statuto speciale del Trentino-Alto Adige, secondo la quale (art. 54), per tutti i gruppi linguistici, sono stabilite, nell'ordinamento degli enti pubblici locali, le norme atte ad assicurare la rappresentanza proporzionale dei gruppi medesimi nei riguardi della costituzione degli organi degli enti di cui trattasi. Ulteriori previsioni a tutela dei gruppi linguistici sono state poi introdotte in occasione della revisione statutaria di cui alla legge costituzionale 10 novembre 1971 n. 1: in particolare quelle attualmente contenute nel comma 2 dell'art. 61 e nell'art. 62 d.P.R. 81 agosto 1972 n. 670. La prima disposizione appresta una specifica garanzia di cui si giovano i gruppi linguistici minoritari, stabilendo che, nei comuni della Provincia di Bolzano, « ciascun gruppo linguistico ha diritto di essere rappresentato nella giunta comunale se nel consiglio comunale vi siano almeno due consiglieri appartenenti al gruppo stesso ».
La seconda disposizione appresta specifiche garanzie per il gruppo ladino, stabilendo che « le leggi sulle elezioni del Consiglio regionale e di quello provinciale di Bolzano, nonché le norme sulla composizione degli organi collegiali degli enti pubblici locali in Provincia di Bolzano garantiscono la rappresentanza del gruppo linguistico ladino ».
6. Tanto premesso in ordine al quadro normativo nell'ambito del quale si inseriscono le questioni sollevate dal ricorso, la Corte è dell'avviso, cosi come invero mostrano di ritenere anche le parti in giudizio, che la premessa fondamentale per la soluzione delle questioni medesime risieda nella corretta interpretazione delle disposizioni richiamate; operazione ermeneutica, questa, non priva di qualche difficoltà, come prova, del resto, l'antitetica prospettazione che della portata delle norme fanno, da un canto, il ricorrente e, dall'altro, la difesa della Regione, nell'intento di dimostrare, l'uno (e cioè il ricorrente) che negli enti pubblici locali, secondo la consolidata tradizione legislativa, andrebbero ricompresi anche gli enti territoriali, sicché proprio in tali norme risiederebbe la garanzia di cui si reclama il riconoscimento in questa sede; e di sostenere, l'altra (vale a dire la Regione) che nelle norme statutarie richiamate si sarebbe, invece, accolta una nozione più restrittiva di ente locale, atta a ricomprendere solo i c.d. « enti locali funzionali ».
La Corte ritiene che le disposizioni in parola valutate nel loro contesto sistematico, alla luce di quella che verosimilmente ne è la ratio ispiratrice a tutela dei principi e valori sopra ricordati - consentano, sia pure nella loro non agevole lettura, una persuasiva ricostruzione della disciplina apprestata, nella quale - avendo ben presenti le caratteristiche demografiche e la dislocazione territoriale dei gruppi linguistici - si combinano, essenzialmente, due criteri, ambedue concorrenti allo stesso obiettivo della tutela dei gruppi linguistici: quello della rappresentanza proporzionale, quando esso è sufficiente, di per sé, a far emergere i gruppi a livello di organi pubblici; e quello della necessaria presenza negli organi collegiali pubblici delle minoranze linguistiche, quando le circostanze sono tali da richiedere una specifica garanzia, anche al di là del criterio proporzionale e del principio di parità nel voto. Il tutto al fine di realizzare un'equilibrata confluenza di quei valori ai quali si richiama il ricorso, e che, anche alla stregua della giurisprudenza costituzionale, se da un lato esigono discipline di favore delle minoranze, come previsto dall'art. 6 Cost, devono per quanto possibile contemperarsi con altri principi desumibili proprio dai parametri richiamati dal ricorrente, e cioè gli artt. 48 e 49 Cost., che si rifanno piuttosto al principio della parità di trattamento fra tutti i cittadini ed a quello di eguaglianza nel voto politico.
Coerentemente con tale impostazione, l'art. 61 dello Statuto indica nella rappresentanza proporzionale la regola del tutto generale alla quale sono tenute ad adeguarsi le norme sulla « costituzione » degli organi degli enti locali; una regola che, come la Corte ha avuto occasione di precisare (sent. n. 289 del 1987), nell'ispirarsi alla c.d. proporzionale etnica, va considerata espressiva e non derogatrice del principio generale della tutela delle minoranze linguistiche (art. 6 Cost.) e che, essendo per sua natura idonea a riflettere, a livello di apparati, le articolazioni e le aggregazioni della base elettorale, finisce per assicurare in forma spontanea ed automatica la partecipazione dei diversi gruppi linguistici alle varie manifestazioni della vita pubblica. Non è superfluo aggiungere che, sulla portata di siffatta regola, già da tempo, la Corte ha avuto occasione di soffermarsi, precisando che « l'art. 61, comma 1, compreso nel Titolo IV dello Statuto speciale d'autonomia, concernente gli enti locali, detta una disposizione di carattere generale, di chiusura, se si vuole, per cui tutti gli organi di tutti gli enti pubblici locali devono essere costituiti, in forza di una specifica previsione normativa, in modo tale da assicurare la rappresentanza proporzionale dei gruppi linguistici » (sent. n. 155 del 1985).
Trattasi, dunque, di un precetto generale il cui ambito trova specificazione nell'art. 23 d.P.R. n. 49 del 1973, recante norme di attuazione dello Statuto speciale, che, in considerazione, per l'appunto, della distribuzione geografica dei gruppi linguistici, essenzialmente nella Provincia di Bolzano, afferma l'applicabilità del disposto statutario « soltanto agli enti pubblici la cui attività si svolge nella Provincia di Bolzano o in entrambe le province della Regione », precisando che « la composizione degli organi collegiali degli enti » considerati « deve adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici esistenti nelle stesse località, quale risulta dall'ultimo censimento della popolazione ».
A riprova della diffusa attuazione dei richiamati principi nell'ordinamento della Regione Trentino-Alto Adige e in quello della Provincia di Bolzano, stanno le molteplici leggi che, rifacendosi, per l'appunto, al criterio della rappresentanza proporzionale etnica, regolano la costituzione delle varie commissioni, comitati e collegi che operano nell'ambito degli apparati pubblici regionali e provinciali, inserendo la clausola che la composizione dell'organo dovrà adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici. Lo stesso criterio proporzionale ha sempre ispirato, inoltre, la legislazione elettorale per i comuni della Provincia di Bolzano, consentendo così ai ladini, ma non solo ad essi, in quegli ambiti in cui, per dislocazione territoriale, rivelino una consistente presenza demografica, di conseguire una corrispondente adeguata rappresentanza nei consigli comunali.
Il legislatore costituzionale, nel comma 2 dell'art. 61, ha poi introdotto, per i comuni della Provincia di Bolzano, un meccanismo di garanzia, volto ad assicurare che la rappresentanza dei vari gruppi linguistici nel consiglio comunale possa avere la sua proiezione anche nel più ristretto ambito della giunta, quali che siano i rapporti numerici tra i gruppi, essendosi ritenuto opportuno garantire comunque tale presenza quando nel consiglio comunale vi siano almeno due esponenti di quel certo gruppo.
A fronte di tale disciplina, valida in via generale per tutti i gruppi linguistici, esistono poi le specifiche garanzie apprestate in favore del gruppo ladino dall'art. 62 dello Statuto, norma che, derogando al criterio proporzionale e a quello dell'eguaglianza del voto (artt. 3 e 48 Cost. nonché art. 25 dello Statuto circa l'elezione del Consiglio regionale), fa richiamo - così come risulta dall'espressione letterale - da un lato, alle « leggi sulle elezioni » del Consiglio regionale e di quello provinciale di Bolzano e, dall'altro, alle « norme sulla composizione » degli organi collegiali degli enti pubblici locali. E questo - come si può intuire - nella considerazione delle difficoltà che il gruppo ladino, invero di modesta entità se rapportato al territorio della Provincia di Bolzano ed ancor più a quello dell'intera Regione, avrebbe potuto incontrare, ove, negli ambiti in parola, la sua rappresentanza fosse rimasta affidata al solo operare del sistema proporzionale.
Il richiamo che il dettato statutario effettua alle leggi sulle elezioni, da un canto, e alle norme sulla composizione degli organi, dall'altro, denota peraltro che, per individuare l'ambito della disciplina apprestata dall'art. 62, ciò che sostanzialmente rileva è il modo di formazione degli organi, nel senso che la presenza in ogni caso del gruppo ladino negli organi collegiali è assicurata, se si tratta di organi di diretta elezione popolare, limitatamente al Consiglio regionale e al Consiglio provinciale di Bolzano; mentre è garantita, in ogni caso, nella composizione degli altri organi collegiali pubblici, vale a dire quelli non elettivi. Ciò trova riscontro nelle varie leggi regionali e della Provincia di Bolzano in materia che, oltre a prevedere l'adeguamento degli organi collegiali pubblici alla consistenza dei gruppi linguistici, fanno salva, nella loro composizione la presenza, solitamente, di almeno un rappresentante del gruppo ladino.
Contrariamente a quanto mostrano di ritenere le parti in giudizio, il punto fondamentale per la definizione delle questioni poste dal ricorso non sta perciò tanto nella soluzione del quesito se gli enti pubblici locali menzionati negli artt. 61 e 62 ricomprendano anche gli enti territoriali, come assume il ricorrente, ovvero invece solo gli enti funzionali, come sostiene la difesa della Regione. La Corte, pur ritenendo di accedere alla prima tesi - per ragioni chiaramente connesse a quella tradizione legislativa del nostro ordinamento ampiamente illustrata con dovizia di riferimenti legislativi e giurisprudenziali dal ricorrente - è, nondimeno, dell'avviso che, nell'interpretazione dell'art. 62, l'elemento decisivo stia piuttosto nella rilevanza che la norma mostra di voler conferire al modo di formazione dell'organo, restando per ciò stesso escluso che nell'ambito delle garanzie dalla stessa apprestate rientrino anche i consigli dei comuni della Provincia di Bolzano e, pertanto, le relative leggi elettorali.
D'altra parte, trattandosi di stabilire una deroga ad un supremo principio della nostra Costituzione quale quello della parità del voto, la portata di una norma derogatoria non può non essere definita secondo criteri di stretta interpretazione (sent. nn. 46 del 1969 e 166 del 1972).
7. Passando ad esaminare le singole censure, il ricorso non è fondato, anzitutto, nella parte in cui prospetta l'incostituzionalità degli articoli sopra richiamati, prendendo a parametro l'art. 92 dello Statuto speciale, per il pregiudizio che la facoltà di impugnativa degli atti amministrativi, ivi riconosciuta ai consiglieri comunali del gruppo ladino, subirebbe in conseguenza del venir meno delle garanzie di rappresentanza del gruppo negli organi consiliari dei comuni.
Sotto tale profilo si lamentano, infatti, soltanto effetti indiretti delle disposizioni denunciate, il cui oggetto è la disciplina dell'accesso alle cariche elettive locali, secondo criteri che il ricorrente assume illegittimi. Le disposizioni censurate non investono invece minimamente le facoltà statutarie del consigliere comunale, così come esse formano oggetto di considerazione nel predetto art. 92.
8. Alla luce della ricostruzione come sopra operata del quadro di riferimento statutario, anche tutte le altre questioni che il ricorso in epigrafe solleva - con riguardo all'art. 56 dello Statuto speciale ed in riferimento agli artt. 2, 61, 62 e 102 del medesimo Statuto nonché 2, 3, 6, 48 e 49 Cost. - vanno disattese.
Anzitutto, quelle che - come nel caso dell'art. 2, comma 6, sulla rappresentanza in giunta dei gruppi linguistici nonché degli artt. 82, comma 1, lett. b), 35, comma 1, lett. h), 36, comma 1, lett. h), sul sistema elettorale del consigli comunali - riguardano disposizioni che si ispirano ai principi di cui agli artt. 61 e 62 dello Statuto, come sopra interpretati.
9. Il ricorso investe, poi, l'art. 17, comma 1, della legge, vale a dire la disposizione che stabilisce il numero di elettori che devono sottoscrivere la dichiarazione di presentazione delle candidature alla carica di sindaco e della lista dei candidati alla carica di consigliere comunale, rapportando tale numero di elettori agli abitanti dei comuni, che vengono suddivisi per scaglioni. Anche questa censura muove, evidentemente, dal non condivisibile assunto della necessaria garanzia di una presenza del gruppo ladino in tutti i consigli comunali della Provincia di Bolzano, donde la prospettata esigenza che anche il preliminare adempimento della sottoscrizione delle candidature si svolga per mezzo di un numero di firme ridotto.
Ma, una volta escluso che esistano regole statutarie che differenzino la posizione dei singoli gruppi linguistici quanto alla elezione dei consigli comunali, il criterio della rappresentanza proporzionale di cui all'art. 61 è da ritenere soddisfatto quando tutti i gruppi vengano posti su base di parità, senza che possa trovare fondamento la pretesa ad un numero differenziato di sottoscrittori delle liste.
10. Infondate sono anche le doglianze concernenti gli artt. 35, comma 3, lett. c), e 36, comma 3, lett. c), da reputare viziati, secondo il ricorso, perché, riservando al candidato alla carica di sindaco risultato non eletto al secondo turno il primo seggio assegnato alla lista di appartenenza, non contemplerebbero alcun correttivo per evitare che tale meccanismo si risolva nella privazione della rappresentanza del gruppo ladino, qualora a detta lista spetti un solo seggio e il candidato più votato sia un appartenente al medesimo gruppo linguistico. Invero, il metodo proporzionale, per quanto idoneo in linea di principio a rispecchiare nella composizione degli organi collegiali l'articolazione della base elettorale, secondo le diverse aggregazioni che la compongono, esprime un criterio di tendenza, ma non è tenuto a garantire comunque l'assegnazione di seggi a ciascun gruppo linguistico, perché proprio in questo riposa la differenza rispetto al criterio della presenza garantita nell'organo collegiale medesimo. E ciò indipendentemente dal fatto che ben potrebbe darsi il caso inverso rispetto a quello prospettato nel ricorso, ovvero quello di un candidato ladino alla carica di sindaco, risultato non eletto, che accede alla rappresentanza proprio in virtù delle norme impugnate.
11. Per le stesse ragioni, è da ritenere non fondata la doglianza relativa all'art. 65, comma 1, che viene censurato perché, nel dettare la disciplina generale sulla elezione dei consigli circoscrizionali, non appresterebbe alcuna specifica garanzia per il gruppo linguistico ladino. I consigli in questione sono quelli previsti dall'art. 20 l. reg. 4 gennaio 3 di consultazione e di gestione dei servizi di base, nonché di esercizio delle funzioni delegate dal comune ».
Orbene, l'art. 65, modificando - in conformità, tra l'altro, all'art. 10 l. 25 marzo 1993 n. 81 - il comma 3 del menzionato art. 20 - che prevedeva l'elezione a suffragio diretto, secondo le norme stabilite per l'elezione del consiglio comunale - rimette ora allo statuto del comune la scelta del sistema elettorale, da disciplinare con regolamento, stabilendo, altresì, che, fino all'approvazione delle modifiche statutarie e regolamentari continuano ad applicarsi le norme stabilite per l'elezione del rispettivo consiglio comunale.
La censura non è fondata, trattandosi, a ben vedere, di una disposizione che si limita, quanto al sistema elettorale, ad un mero rinvio ad altre fonti normative.
12. Restano da esaminare le questioni sollevate ai sensi dell'art. 56 dello Statuto, in riferimento agli artt. 2 e 102 del medesimo, nonché agli artt. 2, 3, 6 e 51 Cost. - nei confronti dell'art. 2, commi 5 e 6.
Assume il ricorrente che tali disposizioni contrasterebbero con i principi statutari posti a protezione della minoranza ladina, alla quale si vuole offrire una tutela peculiare attraverso l'art. 56 dello Statuto. Le stesse contrasterebbero, altresì, con l'art. 51, comma 1 Cost., in quanto impedirebbere agli appartenenti al gruppo ladino l'accesso alle cariche elettive in condizioni di parità con tutti gli altri cittadini.
13. La questione relativa all'art. 2, comma 5, secondo il quale « nei comuni con popolazione superiore a 13.000 abitanti della provincia di Bolzano dove nel consiglio comunale sono presenti più gruppi linguistici, il vicesindaco deve appartenere al gruppo linguistico maggiore per consistenza escluso quello cui appartiene il sindaco », è infondata.
Il ricorso, infetti, non considera che la disposizione, nell'ambito del sistema di garanzie sopra illustrato, altro non fa che tener conto del grado di rappresentatività che è proprio delle varie componenti etniche. E questo senza escludere, peraltro, che, nell'elezione del sindaco, possa riuscire eletto, ottenendo i consensi necessari, anche un esponente del gruppo ladino.
14. La censura proposta avverso il comma 6 dello stesso art. 2 è inammissibile.
Trattasi della disposizione che, dopo aver previsto - in ciò rifacendosi all'art. 61, comma 2, dello Statuto - che « nei comuni della provincia di Bolzano, ciascun gruppo linguistico ha diritto di essere comunque rappresentato nella giunta, se nel consiglio comunale vi siano almeno due consiglieri appartenenti al gruppo medesimo », dispone che « il numero dei posti spettanti a ciascun gruppo linguistico nella giunta viene determinato includendo nel computo anche il sindaco ».
Secondo il ricorrente « qualora l'art. 61, comma 2, venisse (peraltro, è da ritenere, illegittimamente) interpretato nel senso che solo i gruppi linguistici con almeno due consiglieri comunali possono essere rappresentati in giunta, il sindaco del gruppo ladino, eventualmente eletto, si troverebbe in condizione di non poter far parte della giunta medesima ».
La doglianza, invero di non agevole lettura, più che proporre una vera e propria censura nei confronti della disposizione di cui trattasi, sembra risolversi nella prospettazione, in via meramente ipotetica, degli effetti che una delle possibili interpretazioni dell'art. 61 dello Statuto - interpretazione che, peraltro, il ricorrente mostra di non condividere, anzi di ritenere illegittima - avrebbe sulla possibilità del sindaco ladino di far parte della giunta.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate con il ricorso in epigrafe ai sai dell'art. 56 dello Statuto speciale, in riferimento agli arti. 2, 61, 62, 92 e 102 del medesimo Statuto nonché agli artt. 2, 3, 6, 48 e 49 Cost. - nei confronti dell'intera legge della Regione Trentino-Alto Adige 30 novembre 1994 n. 3 (Elezione diretta del sindaco e modifica del sistema di elezione dei consigli comunali nonché modifiche alla legge regionale 4 gennaio 1993 n. 1);
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata con il ricorso in epigrafe ai sensi dell'art. 56 dello Statuto speciale, in riferimento agli arti. 2 e 102 del medesimo Statuto e 2, 3, 6 e 51 Cost. - nei confronti dell'art. 2, comma 6, della predetta legge regionale;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con il ricorso in epigrafe ai sensi dell'art. 56 dello Statuto speciale, in riferimento agli arti. 2, 61, 62, 92 e 102 del medesimo Statuto nonché agli artt. 2, 3, 6, 48 e 49 Cost. - nei confronti degli artt. 2, comma 6;17, comma 1; 32, comma 1, lett. b); 35, comma 1, lett. h), e comma 3, lett. c); 36, comma 1, lett. h) e comma 3, lett. c); 65, comma 1, della predetta legge regionale;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con il ricorso in epigrafe ai sensi dell'art. 56 dello Statuto speciale, in riferimento agli artt.2 e 102 del medesimo Statuto e 2, 3, 6 e 51 Cost. - nei confronti dell'art. 2, comma 5, della predetta legge regionale.
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