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Corte costituzionale - Sentenza N. 231 del 30.07.1984
Criteri preordinati alla determinazione dell'indennità di esproprio di aree edificabili

Sentenza (13 luglio) 30 luglio 1984, n. 231; Pres. Elia – Rel. La Pergola
 

Ritenuto in fatto: 1. Con le 28 ordinanze indicate in epigrafe, la Corte di Appello di Trento, nel corso di altrettanti procedimenti di opposizione alla determinazione dell'indennità di esproprio di immobili, ai sensi della l. prov. Bolzano n. 15 del 1972, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 12, 13, comma 1, e 15, comma, 3, di detta legge e successive modificazioni, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost. Va precisato che, mentre la quasi totalità delle ordinanze di rimessione fa riferimento ai soli commi 1 e 3 dell'art. 12, una (R.O. n. 624 del 1982) fa espresso richiamo anche al comma 2 ed alcune altre impugnano l'intera norma senza specificazioni.

La citata legge provinciale (l. prov. 20 agosto 1972 n. 15: «Legge di riforma dell'edilizia abitativa »), dopo avere elencato (art. 7) gli scopi dell'espropriazione e dettato norme sul procedimento espropriativo (artt. 8-11), prevede negli artt. 12 e 13 i criteri per il calcolo della indennità.
Detti criteri, alla luce anche delle modifiche e integrazioni apportate alle disposizioni in esame con le l. prov. 7 ottobre 1974 n. 15 (art. 5, che integra l'art. 12 l. del 1972), 6 maggio 1976 n. 10 (art. 7, che modifica il comma 1 dell'art. 13 1. del 1972) e 22 maggio 1978 n. 23. (artt. 5 e 7, i quali apportano nuove modifiche e integrazioni alle norme in esame), possono così riassumersi. Per le aree esterne ai centri edificati l'indennità consiste nel giusto prezzo che, a giudizio dell'ufficio tecnico provinciale, deve essere attribuito all'area quale terreno agricolo considerato libero da vincoli di contratti agrari al momento dell'emanazione del decreto di esproprio, secondo i tipi di coltura effettivamente praticati. Una apposita commissione, nominata dalla Giunta provinciale per la durata della propria carica, provvede per il semestre successivo alla ripartizione del territorio provinciale in zone agrarie omogenee e alla determinazione di valori agricoli minimi e massimi per ciascuna coltura in relazione alle singole zone agrarie, nonché alla individuazione del valore agricolo della coltura più redditizia ai sensi del comma 1 dell'art. 1 dell'art. 13 (art. 12, comma 1).
Sistema sostanzialmente analogo è previsto per le aree che risultino edificate o urbanizzate ai sensi dell'art. 36 t.u. delle leggi urbanistiche provinciali (art. 12, comma 2).
Per le aree comprese nei centri edificati, escluse le zone di espansione, l'indennità di espropriazione è commisurata al valore agricolo della coltura più redditizia tra quelle che nel comune coprono una superficie superiore al 10% su quelle coltivate nel comune stesso, moltiplicato per tre. Sono previsti, inoltre, coefficienti di maggiorazione nel caso in cui l'area da espropriare, non compresa in un centro edificato, sia coltivata direttamente dal proprietario o appartenga ad un'azienda agricola condotta dal proprietario (art. 13, comma 1).
La normativa in questione, infine, dispone che nella determinazione dell'indennità non deve tenersi alcun conto dell'utilizzabilità dell'area ai fini dell'edificazione, nonché dell'incremento del valore derivante dall'esistenza nella stessa zona di opere di urbanizzazione primaria e secondaria e di qualunque altra opera o impianto pubblico (art. 12, comma 3).
A sua volta, l'art. 15 l. prov. del 1972 (modificato anch'esso dalla l. prov. n. 10 del 1976), disciplina l'occupazione d'urgenza e determina l'indennità dovuta per questa ipotesi facendo riferimento ai criteri stabiliti per l'indennità di esproprio (comma 3).
2. In merito alla rilevanza delle questioni sollevate, il giudice remittente, premesso che delle disposizioni impugnate deve farsi ovviamente applicazione nei giudizi a quibus, concernenti tutti opposizione alla stima, deduce, con argomentazioni sostanzialmente identiche per tutte le ordinanze, che il criterio del calcolo dell'indennizzo, adottato dal legislatore provinciale — quello di attribuire valore di terreno agricolo alle aree espropriate, sia interne, sia esterne al centro edificato — non tiene conto della attitudine (vocazione) edificatoria delle aree stesse, le quali sono tutte comunque da considerare interessate dal processo di urbanizzazione.
Da ciò consegue, secondo il giudice a quo, che i valori pecuniari nelle varie fattispecie raggiungibili secondo la normativa impugnata sono |ben lontani da quelli reali (che tengono conto del carattere edificatorio delle aree); e ciò anche nell'ipotesi di applicabilità delle maggiorazioni previste dalla legge, le quali, in ogni caso, non valgono ad eliminare il rilevato sensibile divario tra « valore edificatorio » e « valore agricolo » sia pure rettificato.
La suddetta vocazione edificatoria dei terreni viene dedotta, dal giudice a quo, per le aree esterne al perimetro urbano, da una serie di elementi obiettivi, quali, ad esempio, l'essere l'area destinata a zona artigianale e di piccola industria (rileva la Corte remittente che devono ritenersi fabbricabili anche quelle aree in cui sia consentita una edificazione industriale); l'esistenza di insediamenti commerciali o di opere di urbanizzazione; l'essere l'area ubicata nelle immediate adiacenze del perimetro urbano o in cosiddetta zona di espansione, ecc.
2a. La non manifesta infondatezza della questione è argomentata dal giudice a quo, con considerazioni sostanzialmente identiche in; tutte le ordinanze di rimessione, con espresso riferimento alla sentenza n. 5 del 1980 di questa Corte, la quale ha dichiarato la (parziale) incostituzionalità dell'art. 16 l. statale n. 865 del 1971, come modificato dall'art. 14 l. n. 10 del 1977, normativa di cui la legge provinciale in esame « ricalca sostanzialmente il contenuto».
Sulla base, pertanto, di detta sentenza, la Corte remittente ritiene che il legislatore provinciale, imponendo di considerare i terreni espropriati come agricoli anche quando si tratti di terreni edifìcabili in centro abitato o comunque dotati di vocazione edificatoria, sia incorso in un vizio, di astrazione dalla realtà, in quanto prescinderebbe dalle effettive caratteristiche del bene ablato e dalla relativa possibilità di utilizzazione.
Ciò condurrebbe al continuo rischio di una valutazione del bene per ciò che in effetti non è, con il duplice risultato di offendere la previsione costituzionale del « serio ristoro » dell'espropriato (art. 42, comma . 3, Cost.) e lo stesso principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) in relazione alla disparità di trattamento conseguente a valori indennitari che possono essere i più vari e i meno logici.
2b. Va rilevato che nel giudizio instaurato con ordinanza del 21 ottobre 1980 (R.O. n. 458 del 1981) il giudice a quo deduce un particolare profilo di contrasto tra la normativa provinciale impugnata e l'art. 3 Cost., osservando che « un terreno situato nel perimetro del centro edificato, qualunque fosse il suo tipo di coltura, ed al limite anche se incolto, verrebbe valutato con riferimento alla cultura più redditizia del territorio comunale in cui è compreso, mentre un altro terreno, nelle stesse condizioni od anche con maggior fertilità e con colture di maggior pregio, vedrebbe l'indennità commisurata solo al valore agricolo effettivo ».
2c. In alcune ordinanze di rimessione (R.O. nn. 229, 622 e 623 del 1982), la Corte di Trento solleva, in via subordinata all'accoglimento della principale, una seconda questione di costituzionalità, denunciando (sempre in riferimento gli artt. 3 e 42 Cost.) l'art. 24, comma 1, della medesima l. prov. del 1972, il quale, nell'ambito della normativa concernente le «aree di edilizia agevolata "nelle zone di espansione», disciplina l'acquisizione di dette aree da parte del comune.
Rileva il giudice a quo che, se dovesse ritenersi fondata la prima questione .e se, quindi, il valore urbanistico dei terreni tornasse ad avere rilevanza ai fini della determinazione dell'indennità « non potrà ignorarsi il fatto che, nelle zone di espansione il terreno della comunione coatta — prevista dalla legge all'art. 21 — che residua allo stralcio di quello destinato all'edilizia abitativa agevolata e che viene (per così dire) restituito agli espropriati, non può non avere un valore urbanistico maggiore di quello anteriore».
Con riguardo sia ai fondi siti fuori delle aree urbane, che ai terreni compresi nelle aree stesse, ben si comprende, prosegue il giudice a quo, come i proprietari non possano essere insensibili al vantaggio loro derivante dal perdere bensì parte dell'area, ma dal riceverne in cambio un'altra parte nel primo caso avente destinazione di edilizia privata, e nel secondo di zona residenziale, franca da ulteriori pericoli di espropriazioni a favore dell'edilizia abitativa agevolata.
Sembra, pertanto, alla Corte remittente che tali maggiorazioni di pregio vadano sine causa a vantaggio dei singoli privati proprietari. Tale locupletazione sarebbe ingiustificata innanzitutto perché « contraria al principio secondo cui l'indennità di espropriazione, essendo solo corrispettiva, non può superare il valore, del sacrificio imposto al soggetto (cioè non può contenere donativi: ari. 42, comma 3, Cost.); in secondo luogo, perché vi sarebbe, in questa Provincia, una irrazionale disparità di trattamento tra i proprietari che vengano espropriati in zone di espansione e quelli non in zone di espansione (art. 3 Cost.) ».
3. In quasi tutti i giudizi instaurati con le ordinanze indicate in epigrafe si è costituita la Provincia di Bolzano.
Questa eccepisce in via preliminare la inammissibilità della proposta questione di costituzionalità per difetto di rilevanza.
Con argomentazioni sostanzialmente identiche per tutti i giudizi, la Provincia deduce che per i terreni espropriati, si trovino questi nel centro edificato, ovvero nelle immediate adiacenze di esso, «era positivamente esclusa ogni possibilità edificatoria, sia al presente, sia in riferimento agli sviluppi futuri».
Premesso che i terreni stessi risultano destinati nei vari piani urbanistici ad attrezzature collettive (nella maggioranza dei casi), ovvero ad edilizia abitativa agevolata o economico-popolare, la difesa della Provincia deduce che, nel particolare ordinamento urbanistico altoatesino, tali destinazioni di piano esplicano la loro efficacia per dieci anni dalla data di approvazione del piano; scaduto tale termine, se gli enti competenti non abbiano provveduto all'acquisizione dell'area, questa è considerata verde agricolo (art. 16, comma 5, ord. urb. prov.).
In conseguenza, i terreni de quibus, in fatto agricoli al momento dell'esproprio, agricoli sarebbero comunque tornati ad essere, ove non fossero stati acquisiti alla proprietà pubblica nei dieci anni; pertanto, l'eventuale annullamento per incostituzionalità dell'art. 12 1. prov. n. 15 del 1972 non sposterebbe i termini della questione, in quanto la valutazione del terreno non potrebbe che essere quella di un terreno agricolo.
Circa la dedotta « vocazione edificatoria » dei terreni, la difesa della Provincia sostiene che « il fatto che certi terreni a un certo momento perdano la loro qualità di terreni agricoli e acquistino quella di aree fabbricabili non è un dato di natura, accertabile tecnicamente dal consulente o dal giudice, ma è il risultato di precise scelte dell'autorità preposta al piano, al governo del territorio ».
3a. Nel merito la Provincia deduce la infondatezza della questione, rilevando, innanzitutto, che il punto centrale della normativa altoatesina è costituito dal principio di vietare che nel calcolo dell'indennizzo si tenga conto della utilizzazione dell'area ai fini edificatori, nonché dell'esistenza nella zona di opere di urbanizzazione (art. 12, comma 3); tale principio, si assume, è comune a tutta la legislazione in materia di esproprio.
In secondo luogo, la Provincia sostiene che sugli altri punti la normativa statale dichiarata illegittima da questa Corte diverge significativamente da quella ora portata all'esame della Corte stessa: la normativa altoatesina, infatti, non contiene quell'elemento di astrattezza che aveva condotto a dichiarare l'incostituzionalità della legge statale, in quanto non contempla il sistema del «valore agricolo medio», bensì prevede, per le aree esterne ai centri edificati, un calcolo caso per caso, in relazione alle caratteristiche proprie di ciascun terreno, sia pure sulla base di parametri di riferimento fissati semestralmente da apposita Commissione (con evidente scopo garantistico); mentre per le aree comprese nei centri edificati, prende in considerazione, e poi lo moltiplica per tre, il valore (agricolo) più alto del territorio comunale.
In conclusione, ad avviso della Provincia, la normativa in esame (la quale sostanzialmente tende con gli indicati elementi a far corrispondere l'indennizzo al valore di mercato del bene) esclude il pericolo sia di trattamenti indennitari irrisori o meramente simbolici, sia di, indennizzi fortemente differenziati in relazione a fattori irrazionalmente assunti a parametro di riferimento: pertanto non sarebbero violati gli artt. 42 e 3 Cost.
3b. In ordine al particolare profilo di incostituzionalità sollevato dal giudice a quo nell'ordinanza del 21 ottobre 1980 (v. supra sui) 2b), la Provincia rileva che la Corte remittente « sempre nell'equivoco circa la nozione di edificabilità, non si rende conto che tale nozione — non di natura, ma positiva, concretizzata volta per volta da atti dell'autorità amministrativa — comporta che i terreni inseriti nel centro urbano, anche se momentaneamente ancora agricoli, non possano più essere considerati tali «in diritto», e perciò (nell'interesse dei proprietari espropriati) vadano valutati con criteri parzialmente diversi».
3c. In merito alla questione di costituzionalità dell'art. 24 della l. prov. in esame (v. supra sub 2 c), la Provincia ne eccepisce preliminarmente la irrilevanza. Al riguardo, essa deduce che, secondo il giudice a quo, l'indennizzo dovrebbe essere influenzato dalla suddivisione delle zone di espansione in quote per l'edilizia pubblica e in quote per quella privata; senonché, si rileva, la regola della suddivisione è prevista dall'art. 18 della stessa legge provinciale, che però non è oggetto di censura, e non dall'art. 24, che ne costituisce una mera applicazione.
Nel merito, ad avviso della Provincia, la questione è infondata, sia con riferimento all'art. 42, che all'art. 3 Cost. Il richiamo all'art. 42 Cost. sarebbe del tutto inutile, in quanto i terreni destinati all'edilizia residenziale non agevolata non sono sottoposti, ad espropriazione (in quanto ridistribuiti ai proprietari) e, quindi, non può discutersi dell'equità dell'indennizzo; per quanto concerne l'art. 3 la sua pretesa violazione in realtà non sussisterebbe, in quanto alla divergenza di disciplina tra l'esproprio nelle zone di espansione e quello nelle altre zone corrisponde una effettiva diversità di situazioni e di finalità.
4. Mentre degli atti di costituzione delle parti private nei giudizi instaurati con le ordinanze del 5 maggio 1981 e 25 maggio 1982 (R.O. n. 585 del 1981 e n. 503 del 1982) non si può tener conto, essendo stati depositati fuori termine e senza elezione di domicilio in Roma, nel giudizio introdotto con ordinanza del 16 dicembre 1980 (R.O. n. 300 del 1981) si è regolarmente costituita la parte privata espropriata, la quale richiama anch'essa, a sostegno della tesi della incostituzionalità della normativa di Bolzano, la, sentenza n. 5 del 1980 di questa Corte, affermando che detta normativa ricalcherebbe quella statale dichiarata illegittima da quella pronuncia; e svolge, in generale, le stesse considerazioni addotte dal giudice a quo.
5. Nel giudizio instaurato con l'ordinanza del 9 febbraio 1982 (R.O. n. 230 del 1982) si è costituito il Consorzio tra i Comuni di Ortisei, S. Cristina, Selva di Val Gardena e Frazioni Ladine di Castelrotto, nel cui interesse era avvenuto l'esproprio.
Il Consorzio deduce l'irrilevanza e l'infondatezza della questione.
A sostegno dell'irrilevanza si assume che, avendo il proprietario dell'area eseguito lavori di urbanizzazione illegittimamente, dando all'area una destinazione incompatibile con lo strumento urbanistico, la fattispecie risulterebbe regolata dal comma 2 dell'art. 12, la cui costituzionalità non sarebbe in contestazione.
Anche in ordine all'infondatezza della questione, il Consorzio ribadisce che i criteri da applicare sono quelli previsti dal comma 2 dell'art. 12, che prevede, per le aree edificate o urbanizzate ai sensi dell'art. 36 del t.u. l. urb. prov., che l'indennità è determinata in base alla somma del valore dell'area definito secondo il comma precedente e del valore delle opere di urbanizzazione e delle costruzioni, con esclusione, pertanto, della possibilità di tener conto della edificabilità delle aree (del resto esclusa dal comma 3).
Nel resto, il Consorzio adduce a sostegno della legittimità costituzionale della normativa altoatesina argomentazioni analoghe a quelle svolte dalla difesa della Provincia.
6. Nell'udienza pubblica dell'8 marzo 1983 il giudice La Pergola ha svolto la relazione e la difesa della Provincia di Bolzano ha ribadito le conclusioni già adottate.
 
Considerato in diritto: 1. Nei casi di specie, da cui traggono origine i giudizi di legittimità costituzionale introdotti con le ordinanze in epigrafe, viene in considerazione la normativa altoatesina posta nella legge Provinciale 20 agosto 1972, n. 15 («Legge di riforma dell'edilizia abitativa»). Le cause di merito vertono, indistintamente tutte, sull'opposizione alla determinazione dell'indennità di esproprio. Nel corso dei relativi procedimenti, la Corte d'Appello di Trento ha sollevato un duplice ordine di questioni di legittimità costituzionale.
1.a. La prima delle anzidette questioni ha per oggetto gli artt. 12, 13 e 15 della citata legge Provinciale (e delle successive modificazioni), che il Giudice a quo assume abbiano offeso gli artt. 3 e 42 Cost.. Precisamente, com'è spiegato in narrativa, nella maggior parte delle ordinanze di rinvio l'art. 12 è denunziato limitatamente alle previsioni del primo e del terzo comma; in una sola ordinanza forma oggetto di censura anche il secondo comma; in altre ancora detto articolo è censurato nella sua interezza. Dell'art. 13, è impugnato il primo comma, che contempla le ipotesi di maggiorazione dell'indennità; dell'art. 15, che concerne l'occupazione di urgenza, è censurato il terzo comma, in quanto, ai fini della determinazione della relativa indennità, si fa ivi riferimento all'indennità di esproprio.
Ai sensi della normativa censurata l'indennità dovuta all'espropriato consiste nel giusto prezzo che, a giudizio dell'uscio tecnico Provinciale, va attribuito all'area quale terreno agricolo considerato libero da vincoli di contratti agrari, secondo i tipi di coltura effettivamente praticati. Questo criterio è stabilito dall'art. 12, primo comma. L'art. 13 configura, dal canto suo, i casi in cui l'indennità viene maggiorata. Se l'area da espropriare non è compresa in un centro edificato ma è coltivata direttamente dal proprietario o appartiene ad una azienda agricola condotta dal proprietario, l'ammontare dell'indennizzo, determinato, come sopra si è detto, ai sensi dell'art. 12-è moltiplicato per il coefficiente 2,5; se l'area ha le caratteristiche di un'azienda agricola di montagna, è previsto il coefficiente 3. Per le aree comprese nei centri edificati, escluse le zone di espansione, l'indennità di espropriazione è commisurata al valore agricolo della coltura più redditizia tra quelle che nel comune coprono una superficie superiore al 10% su quelle coltivate nel comune stesso. Detto valore è inoltre moltiplicato per 3.
Il regime testé descritto offenderebbe l'art. 42 e l' art. 3 Cost. perché la determinazione dell'indennizzo è sempre e necessariamente fondata sul valore agricolo del terreno espropriato, laddove, deduce il Giudice a quo, l'area espropriata deve, in ogni caso di cui egli è investito, ritenersi provvista di valore edificatorio, o perché è situata nel centro edificato, ovvero perché, sebbene non ricada nel centro, quale risulta dalla perimetrazione disposta dall'autorità amministrativa, essa è, comunque, sicuramente interessata dal processo di urbanizzazione. Ad avviso della Corte d'Appello, il valore agricolo, pur dove esso possa essere corretto, grazie alle maggiorazioni previste dalla stessa legge, resta ancora lontano dal valore di mercato, il quale andrebbe calcolato con riguardo alle caratteristiche essenziali del bene ablato.
Il criterio invece adottato dalla legge Provinciale sarebbe inficiato dal vizio di aver fatto astrazione dalla realtà, con il risultato, per un verso di condurre a irrazionali discriminazioni fra gli espropriati, per l'altro di non assicurare il serio ristoro garantito secondo Costituzione al soggetto privato. Di qui la prospettata violazione sia dell'art. 3, sia dell'art. 42 Cost.. La Corte d'Appello di Trento conclude pertanto che la normativa censurata disattende i criteri posti nella sentenza n. 5 del 1980 di questa Corte in tema di indennizzo. Del resto, la questione è sollevata sull'esplicito assunto che il legislatore altoatesino, nel dettare la normativa dedotta nella presente controversia, si è uniformato alla disciplina statale dichiarata illegittima con la suddetta pronuncia.
Va poi precisato che in un'ordinanza (R. ord. n. 458 del 1981) la violazione dell'art. 3 Cost. è delineata sotto un duplice profilo:
A) Una prima ingiustificata disparità di trattamento degli espropriati starebbe in ciò, che alle aree incluse nel perimetro del centro edificato è attribuito il valore della coltura più redditizia nel territorio comunale, mentre, fuori del centro edificato, il terreno è valutato esclusivamente sulla base del valore agricolo effettivo;
B) un'ulteriore irrazionalità della disciplina discenderebbe dall'avere la legge Provinciale previsto la maggiorazione del valore della coltura più redditizia, che viene moltiplicato per il coefficiente tre, sempre e solo con riguardo alle aree interne al centro edificato, laddove nessun correttivo del valore base della stima è consentito in relazione alle aree esterne al centro.
I criteri discretivi in base ai quali l'indennità è aumentata, e anche sensibilmente, nell'un caso e non nell'altro, sono quindi denunciati come lesivi del principio di eguaglianza, in punto di razionalità. Si assume, in definitiva, che essi non soltanto prescindono dal valore effettivo del bene espropriato, ma non hanno nemmeno alcuna razionale correlazione con il valore agricolo di base, al quale il legislatore Provinciale ha inteso riferirsi.
1.b. La seconda questione è prospettata alla Corte in via subordinata all'accoglimento di quella sollevata in via principale.
La norma qui denunciata, sempre in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., è l'art. 24 della legge n. 15/72. In tale disposizione (e nelle rimanenti altre della parte III della medesima legge: artt. 16-33 bis) è dettato un particolare regime per le cosiddette zone di espansione: ed è, infatti, in tali zone, che il terreno espropriato figura incluso, nei casi di specie sottoposti all'esame del Giudice remittente (cfr. R. ord. nn. 229, 622, 623 del 1982). La statuizione censurata dispone che, una volta costituita la comunione tra i proprietari interessati ai sensi dell'art. 21 della legge n. 15/72, il Comune acquisisce le aree (mediante cessione volontaria, ad un prezzo aumentato del 10%, rispetto alla stima), mentre la quota di proprietà dei dissenzienti è espropriata ai sensi della stessa legge n. 15 del 1972. Detta norma individua altresì il regime applicabile alla quota non destinata all'edilizia agevolata (cfr. art. 34, commi quarto, quinto e sesto T.U. 23 giugno 1970, n. 20).
La questione è in sostanza così formulata: una volta che la Corte abbia ritenuto fondata l'altra questione, proposta in via principale, il valore urbanistico dei terreni torna ad avere rilevanza ai fini della determinazione dell'indennità di esproprio; e allora, ad avviso del Giudice a quo, non può non tenersi conto del fatto che, nelle zone di espansione, il terreno della comunione, il quale residua allo stralcio di quello destinato all'edilizia abitativa agevolata ed è, si soggiunge, restituito agli espropriati, viene perciò stesso ad acquistare un pregio più elevato, subito registrato dal mercato. I proprietari dei fondi collocati fuori dalle aree urbane, che avevano destinazione originariamente agricola (aree verdi, ecc.), avrebbero il vantaggio che loro deriva dal perdere una parte del terreno ma dal riceverne un'altra. trasformata in area avente destinazione edilizia privata. Altrettanto accadrebbe per i terreni compresi nelle aree urbane, che hanno destinazione edilizia fin dall'origine. I relativi proprietari, prosegue il Giudice a quo, rimangono soggetti al rischio dell'espropriazione: la liquidazione del relativo indennizzo non corrisponde in alcun caso all'integrale riparazione, ma serve, semmai, a concretare il serio ristoro del sacrificio imposto al privato, secondo le disposizioni che il legislatore ordinario vorrà stabilire in seguito alla pronuncia di accoglimento della questione sollevata in via principale. Anche in questo caso, osserva la Corte d'Appello, il proprietario è privato di una parte dell'area ma ne acquista in compenso un'altra, destinata all'edilizia residenziale (cfr. art. 20 della legge); l'area restituita al proprietario è peraltro sottratta al rischio di ulteriori espropriazioni a favore dell'edilizia agevolata, è così affrancata dal titolo di espropriazione, che sarebbe «di gran lunga il più frequente». Sennonché, si tratterebbe di una locupletazione sine causa. Il vantaggio di cui verrebbe a fruire chi è espropriato in zona di espansione sarebbe anzi doppiamente ingiustificato: anzitutto, perché risulterebbe offeso il principio secondo cui l'indennità di esproprio può al massimo rappresentare il corrispettivo del sacrificio subito dal privato e non può eccederne il valore, giacché, se così fosse, si tratterebbe di un donativo, vietato ai sensi dell'art. 42, terzo comma, Cost.; in secondo luogo, perché sussisterebbe un'irrazionale diseguaglianza nel trattamento indennitario di chi subisce l'esproprio nelle zone di espansione, e di chi è invece espropriato in altra zona.
È pertanto chiesto a questa Corte di pronunciare una sentenza di illegittimità costituzionale dell'art. 24, primo comma, per la parte in cui, dove sono previsti il prezzo da versare e l'indennizzo da corrispondere rispettivamente ai proprietari consenzienti e a quelli dissenzienti, detta statuizione non dispone che da «tale prezzo ed indennizzo» si detragga «il plusvalore urbanistico dell'area restituita al proprietario ed irrevocabilmente destinata all'edilizia residenziale privata».
2. I giudizi instaurati con le ordinanze in esame, possono, data l'identità delle questioni, essere riuniti e congiuntamente decisi.
3. In ordine logico, viene anzitutto in considerazione la questione proposta in via principale (cfr. sopra n. 1.a). Cade qui opportuno un primo e preliminare rilievo, che concerne la normativa Provinciale oggetto della presente controversia. La Corte d'Appello di Trento ha con tutte le ordinanze in epigrafe sottoposto al giudizio di questo Collegio la legittimità costituzionale dei criteri che presiedono alla determinazione dell'indennità di esproprio. La questione, così come essa è formulata, rimane dunque circoscritta esclusivamente a quest'affetto della disciplina dettata dal legislatore altoatesino, che investe le aree, comprese nel centro edificato oppur no, alle quali il Giudice remittente riconosce, alla stregua della sentenza n. 5 del 1980, valore edificatorio. Ai fini dell'indagine demandata alla Corte rilevano, di conseguenza, solo quelle statuizioni del testo censurato, che si occupano dei criteri per la determinazione dell'indennità di esproprio: art. 12, primo comma, art. 13, primo comma, art. 15, terzo comma, della legge n. 15 del 1972.
Posto ciò, occorre subito esaminare l'eccezione di inammissibilità della questione, avanzata dalla difesa della Provincia di Bolzano e, nel giudizio introdotto con l'ordinanza n. 230 del 1982, dal patrocinio del Consorzio per i comuni di Ortisei, S. Cristina, Selva di Val Gardena e Frazioni Ladine di Castelrotto. Deducono, infatti, la Provincia ed il suddetto Consorzio che i terreni espropriati sono destinati negli strumenti urbanistici ad attrezzature collettive, o ad edilizia abitativa agevolata od economico/popolare: comunque, al perseguimento di scopi pubblicistici. Tali indicazioni di piano, si soggiunge, comportano dichiarazioni di pubblica utilità ai sensi dell'ordinamento urbanistico Provinciale, in quanto incidono su aree determinate e le assoggettano a vincoli preordinati all'espropriazione, o che determinano l'inedificabilità. Le indicazioni perdono efficacia e le relative aree sono considerate verde agricolo, qualora, entro i dieci anni dalla data di approvazione del piano urbanistico comunale, gli enti competenti non abbiano provveduto all'acquisizione (o all'esproprio) delle aree stesse (cfr. art. 16 T.U. 23 giugno 1970, n. 20: «Ordinamento urbanistico Provinciale»). Il che implicherebbe che le aree espropriate, prive di valore edificatorio in forza dei vigenti strumenti urbanistici, siano terreni agricoli e come tali vadano considerate anche dopo la richiesta declaratoria di incostituzionalità, la quale non potrebbe, dunque, influire sull'esito della causa di merito. Dalla difesa del Consorzio si eccepisce altresì che la questione è irrilevante per la definizione del giudizio a quo: il caso di specie, si dice, riguarda l'espropriazione di un'area che risulta edificata ed urbanizzata ai sensi dell'art. 36 del citato T.U. delle leggi Provinciali e perciò cade sotto il disposto del secondo comma dell'art. 12 della legge n. 15 del 1972, laddove la Corte d'Appello non censura questo comma, ma il primo ed il terzo comma della disposizione in parola.
Ora, né tale ultimo rilievo, né quello di ordine generale sopra riferito, possono essere condivisi. Con l'ordinanza n. 230 del 1982 si contesta pur sempre il criterio relativo al calcolo dell'indennizzo, in relazione al valore agricolo contemplato nel primo comma del citato art. 12: la disposizione del comma per ultimo richiamato è anzi, come sopra si diceva, la sola del testo censurato, che rilevi per il presente giudizio di legittimità costituzionale.
Del pari, va disatteso il punto di vista secondo cui l'irrilevanza della questione discende necessariamente dalle previsioni degli strumenti urbanistici, che sottrarrebbero l'area espropriata alla libera edificabilità del privato, collocandola fuori commercio e assoggettandola al vincolo posto in funzione del perseguimento degli scopi pubblicistici prefigurati dal legislatore Provinciale. Il fatto è che il Giudice a quo censura in radice le norme di legge, che disconoscerebbero il valore inerente alle aree sulle quali insiste il vincolo di inedificabilità o la destinazione del piano. La questione è appunto prospettata, in riferimento ai parametri invocati, e sulla traccia di un orientamento giurisprudenziale sancito anche da questa Corte, nel presupposto che il terreno espropriato ha potenzialità edificatoria indipendentemente dalle determinazioni degli strumenti urbanistici: e in base ad un complesso di elementi certi ed obiettivi, relativi all'ubicazione del terreno stesso, alla sua accessibilità, alla presenza di infrastrutture che attestano una concreta attitudine del suolo all'utilizzazione edilizia. Del resto, l'edificabilità, così intesa, può essere desunta, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, oltre che dall'ubicazione dell'area nel centro abitato, dall'esistenza di strade pubbliche, nelle immediate adiacenze, di collegamento con il nucleo urbano, dall'edificazione già iniziata nella zona, dalla presenza di servizi pubblici necessari alla vita cittadina, e da altri analoghi e puntuali elementi di valutazione, ai quali la Corte d'Appello di Trento fa riferimento, per i casi al suo esame, nelle parti motive dei provvedimenti di remissione. Questa Corte ha dal canto suo statuito, nella pronunzia n. 5 del 1980, che «per le aree destinate all'edificazione, in quanto poste in zone già interessate dallo sviluppo edilizio, deve ritenersi essenziale tale destinazione e di essa occorre tener conto nella determinazione della misura dell'indennità di espropriazione, da rapportare al valore del bene». Deve perciò ritenersi che la rilevanza della dedotta questione sussista: la declaratoria di incostituzionalità è richiesta in quanto indispensabile perché all'area espropriata sia attribuito quel valore, che, ad avviso del Giudice a quo, la normativa censurata trascura, e preclude, di prendere in considerazione.
3.a.-Nel merito, la questione è fondata. Le norme denunziate mancano di riferirsi alle essenziali caratteristiche del bene ablato, incorrendo per tal via nello stesso vizio di astrattezza e divergenza dalla realtà, che la Corte ha rinvenuto nel criterio di determinazione dell'indennizzo, adottato dalla legislazione statale, della quale la sentenza n. 5 del 1980 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale. Questo criterio, che lede gli artt. 3 e 42 Cost. è, infatti, per quanto qui interessa, sostanzialmente riprodotto nella normativa altoatesina oggetto di censura. La conclusione testé enunciata s'impone, poi, anche per la considerazione che la legge Provinciale, pur emanando dalla competenza primaria sotto vario riguardo garantita all'ente autonomo (cfr. artt. 4, 8, 5, 6, 10, 17, 22, L.Cost. 26 febbraio 1948 n. 5 (Statuto speciale del Trentino Alto Adige)) non può certo conformare il diritto di proprietà ed il regime di edificabilità del suolo in difformità dai principi che traggono supporto dal testo fondamentale e caratterizzano l'ordinamento giuridico dello Stato. Il risultato raggiunto nella sentenza n. 5 del l980 e in altre successive pronunzie di questa Corte (n. 13 del 1980, n. 223 del 1983), sempre in ordine alla disciplina costituzionale dell'indennità di esproprio, vale quindi, a fortiori, per l'attuale giudizio. Ciò dispensa la Corte dall'occuparsi di ogni residuo profilo della questione. Le altre censure formulate nelle ordinanze in esame risultano assorbite dalle osservazioni già svolte.
3.b.-Va però precisato che la Corte non ha mai ritenuto, né intende ora affermare, che il serio ristoro, garantito al privato, debba corrispondere all'integrale valore effettivo del bene espropriato. Detto valore viene bensì in rilievo, ma come criterio di riferimento, e non necessariamente, come misura, nella determinazione dell'indennità: il legislatore, anche quello Provinciale, gode allora, entro i limiti stabiliti in Costituzione, della discrezionalità di valutazione che giova a contemperare la scelta del valore effettivo con l'adozione di un qualche altro meccanismo normativo, sempre in modo, beninteso, che l'ammontare dell'indennizzo non scada sotto l'indispensabile livello di congruità. Se così è, il criterio del valore agricolo, qual è previsto nelle vigenti disposizioni altoatesine, non può ritenersi lesivo dei principi costituzionali invocati in questa sede, se riferito alle aree prive dell'attitudine edificatoria, intesa nel senso che sopra si è visto. Detto criterio potrebbe, d'altronde, essere ancora correttamente utilizzato in ordine alle stesse aree, che dell'attitudine edificatoria sono, invece, provviste: ma solo a condizione, è appena il caso di aggiungere, che esso sia inquadrato, secondo la formula che verrà prescelta dal legislatore Provinciale, in un nuovo, idoneo e razionale schema di previsione dell'indennità di esproprio, il quale tenga adeguatamente in conto anche il valore effettivo dell'immobile, come si è detto, in relazione alle sue essenziali e oggettive caratteristiche.
4. Resta da esaminare la questione (cfr. sopra n. 1.b) che il Giudice a quo solleva, con riguardo agli espropri delle aree situate nelle suddette zone di espansione, in subordine all'accoglimento dell'altra, posta in via principale.
La Corte d'Appello di Trento assume che, una volta riconosciuta la rilevanza del valore edificatorio nella determinazione dell'indennità di esproprio, il particolare regime delle zone di espansione, imperniato sulla comunione dei proprietari e sulla restituzione ai comunisti delle quote non destinate all'edilizia agevolata, determinerebbe un'ingiustificata locupletazione degli espropriati, con la conseguente violazione degli artt. 3 e 42, terzo comma, Cost.. La questione deve ritenersi inammissibile, anche a prescindere dalla considerazione, avanzata dalla difesa della Provincia, che la norma da censurare in questo caso fosse l'art. 21, e non, come si dice nelle ordinanze di rinvio, l'art. 24 della legge n. 15 del 1972. Soccorre in proposito più di un rilievo.
In primo luogo, si può dubitare se le censure mosse dal Giudice a quo nei confronti del citato art. 24 concernano le statuizioni regolatrici della specie, le quali hanno per oggetto esclusivamente l'esproprio ed il relativo indennizzo. La questione posta in via subordinata dalla Corte d'Appello di Trento, al pari di quella sollevata in via principale e sopra esaminata, non può, infatti, non riferirsi a queste previsioni della normativa Provinciale, le sole a rilevare per la definizione delle controversie demandate a detto Collegio. Con riguardo alle zone di espansione, la violazione degli artt. 3 e 42 Cost. è però argomentata in base alla complessiva disciplina del fenomeno, che investe la restituzione ai proprietari delle quote non destinate all'edilizia abitativa agevolata, e così trascende la sfera del regime indennitario in senso proprio. A parte ciò, occorre considerare come il Giudice a quo prospetti l'asserito plusvalore delle quote anzidette e l'irrazionale vantaggio, che l'espropriato lucrerebbe a differenza di chi subisce l'esproprio in altra zona. La Corte d'Appello di Trento ritiene che si tratti di necessarie ed immediate conseguenze dell'accoglimento della questione da essa posta in via principale. Questo, precisamente, è l'assunto su cui si basa la questione subordinata, ora in esame. Ma la situazione normativa conseguente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 12, primo comma, della legge n. 15 del 1972 dell'art. 13, primo comma, della legge n. 15 del 1972 dell'art. 15, terzo comma, della legge n. 15 del 1972, che la Corte ora pronunzia, si atteggia diversamente da come asserisce il Giudice remittente. Le conseguenze che egli ipotizza, va precisato, si verificherebbero solo se ed in quanto il legislatore altoatesino non tenesse conto, nel ridefinire il regime indennitario sotto i profili qui censurati, del trattamento di favore che nelle ordinanze di rinvio si assume riservato ai terreni e ai soggetti espropriati nelle zone di espansione. D'altra parte, non vi è alcun principio costituzionale che impedisca alla Provincia di Bolzano di adeguare opportunamente le previsioni in materia di indennizzo, che essa è chiamata ad adottare in conseguenza e conformità dell'attuale decisione, anche alle esigenze di una razionale disciplina dell'esproprio nelle zone di espansione, in considerazione del peculiare regime al quale queste soggiacciono.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara, limitatamente al regime dell'indennità di esproprio previsto per le aree comprese nel centro edificato o altrimenti provviste, in relazione alle oggettive caratteristiche del bene ablato, dell'attitudine edificatoria, l'illegittimità costituzionale:
a) dell'art. 12, primo comma, della legge 20 agosto 1972, n. 15 della Provincia di Bolzano(«Legge di riforma dell'edilizia abitativa»), come modificato dall'art. 5 della legge Provinciale 22 maggio 1978, n. 23 e dall'art. 20 della legge Provinciale 24 novembre 1980, n. 34;
b) dell'art. 13, primo comma, della legge 20 agosto 1972, n. 15, della Provincia di Bolzano come modificato dall'art. 7 della legge Provinciale 6 maggio 1976, n. 10 e dall'art. 7 della legge Provinciale 22 maggio 1978,n.23;
c) dell'art. 15, terzo comma, della legge 20 agosto 1972, n. 15, della Provincia di Bolzano come modificato dall'art. 9 della legge Provinciale 6 maggio 1976, n. 10;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, primo comma, della legge 20 agosto 1972, n. 15, della Provincia di Bolzano sollevata dalla Corte d'Appello di Trento, con le ordinanze nn. 229, 622, 623 del 1982, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost..
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