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Corte costituzionale - sentenza 20 febbraio 2018, n. 94
Legge 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, commi 709, 711, 723, lett a), terzo periodo e 730 – legge di stabilità 2016 – contabilità delle regioni e degli enti pubblici – non fondatezza del ricorso

Sentenza 20 febbraio 2018 (4 maggio 2018), n. 94; Pres. Lattanzi, Red. Carosi

 

Ritenuto in fatto 1.– La Provincia autonoma di Bolzano, con ricorso spedito per la notifica il 26 febbraio 2016 e depositato in cancelleria il 4 marzo 2016 (reg. ric. n. 10 del 2016), ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra le altre, dell’art. 1, commi 709, 711, secondo periodo, 723, lettera a), terzo periodo, e 730, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», per contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, con il principio di leale collaborazione, nonché con gli artt. 79, 80, 81 e 107 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e con gli artt. 17, 18, 19 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale).

1.1.– Il comma 709 stabilisce che «[a]i fini della tutela dell’unità economica della Repubblica, gli enti di cui al comma 1 dell’art. 9 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto delle disposizioni di cui ai commi da 707 a 734 del presente articolo, che costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione». Il secondo periodo del comma 711, nello specificare quanto stabilito dal comma 710 (non oggetto di impugnazione, ai sensi del quale «[a]i fini del concorso al contenimento dei saldi di finanza pubblica, gli enti di cui al comma 709 devono conseguire un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali, come eventualmente modificato ai sensi dei commi 723, 730, 731 e 732»), prevede che «[l]imitatamente all’anno 2016, nelle entrate e nelle spese finali in termini di competenza è considerato il fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto della quota riveniente dal ricorso all’indebitamento». Il comma 723, lettera a), terzo periodo, stabilisce che, «in caso di mancato conseguimento del saldo di cui al comma 710, nell’anno successivo a quello dell’inadempienza […] [g]li enti locali delle regioni Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta e delle province autonome di Trento e di Bolzano sono assoggettati ad una riduzione dei trasferimenti correnti erogati dalle medesime regioni o province autonome in misura pari all’importo corrispondente allo scostamento registrato». Infine, il comma 730 prevede che «[a]i fini della rideterminazione degli obiettivi di cui al comma 728 [che consente agli enti locali, previa autorizzazione regionale, di peggiorare il saldo per consentire un aumento degli impegni di spesa in conto capitale], le regioni e le province autonome definiscono criteri di virtuosità e modalità operative, previo confronto in sede di Consiglio delle autonomie locali e, ove non istituito, con i rappresentanti regionali delle autonomie locali. Per i medesimi fini, gli enti locali comunicano all’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), all’Unione delle province d’Italia (UPI) e alle regioni e alle province autonome, entro il 15 aprile ed entro il 15 settembre, gli spazi finanziari di cui necessitano per effettuare esclusivamente impegni in conto capitale ovvero gli spazi finanziari che sono disposti a cedere. Entro i termini perentori del 30 aprile e del 30 settembre, le regioni e le province autonome comunicano agli enti locali interessati i saldi obiettivo rideterminati e al Ministero dell’economia e delle finanze, con riferimento a ciascun ente locale e alla stessa regione o provincia autonoma, gli elementi informativi occorrenti per la verifica del mantenimento dell’equilibrio dei saldi di finanza pubblica anche con riferimento a quanto disposto dal comma 731. Gli spazi finanziari attribuiti e non utilizzati per impegni in conto capitale non rilevano ai fini del conseguimento del saldo di cui al comma 710».

1.2.– Premette la ricorrente che in forza del Titolo VI dello statuto reg. Trentino-Alto Adige/Südtirol, la Provincia autonoma di Bolzano gode di una particolare autonomia in materia finanziaria, sistema rafforzato dalla previsione di un meccanismo peculiare per la modificazione delle disposizioni recate dal medesimo Titolo VI, che ammette l’intervento del legislatore statale con legge ordinaria solo in presenza di una preventiva intesa con la Regione e le Province autonome, in applicazione dell’art. 104 dello stesso statuto.

La Provincia autonoma richiama il cosiddetto “Accordo di Milano” del 30 novembre del 2009, con il quale la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e di Bolzano hanno concordato con il Governo la modificazione del Titolo VI dello statuto e che ha condotto, ai sensi dell’art. 2, commi da 106 a 126, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», a un nuovo sistema di relazioni finanziarie con lo Stato. Successivamente è intervenuto l’accordo del 15 ottobre 2014 (cosiddetto “Patto di garanzia”), sempre tra lo Stato, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e di Bolzano, il quale ha portato a ulteriori modifiche del Titolo VI dello statuto di autonomia, sempre secondo la procedura rinforzata prevista dall’art. 104 dello statuto medesimo.

Tale ultima intesa, recepita con legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», avrebbe ulteriormente rinnovato, ai sensi dell’art. l, commi da 407 a 413, della medesima legge, il sistema di relazioni finanziarie con lo Stato. È previsto espressamente che nei confronti della Regione, delle Province e degli enti appartenenti al sistema territoriale regionale integrato non sono applicabili disposizioni statali che prevedono obblighi, oneri, accantonamenti, riserve all’erario o concorsi comunque denominati, ivi inclusi quelli afferenti al patto di stabilità interno, diversi da quelli previsti dal Titolo VI dello statuto speciale di autonomia e che sono la Regione e le Province autonome a provvedere, per sé e per gli enti del sistema territoriale regionale integrato di rispettiva competenza, alle finalità di coordinamento della finanza pubblica contenute in specifiche disposizioni legislative dello Stato, adeguando, ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), la propria legislazione ai principi costituenti limiti in virtù degli artt. 4 e 5, nelle materie individuate dallo statuto, adottando, conseguentemente, autonome misure di razionalizzazione e contenimento della spesa, anche orientate alla riduzione del debito pubblico, idonee ad assicurare il rispetto delle dinamiche della spesa aggregata delle amministrazioni pubbliche del territorio nazionale, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, per cui non si applicano le misure adottate per le Regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale.

In particolare, la Provincia autonoma di Bolzano richiama l’art. 79 dello statuto speciale che, al comma 2, definisce i termini e le modalità del concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica; al comma 3 stabilisce che sono le Province autonome a provvedere al coordinamento della finanza pubblica provinciale, nei confronti degli enti del loro territorio facenti parte del sistema territoriale regionale integrato e che sono le medesime a vigilare sul raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli stessi enti locali; al comma 4-quater prevede che, a decorrere dall’anno 2016, la Regione e le Province autonome conseguono il pareggio del bilancio come definito dall’art. 9 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma, della Costituzione), e che, a decorrere dall’anno 2018, ai predetti enti ad autonomia differenziata non si applicano il saldo programmatico di cui al comma 455 dell’art. l della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013)», e le disposizioni in materia di patto di stabilità interno in contrasto con il pareggio di bilancio di cui al primo periodo dello stesso comma 4-quater; infine, al comma 4-sexies prevede che, a decorrere dall’anno 2015, «il contributo in termini di saldo netto da finanziare di cui all’Accordo del 15 ottobre 2014 tra il Governo, la regione e le province è versato all’erario con imputazione sul capitolo 3465, articolo l, capo X, del bilancio dello Stato entro il 30 aprile di ciascun anno. In mancanza di tali versamenti all’entrata del bilancio dello Stato entro il 30 aprile e della relativa comunicazione entro il 30 maggio al Ministero dell’economia e delle finanze, quest’ultimo è autorizzato a trattenere gli importi corrispondenti a valere sulle somme a qualsiasi titolo spettanti alla regione e a ciascuna provincia relativamente alla propria quota di contributo, avvalendosi anche dell’Agenzia delle entrate per le somme introitate per il tramite della Struttura di gestione».

La ricorrente rammenta che l’art. 80, comma l, dello statuto, da ultimo sostituito dall’art. l, comma 518, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)», attribuisce alle Province autonome la potestà legislativa primaria in materia di finanza locale; l’art. 81, comma 2, dello statuto prevede inoltre che, allo scopo di adeguare le finanze dei Comuni al raggiungimento delle finalità e all’esercizio delle funzioni stabilite dalle leggi, le Province autonome corrispondono ai Comuni stessi idonei mezzi finanziari da concordare tra il Presidente della relativa Provincia e una rappresentanza unitaria dei rispettivi Comuni.

La Provincia autonoma di Bolzano evidenzia che il regime dei rapporti finanziari tra Stato e autonomie speciali è dominato dal principio dell’accordo e dal principio di consensualità (sono richiamate le sentenze n. 28 del 2016, n. 133 del 2010, n. 82 del 2007, n. 353 del 2004, n. 98 del 2000 e n. 39 del 1984 di questa Corte), definiti, per quanto riguarda la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e di Bolzano, dagli artt. 103, 104 e 107 dello statuto speciale.

Osserva che la previsione di una disciplina statale immediatamente e direttamente applicabile alla Provincia autonoma di Bolzano si pone in contrasto con l’art. 107 dello statuto e con il principio di leale collaborazione, in quanto determina una modificazione unilaterale da parte dello Stato dell’ordinamento provinciale.

Secondo la ricorrente, una modifica non potrebbe essere giustificata nemmeno con l’asserzione che le norme in questione costituirebbero principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost., ovvero tutelerebbero l’unità economica della Repubblica.

Nel richiamare alcuni precedenti di questa Corte (sentenze n. 482 del 1995, n. 354 del 1993 e n. 1033 del 1988), la ricorrente sottolinea come l’esplicita qualificazione, da parte del legislatore statale, di alcune disposizioni come “principio fondamentale” non risulterebbe vincolante tutte le volte in cui non vi sia corrispondenza con il relativo contenuto. In particolare, le norme oggetto del ricorso presenterebbero un contenuto immediatamente precettivo, di diretta applicazione, non compatibile con l’ordinamento statutario delle Province autonome. Nel caso di specie, il contrasto si produrrebbe con le norme statutarie che conferiscono a queste ultime la potestà legislativa esclusiva e la corrispondente potestà amministrativa in materia di finanza locale, soggetta al solo limite dei principi costituenti «norme di riforma economico-sociale», nonché con la funzione attribuita alle medesime dal coordinamento della finanza pubblica provinciale, che comprende la finanza locale.

Espone la Provincia autonoma di Bolzano che la legge di stabilità prescrive la cessazione dell’applicazione delle norme dell’ordinamento concernenti la disciplina del patto di stabilità interno degli enti locali a decorrere dall’anno 2016 e innova sostanzialmente l’ordinamento, introducendo un obiettivo di saldo non negativo per gli enti territoriali (commi da 707 a 734).

Nei confronti degli enti di cui al comma l dell’art. 9 della legge n. 243 del 2012, che comprendono le Regioni, le Province autonome e i Comuni, la nuova normativa dispone, ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica, che essi concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto delle disposizioni di cui ai commi da 707 a 734 della legge n. 208 del 2015, che costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi degli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost. In particolare, nei confronti dei predetti enti prevede (commi 709 e 710) che essi devono conseguire un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali (come eventualmente modificato ai sensi dei commi 728, 730, 731 e 732 della stessa legge di stabilità 2016).

Ai fini dell’applicazione della norma che introduce l’obbligo di conseguire un saldo non negativo (comma 710), è stabilito che «le entrate finali sono quelle ascrivibili ai titoli l, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e le spese finali sono quelle ascrivibili ai titoli l, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio» e che, «[l]imitatamente all’anno 2016, nelle entrate e nelle spese finali in termini di competenza è considerato il fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto della quota riveniente dal ricorso all’indebitamento» (comma 711).

Riferisce la ricorrente che sul piano tecnico-contabile è stato evidenziato in sede di «Conferenza delle Regioni del 3 febbraio 2016» che l’applicazione della predetta norma, limitata al 2016, comporterebbe che, dal 2017, tali poste di entrata e di spesa non possano essere considerate ai fini del rispetto dell’equilibrio di bilancio.

In particolare si osserva che il fondo pluriennale vincolato, in relazione alla nuova disciplina sull’armonizzazione dei sistemi contabili ( decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante «Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42»), rappresenta lo strumento per reimputare su esercizi successivi spese già impegnate, relativamente alle quali sussiste un’obbligazione giuridicamente perfezionata, ma che giungeranno a scadenza negli esercizi sui quali vengono reimputate. Trattandosi di spese già impegnate sull’esercizio in corso o su esercizi precedenti, le stesse risultano finanziariamente coperte con entrate dell’esercizio in cui sono state impegnate. Proprio per questo, l’operazione di reimputazione delle spese determina la costituzione di un fondo pluriennale tra le entrate del bilancio (alimentato con le risorse degli anni in cui erano state impegnate le spese) che serve per finanziare le spese negli anni in cui le stesse vengono reimputate. La quota del «fondo pluriennale vincolato di entrata» che non serve a coprire spese reimputate nell’esercizio, ma per spese reimputate negli esercizi successivi, è accantonata in un «fondo pluriennale vincolato di spesa».

Poiché - si prosegue - dal 2017, ai fini degli equilibri di finanza pubblica, gli enti territoriali non potranno considerare, tra le entrate, il saldo tra il «fondo pluriennale vincolato di entrata» e il «fondo pluriennale vincolato di spesa», tanto implicherebbe che l’ente debba trovare copertura, con risorse nuove di competenza, alle spese reimputate sul medesimo esercizio, restando inutilizzabili le risorse accantonate nel fondo pluriennale vincolato.

Sempre in sede tecnica («Conferenza delle Regioni») è stato anche osservato che le risorse del fondo pluriennale vincolato non rappresentano un “avanzo di amministrazione” non utilizzabile ai fini degli equilibri di bilancio di cui all’art. 9 della legge n. 243 del 2012, in quanto non si tratta di risorse non utilizzate derivanti da economie di spesa o da maggiori accertamenti di entrata, bensì di risorse utilizzate per coprire spese per le quali sussiste in capo all’ente un’obbligazione giuridicamente perfezionata, che giungerà a scadenza in un esercizio successivo.

Ciò implicherebbe che l’applicazione di una specifica regola contabile prevista dal d.lgs. n. 118 del 2011 andrebbe a incidere significativamente sull’autonomia finanziaria degli enti territoriali.

L’applicazione della regola in esame determinerebbe, per talune realtà territoriali, tra le quali la Provincia autonoma di Bolzano, un rilevante impatto in termini di investimenti realizzabili, in quanto renderebbe necessario rifinanziare con nuove risorse investimenti che già dispongono della relativa copertura.

La Provincia autonoma di Bolzano lamenta che tutte le disposizioni contenute nei commi da 707 a 734 siano definite dal comma 709 come «principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica», ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. e che le stesse disposizioni siano dichiaratamente finalizzate alla tutela dell’unità economica della Repubblica, laddove tale enunciazione di principio parrebbe richiamare implicitamente anche l’art. 120, secondo comma, Cost., che legittima l’intervento statale nell’esercizio del potere sostitutivo quando lo richieda la «tutela dell’unità economica».

Obietta tuttavia la Provincia autonoma che la qualificazione nominalistica di determinate norme come “principi fondamentali” da parte del legislatore statale non è vincolante qualora il contenuto concreto delle medesime non sia corrispondente, secondo l’indirizzo più volte espresso da questa Corte (sono richiamate le sentenze n. 482 del 1995, n. 355 del 1994, n. 354 del 1993 e n. 1033 del 1988).

Secondo la ricorrente, le predette disposizioni avrebbero contenuto immediatamente precettivo, di diretta applicazione, e in parte non sarebbero compatibili con l’ordinamento statutario delle Province autonome. Esse, pertanto, risulterebbero incoerenti, per non dire in contrasto, con la formula di salvaguardia secondo cui sono applicabili «compatibilmente», rendendola vana, in quanto, nelle parti in cui sono dettate espressamente per le Province autonome nonché per gli enti locali (Comuni) del rispettivo territorio, non lascerebbero spazio all’interpretazione e, nelle parti in cui sono dettate indirettamente per le Province autonome e per gli enti locali del relativo territorio, mediante rinvio all’art. 9 della legge n. 243 del 2012, non li escludono espressamente.

Si renderebbe pertanto necessario impugnare la norma generale di cui al comma 709, che prescrive anche alle Province autonome il rispetto di tutte le disposizioni contenute nei commi da 707 a 734 della legge in esame, anziché solamente dei principi desumibili dai predetti commi, e le disposizioni che si riferiscono espressamente alle Province autonome (comma 723, lettera a, terzo periodo, e comma 730), nonché il comma 711, secondo periodo, il quale limita al solo anno 2016 la considerazione del fondo pluriennale vincolato nelle entrate e nelle spese finali in termini di competenza.

2.– La Provincia autonoma di Trento, con ricorso spedito per la notificazione il 29 febbraio 2016 e depositato in cancelleria il 10 marzo 2016 (reg. ric. n. 20 del 2016), ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra le altre, dell’art. 1, commi 709, 711, secondo periodo, 723 lettera a), terzo periodo, e 730, della legge n. 208 del 2015, per contrasto con gli artt. 97, secondo comma, 117, terzo comma, e 119 Cost., nonché con gli artt. 79, 80 e 81 dello statuto reg. Trentino-Alto Adige/Südtirol e con l’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra gli atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento).

Espone la ricorrente che i commi 709, 711, secondo periodo, 723, lettera a), terzo periodo, e 730 fanno parte di un gruppo di disposizioni che, posto il passaggio dal metodo del patto di stabilità a quello dell’equilibrio di bilancio, determinato dal comma 707, stabiliscono le regole del nuovo sistema, anche in attuazione dell’art. 9 della legge n. 243 del 2012. La Provincia ricorrente non contesta, sul piano generale, tale passaggio, ma non può non rilevare che talune disposizioni presenterebbero diversi aspetti di dissonanza dal quadro statutario, quale concordato con lo Stato. Con riferimento al comma 709, la ricorrente osserva che tale comma sarebbe costituzionalmente illegittimo in quanto, qualificando come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica anche disposizioni specifiche e dettagliate, intenderebbe porre a essa vincoli ulteriori rispetto a quelli previsti dallo statuto, dato che i richiamati commi da 707 a 734 avrebbero per lo più contenuti specifici ed estremamente dettagliati e alcuni non riguarderebbero neppure il sistema delle autonomie territoriali (quali, ad esempio, i commi 717 e 718). In definitiva, i commi da 704 a 734 costituirebbero un coacervo non unitario, talora espressione di competenze statali fondate su altro titolo, ma in ogni caso insuscettibile di essere unificato sotto il titolo di «principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica» e di essere imposto a tale titolo, mediante autoqualificazione della norma, alla ricorrente Provincia autonoma.

In merito al fondo pluriennale vincolato di cui all’impugnato comma 711, secondo periodo, la Provincia autonoma di Trento contesta la limitazione della facoltà di utilizzo del fondo al solo anno 2016, da cui deriverebbe che, a partire dal 2017, dovranno essere impiegate, a copertura delle spese del fondo, nuove entrate dell’anno sul quale vengono riprogrammate le spese medesime, con conseguente congelamento delle risorse disponibili già previste. Da ciò conseguirebbe, dunque, una compressione del principio di autonomia finanziaria sul lato della spesa, principio implicitamente accolto dallo statuto per far fronte all’esercizio delle funzioni assegnate agli enti ad autonomia differenziata.

Inoltre, la limitazione del ricorso al fondo pluriennale vincolato sarebbe in contrasto con l’art. 79, comma 4-quater, dello statuto, che pone come obiettivo la neutralità finanziaria per i saldi di finanza pubblica, definita tramite intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze.

Infine, la ricorrente sottolinea come il vincolo posto dalla legge di stabilità si porrebbe in contrasto con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione previsto dall’art. 97, secondo comma, Cost., perché precluderebbe la realizzazione di programmi di investimento finanziati dalle entrate accantonate nel fondo vincolato.

La Provincia autonoma di Trento sviluppa poi nel dettaglio le censure relative ai commi 723, lettera a), terzo periodo, e 730 (entrambi a regime a partire dal 2018, ai sensi del comma 734, non oggetto di impugnazione), denunciandone il contrasto con le norme statutarie che affidano all’ente ad autonomia differenziata la disciplina dei rapporti finanziari con gli enti locali della Provincia, oltre che con l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992.

La ricorrente sottolinea l’invasione della competenza legislativa provinciale in materia di finanza locale e, più in generale, del potere di vigilanza e coordinamento della Provincia nei confronti degli «enti del sistema territoriale integrato» previsto dagli artt. da 79 a 81 dello statuto speciale. In particolare, risulterebbero violati l’art. 80, comma, 1, laddove attribuisce alla ricorrente competenza legislativa primaria in materia di finanza locale, e l’art. 79, comma 3, che affida alle Province autonome il compito di coordinare la finanza pubblica provinciale, definendo i concorsi e gli obblighi nei confronti degli enti del sistema territoriale integrato, e di vigilare sul raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica. A questo proposito, la ricorrente sottolinea che il potere di vigilanza includerebbe, per costante giurisprudenza costituzionale, anche la competenza in materia di sanzioni per la mancata osservanza delle regole. Vi sarebbe poi una lesione del comma 4 del citato art. 79, che sancisce l’inapplicabilità, agli enti del sistema territoriale integrato, delle norme statali che fissano «obblighi, oneri, accantonamenti, riserve all’erario o concorsi comunque denominati, ivi inclusi quelli afferenti il patto di stabilita` interno, diversi da quelli previsti dal presente titolo». A tutela dell’assetto testé citato, l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 esclude la possibilità per lo Stato di disciplinare immediatamente le materie di competenza provinciale, spettando invece alla Provincia un potere-dovere di adeguamento della normativa.

Considerazioni in parte analoghe sono riservate alla seconda disposizione summenzionata. Il comma 730 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015 porrebbe norme dettagliate e direttamente applicative, di natura procedurale, nel caso in cui la Provincia autonoma decida di autorizzare uno scostamento degli enti locali dalla regola del saldo non negativo, per consentire un aumento degli impegni di spesa in conto capitale (art. 1, comma 728, della legge n. 208 del 2015). La norma, di diretta applicazione nei confronti della Provincia autonoma e di dettaglio, attribuirebbe allo Stato una generale competenza a disciplinare il rapporto della medesima Provincia con gli enti locali del proprio territorio, in violazione dello statuto e della normativa di attuazione.

3.– La Regione autonoma Sardegna, con ricorso spedito per la notificazione il 29 febbraio 2016 e depositato in cancelleria il 7 marzo 2016 (reg. ric. n. 13 del 2016), ha promosso, tra le altre, questioni di costituzionalità dell’art. 1, comma 711, della legge n. 208 del 2015, per violazione degli artt. 3, 81, 117, 118 e 119 Cost. e degli artt. 7 e 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).

Ad avviso della ricorrente, la scelta di limitare al solo anno 2016 la rilevanza del fondo pluriennale vincolato determinerebbe un irragionevole sacrificio della sua autonomia finanziaria.

Evidenzia in proposito la Regione autonoma Sardegna che dall’esercizio 2017, ai sensi del comma 711, ai fini degli equilibri di finanza pubblica, gli enti territoriali non potranno più considerare tra le entrate il saldo tra il «fondo pluriennale vincolato di entrata» e il «fondo pluriennale vincolato di spesa». Ne conseguirebbe che ciascun ente (ivi comprese le Regioni) dovrà trovare copertura, con risorse nuove di competenza, alle spese reimputate sul medesimo esercizio, non potendo utilizzare quelle accantonate nel fondo pluriennale vincolato. Tale circostanza comporterebbe una rilevante compressione dell’autonomia finanziaria degli enti territoriali, perché irrigidisce le condizioni alle quali le Regioni possono essere considerate con i «saldi in equilibrio», ai sensi del comma 709. Tale irrigidimento, però, secondo la Regione, sarebbe del tutto irragionevole e ingiustificato. In primo luogo, perché l’inclusione nel saldo del fondo pluriennale vincolato per il solo esercizio 2016 creerebbe un’evidente difficoltà nella costruzione del bilancio finanziario su base triennale, come previsto dal comma 712 della legge di stabilità 2016, che impone di allegare al bilancio un prospetto contenente le previsioni di competenza triennali rilevanti in sede di rendiconto ai fini della verifica del rispetto del saldo finale di competenza. In secondo luogo, perché la rilevanza del fondo pluriennale vincolato, per quanto concerne sia le voci di entrata che le voci di spesa, limitata al solo anno 2016, comporterebbe che le poste residue del fondo pluriennale che saranno effettivamente riscosse negli anni dal 2017 in avanti non verranno considerate al fine dell’equilibrio dei saldi; per converso, le poste residue del fondo pluriennale effettivamente impiegate in uscita saranno considerate al fine dell’equilibrio dei saldi. Ne consegue che le poste in uscita impiegate a partire dal 2017 dovranno sostanzialmente essere rifinanziate, nonostante che le risorse in entrata per il loro finanziamento siano state già individuate e contabilizzate per il tramite del fondo pluriennale vincolato.

Per tale ragione il comma 711, nella parte in cui limita al solo anno 2016 la rilevanza del saldo del fondo pluriennale di entrata e di spesa, risulterebbe irragionevole e violerebbe gli artt. 3, 81, 117 e 119 Cost. e 7 e 8 dello statuto reg. Sardegna, producendo l’irragionevole effetto di richiedere agli enti territoriali, tra cui la Regione autonoma Sardegna, di stanziare ulteriori risorse per spese che trovano già la loro copertura nel fondo pluriennale vincolato, determinando un irragionevole sacrificio della loro autonomia finanziaria, protetta dagli artt. 7 e 8 dello statuto e 117 e 118 Cost.

Secondo la ricorrente, la mancata considerazione del saldo del fondo pluriennale di spesa comporterebbe anche la violazione del principio di veridicità dei bilanci pubblici, di cui all’art. 81 Cost. In particolare, dato che non si verificherebbe l’effetto di «neutralizzazione» temporale cui è preordinato il fondo pluriennale vincolato secondo le prescrizioni del d.lgs. n. 118 del 2011, gli enti territoriali vincolati dal comma 711 si troveranno ad aver accumulato poste in entrata non utilizzabili e, per converso, a doverne stanziare di nuove a copertura di spese già finanziate. Tanto integrerebbe anche la violazione delle disposizioni costituzionali e statutarie che proteggono l’autonomia economico-finanziaria della Regione autonoma Sardegna (art. 7 e 8 dello statuto e 117 e 119 Cost.). L’art. 117 Cost., risulterebbe ulteriormente violato in quanto l’imposizione di tale vincolo nei confronti delle Regioni costituirebbe un esercizio illegittimo della competenza legislativa concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica» ex art. 117, terzo comma, Cost. Il legislatore statale, nella sostanza, non avrebbe fissato un principio di contenimento della spesa collegato all’attuazione dell’art. 81 Cost., bensì avrebbe determinato un vincolo specifico, arbitrario e illimitato nel tempo sugli “spazi” economico-finanziari delle Regioni.

4.– Con riferimento a tutti i ricorsi si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che siano dichiarate infondate le questioni di legittimità costituzionale prospettate.

In via generale, la difesa dello Stato sottolinea la non applicabilità agli enti ad autonomia differenziata delle disposizioni impugnate. Il comma 992 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015 prevede, infatti, che «[l]e disposizioni della presente legge sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le disposizioni dei rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2005, n. 3».

Ne deriverebbe, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la non fondatezza delle questioni di legittimità prospettate, perché la clausola di salvaguardia eliminerebbe in radice qualsiasi dubbio circa la legittimità costituzionale delle disposizioni oggetto del ricorso. A supporto di tale argomentazione la difesa erariale richiama le pronunce di questa Corte (sentenze n. 241 del 2012 e n. 215 del 2013), che hanno stabilito come, in presenza di una clausola di salvaguardia, la questione di legittimità costituzionale debba essere dichiarata non fondata, perché, ove il contrasto non sussista, ovviamente non vi sarebbe alcuna violazione della normativa statutaria, mentre, in caso di incompatibilità, la clausola impedirebbe l’applicazione alle ricorrenti della normativa censurata.

In ogni caso, al netto della clausola di salvaguardia, secondo la difesa statale le disposizioni impugnate costituirebbero piena attuazione del coordinamento della finanza pubblica di cui agli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost.

5.– Tutte le ricorrenti e il Presidente del Consiglio dei ministri hanno depositato memorie sia in prossimità dell’udienza del 9 maggio 2017 che in prossimità di quella successiva del 20 febbraio 2018, con le quali hanno ribadito e sviluppato le argomentazioni contenute negli atti precedenti.

Considerato in diritto 1.– Con i ricorsi indicati in epigrafe la Provincia autonoma di Bolzano, la Provincia autonoma di Trento e la Regione autonoma Sardegna hanno promosso, tra le altre, secondo quanto qui di seguito specificato, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 709, 711, 723, lettera a), terzo periodo, e 730, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 81, 97, secondo comma, 117, 118 e 119 della Costituzione, al principio di leale collaborazione, agli artt. 79, 80, 81 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), agli artt. 7 e 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) nonché in relazione agli artt. 17, 18 e 19 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale) e all’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento).

1.1.– In particolare, la Regione autonoma Sardegna ha impugnato il solo comma 711 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, in riferimento agli artt. 3, 81, 117, 118 e 119 Cost., nonché 7 e 8 della legge cost. n. 3 del 1948.

1.2.– Le questioni sollevate dalle Province autonome di Bolzano e di Trento possono essere accorpate secondo la seguente articolazione.

1.2.1.– La Provincia autonoma di Bolzano sostiene che l’art. 1, comma 709, della legge n. 208 del 2015 sia costituzionalmente illegittimo in quanto qualificherebbe come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., norme dettagliate con contenuto immediatamente precettivo e, in quanto tali, non compatibili con il d.P.R. n. 670 del 1972.

Secondo la Provincia autonoma di Trento, il citato comma 709 sarebbe costituzionalmente illegittimo in quanto, qualificando come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica anche disposizioni specifiche e dettagliate, intenderebbe porre vincoli ulteriori rispetto a quelli previsti dallo statuto speciale.

1.2.2.– La Provincia autonoma di Bolzano censura il successivo comma 711, laddove, ai fini della determinazione delle entrate e delle spese valevoli per l’equilibrio di bilancio, limita al solo anno 2016 la considerazione del fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto della quota proveniente dal ricorso all’indebitamento.

Ciò comporterebbe che, dall’esercizio 2017, tali poste di entrata e di spesa non possano essere considerate per il rispetto dell’equilibrio di bilancio.

Poiché, ai fini degli equilibri di finanza pubblica, dal 2017 gli enti territoriali non potrebbero considerare, tra le entrate, il saldo tra il «fondo pluriennale vincolato di entrata» e il «fondo pluriennale vincolato di spesa», essi dovrebbero trovare copertura, con risorse nuove di competenza, alle spese reimputate sul medesimo esercizio, restando inutilizzabili quelle accantonate nel fondo pluriennale vincolato. La Provincia autonoma di Bolzano richiama inoltre alcuni passaggi del verbale della «Conferenza delle Regioni» relativi al problematico regime dell’avanzo di amministrazione e del fondo pluriennale vincolato.

1.2.3.– La Provincia autonoma di Bolzano lamenta inoltre che l’art. 1, commi 723, lettera a), terzo periodo, e 730, della legge n. 208 del 2015 abbia dettato norme che interferirebbero in modo evidente con l’assetto dei rapporti finanziari intercorrenti tra le Province autonome e lo Stato, che comprende anche la finanza dei Comuni del territorio provinciale.

Con riguardo al menzionato comma 723, lettera a), terzo periodo, la Provincia autonoma di Trento sottolinea l’invasione della competenza legislativa provinciale in materia di finanza locale e, più in generale, del potere di vigilanza e coordinamento della Provincia autonoma nei confronti degli «enti del sistema territoriale integrato» previsto dallo statuto speciale. In particolare, risulterebbero violati l’art. 80, comma 1, dello statuto, laddove attribuisce alla ricorrente competenza legislativa primaria in materia di finanza locale, e l’art. 79, comma 3, dello statuto, che affida alle Province autonome il compito di coordinamento, definendo i concorsi e gli obblighi nei confronti degli enti del sistema territoriale integrato, e di vigilare sul raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica.

1.2.4.– In ordine all’art. 1, comma 730, della legge n. 208 del 2015, le Province autonome di Bolzano e di Trento evocano, come meglio specificato nella parte narrativa della presente sentenza, gli artt. 79, 80, 81 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, gli artt. 17 e 18 del d.lgs. n. 268 del 1992 e l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992.

La Provincia autonoma di Bolzano deduce che il fondo pluriennale vincolato, in relazione alla nuova disciplina sull’armonizzazione dei sistemi contabili recata dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), rappresenterebbe lo strumento per reimputare su esercizi successivi spese già impegnate, relativamente alle quali sussiste un’obbligazione giuridicamente perfezionata, ma che giungeranno a scadenza negli esercizi sui quali vengono reimputate. Trattandosi di spese già impegnate sull’esercizio in corso o su esercizi precedenti, le stesse risulterebbero finanziariamente coperte con entrate dell’esercizio in cui sono state impegnate.

Conseguentemente, il fatto che, dall’anno 2017, ai fini degli equilibri di finanza pubblica gli enti territoriali non possano considerare nel novero delle entrate il saldo tra il «fondo pluriennale vincolato di entrata» e il «fondo pluriennale vincolato di spesa», renderebbe necessaria per l’ente la ricerca di una nuova copertura al fine di fronteggiare con risorse di competenza spese reimputate sul medesimo esercizio, restando irragionevolmente inutilizzabili le risorse accantonate in attuazione di interventi pianificati negli esercizi precedenti.

L’applicazione della regola in esame determinerebbe, per talune realtà territoriali, tra le quali la Provincia autonoma di Bolzano e i propri enti locali, un rilevante impatto sfavorevole, in quanto renderebbe necessario rifinanziare con nuove risorse investimenti che già disporrebbero della relativa copertura, assicurata con risorse degli esercizi nei quali essi sono stati programmati e finanziati.

In particolare, dette norme non sarebbero compatibili con le previsioni statutarie che attribuiscono alle Province autonome la potestà legislativa esclusiva, e la corrispondente potestà amministrativa, in materia di finanza locale.

La Provincia autonoma di Trento svolge analoghe censure. In particolare, ritiene illegittimo l’art. 1, comma 730, della legge n. 208 del 2015 in quanto detterebbe in tema di avanzo di amministrazione e fondo pluriennale vincolato norme dettagliate direttamente applicative. Non competerebbe allo Stato né determinare regole in materia di finanza provinciale, né strutturare i saldi di finanza pubblica in modo tale da ledere l’autonomia provinciale in relazione ai principi di programmazione e di buon andamento dell’amministrazione. La norma disporrebbe un indebito accantonamento di risorse degli enti territoriali provinciali appositamente conservate per i pertinenti investimenti nel fondo pluriennale vincolato.

2.– Poiché i ricorsi vertono su disposizioni parzialmente coincidenti risulta opportuna la riunione dei relativi giudizi ai fini di una decisione congiunta, riservando a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con i medesimi ricorsi.

3.– Preliminarmente, occorre evidenziare che, successivamente alla loro proposizione, l’art. 1, comma 463, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), ha disposto che «[a] decorrere dall’anno 2017 cessano di avere applicazione i commi da 709 a 712 e da 719 a 734 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208. Restano fermi gli adempimenti degli enti territoriali relativi al monitoraggio e alla certificazione del saldo di cui all’art. 1, comma 710, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, nonché l’applicazione delle sanzioni in caso di mancato conseguimento del saldo 2016, di cui al medesimo comma 710, accertato ai sensi dei commi da 720 a 727 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 […]».

Sempre in via preliminare va rilevato che, con deliberazione della Giunta regionale del 13 febbraio 2018, la Regione autonoma Sardegna ha rinunciato al ricorso. Al riguardo va dichiarata la cessazione della materia del contendere, non essendo intervenuta accettazione della rinuncia a opera del resistente né risultando un contrario interesse di questo a coltivare il giudizio.

4.– Ciò posto, è pregiudiziale l’esame dell’eccezione sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, con la quale viene prospettata l’infondatezza di tutte le questioni in ragione della clausola di salvaguardia enunciata dall’art. 1, comma 992, della legge n. 208 del 2015.

L’eccezione non è fondata.

Questa Corte, pronunciandosi proprio in merito a detta clausola di salvaguardia, ha precisato che «[l]’art. l, comma 992, della legge n. 208 del 2015, introdotto nel corso dell’esame al Senato al precipuo scopo di tutelare le autonomie speciali (emendamento 50.0.14), non contempla una mera formula di stile, priva di significato normativo, ma ha la precisa funzione di rendere applicabili le disposizioni della medesima legge agli enti ad autonomia differenziata, a condizione che tali disposizioni non siano lesive delle prerogative regionali e provinciali. L’operatività delle clausole di salvaguardia deve essere esclusa nei particolari casi in cui singole norme di legge, in virtù di una previsione espressa, siano direttamente e immediatamente applicabili agli enti ad autonomia speciale (fra le tante, sentenza n. 40 del 2016). Si deve dunque verificare, con riguardo alle singole disposizioni impugnate, se esse si rivolgano espressamente anche agli enti dotati di autonomia speciale, con l’effetto di neutralizzare la portata della clausola generale» (sentenza n. 191 del 2017).

Ebbene, poiché le norme impugnate annoverano direttamente le ricorrenti (e i rispettivi enti locali) tra i destinatari delle previsioni ritenute lesive dell’autonomia speciale, non è possibile, come vorrebbe lo Stato, escludere a priori e in generale la loro lesività, ma occorre esaminare le singole disposizioni, valutandosi se risulti di volta in volta contraddetta e vanificata la garanzia posta dalla clausola di salvaguardia (sentenza n. 40 del 2016), specie laddove le censure delle ricorrenti si appuntino, come nel caso in esame, non sui principi espressi in dette disposizioni, ma sul loro contenuto dettagliato e immediatamente precettivo.

5.– Le questioni sollevate dalla Provincia autonoma di Bolzano e dalla Provincia autonoma di Trento nei confronti dell’art. 1, comma 709, della legge n. 208 del 2015 non sono fondate nei termini di seguito specificati.

Il citato comma 709 stabilisce che «[a]i fini della tutela dell’unità economica della Repubblica, gli enti di cui al comma 1 dell’art. 9 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto delle disposizioni di cui ai commi da 707 a 734 del presente articolo, che costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione».

Questa Corte ha più volte affermato che l’autoqualificazione operata dal legislatore è priva di carattere precettivo e non determina alcun effetto vincolante (ex plurimis, sentenze n. 121 e n. 39 del 2014). È l’esame analitico del «contenuto normativo», dell’«oggetto» e dello «scopo» della singola disposizione che ne delinea il significato precettivo (sentenza n. 39 del 2014). Solo l’analisi delle restanti diposizioni impugnate è in grado di svelare la correttezza della qualificazione legislativa e cioè se effettivamente esse esprimano principi di coordinamento della finanza pubblica oppure, come sostengono le ricorrenti, se contengano altresì norme specifiche e dettagliate: in tal senso, per dirimere la questione sottoposta all’attenzione di questa Corte, lo scrutinio del comma 709 non può essere considerato a sé stante, ma deve essere condotto di pari passo all’esame compiuto sulle disposizioni cui l’autoqualificazione accede. Di per sé, quindi, il comma 709 non presenta profili di incostituzionalità se non attraverso l’associazione con norme specificamente in contrasto con i caratteri del coordinamento della finanza pubblica. Tale patologica combinazione è stata dedotta dalle parti in giudizio per le disposizioni oggetto di successivo scrutinio. All’esito di non fondatezza di tali questioni consegue analoga pronuncia per la disposizione in esame.

6.– Le censure relative all’art. 1, commi 711, secondo periodo, e 730, della legge n. 208 del 2015 sono caratterizzate da un indissolubile intreccio, in particolare con riguardo agli istituti dell’avanzo di amministrazione e del fondo pluriennale vincolato, e meritano pertanto uno scrutinio contestuale.

L’applicazione di tali norme determinerebbe per talune realtà territoriali, tra le quali le Province ricorrenti, un rilevante impatto, in quanto renderebbe necessario rifinanziare con nuove risorse investimenti che già dispongono della relativa copertura. Infatti, sia l’avanzo di amministrazione che il fondo pluriennale vincolato comportano la conservazione di risorse accertate in esercizi precedenti per una diacronica utilizzazione secondo le finalità programmate nei predetti antecedenti programmi. Ed è proprio il timore che i meccanismi contabili ipotizzati dal legislatore nazionale possano pregiudicare l’esecuzione di interventi già pianificati e finanziati secondo un fisiologico cronoprogramma a ispirare le impugnative delle Province ricorrenti.

Tanto premesso, le questioni non sono fondate nei sensi appresso specificati.

Il secondo periodo dell’art. 1, comma 711, della legge n. 208 del 2015, nello specificare quanto stabilito dal precedente comma 710 (non oggetto di impugnazione) – ai sensi del quale, «[a]i fini del concorso al contenimento dei saldi di finanza pubblica, gli enti di cui al comma 709 devono conseguire un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali, come eventualmente modificato ai sensi dei commi 728, 730, 731 e 732» – prevede che, «[l]imitatamente all’anno 2016, nelle entrate e nelle spese finali in termini di competenza è considerato il fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto della quota riveniente dal ricorso all’indebitamento».

Il comma 730 del medesimo articolo dispone che, «[a]i fini della rideterminazione degli obiettivi di cui al comma 728, le regioni e le province autonome definiscono criteri di virtuosità e modalità operative, previo confronto in sede di Consiglio delle autonomie locali e, ove non istituito, con i rappresentanti regionali delle autonomie locali. Per i medesimi fini, gli enti locali comunicano all’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), all’Unione delle province d’Italia (UPI) e alle regioni e alle province autonome, entro il 15 aprile ed entro il 15 settembre, gli spazi finanziari di cui necessitano per effettuare esclusivamente impegni in conto capitale ovvero gli spazi finanziari che sono disposti a cedere. Entro i termini perentori del 30 aprile e del 30 settembre, le regioni e le province autonome comunicano agli enti locali interessati i saldi obiettivo rideterminati e al Ministero dell’economia e delle finanze, con riferimento a ciascun ente locale e alla stessa regione o provincia autonoma, gli elementi informativi occorrenti per la verifica del mantenimento dell’equilibrio dei saldi di finanza pubblica anche con riferimento a quanto disposto dal comma 731. Gli spazi finanziari attribuiti e non utilizzati per impegni in conto capitale non rilevano ai fini del conseguimento del saldo di cui al comma 710».

Le Province autonome di Trento e di Bolzano lamentano che con le norme impugnate il legislatore statale avrebbe escluso la collocazione del fondo pluriennale vincolato tra le poste di entrata e di spesa valevoli ai fini del rispetto dell’equilibrio di bilancio. Analoga sorte avrebbe riguardato l’avanzo di amministrazione.

La lesione determinata dalla disposizione impugnata si sarebbe concretata proprio con il mancato utilizzo, a partire dall’anno 2017, del fondo pluriennale vincolato, limite venuto poi meno grazie all’intervento della legge n. 232 del 2016, che, con l’art. 1, comma 466, ne ha esteso l’impiego ai futuri esercizi finanziari (2017, 2018 e 2019).

Se, da un lato, non si può disconoscere che l’intervenuta previsione sia almeno parzialmente satisfattiva delle esigenze manifestate dalle ricorrenti – dato che, con i ricorsi in esame, esse richiedono proprio un’estensione dell’impiego del predetto fondo negli esercizi finanziari successivi fino alla fine del triennio 2016-2018 – dall’altro è necessario ricordare come la normativa in esame sia stata assoggettata da questa Corte a interpretazione adeguatrice con le precedenti sentenze n. 247 e n. 252 del 2017. Non è invece in discussione in questa sede la reintroduzione della regola contestata a decorrere dall’esercizio 2020 per effetto del medesimo art. 1, comma 466, della legge n. 232 del 2016. Tale reintroduzione è fatta oggetto di autonoma impugnazione attraverso successivi ricorsi, tra cui quelli delle medesime Province autonome (reg. ric. n. 20 e n. 24 del 2017).

L’art. 1, comma 730, della legge n. 208 del 2015 detta prescrizioni di natura procedurale che si inseriscono nell’ambito del cosiddetto patto di solidarietà tra enti territoriali, disciplinato dall’art. 1, commi da 728 a 732, della medesima legge. Tale patto consente agli enti locali di ricorrere all’indebitamento per finanziare spese di investimento, a condizione che sia rispettato un duplice requisito: a) la definizione di appositi piani di ammortamento; b) il rispetto, per il complesso degli enti di ciascuna Regione, dell’equilibrio di bilancio.

Il patto di solidarietà permette il ricorso all’indebitamento per spese di investimento purché sia rispettata la regola posta dal citato comma 728 – a sua volta riproduttiva dell’art. 10, comma 3, della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma, della Costituzione) – ma pretende il rispetto dell’obiettivo finanziario a livello regionale, mediante un contestuale miglioramento compensativo, di pari importo, del saldo dei restanti enti locali della Regione e delle Province ricorrenti.

Pertanto – come già rilevato – il combinato delle disposizioni impugnate, malgrado una non perfetta corrispondenza, risulta sostanzialmente analogo a quello già scrutinato da questa Corte a proposito delle norme introdotte dalla legge 12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali), in tema di utilizzazione dell’avanzo di amministrazione e del fondo pluriennale vincolato.

Con i ricorsi iscritti ai numeri 68, 69, 70, 71 e 74 del registro ricorsi dell’anno 2016 era stato, infatti, impugnato, l’art. 1, comma 1, lettere b) ed e), della legge n. 164 del 2016 sulla base dell’assunto secondo cui tale norma avrebbe precluso l’utilizzazione dell’avanzo di amministrazione e del fondo pluriennale vincolato alle loro naturali scadenze. Con due distinte pronunce (sentenze n. 252 e n. 247 del 2017) questa Corte ha respinto tale interpretazione, adottandone un’altra costituzionalmente adeguata.

Quanto all’avanzo di amministrazione, è stato affermato che le intese in ordine alla volontaria messa a disposizione da parte degli enti territoriali del proprio avanzo di amministrazione «costituiscono […] lo strumento per garantire un equilibrio di bilancio non limitato al singolo ente ma riferito all’intero comparto regionale. […] [S]e è vero che nella previsione è presente un obbligo procedimentale che condiziona l’immediata utilizzabilità degli avanzi di amministrazione, è anche vero che la concreta realizzazione del risultato finanziario rimane affidata al dialogo fra gli enti interessati che l’avvio dell’intesa dovrebbe comportare. […] Alla stregua di tali considerazioni […] non si è in presenza di una espropriazione dei residui di amministrazione. […] Egualmente infondata è l’ulteriore censura della Regione, secondo cui la norma introdurrebbe il vincolo di utilizzare i risultati di amministrazione per i soli investimenti, violando, così, la sua autonomia finanziaria. La disposizione, in effetti, dà per scontato il vincolo, ma ciò fa solo nei limiti connessi al positivo espletamento dell’intesa» (sentenza n. 252 del 2017); e che «gli enti territoriali in avanzo di amministrazione hanno la mera facoltà – e non l’obbligo – di mettere a disposizione delle politiche regionali di investimento una parte o l’intero avanzo. È infatti nella piena disponibilità dell’ente titolare dell’avanzo partecipare o meno alle intese in ambito regionale. Solo in caso di libero esercizio di tale opzione l’ente può destinare l’avanzo all’incremento degli spazi finanziari regionali» (sentenza n. 247 del 2017).

Per quel che riguarda il fondo pluriennale vincolato, è stato in quella sede ribadito che «accertamenti, impegni, obbligazioni attive e passive rimangono rappresentati e gestiti in bilancio secondo quanto programmato a suo tempo dall’ente territoriale. Pertanto, l’iscrizione o meno nei titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dell’entrata e nei titoli 1, 2 e 3 della spesa deve essere intesa in senso meramente tecnico-contabile, quale criterio armonizzato per il consolidamento dei conti nazionali. Tale aggregazione contabile non incide né quantitativamente né temporalmente sulle risorse legittimamente accantonate per la copertura di programmi, impegni e obbligazioni passive concordate negli esercizi anteriori alle scadenze del fondo pluriennale vincolato. […] [L]a qualificazione normativa del fondo pluriennale vincolato costituisce una definizione identitaria univoca dell’istituto, la cui disciplina è assolutamente astretta dalla finalità di conservare la copertura delle spese pluriennali. Ciò comporta che nessuna disposizione – ancorché contenuta nella legge rinforzata – ne possa implicare un’eterogenesi semantica e funzionale senza violare l’art. 81 della Costituzione» (sentenza n. 247 del 2017).

In definitiva, la disciplina in esame, analogamente a quella introdotta dalla legge n. 164 del 2016, non comporta un’ablazione né dell’avanzo di amministrazione, né del fondo pluriennale vincolato, i quali, in conformità alla loro specifica disciplina contenuta nel d.lgs. n. 118 del 2011, sono rimasti anche per l’anno 2016 nella disponibilità degli enti territoriali titolari, fermo restando l’obbligo procedimentale del tentativo di intesa per eventualmente commutare l’avanzo di amministrazione in spazio finanziario conferibile a diversa amministrazione in ambito regionale.

Peraltro, nel corso dell’udienza le stesse ricorrenti – che al momento della proposizione dei ricorsi non potevano giovarsi del riscontro con la sopravvenuta giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 252 e n. 247 del 2017) – hanno condiviso la soluzione esegetica contenuta nelle precitate sentenze.

Così interpretate, le disposizioni impugnate superano pertanto il vaglio di costituzionalità e, conseguentemente, le questioni sollevate dalle ricorrenti risultano non fondate.

7.– Le questioni di legittimità costituzionale promosse dalle Province autonome di Trento e di Bolzano nei confronti dell’art. 1, comma 723, lettera a), terzo periodo, della legge n. 208 del 2015 non sono fondate poiché detta disposizione, se correttamente interpretata, non lede le prerogative delle ricorrenti.

Detto periodo stabilisce che, in caso di mancato conseguimento del saldo di cui al comma 710, nell’anno successivo a quello dell’inadempienza, «gli enti locali delle regioni Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta e delle province autonome di Trento e di Bolzano sono assoggettati ad una riduzione dei trasferimenti correnti erogati dalle medesime regioni o province autonome in misura pari all’importo corrispondente allo scostamento registrato».

Come precedentemente ricordato, la disposizione impugnata è stata in vigore fino al 31 dicembre 2016, a seguito dell’emanazione dell’art. l, comma 463, della legge n. 232 del 2016. La norma subentrata ha tenuto fermi – con riferimento al 2017 – «[…] gli adempimenti degli enti territoriali relativi al monitoraggio e alla certificazione del saldo di cui all’art. 1, comma 710, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, nonché l’applicazione delle sanzioni in caso di mancato conseguimento del saldo 2016, di cui al medesimo comma 710, accertato ai sensi dei commi da 720 a 727 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 […]». Il complesso quadro normativo è peraltro arricchito dall’art. l, comma 734, della legge n. 208 del 2015, il quale stabiliva che, per gli anni 2016 e 2017, le disposizioni del comma 723 non trovassero applicazione per le autonomie speciali, rimanendo ferma la precedente disciplina recata dal patto di stabilità.

Inoltre, per quanto concerne le sanzioni applicabili agli enti locali che non rispettino il saldo di bilancio, la materia è stata in seguito disciplinata dall’art. 1, comma 1, lettera e), della legge n. 164 del 2016, che ha sostituito il testo dell’art. 9, comma 4, della legge n. 243 del 2012. Con tale ultima previsione è stato introdotto un meccanismo di “premi e sanzioni”, demandandone l’attuazione a una legge dello Stato. Tanto è in effetti avvenuto con la legge n. 232 del 2016, che ha introdotto un articolato sistema di monitoraggio (art. 1, commi da 368 a 474), sanzionatorio (art. 1, commi da 475 a 478, 480 e 481) e premiale (art. 1, comma 479), in parte oggetto di impugnazione (art. 1, comma 475) da parte della Provincia autonoma di Bolzano con il ricorso iscritto al n. 20 del registro ricorsi 2017.

La polivalenza semantica del caleidoscopico quadro normativo, modificatosi in un ristretto arco di tempo, non ne impedisce un’interpretazione secundum Constitutionem, potendosi ricondurre al principio generale più volte affermato da questa Corte, secondo cui la tutela degli equilibri della finanza pubblica allargata «riguarda pure le Regioni e le Province ad autonomia differenziata, non potendo dubitarsi che anche la loro finanza sia parte della “finanza pubblica allargata”, come già affermato da questa Corte (in particolare, sentenza n. 425 del 2004)» (sentenza n. 267 del 2006).

È vero – come sostenuto dalle ricorrenti – che la materia della finanza provinciale di Trento e di Bolzano è ispirata al principio dell’accordo, il quale nel caso di specie si è manifestato, tra l’altro, attraverso una legislazione peculiare finalizzata all’attuazione e al rispetto dei vincoli macroeconomici di matrice europea e nazionale. È altresì indiscutibile che la vigilanza e la concreta attuazione di tale specifico quadro finanziario – ferma restando la competenza in termini di controllo di legittimità-regolarità sui bilanci delle locali sezioni di controllo della Corte dei conti (sentenza n. 40 del 2014) – è demandata alle Province autonome in coerenza con gli obiettivi loro assegnati. Le disposizioni provinciali – emanate a seguito dello specifico strumento dell’accordo – assumono così carattere di «parametro normativo primario per la gestione finanziaria degli enti sub-regionali tra i quali, appunto, gli enti locali territorialmente interessati» (sentenza n. 40 del 2014).

Tuttavia, il carattere generale e indefettibile dei vincoli di finanza pubblica esige che, indipendentemente dallo speciale regime di cui godono gli enti territoriali provinciali nel perseguimento degli obiettivi macroeconomici assegnati alla finanza provinciale, i colpevoli scostamenti registrati nelle singole gestioni di bilancio debbano trovare riscontro in un omogeneo sistema sanzionatorio, proporzionato all’entità delle infrazioni – nel caso in esame riferite a un ordito normativo di matrice provinciale – commesse dagli enti locali.

Dunque, a prescindere dalla complessa e costante successione delle diverse formulazioni normative che lo hanno espresso nel tempo, il principio di indefettibilità delle sanzioni per gli enti territoriali che si discostano colpevolmente dagli obiettivi di finanza pubblica – se inteso in modo conforme alla peculiare disciplina provinciale – non contrasta coi parametri statutari invocati dalle ricorrenti e le relative censure risultano pertanto infondate.

 

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi e riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di illegittimità costituzionale promosse con i ricorsi indicati in epigrafe;

1) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 711, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», promossa, in riferimento agli artt. 3, 81, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché agli artt. 7 e 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dalla Regione autonoma Sardegna con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 709, 711, secondo periodo, 723, lettera a), terzo periodo, e 730, della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 97, secondo comma, 117 e 119 Cost., al principio di leale collaborazione e agli artt. 79, 80, 81 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché in relazione agli artt. 17, 18 e 19 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), e all’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), dalle Province autonome di Trento e di Bolzano con i ricorsi indicati in epigrafe.

 

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