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Corte costituzionale - Sentenza N. 380 del 11.12.1997
Utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e degli scarichi dei frantoi oleari - Previsione dell'applicazione della disciplina in modo immediato e diretto nel territorio delle province autonome

Sentenza (27 novembre) 11 dicembre, n. 380; Pres. Granata – Red. Onida
 
Ritenuto in fatto: 1. Con ricorso notificato il 10 dicembre 1996, regolarmente depositato, la provincia autonoma di Trento ha sollevato, in via principale, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9 della legge 11 novembre 1996, n. 574 (Nuove norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari), per contrasto con l'art. 8, un. 5, 6, 14, 16, 17, 21 e 24, con l'art. 9, nn. 9 e 10, e con l'art. 16 dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige e con le relative norme di attuazione, in particolare con l'art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266.
La provincia ricorrente premette che essa, nell'esercizio delle proprie competenze statutarie relative all'insieme delle materie che costituiscono la tutela ambientale (urbanistica, tutela del paesaggio, acque minerali e termali, cave e torbiere, alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna, acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale, opere idrauliche, utilizzazione delle acque pubbliche, igiene e sanità) ha disciplinato in modo organico la tutela dell'ambiente dagli inquinamenti, con il testo unico approvato con d.pres. Giunta prov. 26 gennaio 1987, n. 1-41/legisl., e successive modificazioni e integrazioni. Nell'ambito di tale disciplina si è stabilito fra l'altro il divieto di recapito degli scarichi degli insediamenti produttivi sul suolo o nel sottosuolo (art. 16 t.u. citato).
Ora, la legge statale n. 574 del 1996 ha introdotto un regime derogatorio di favore per gli scarichi dei frantoi oleari, stabilendo che le acque di vegetazione residuate dalla lavorazione meccanica delle olive che non hanno ricevuto alcun additivo, con alcune eccezioni, possono essere oggetto di utilizzazione agronomica attraverso lo spandimento controllato su terreni adibiti ad uso agricolo (art. 1, comma 1), entro limiti di accettabilità stabiliti (art. 2, comma 1), e salvo il potere del sindaco, in caso di rischio di danno all'ambiente, di sospendere la distribuzione o di ridurre i limiti di accettabilità (art. 2, comma 2). L'utilizzazione agronomica in parola è sottratta alla disciplina della legge 10 maggio 1976, n. 319, e successive modificazioni, sulla tutela delle acque dagli inquinamenti (art. 10, comma 1). La legge assoggetta tale utilizzazione alla preventiva comunicazione di una relazione peritale (art. 3), disciplina le modalità di spandimento (art. 4), indica i terreni sui quali lo spandimento è escluso (art. 5), disciplina lo stoccaggio delle acque (art. 6), stabilisce le sanzioni amministrative (art. 8) e prevede i controlli delle agenzie nazionale e regionali per l'ambiente (art. 9).
Secondo la ricorrente, il sopravvenire di questa legislazione statale, benché concepita in termini di disciplina dettagliata e non di principio, avrebbe posto alla provincia unicamente il problema di esaminare se e quali principi, vincolanti per la legislazione provinciale in base allo statuto, potessero ricavarsi da essa: infatti l'art. 2 delle norme di attuazione dettate con il decreto legislativo n. 266 del 1992 stabilisce che le leggi statali sopravvenienti obbligano la provincia ad adeguare la propria legislazione ai principi e norme costituenti limiti statutari alla potestà legislativa provinciale, restando nel frattempo applicabili le disposizioni provinciali vigenti.
Senonché - prosegue la ricorrente—l'art. 7 della legge n. 574 del 1996, sotto la rubrica «competenze delle regioni e delle province autonome», stabilisce che le regioni e le province autonome possono redigere un apposito piano di spandimento delle acque di vegetazione, riguardante comprensori omogenei, con l'indicazione di «ulteriori precisazioni», tenendo presenti determinate caratteristiche del territorio.
Ciò darebbe luogo ad una violazione dell'autonomia della provincia, sotto un duplice profilo. In primo luogo, il contrasto tra il sistema di adeguamento della legislazione provinciale ai principi della sopravvenuta legislazione statale, previsto dalle norme di attuazione, e il criterio di diretta applicabilità delle nuove norme anche nella provincia, che si evincerebbe dall'art. 7 della legge impugnata, comporterebbe la illegittimità costituzionale di ciascuna delle disposizioni della legge statale «in quanto e nei limiti in cui si applichi direttamente alla provincia autonoma di Trento»; in particolare, la censura dovrebbe riferirsi alla rubrica e al comma I dell'art. 7, da cui detto contrasto emergerebbe.
In secondo luogo, l'art. 7, commi I e 2, sarebbe costituzionalmente illegittimo in quanto, attribuendo alla provincia il solo compito di dettare «ulteriori precisazioni» in rapporto a quanto già in dettaglio stabilito dalla legge statale, implicherebbe il carattere vincolante per la provincia di tutte le singole disposizioni della legge, prescindendo dal loro valore di principio, sostituendo casi al compito costituzionale della provincia di disciplinare la materia un potere di normazione meramente integrativa.
2. Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, chiedendo che le questioni sollevate col ricorso siano dichiarate non fondate.
Sostiene l'Avvocatura erariale che le disposizioni dell'art. 7 della legge, considerate nel loro oggettivo tenore, riguardano esclusivamente funzioni di natura amministrativa che le regioni e le province autonome «possono e non debbono esercitare». Da esse non sarebbe consentito dedurre una volontà della legge di precludere alle regioni e alle province autonome l'esercizio della funzione legislativa nei limiti e alle condizioni stabilite dall'art. 117 della Costituzione o dagli statuti speciali, con riferimento alle materie oggetto della legge: ciò varrebbe anche per quanto concerne lo speciale meccanismo di adeguamento applicabile alla provincia ricorrente in base al decreto legislativo n. 266 del 1992.
3. Nell'imminenza dell'udienza ha depositato memoria la provincia ricorrente.
Essa rileva che l'interpretazione riduttiva, offerta dalla difesa del Presidente del Consiglio, dell'art. 7 della legge impugnata condurrebbe in definitiva a ritenere che, mentre nelle regioni ordinarie la legge statale si applicherebbe direttamente, salva la possibilità per esse di legiferare nell'ambito dei principi fondamentali (peraltro di incertissima delimitazione, data la ridotta estensione della <
Tale interpretazione, alla quale la ricorrente avrebbe interesse, si scontra però, secondo la medesima, con il tenore dell'art. 7 della legge, che affida alle regioni e alle province autonome il solo compito di dettare ulteriori precisazioni rispetto alle norme della legge statale, le quali dovrebbero comunque applicarsi.
Se dovesse così intendersi, conclude la provincia ricorrente, la legge violerebbe le garanzie statutarie poste per la regione Trentino-Alto Adige e per le province autonome di Trento e di Bolzano.
 
Considerato in diritto: 1. Il ricorso della provincia autonoma di Trento, che investe la legge statale 11 novembre 1996, n. 574 (Nuove norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari), lamenta la pretesa del legislatore statale - quale emergerebbe dalla rubrica e dal primo comma dell'art. 7 della medesima legge (Competenze delle regioni e delle province autonome) - di attribuire alle disposizioni di quest'ultima carattere di diretta ed immediata applicabilità anche nel territorio delle province autonome di Trento e di Bolzano. Sarebbero in tal modo violate le norme di attuazione statutaria contenute nell'art. 2 del d.lgs 16 marzo 1992, n. 266, ai cui sensi il sopravvenire, in materia già regolata da leggi provinciali, di norme legislative statali produce solo l'obbligo per la provincia di adeguarvi la propria legislazione nei limiti previsti dallo statuto (e dunque, a seconda dei casi, di adeguarla ai principi generali o alle norme fondamentali di riforma, o ai principi fondamentali di disciplina della materia in esse contenuti), entro il termine di sei mesi o entro quello più ampio stabilito dalla legge statale: rimanendo, fino a tale adeguamento, applicabili le leggi provinciali vigenti.
La provincia ricorrente lamenta inoltre che l'art. 7 della legge statale, prevedendo che nella materia in questione le province autonome possano redigere un piano con l'indicazione di «ulteriori precisazioni», presupponga il vincolo del legislatore provinciale al rispetto di tutte le norme della legge statale medesima, e riduca così la potestà normativa provinciale ad un ruolo meramente integrativo.
2. La questione è fondata.
L'art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992, dettando la disciplina sopra richiamata in ordine ai rapporti fra legislazione statale e legislazione provinciale, vieta al legislatore statale - salvo che negli ambiti in cui il comma 4 del medesimo art. 2 fa salva l'immediata applicabilità delle leggi statali (leggi costituzionali, e atti legislativi nelle materie in cui alla provincia è attribuita delega di funzioni statali o potestà legislativa integrativa) - di attribuire alle norme da esso dettate nelle materie di competenza provinciale immediata e diretta applicabilità, prevalente su quella della legislazione provinciale preesistente, nel territorio delle province autonome.
Le norme di attuazione garantiscono in tal modo alla provincia uno spazio temporale per procedere all'adeguamento della propria legislazione ai vincoli che, in forza dello statuto, discendano dalle nuove leggi statali, ed escludono che in pendenza di tale adeguamento (a prescindere dalla situazione di sopravvenuta illegittimità costituzionale in cui, scaduto il termine, la legislazione provinciale non adeguata può trovarsi) l'applicabilità delle norme di fonte statale si sostituisca automaticamente a quella delle norme provinciali. Da ciò anche la previsione della possibilità per il Governo nazionale di impugnare, entro un ulteriore termine decorrente dalla scadenza di quello per l'adeguamento, la legislazione provinciale che non sia stata adeguata ai nuovi vincoli (art. 2, commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 266 da 1992).
Questo sistema comporta che una legge statale, dettata in materia di competenza provinciale, in ambito diverso da quelli previsti dal comma 4 del predetto art. 2, la quale pretenda di far valere immediatamente e direttamente la propria efficacia anche nel territorio delle Province autonome, prevalendo sulla legislazione provinciale previgente, debba ritenersi illegittima, per violazione della norma di attuazione statutaria - non derogabile dalla legge ordinaria dello Stato (sentenze un. 38 e 40 da 1992; n. 69 da 1995) — nella parte in cui viene ad essa attribuita tale efficacia..
Resta tuttavia fermo che la legge statale sopravvenuta, nei limiti in cui contenga nuovi principi o nuove norme vincolanti, in forza dello statuto, nei confronti del legislatore provinciale, obbliga quest'ultimo a procedere al relativo adeguamento, entro il termine stabilito; e che il mancato adeguamento entro tale termine dà luogo alla sopravvenuta illegittimità costituzionale della legislazione provinciale non adeguata, suscettibile di essere fatta valere, oltre che - in ogni tempo - in via incidentale nei giudizi nei quali essa sia destinata a trovare applicazione, in via principale su ricorso del Governo nazionale, ai sensi dell'art. 97 dello statuto speciale e dell'art. 2 commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 266 del 1992.
3. - La legge impugnata si presenta come destinata a trovare immediata applicazione, dettando disposizioni immediatamente operative che disciplinano l'utilizzazione delle acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive attraverso lo spandimento controllato su terreni agricoli: all'operatività di tale disciplina amministrativa e del connesso sistema sanzionatorio (art. 8) consegue, à termini dell'art. 10, comma 1, della legge, - ed è evidentemente condizionata ad essa - l'esclusione dell'applicabilità, all'attività in questione, delle prescrizioni, dei limiti e degli indici di accettabilità dettati, per gli scarichi idrici, dalla legge 10 maggio 1976, n. 319, e successive modificazioni, e delle relative sanzioni.
Non può seguirsi la tesi interpretativa sostenuta, sia pure in modo non del tutto univoco, dalla difesa del Presidente del Consiglio, secondo cui la legge, trovando applicazione differenziata nei riguardi delle diverse categorie di enti autonomi, non pregiudicherebbe l'applicazione delle speciali norme di attuazione contenute nell'art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992 per la regione Trentino-Alto Adige e per le province autonome di Trento e di Bolzano.
Deve senz'altro ammettersi che, pur riti silenzio del legislatore statale, l'efficacia vincolante nei confronti dei legislatori regionali e provinciali, esplicata dalla legge impugnata, si differenzi in relazione ai limiti e ai vincoli rispettivamente previsti, per le diverse regioni e per le province autonome, dalla Costituzione e dai singoli statuti speciali nonché dalle relative norme di attuazione. Ma non può ritenersi che ciò valga ad escludere l'immediata applicabilità della legge stessa nel territorio della regione Trentino-Alto Adige. A questa conclusione osta infatti, oltre all'assenza di qualsiasi clausola di riserva, e alla formulazione delle disposizioni della legge, che non rinviano in alcun modo, ai fini della loro applicabilità, a determinazioni regionali, il dettato dell'art. 7 della legge in questione, che prevede la semplice facoltà, non solo per le regioni, ma anche per le province autonome, espressamente citate, di redigere un piano in materia, contenente «ulteriori precisazioni»: il che evidentemente presuppone l'applicazione, non condizionata all'entrata in vigore di una normativa regionale o provinciale, delle norme della legge statale medesima.
Se dunque il dettato della legge - che oltre tutto non interviene in materia che possa considerarsi «nuova», bensì tende a derogare, con una disciplina speciale, a quella generale vigente in materia di scarichi idrici - impone di intenderla nel senso che essa si applichi senz'altro anche nei territori delle Province autonome, è giocoforza riconoscere che è violato l'art. 2 dì decreto legislativo n. 266 del 1992.
La legge stessa - nell'insieme delle disposizioni impugnate - va dunque dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui attribuisce alle disposizioni in essa contenute - le quali conservano efficacia, nei limiti dello statuto, anche nei confronti della ricorrente - diretta e immediata applicabilità, prevalente su quella della legislazione provinciale, nel territorio delle province autonome di Trento e di Bolzano.
Resta impregiudicato, in quanto estraneo al presente giudizio, il problema se il termine semestrale per l'adeguamento della legislazione provinciale, e quello successivo per la impugnazione da parte del Governo della legislazione provinciale non adeguata, decorrano - quando, come nel caso di specie, la legge statale venga a perdere la diretta applicabilità nella provincia, ma non la propria efficacia normativa in generale, in forza di pronuncia di illegittimità costituzionale - dalla data di entrata in vigore della legge statale ovvero da quella di efficacia della pronuncia stessa.
4. È assorbito ogni altro profilo di illegittimità costituzionale denunciato. In particolare, poiché a seguito della presente pronuncia la legge statale, come si è detto, viene ad operare nei confronti delle province autonome solo nei termini dell'obbligo di adeguamento, nei limiti previsti dall'art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992, e dunque in relazione ai vincoli statutariamente discendenti dalle norme statali sopravvenute, senza che la provincia sia tenuta all'osservanza di tutte le disposizioni della legge medesima, non vi è luogo a pronunciarsi sulle censure mosse dalla ricorrente circa l'asserita limitazione eccessiva che da essa deriverebbe all'ambito della potestà legislativa provinciale.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli da 1 a 9 della legge 11 novembre 1996, n. 574 (Nuove norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari), nella parte in cui prevedono la propria applicazione immediata e diretta nel territorio delle province autonome di Trento e di Bollano.