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Verfassungsgerichtshof - Urteil vom 21. Juni 2017, Nr. 193
Geschlossener Hof – Bestimmung des Hofübernehmers/der Hofübernehmerin bei der gesetzlichen Erbfolge – unter den zur Erbfolge Berufenen gleichen Grades gebührt den männlichen der Vorzug vor den weiblichen – Verfassungswidrigkeit

Urteil vom 21. Juni 2017, Nr. 193 (deutsche Fassung)

 

Sentenza 21 giugno 2017 (14 luglio 2017), n. 193; Pres. Grossi; Red. Carosi

 

Ritenuto in fatto 1.− Nel corso di un giudizio per la determinazione dell’assuntore del maso chiuso e del prezzo di assunzione − ai sensi dell’art. 22 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17 (Legge sui masi chiusi) − il Tribunale ordinario di Bolzano ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 25 luglio 1978, n. 33 (Modifiche al testo unico delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi, approvato con decreto del Presidente della Giunta Provinciale 7 febbraio 1962, n. 8, e alla L.P. 9 novembre 1974, n. 22), trasfuso nell’art. 18 del decreto del Presidente della Giunta Provinciale di Bolzano 28 dicembre 1978, n. 32 (Approvazione del testo unificato delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi), come modificato dall’art. 3 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 24 febbraio 1993, n. 5 (Modifica delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi e della legge provinciale 20 febbraio 1970, n. 4, e successive modifiche ed integrazioni, sull’assistenza creditizia ai coltivatori diretti assuntori di masi chiusi), nella parte in cui prevede che tra i chiamati alla successione nello stesso grado ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine.

1.1.− Il rimettente, investito del ricorso di A.R., premette in fatto che l’originario proprietario del maso chiuso «Sarganthof», sito in Novacella/Varna (BZ), era deceduto ab intestato il 12 agosto 2001, lasciando due figli naturali: la ricorrente A.R., nata il 26 luglio 1979, e M.L., nato il 21 gennaio 1995; che, in base ai certificati ereditari del 2 febbraio 2005, i figli erano stati intavolati quali proprietari per la metà indivisa del maso; che la ricorrente aveva interesse ad essere dichiarata assuntrice del maso; che al momento dell’apertura della successione vigeva l’art. 18 del d.P.G.P. n. 32 del 1978, che riproduceva l’art. 5 della legge prov. Bolzano n. 33 del 1978, in base al quale, tra i chiamati alla successione nello stesso grado, la preferenza spettava ai maschi rispetto alle femmine, mentre tra gli appartenenti allo stesso sesso era preferito il più anziano; che tale norma era stata sostituita con la legge prov. Bolzano n. 17 del 2001, entrata in vigore il 26 dicembre 2001; che, secondo la ricorrente, la norma previgente, applicabile al caso di specie, era costituzionalmente illegittima, essendo discriminatoria nei confronti delle donne; che la ricorrente esponeva di aver trascorso gran parte della sua vita sul maso in questione, mentre il fratello unilaterale vi aveva trascorso solamente quattro anni; che la ricorrente fin da giovane riteneva di poter assumere il maso, essendo la persona più idonea e di aver studiato giurisprudenza mantenendosi da sola.

Previa disapplicazione del citato art. 18 del d.P.G.P. n. 32 del 1978, ovvero previa declaratoria di incostituzionalità di tale norma, la ricorrente ha chiesto di essere dichiarata assuntrice del maso «Sarganthof», e di fissarsi il prezzo di detta assunzione.

Costituitosi in giudizio, il convenuto ha chiesto, in via riconvenzionale, previo rigetto dell’istanza di declaratoria di incostituzionalità della norma citata, di accertare il proprio diritto di assunzione del maso, affermando di avere vissuto sul maso insieme alla madre ed al padre, dal febbraio 1997 fino a poco prima della morte di costui; che era desiderio del padre designarlo come assuntore del maso; di aver conseguito il diploma alla scuola agraria finalizzato alla conduzione di un’azienda agricola.

1.2.− Ai fini della rilevanza, il Tribunale rimettente espone di dover applicare il diritto sostanziale vigente al momento dell’apertura della successione, in virtù degli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale, che prevedono che una norma non ha effetto retroattivo, salvo contraria espressa disposizione. Tale principio risulta, peraltro, codificato nel diritto internazionale privato dall’art. 46, comma 1, della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), secondo cui le successioni per causa di morte sono regolate dalla legge nazionale del de cuius al momento della morte, nonché dall’art. 23 delle medesime disposizioni sulla legge in generale, collocato nel Capo II intitolato «Dell’applicazione della legge in generale».

In tal senso si era già espressa precedentemente anche la giurisprudenza di legittimità, che ha ritenuto applicarsi la normativa vigente alla data di apertura della successione anche se successivamente modificata (ex multis, Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 16 aprile 1981, n. 2305; Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 2 aprile 1992, n. 4012).

Nella fattispecie in esame, J.L. è deceduto ab intestato il 12 agosto 2001 a Salorno (BZ), e quindi pochi mesi prima dell’entrata in vigore della legge prov. Bolzano n. 17 del 2001, con apertura della successione legittima in favore dei suoi due unici eredi, vale a dire i figli, parti in causa nel giudizio a quo. Alla data di apertura della successione era, dunque, in vigore l’art. 5 della legge prov. Bolzano n. 33 del 1978, trasfuso nell’art. 18 del d.P.G.P. n. 32 del 1978, come modificato dall’art. 3 della legge prov. Bolzano n. 5 del 1993, che, per la parte che qui interessa, dispone che: «Tra i chiamati alla successione nello stesso grado ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine. Tra gli appartenenti allo stesso sesso è preferito il più anziano».

Il Tribunale rimettente espone che dalle prove assunte è emerso che nessuno dei due figli è cresciuto nel maso e, poiché entrambi i chiamati alla successione rivestono lo stesso grado, quali figli naturali del de cuius, la legge provinciale citata imporrebbe l’applicazione del criterio basato sulla preferenza accordata al sesso maschile.

1.3.− In punto di non manifesta infondatezza, l’art. 5 della legge prov. n. 33 del 1978, riprodotto nell’art. 18 del d.P.G.P. n. 32 del 1978, nella parte in cui accorda la preferenza, tra i chiamati alla successione nello stesso grado, ai maschi rispetto alle femmine, si porrebbe in contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost., violando il principio di pari dignità sociale e di eguaglianza dei cittadini innanzi alla legge, senza distinzione di sesso. Per i chiamati all’assunzione del maso, difatti, tale norma prevede un criterio di preferenza basato esclusivamente sul sesso, operando in modo irragionevole una discriminazione in danno delle donne.

Né sarebbe possibile, secondo il rimettente, operare una interpretazione costituzionalmente conforme di tale disposizione, risultando «chiarissima ed univoca» nel preferire l’uomo rispetto alla donna, a parità di vincolo di parentela con il de cuius.

Considerato in diritto 1.− Il Tribunale ordinario di Bolzano dubita della legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, dell’art. 5 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 25 luglio 1978, n. 33 (Modifiche al testo unico delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi, approvato con decreto del Presidente della Giunta Provinciale 7 febbraio 1962, n. 8, e alla legge provinciale 9 novembre 1974, n. 22), riprodotto dall’art. 18 del decreto del Presidente della Giunta Provinciale di Bolzano 28 dicembre 1978, n. 32 (Approvazione del testo unificato delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi), come modificato dall’art. 3 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 24 febbraio 1993, n. 5 (Modifica delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi e della legge provinciale 20 febbraio 1970, n. 4, e successive modifiche ed integrazioni, sull’assistenza creditizia ai coltivatori diretti assuntori di masi chiusi), nella parte in cui prevede che, tra i chiamati alla successione nello stesso grado, ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine.

1.1.− Secondo il rimettente, l’art. 5 della legge prov. Bolzano n. 33 del 1978, riprodotto dall’art. 18 del d.P.G.P. n. 32 del 1978, nella parte in cui accorda la preferenza, tra i chiamati alla successione nello stesso grado, ai maschi rispetto alle femmine, si porrebbe in contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost., che sancisce il principio di pari dignità sociale e di eguaglianza dei cittadini innanzi alla legge, senza distinzione di sesso.

Per i chiamati all’assunzione del maso la disposizione censurata prevederebbe un criterio di preferenza basato sul sesso, operando così una discriminazione irragionevole in danno delle donne. Non sarebbe, peraltro, possibile operare un’interpretazione costituzionalmente conforme di tale disposizione, risultando «chiarissima ed univoca» nel preferire l’uomo rispetto alla donna, a parità di vincolo di parentela con il de cuius.

2.− In punto di rilevanza, il Tribunale rimettente espone di dover applicare il diritto sostanziale vigente al momento dell’apertura della successione − nel caso in esame il 12 agosto 2001 − in virtù degli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale, che prevedono che una norma non ha effetto retroattivo, salvo contraria espressa disposizione. Tale principio risulterebbe, peraltro, codificato nell’art. 46, comma 1, della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), che ha sostituito l’art. 23 delle disposizioni sulla legge in generale. Sarebbe quindi inapplicabile la successiva legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17 (Legge sui masi chiusi), che ha abrogato la preferenza in discussione, alle successioni apertesi in epoca anteriore alla sua entrata in vigore, come quella del giudizio a quo: sia in base al principio generale di irretroattività della legge (art. 11 delle preleggi), sia in base al fatto che, venendo in rilievo un’ipotesi di successione legittima a causa di morte, al fine di stabilire la disciplina applicabile bisogna fare riferimento a quella vigente al momento della morte del de cuius, perché la successione mortis causa, per il principio tempus regit actum, è disciplinata dalle norme operanti al momento dell’apertura della successione (ex multis, Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 25 maggio 2009, n. 12060; Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 25 settembre 1998, n. 9636; Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 11 maggio 2005, n. 9849; Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 13 aprile 2006, n. 8655).

L’assunto è condivisibile in ragione dell’applicabilità al caso di specie della norma impugnata − ancorché abrogata dalla legge prov. Bolzano n. 17 del 2001 − in quanto vigente al momento dell’apertura della successione.

3.‒ Per inquadrare la peculiare fattispecie in esame è necessario un breve excursus storico-normativo riguardante l’istituto del maso chiuso e la sua introduzione nell’ordinamento italiano.

3.1. ‒ Il “maso chiuso” trae origine da antichissime tradizioni diffuse nelle zone alpine orientali, regolate dalla legislazione austriaca fino alla legge della Provincia autonoma di Bolzano 29 marzo 1954, n. 1 (Ordinamento dei masi di chiusi nella Provincia di Bolzano), emanata in virtù dell’attribuzione statutaria della potestà legislativa (esclusiva o primaria) in materia di «ordinamento dei “masi chiusi”» (art. 11, n. 8, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5, recante «Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige»; e successivamente art. 8, n. 8, d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige»).

Detto istituto fu «[i]ntrodotto in Alto Adige fin dai primi secoli del Medio Evo in corrispondenza ad antiche consuetudini germaniche, si affermò nel tempo e formò oggetto, verso l’età moderna, di disciplina legislativa formale, quale quella delle Patenti imperiali dell’11 agosto 1770 e del 9 ottobre 1795, di una legge dell’Impero del 1° aprile 1889 che attribuì alla legislazione provinciale il compito di disciplinare la materia, e della legge provinciale del 12 giugno 1900, n. 47, “concernente i rapporti giuridici speciali dei masi chiusi valevole per la Contea principesca del Tirolo”. Dopo che il territorio dell’Alto Adige entrò a far parte del territorio italiano, l’istituto rimase in vita fino a quando con R.D. del 4 novembre 1928, n. 2325 fu estesa alle nuove Provincie la legislazione nazionale. Senonché, anche dopo il suo disconoscimento legale, la popolazione dell’Alto Adige continuò a dimostrarsi attaccata all’istituto. E non mancarono apprezzamenti favorevoli che anche giuristi particolarmente esperti in diritto agrario espressero in riguardo ad esso, considerandolo utile dal punto di vista economico, per la remora che pone allo smembramento dei fondi, e dal punto di vista sociale, per l’apporto che può dare al mantenimento della compagine familiare e alla esistenza di una sana classe rurale. È interessante rilevare che già durante l’impero della legislazione austriaca, nonostante l’abrogazione di ogni norma speciale in materia di fondi rustici appoderati disposta con la legge austriaca 27 giugno 1868, l’istituto restò eccezionalmente in vigore nel Tirolo. Ma fu essenzialmente per andare incontro alle aspirazioni chiaramente manifestate dagli esponenti della popolazione alto-atesina in riguardo al riconoscimento formale dell’antico istituto, che il legislatore costituzionale si indusse a dettare il disposto del n. 9 dell’art. 11 dello Statuto per il Trentino-Aldo Adige, col quale attribuì alla Provincia la facoltà di emanare norme legislative “per le seguenti materie [...] n. 9: ordinamento delle minime unità culturali, anche agli effetti dell’art. 847 del Codice civile; ordinamento dei “masi chiusi” e delle comunità familiari rette da antichi statuti e consuetudini”» (sentenza n. 4 del 1956).

In sintesi, prima dell’accesso nel nostro ordinamento, il “maso chiuso” è stato disciplinato dalla legge 12 giugno 1900, n. 47 della Contea Principesca del Tirolo; successivamente fu abolito con regio decreto 4 novembre 1928, n. 2325 (Disposizioni per l’unificazione legislativa nei territori annessi al Regno), che estese anche all’Alto Adige la legislazione italiana (sopravvivendo peraltro, di fatto, nelle abitudini di vita delle popolazioni altoatesine); infine fu reintrodotto ad opera dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.

Il susseguirsi di alcune modifiche legislative dopo il formale ripristino ha reso necessaria l’emanazione del decreto del Presidente della Giunta provinciale 7 febbraio 1962, n. 8 (Approvazione del testo unico delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi nella Provincia di Bolzano), attraverso la procedura di cui all’art. 38 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 25 dicembre 1959, n. 10 (Norme modificatrici, interpretative ed integrative delle leggi provinciali 29.3.1954, n. 1 e 2.9.1954, n. 2 contenenti le norme fondamentali sull’ordinamento dei masi chiusi).

A seguito delle ulteriori modifiche introdotte dalla legge della Provincia autonoma di Bolzano 9 novembre 1974, n. 22 (Emendamenti, integrazione ed ulteriore finanziamento alla legge provinciale 20 febbraio 1970, n. 4 – Provvedimenti di assistenza creditizia a coltivatori diretti assuntori di masi chiusi) e dalla legge prov. Bolzano n. 33 del 1978 fu poi compilato un nuovo testo unico, approvato con d.P.G.P. n. 32 del 1978.

Nuove modifiche furono apportate dalle leggi provinciali 26 marzo 1982, n. 10 (Modifica del testo unificato delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi, della legge provinciale sull’assistenza creditizia per assuntori di masi chiusi e della legge provinciale sull’amministrazione dei beni di uso civico) e 24 febbraio 1993, n. 5 (Modifica delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi e della legge provinciale 20 febbraio 1970, n. 4, e successive modifiche ed integrazioni, sull’assistenza creditizia ai coltivatori diretti assuntori di masi chiusi).

Oggi l’istituto è disciplinato dalla legge prov. Bolzano n. 17 del 2001, che ne ha mantenuto la struttura ed i principi ispiratori, rivisitandolo in più punti, ed in particolare – per quel che qui interessa – rimodulando i criteri di successione ed assunzione del maso. In tale contesto è stata eliminata la prevalenza della linea maschile su quella femminile.

3.2.− Dall’illustrata evoluzione normativa si evince che i caratteri originari e pregnanti dell’istituto, che ne giustificano la conservazione attraverso una peculiare disciplina, sono le modalità di gestione, intestate ad una comunità familiare e ad una azienda agricola autosufficiente, ed un regime giuridico funzionale alla conservazione di dette modalità, costituito dall’indivisibilità del maso e dalla sua destinazione familiare, realizzata mediante un particolare sistema successorio, volto a designare un solo assuntore (Anerbe), il quale diviene debitore della massa ereditaria per l’ammontare del valore del maso.

In definitiva, l’analisi delle norme succedutesi nel tempo fino alla vigente legge provinciale n. 17 del 2001 consente di affermare la persistenza del nucleo funzionale dell’istituto del maso chiuso consistente nell’indivisibilità del fondo, nella sua connessione con la compagine familiare e nella “assunzione” del fondo stesso da parte di un unico soggetto, cui un sistema particolare – anche relativo al procedimento di assegnazione e di determinazione del valore del fondo nel caso di pluralità di eredi – permette di perpetuare e garantire nel maso stesso il perseguimento delle finalità economiche e sociali proprie dell’istituto.

Al contrario, alcune modalità normative poste originariamente a corredo del peculiare istituto sono state progressivamente superate: tra queste va senz’altro ricordata la regola di devoluzione del maso chiuso per successione a causa di morte in vigore fino al 2001, la quale seguiva i criteri della prelazione maschile e del maggiorascato, dal momento che il fondo veniva attribuito, allo scopo di evitarne il frazionamento, ad un unico erede, con prevalenza della linea maschile su quella femminile. L’art. 18 del d.P.G.P. n. 32 del 1978, come successivamente abrogato dalla l. prov. Bolzano n. 17 del 2001, prevedeva per la successione legittima il seguente ordine: l) discendenti del de cuius ed a questi equiparati che siano cresciuti o che crescono e risiedono nel maso;·2) discendenti delle persone indicate al punto l; 3) il coniuge; 4) gli ascendenti; 5) i fratelli e le sorelle; 6) i discendenti di fratelli e sorelle; 7) i parenti più prossimi non oltre il sesto grado.

La prevalenza della linea maschile era affermata esplicitamente riguardo alla successione legittima dall’art. 18, comma 2, che stabiliva la preferenza tra i chiamati a favore dei maschi e, con riferimento alla successione per rappresentazione, dal successivo comma 6, in base al quale «i discendenti di figli premorti sono preferiti ai discendenti di figlie premorte».

Successivamente, la novella del 2001 ha previsto, in caso di successione ab intestato, che gli eredi legittimi possono trovare un accordo sulla designazione dell’unico assuntore e/o sul prezzo di assunzione (artt. 14, primo comma, e 20, primo comma); in mancanza di accordo, l’unico assuntore è determinato dall’autorità giudiziaria. Non è più riconosciuta alcuna preferenza alla linea maschile rispetto a quella femminile. La preferenza è invece accordata ai coeredi che crescono o sono cresciuti nel maso, e, tra di essi, a coloro che nei due anni antecedenti all’apertura della successione hanno partecipato abitualmente alla conduzione e alla coltivazione del maso, e, tra di essi, a coloro che sono in possesso di un diploma di una scuola professionale ad indirizzo agrario o di economia domestica riconosciuta dallo Stato o dalla Provincia, o di un’altra adeguata formazione riconosciuta dalla Provincia con l’apposito regolamento di esecuzione della Giunta provinciale di cui all’art. 49, secondo comma, della legge prov. Bolzano n. 17 del 2001. È inoltre previsto, come criterio residuale, rispetto ad ulteriori regole preferenziali, che l’autorità giudiziaria, sentiti i coeredi e la commissione locale per i masi chiusi, scelga colui che dimostri di possedere i migliori requisiti per la diretta conduzione del maso chiuso (art. 14, secondo comma).

4.− Alla luce del descritto contesto normativo, occorre verificare se l’art. 5 della legge prov. Bolzano n. 33 del 1978, oggi abrogato dalla sopravvenuta legge n. 17 del 2001, ma applicabile alla fattispecie del giudizio a quo in quanto vigente al momento dell’apertura della successione, sia in contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost., nella parte in cui prevede che tra i chiamati alla successione nello stesso grado, ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine.

4.1.– La questione è fondata.

Questa Corte non ignora che, con propria precedente pronunzia n. 40 del 1957, in relazione a questioni sostanzialmente analoghe aventi ad oggetto gli allora vigenti artt. 16 e 18 della legge prov. Bolzano n. 1 del 1954, fu ritenuto che il contestato criterio di preferenza non collidesse con i principi generali dell’ordinamento giuridico, stabiliti nel codice civile in materia di successione legittima e divisione ereditaria e richiamati dall’art. 11 dello statuto speciale, adottato con la legge cost. n. 5 del 1948, né con il principio di eguaglianza, sancito dall’art. 3 Cost.

Detta pronuncia seguiva la linea interpretativa già tracciata dalla precedente sentenza n. 4 del 1956, secondo cui il legislatore costituzionale ritenne di introdurre nell’ordinamento nazionale questo istituto perchè fortemente espressivo della tradizione sudtirolese. Tale istituto, non trovando «precedenti nell’ordinamento italiano, non può qualificarsi né rivivere se non con le caratteristiche sue proprie derivanti dalla tradizione e dal diritto vigente fino alla emanazione di quel R.D. 4 novembre 1928, n. 2325, sopra citato, in base al quale esso istituto cessò [temporaneamente] di avere formalmente vita» (sentenza n. 4 del 1956).

In tale contesto si ebbe ad affermare che «le esigenze della migliore produzione e gli scopi di natura familiare, di cui il legislatore costituzionale, con il maso chiuso, ha permesso il riconoscimento e la tutela per soddisfare le istanze della popolazione alto-atesina», giustificavano la preferenza per il primogenito maschio prevista dagli artt. 16 e 18 dell’allora legge provinciale vigente. Ciò «sulla base di una presunzione tratta da un fatto normale se non costante» secondo cui l’assuntore preferito può conoscere dell’azienda familiare «meglio di altri il più efficace sistema di conduzione e può avere un maggiore attaccamento al fondo avito» (sentenza n. 40 del 1957).

E sono proprio tali conclusioni in tema di preferenza maschile che in questa sede devono essere superate.

La fattispecie all’esame di questa Corte si inquadra in una particolare ipotesi normativa in cui è l’assetto giuridico a doversi conformare a quello sociale e alla sua evoluzione, anche alla luce delle evidenze storiche che registrano il fallimento del precedente tentativo del legislatore statale del 1928 di trasformare il regime giuridico dei masi con un atto di imperio. L’evoluzione dell’antica usanza sudtirolese in un peculiare istituto giuridico dell’ordinamento italiano trova la sua corrispondenza nei perduranti bisogni ed esigenze di una collettività locale che si è attribuita tali regole ab immemorabili.

D’altronde, la recezione del maso chiuso attraverso il più elevato livello normativo del nostro ordinamento (la legge costituzionale) costituisce fenomeno emblematico del pluralismo economico, sociale e giuridico che permea la Carta costituzionale, tanto più significativo in quanto di questo istituto prestatuale è stata più volte messa in dubbio la compatibilità rispetto all’ordinamento civile italiano, con il quale tuttavia convive da sempre nel limitato ambito territoriale della sua operatività.

Ciò non toglie che l’ordinamento del maso chiuso non possa contenere specifiche regole che nel tempo acquistano un significato diverso in virtù della interpretazione evolutiva, la quale può condurre – come nel caso in esame – ad una loro diversa valutazione di compatibilità con i parametri costituzionali.

Proprio la persistenza dell’istituto ne comporta una evoluzione, nel cui ambito alcuni rami possono divenire – come la disposizione impugnata – incompatibili con l’ordinamento nazionale e – conseguentemente – suscettibili di recisione senza che il maso chiuso sia scalfito nella sua identità continuativa e durevole.

Sotto tale profilo va, peraltro, osservato come sia costante l’orientamento di questa Corte nel senso che la tutela accordata a particolari istituti come il maso chiuso non giustifica qualsiasi deroga ai principi dell’ordinamento, ma soltanto quelle che sono funzionali alla conservazione dell’istituto nelle sue essenziali finalità e specificità (sentenze n. 173 del 2010, n. 340 del 1996, n. 40 e n. 5 del 1957, n. 4 del 1956, nonché, sia pure a contrario, n. 691 del 1988) e che comunque non comportano la lesione di principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, quale la parità tra uomo e donna.

4.2.‒ In tale prospettiva, l’orientamento risalente non può essere oggi condiviso alla luce del principio di parità tra uomo e donna, il quale assume primazia indefettibile nella valutazione degli interessi di rango costituzionale sottesi all’esame della presente questione.

L’evoluzione sociale e normativa intervenuta dopo la richiamata sentenza n. 40 del 1957 è inequivocabile, così da ritenere irreversibilmente superata l’applicazione del maggiorascato e – quel che qui più interessa – della prelazione maschile alla successione nell’assunzione del maso chiuso, la quale risulta quindi in contrasto con l’art. 3 Cost.

Dette regole, non a caso abrogate dalla legge provinciale n. 17 del 2001, fanno capo ad un contesto inattuale nel quale, all’esigenza obiettiva di mantenere indiviso il fondo, si associava una ormai superata concezione patriarcale della famiglia come entità bisognosa della formale investitura di un capo del gruppo parentale (in tal senso, sentenza n. 505 del 1988). La desuetudine della visione patriarcale della famiglia e del principio del maggiorascato, l’evoluzione normativa in materia di parità tra uomo e donna – si possono citare, tra le più importanti, le leggi 9 febbraio 1963, n. 66 (Ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle professioni); 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto di famiglia) e 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro) – hanno dunque profondamente mutato sia il contesto sociale che quello giuridico di riferimento.

4.3.‒ D’altronde, già in passato, relativamente a questioni di minore rilevanza della presente, questa Corte aveva ritenuto, in alcuni casi, compatibili e, in altri, viziate e non più rispondenti alla ratio originaria, alcune norme che, rispettivamente, erano state introdotte o facevano parte dell’ordinamento del maso chiuso.

Così, per quanto riguarda l’introduzione di nuove norme, ebbe a dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale – sollevata in riferimento all’art. 8, numero 8), del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) – dell’art. 35, comma 2, della legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1999), come sostituito dall’art. 22, comma 1, della legge 29 luglio 2003, n. 229 (Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione - Legge di semplificazione 2001), che inseriva l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione ai sensi dell’art. 46 della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari), per chi intendesse proporre in giudizio una domanda relativa all’ordinamento dei masi chiusi.

In quella sede fu precisato «che la peculiare dilatazione della competenza legislativa provinciale trova esclusiva giustificazione nella circostanza che essa sia funzionale “alla conservazione dell’istituto nelle sue essenziali finalità e specificità” (sentenza n. 340 del 1996) [cosicché] ogni qualvolta la predetta finalità non sia riscontrabile, da un lato, riemergono gli ordinari impedimenti alla competenza legislativa primaria della Provincia autonoma in materia di diritto privato e di esercizio della giurisdizione (sentenza n. 405 del 2006) e, dall’altro, la competenza nelle predette materie del legislatore statale, simmetricamente, conserva l’abituale estensione», per cui, applicando «i suddetti principi anche alla fattispecie ora all’esame di questa Corte, si rileva che la disposizione oggetto di censura […] non opera alcuna, sia pur marginale, trasformazione della disciplina sostanziale dell’istituto stesso rispetto ai suoi contenuti fissati nella tradizione giuridica»; pertanto «gli ambiti di competenza legislativa provinciale risultano, per come sopra dimostrato, inviolati dalla norma censurata» (sentenza n. 173 del 2010).

Per quanto concerne la sopravvenuta non conformità a Costituzione, fu dichiarata l’illegittimità – in riferimento all’art. 3 Cost. – dell’art. 30 della legge prov. Bolzano n. 1 del 1954, nella parte in cui non prevedeva che pure in caso di trasferimento coattivo del maso chiuso in un procedimento di esecuzione forzata l’assuntore è tenuto a versare alla massa ereditaria, per la divisione suppletoria, l’eccedenza del ricavo dalla vendita o del valore di assegnazione sul prezzo di assunzione. In quella sede è stato chiarito, tra l’altro, che la norma scrutinata, se era in origine giustificata da una ratio legis orientata a coniugare una misura di equità con una misura sanzionatoria del comportamento dell’assuntore, non era più assistita da «una giustificazione sostanziale che valga a legittimare la disparità di trattamento dei coeredi al cospetto del principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.» (sentenza n. 505 del 1988).

5.‒ L’art. 5 della legge prov. Bolzano n. 33 del 1978 va dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui prevedeva che, tra i chiamati alla successione nello stesso grado, ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine.

 

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 25 luglio 1978, n. 33 (Modifiche al testo unico delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi, approvato con decreto del Presidente della Giunta Provinciale 7 febbraio 1962, n. 8, e alla legge provinciale 9 novembre 1974, n. 22), riprodotto dall’art. 18 del decreto del Presidente della Giunta Provinciale di Bolzano 28 dicembre 1978, n. 32 (Approvazione del testo unificato delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi), come modificato dall’art. 3 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 24 febbraio 1993, n. 5 (Modifica delle leggi provinciali sull’ordinamento dei masi chiusi e della legge provinciale 20 febbraio 1970, n. 4, e successive modifiche ed integrazioni, sull’assistenza creditizia ai coltivatori diretti assuntori di masi chiusi), nella parte in cui prevede che, tra i chiamati alla successione nello stesso grado, ai maschi spetta la preferenza nei confronti delle femmine.

 

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