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In vigore al: 04/10/2016

Corte costituzionale - Sentenza N. 135 del 04.05.1984
Attribuzioni di controllo della Regione sulle aziende di credito

Sentenza (2 maggio) 4maggio 1984, n. 135; Pres. Elia – Rel. Paladin
 
Ritenuto in fatto: 1. Nel corso di due procedimenti relativi alla omologazione di deliberazioni assembleari delle Casse rurali di Tuenno e di Darzo e Lodrone, il Tribunale di Trento ha sollevato – con ordinanze rispettivamente emesse il 20 gennaio e il 24 febbraio 1983 – questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, d.P.R. 26 marzo 1977 n. 234 (”Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di ordinamento delle aziende di credito a carattere regionale”), per pretesa violazione degli artt. 4, 5 e 13 l. cost. 26 febbraio 1948 n. 5, nonché dell'art. 116 Cost. ”nella parte in cui si riferiscono alla Regione Trentino Alto Adige poteri di vigilanza e di controllo su enti ed aziende di credito”, che avrebbero invece dovuto restare riservati alla Banca d'Italia, l'impugnata disciplina di attuazione statutaria eccederebbe, infatti, la previsione dell'art. 5 n. 4 dello Statuo speciale: per cui quella Regione non è competente se non in materia di ”ordinamento degli enti di credito... a carattere regionale” vale a dire – specifica il giudice aquo – in tema di ”organizzazione degli enti medesimi, ad esclusione di tutto ciò che riguarda il ”contenuto dell'attività” da questi esercitata. Sicché sarebbe illegittimo l'avere attribuito alla Regione, e alla Banca d'Italia, l'approvazione delle modifiche statutarie di enti come quelli in considerazione nei procedimenti principali.
2. In entrambi i giudizi instaurati dinanzi alla Corte, si è costituita la Regione Trentino-Alto Adige, per chiedere il rigetto dell'impugnativa.
La competenza spettante in materia alla Regione stessa non sarebbe infatti limitata all'organizzazione delle aziende di credito a carattere regionale, ma si estenderebbe al ”momento soggettivo” delle loro peculiari attività, includendo pertanto ”le modalità di condotta degli enti” in questione. L'impugnata disciplina di attuazione espliciterebbe, dunque, ciò che dovrebbe già desumersi dallo Statuto speciale. E ne darebbe conferma l'atteggiamento della Banca d'Italia, la cui circolare n. 8807 del 21 novembre 1978, indirizzata alle istituzioni creditizie aventi sede nella Provincia di Trento, precisa – secondo la difesa regionale – che in tema di modifiche statutarie delle Casse in questione l'intervento dell'organo centrale di vigilanza non ha che un ”carattere di semplice collaborazione”.
3. È inoltre intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo invece che la Corte dichiari inammissibili le impugnative in esame. Da un lato – osserva in tal senso l'Avvocatura dello Stato – il giudice a quo ”pone come termine di riferimento... la l. cost. 26 febbraio 1948 n. 5, laddove lo statuto regionale vigente è quello contenuto nel testo unico approvato con d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670”. D'altro lato, entrambe le ordinanze di rimessione trascurerebbero di adempiere a quanto prescritto da questa Corte – in un analogo caso – con la sentenza n. 197 del 1982: cioè non chiarirebbero quale parte della complessa disciplina denunciata debba trovare applicazione nei giudizi a quibus, nè indicherebbero i contenuti delle delibere sottoposte all'omologazione.
In linea subordinata, però, anche l'Avvocatura delle Stato conclude nel senso dell'infondatezza, dal momento che per ”ordinamento” non potrebbero intendersi ”gli aspetti di cui trattasi”. Né si potrebbe ignorare che l'art. 11 del vigente Statuto attribuisce alle Province di Trento e di Bolzano le autorizzazioni all'apertura ed al trasferimento degli sportelli bancari, confermando con ciò che i poteri spettanti in tal campo alle istituzioni autonome non sono così ristretti come pretende il giudice a quo.
 
Considerato in diritto: 1. I due giudizi devono essere riuniti e decisi con unica sentenza. In entrambi i casi, infatti, il Tribunale di Trento impugna, con riferimento ai medesimi parametri, l'art. 3, primo comma, D.P.R. n. 234 del 1977, «nella parte in cui si conferiscono alla Regione Trentino Alto Adige poteri di vigilanza e di controllo su enti ed aziende di credito». Più precisamente, in entrambi i procedimenti, la questione concerne la lettera d) dell'art. 3, primo comma, per cui «rientrano nella competenza regionale i provvedimenti riguardanti gli enti e le aziende di credito di cui al precedente art. 2 ed aventi in particolare per oggetto l'approvazione delle modifiche statutarie». Nel motivare sulla rilevanza di tale questione, il Tribunale di Trento chiarisce, in verità, che i due giudizi a quibus hanno appunto ad oggetto l'«omologazione della deliberazione delle modifiche statutarie», rispettivamente adottata dall'assemblea della Cassa rurale di Darzo e Lodrone e da quella della Cassa rurale di Tuenno, il 29 maggio 1977 ed il 21 giugno 198l.
2. Ciò posto, vanno respinte le eccezioni d'inammissibilità, preliminarmente avanzate dall'Avvocatura dello Stato.
In primo luogo, è ben vero che il Tribunale di Trento si è rifatto all'originaria L.Cost. 26 febbraio 1948 n. 5 art. 4 (Statuto speciale della Regione Trentino Alto Adige), dimenticando che a seguito della legge costituzionale 10 novembre 1971, n. 1, lo Statuto stesso è stato integralmente novato dal testo unico approvato con il D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, in applicazione dell'art. 66l. cit.. Ma, nella sostanza, non sono mutati i parametri che il Tribunale assume a fondamento centrale delle sue censure, vale a dire i disposti che attribuiscono alla Regione competenza legislativa ed amministrativa in materia di «ordinamento degli enti di credito fondiario, di credito agrario, casse di risparmio e casse rurali, nonché delle aziende di credito a carattere regionale». Il citato art. 5 n. 4 dell'originario Statuto, cui fanno specifico riferimento le ordinanze in esame, è stato integralmente trasfuso salve alcune varianti lessicali del tutto secondarie, nell'art. 5 n. 3 del nuovo «testo unificato»; mentre l'invocato art. 13 coincide integralmente con l'attuale art. 16, là dove si dispone che, «nelle materie e nei limiti entro cui la Regione o la Provincia può emanare norme legislative, le relative potestà amministrative, che in base all'ordinamento preesistente erano attribuite allo Stato, sono esercitate rispettivamente dalla Regione e dalla Provincia». Perciò, in entrambi i sensi, è sufficiente che questa Corte rettifichi d'ufficio alcuni dati numerici della proposta questione, fermi restando i motivi nei quali si concreta l'impugnativa stessa.
In secondo luogo, è altrettanto vero che i dispositivi delle due ordinanze coinvolgono in blocco l'art. 3, primo comma, D.P.R. n. 234 del 1977, sebbene si tratti di una disciplina assai complessa, che affida alla Regione l'esercizio di una serie di poteri diversi: concernenti sia l'istituzione e l'autorizzazione alla costituzione e alla fusione delle aziende di credito a carattere regionale, sia l'approvazione delle modifiche dei loro statuti, sia l'adozione di altri provvedimenti interessanti l'attività od il funzionamento delle aziende medesime. Ma i dispositivi vanno interpretati e dimensionati, collegandoli alle motivazioni che li precedono, dalle quali risulta con chiarezza che entrambi i giudizi concernono modificazioni statutarie deliberate da parte di Casse rurali operanti nell'ambito regionale: modificazioni in parte «autorizzate» dalla Giunta regionale del Trentino Alto Adige, senza essere state previamente comunicate alla Banca d'Italia, «per la relativa approvazione», ai sensi dell'art. 8 R.D. 26 agosto 1937, n. 1706.
Non si può dunque aderire all'assunto dell'Avvocatura dello Stato, per cui le ordinanze in esame non specificherebbero in qual parte l'impugnata disciplina «sia da applicare ai fini della emittenda ,decisione». Né, d'altro canto, l'impugnativa può dirsi inammissibile per il solo fatto che le ordinanze stesse trascurano di evidenziare «il contenuto della delibera presentata all'omologazione», secondo quanto richiesto dalla Corte nella sentenza n. 197 del 1982, sull'inammissibilità di analoga questione a suo tempo proposta dal Tribunale di Trento. Nel presente caso, il Tribunale assume che la denunciata norma di attuazione statutaria sarebbe senz'altro illegittima, per aver inteso sostituire all'approvazione della Banca d'Italia «l'autorizzazione della Regione», come si è concretamente verificato in entrambi i procedimenti dei quali si tratta; e ciò rende indubbia la rilevanza della impugnativa, in vista dei compiti che il Tribunale deve esercitare, ai sensi dell'art. 8, sesto comma, del citato R.D. n. 1706 del 1937 quanto all'omologazione delle modifiche statutarie interessanti le Casse rurali di Tuenno e di Darzo e Lodrone.
3. Nel merito, le ordinanze di remissione argomentano che una norma di attuazione statutaria, concernente il passaggio delle funzioni statali attribuite alla Regione Trentino Alto Adige in materia di «ordinamento degli enti di credito», non potrebbe legittimamente derogare all'art. 8 R.D. n. 1706 del 1937, là dove si riservano alla Banca d'Italia l'approvazione e la variazione degli schemi degli atti costitutivi e degli statuti, nonché delle loro successive modificazioni, per tutte le Casse rurali ed artigiane operanti nel territorio nazionale. In tal campo, la competenza legislativa locale sarebbe circoscritta «alla emanazione di norme ordinamentali sulla organizzazione delle Casse rurali» e non già estesa «al contenuto dell'attività ed alla specificazione delle operazioni» consentite alle Casse medesime (come pure ad ogni altra azienda regionale di credito); e lo stesso limite varrebbe, data la regola del parallelismo, per le potestà amministrative corrispondentemente suscettibili di essere trasferite alla Regione ed esercitate dall'Amministrazione regionale.
Ma la questione non è fondata. Anche ad intendere l'«ordinamento» delle aziende regionali di credito come puro sinonimo di «organizzazione» delle aziende stesse, secondo la tesi del Giudice a quo, è chiaro che l'approvazione dei loro statuti e delle relative modificazioni non può non far parte della competenza spettante alla Regione Trentino Alto Adige, senza di che le attribuzioni in esame verrebbero svuotate. Certo, in un settore come quello creditizio, è indispensabile che le funzioni regionali siano armonizzate con quelle da riservare allo Stato, e in particolare alla Banca d'Italia; ma l'art. 1, ultimo comma, D.P.R. n. 234 del 1977 soddisfa in pieno una tale esigenza, disponendo appunto che «resta ferma la competenza degli organi dello Stato e della Banca d'Italia per tutto quanto riguarda la disciplina della raccolta del risparmio, dell'esercizio del credito, nonché il relativo controllo e vigilanza sugli enti ed aziende di credito» (mentre l'art. 3, secondo comma, del medesimo decreto aggiunge che i provvedimenti regionali di approvazione delle modifiche statutarie «vanno adottati dalla Regione» sentito «il Ministero del Tesoro»). Per contro, l'approvazione delle modifiche stesse è stata giustamente trasferita alla Regione, dal momento che ciò attiene alla struttura delle aziende di credito a carattere regionale, piuttosto che alle peculiari attività di esse, considerate nel loro concreto esplicarsi.
Né si può dire che la Banca d'Italia dovrebbe comunque approvare le modifiche finalizzate alla raccolta del risparmio ed all'esercizio del credito da parte delle Casse rurali e delle aziende creditizie in genere; laddove alla Regione rimarrebbe, secondo lo Statuto di autonomia, il solo compito di provvedere sull'organizzazione interna delle aziende in questione, senza alcun riferimento alle specie ed agli ambiti delle loro operazioni. Tesi del genere, adombrate dal Tribunale di Trento nell'ordinanza 20 dicembre 1979, sulla quale la Corte si è pronunciata con la predetta sentenza n. 197 del 1982, non sono state affatto sviluppate nelle ordinanze che vengono ora in esame, salvi i generici accenni contenuti nei dispositivi. Ma in ogni caso, si tratta di assunti che non trovano fondamento nella L.Cost. 26 febbraio 1948 n. 5 art. 4 (Statuto speciale per il Trentino Alto Adige), poiché l'«ordinamento degli Enti di Credito» a carattere regionale non può non tener conto di ciò che normalmente inerisce alla sfera delle loro attività, in vista degli scopi peculiari di istituti siffatti, quali sono identificati dalle stesse leggi dello Stato (e, in particolare, R.D. 26 agosto 1937, n. 1706 cit.). Se dunque le norme di attuazione statutaria avessero trasferito alla Regione le sole attribuzioni relative all'organizzazione interna delle aziende regionali di credito, in quanto istituti equiparati a qualsiasi altro tipo di persona giuridica, lo Statuto speciale sarebbe stato violato. E, nel contempo, la disciplina in questione si sarebbe posta in aperto contrasto con il principale criterio informatore del passaggio delle funzioni statali attribuite alle Regioni: criterio costituito, fin dall'art. 17, primo comma lett. b, della legge 16 maggio 1970, n. 281 (cui s'è aggiunto l'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), dal «trasferimento per settori organici di materie», anziché per frammenti di competenza.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, primo comma lett. d, D.P.R. 26 marzo 1977, n. 234, sollevata dal Tribunale di Trento, in riferimento all'art. 116 Cost., e agli artt. 4, 5 e 13 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5 (come sostituiti dagli artt. 4, 5 e 16 D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), con le ordinanze indicate in epigrafe.
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