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In vigore al: 04/10/2016

Corte costituzionale - Sentenza N. 85 del 26.02.1990
Istituzione delle autorità di bacino di rilievo nazionale - Cooperazione per attuare obiettivi comuni allo Stato ed alle Regioni o Province

Sentenza (20 febbraio) 26 febbraio 1990 n. 85; Pres. Saja - Red. Baldassarre
 
Ritenuto in fatto: 1. Con i quattro ricorsi indicati in epigrafe le Regioni Friuli-Venezia Giulia e Veneto e le Province autonome di Trento e di Bolzano hanno prospettato numerose questioni di legittimità costituzionale riguardanti la l. 18 maggio 1989 n. 183 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo).
In via generale, la Regione Veneto e la Provincia di Trento osservano che l'intera legge sulla difesa del suolo, soprattutto laddove determina l'organizzazione e i poteri relativi ai bacini idrografici d'interesse nazionale, individua una serie di attribuzioni statali che, in parte, si sovraordinerebbero a quelle proprie delle Regioni (e Province autonome) espropriandole delle loro competenze o assoggettandole a indirizzi e misure di coordinamento di carattere cogente e, per altra parte, sarebbero disciplinate in assoluto spregio del principio di « cooperazione » tra Stato e Regioni (o Province autonome). In ragione di tali considerazioni la Regione Veneto contesta la legittimità costituzionale dell'intera legge, in quanto globalmente diretta a porre una « orditura prevaricatrice » nei confronti delle autonomie regionali avente effetti « devastanti » sull'assetto istituzionale di queste ultime (considerato che i nove decimi del territorio regionale sarebbero ricompresi in bacini d'interesse nazionale). Su basi analoghe, la Regione Friuli-Venezia Giulia contesta la medesima legge, oltreché nelle parti che poi saranno precisamente indicate, « in ogni altra parte in cui non viene attribuito alla Regione Friuli-Venezia Giulia il ruolo che costituzionalmente le compete sugli oggetti in detta legge disciplinati ».
Tutte le ricorrenti contestano l'art. 1 comma 5, il quale prevede che « le disposizioni della presente legge costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica nonché principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 Cost. ». A loro avviso, sarebbe incostituzionale una doppia qualificazione delle stesse disposizioni come quella ora ricordata e, soprattutto, lo sarebbe l'estensione della qualificazione di riforma economico-sociale a tutte le norme contenute nella legge, comprese quelle di dettaglio, tanto più alla luce della giurisprudenza di questa Corte inaugurata dalla sent. n. 219 del 1984.
La Regione Veneto e la Provincia di Bolzano contestano la legittimità costituzionale dell'art. 3 comma 2, in quanto, subordinando le competenze legislative regionali o provinciali a «criteri, metodi, standards, nonché modalità di coordinamento e di collaborazione » stabiliti con atti amministrativi, violerebbe le norme cui è vincolato l'esercizio della funzione governativa di indirizzo e coordinamento. In particolare, poi, la Provincia di Bolzano prospetta dubbi analoghi in ordine all'art. 4 comma 1, in quanto, a suo avviso, attribuirebbe al Presidente del Consiglio dei Ministri la funzione di indirizzo e coordinamento senza prevedere la deliberazione del Consiglio dei Ministri o la delega di quest'ultimo al Presidente stesso (art. 3 comma 2 l. n. 382 del 1975) e senza rispettare il principio di legalità. Per le medesime ragioni, la Provincia di Bolzano ritiene che sia illegittimo pure l'art. 9 comma 8, che conferisce al Consiglio dei direttori dei servizi tecnici nazionali un potere di coordinamento anche nei confronti dei servizi tecnici provinciali. Infine, la Provincia di Bolzano lamenta l'invasione della competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento dei propri uffici (art. 8, n. 1, stat. spec. del Trentino-Alto Adige) da parte dell'art. 9 comma 9, lett. a e b, che, prevedendo la riorganizzazione dei servizi tecnici nazionali su base territoriale, avrebbe ad oggetto anche gli uffici tecnici trasferiti alle Province autonome, sottoponendoli a indirizzi e misure di coordinamento disposti da istanze statali di natura amministrativa.
Un gruppo consistente di articoli sono impugnati perché ripartirebbero fra Stato e Regioni le competenze in materia di difesa dei suoli violando le norme costituzionali e quelle di attuazione relative al regime dei suoli stessi. La Regione Veneto e le Province autonome di Trento e di Bolzano contestano la legittimità dell'art. 12 nel suo complesso, in quanto, istituendo una nuova figura soggettiva statale (l'autorità dei bacini di rilievo nazionale) avente il compito di adottare il piano di bacino e di assicurare il coordinamento dei piani di risanamento a tutela delle acque di cui alla l. 10 maggio 1976 n. 319, demanderebbe a un ufficio statale l'esercizio di funzioni amministrative spettanti alla Regione o alla Provincia. La sola Regione Veneto manifesta dubbi di legittimità costituzionale anche sugli artt. 13 commi 1 e 2 e 14, i quali, nel modificare il riparto di competenze fra Stato e Regioni previsto agli artt. 89 e 91 d.P.R. n. 616 del 1977, mirerebbero ad abrogare una disciplina emanata in diretta attuazione di un preciso dovere costituzionale e, pertanto, dotata di un rango superiore alle leggi organizzative dello Stato. Ancora la Regione Veneto impugna gli artt. 17 e 18, i quali, nel sovraordinare i piani di bacino a ogni altra funzione, anche di programmazione, spettante alle Regioni, violerebbero le competenze di queste ultime in materia di assetto del territorio, di opere di difesa, di utilizzo delle risorse idriche, nonché di disciplina dell'estrazione di materiali. Anche le Province di Trento e di Bolzano ritengono che le loro potestà legislative e amministrative siano lese dall'art. 17, tanto nella parte che riguarda la disciplina dei contenuti dei piani di bacino (comma 3), quanto nella parte in cui è attribuito al piano di bacino valore di piano territoriale di settore (comma 1), coordinandolo con i programmi di uso del suolo e attribuendogli un carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni e gli enti provinciali (commi 4, 5 e 6). La Provincia di Trento impugna, inoltre, l'art. 22 comma 6, laddove si prevede che l'approvazione del programma triennale d'intervento « produce gli effetti di cui all'art 81 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, con riferimento all'accertamento di conformità e alle intese di cui al citato art. 81 », ritenendo tale disposizione in contrasto con le norme statutarie e di attuazione che le attribuiscono competenze legislative e amministrative in materia urbanistica. La stessa Provincia individua, inoltre, un ulteriore profilo di incostituzionalità nelle norme appena citate unite in combinato disposto con gli artt. 25 e 31, in quanto le ritiene lesive della propria autonomia finanziaria in relazione ai vincoli che ne conseguono sulla spesa pubblica. Infine, la Regione Veneto impugna l'art. 35, il quale, in relazione a quanto già previsto nell'art. 17, prevede che nei piani di bacino « possono essere individuati ambiti territoriali ottimali per la gestione mediante consorzio obbligatorio dei servizi pubblici di acquedotto, fognatura, collettamento e depurazione delle acque usate questo articolo, per la Regione Veneto, comporterebbe un sovvertimento dei poteri regionali relativi alla definizione degli ambiti territoriali e alla costituzione dei consorzi per la gestione dei servizi pubblici.
La Regione Friuli-Venezia Giulia contesta la legittimità costituzionale degli artt. 14 comma 3, 15 comma 2 e 16 comma 2, in quanto prevedono il trasferimento (anche futuro ed eventuale) o la delega di funzioni amministrative di cui la Regione ricorrente sarebbe già titolare. L'art. 14 comma 3, è impugnato anche dalla Regione Veneto, la quale prospetta il dubbio se sia legittimo sottoporre la Regione a decisioni del Ministero dei lavori pubblici in ordine a competenze amministrative concernenti corsi d'acqua compresi nel suo territorio.
Un cospicuo numero di contestazioni riguarda il complesso di norme che disciplinano le forme di cooperazione fra Stato e Regioni (o Province autonome) in relazione al settore della difesa del suolo. Le Regioni Veneto e Friuli-Venezia Giulia impugnano l'art. 4 in quanto prevede una serie di competenze e di attività imputate allo Stato che, pur incidendo sull'assetto del territorio delle rispettive Regioni, non prefigurano alcuna forma di cooperazione con le Regioni stesse. In particolare, la Regione Friuli-Venezia Giulia contesta la previsione (comma 1 lett. b) dell'approvazione da parte del Consiglio dei Ministri degli atti relativi alla delimitazione dei bacini di rilievo nazionale e interregionale senza precisare che, quando questi atti incidano sull'idrografia del territorio veneto, si rende necessaria la partecipazione al predetto Consiglio del Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia ex art. 4, lett. a), d.P.R. 15 gennaio 1987 n. 469. La stessa ricorrente, poi, lamenta la mancata previsione dell'intesa fra lo Stato e la Regione medesima in relazione: a) all'approvazione dei piani di bacino di rilievo nazionale incidenti nel suo territorio (comma 1, lett. c), con affermata violazione dell'art. 23 d.P.R. 26 agosto 1985 n. 1116, che demanda al Presidente della Regione l'approvazione dei piani territoriali di coordinamento; b) all'approvazione del programma nazionale di intervento, relativamente alle opere di competenza regionale da realizzare nel suo territorio. Per motivi analoghi, legati alla supposta interferenza con attribuzioni regionali o provinciali, la Regione Veneto e la Provincia autonoma di Bolzano impugnano l'art. 22 comma 1, che stabilisce la competenza dei Comitati istituzionali ivi previsti riguardo all'adozione dei programmi di intervento nei bacini di rilievo nazionale senza prevedere il parere della Regione o della Provincia interessata quando quei programmi incidano sul territorio delle stesse. Ancora per violazione dei princìpi di cooperazione, la Regione Friuli-Venezia Giulia contesta la legittimità costituzionale dell'art. 25 avendo riguardo tanto al quarto che al comma 5: in relazione al primo, contesta la mancata intesa con la Regione in riferimento all'approvazione del programma nazionale d'intervento, articolato per bacini, e della ripartizione degli stanziamenti; in relazione all'altro comma, la contestazione è legata al rilievo che questo, prevedendo il parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici su opere di competenza regionale, verrebbe a ledere manifestamente le attribuzioni della ricorrente. Infine la Provincia di Bolzano ritiene leso il principio di leale cooperazione da parte dell'art. 28, il quale disciplina il distacco presso le segreterie dei comitati per la difesa del suolo di dipendenti delle Regioni e delle Province autonome senza prevedere l'intesa con queste ultime.
Un altro gruppo di questioni concerne i poteri di controllo regolati in varie norme della legge impugnata. La Regione Friuli-Venezia Giulia contesta la legittimità dell'art. 4 comma 1, lett. a) ed e) e comma 3, in quanto, presupponendo poteri di verifica e di controllo, anche sostitutivo, ovvero poteri di verifica sull'attuazione dei programmi di intervento delle Regioni, violerebbe, l'art. 58 stat. spec. F.-V.G., il quale prevede, in relazione agli atti amministrativi regionali, soltanto il controllo della Corte dei conti. La Regione Veneto lamenta, invece, la violazione del sistema dei controlli previsti dall'art. 125 Cost. da parte dell'art. 21 comma 3, il quale facoltizza le Regioni a realizzare autonomamente opere e interventi previsti dai piani di bacino di rilievo nazionale, ma sotto il controllo del Comitato di bacino.
Le Province autonome di Trento e di Bolzano contestano, poi, alcune disposizioni che prevedono poteri sostitutivi, ritenendole non conformi ai requisiti costituzionali più volte indicati da questa Corte e, in particolare, a quello della previa deliberazione del Consiglio dei Ministri (art. 2 comma 3, lett. f, 1. n. 400 del 1988). Tale sarebbe il caso dell'art. 4 comma 1, lett. e), il quale demanda al Presidente del Consiglio dei Ministri gli atti volti a provvedere in via sostitutiva in relazione all'adempimento delle funzioni previste dalla legge impugnata, nonché dell'art. 18 comma 2, che prevede atti sostitutivi deliberati dallo stesso Presidente del Consiglio in ordine agli adempimenti regionali relativi alla formazione dei piani di bacino. Per gli stessi motivi, la sola Provincia di Trento impugna l'art. 15 comma 4 e l'art. 20 commi 2, 3 e 4. Tali disposizioni si riferiscono a bacini diversi da quelli di rilievo nazionale ma comprendenti il territorio di più Regioni e prevedono interventi sostitutivi del Presidente del Consiglio dei Ministri, in caso di inerzia o di mancata intesa fra le Regioni interessate, che sarebbero privi dei requisiti costituzionali sopradetti.
Sempre le Province di Bolzano e di Trento lamentano la lesione di princìpi costituzionali coinvolgenti profili particolari delle loro autonomie. La prima contesta la violazione dei princìpi del bilinguismo e della proporzionale etnica (artt. 89 e 100 stat. T.-A.A. e relative norme di attuazione) da parte degli artt. 9 comma 9, lett. c) e commi successivi, 12 (ultima parte) e 24 comma 1, i quali, disciplinando rispettivamente i ruoli e il trattamento del personale dei servizi tecnici nazionali, nonché gli uffici periferici dell'autorità di bacino e le dotazioni organiche, non farebbero salvi i predetti princìpi. La stessa Provincia di Bolzano impugna anche gli artt. 32 comma 1 e 35, in quanto non farebbero salve le competenze assegnate dallo statuto alla ricorrente, limitando, l'uno, tale salvezza, alle materie dell'utilizzazione delle acque pubbliche e delle opere idrauliche e non menzionandola affatto, l'altro, pur interferendo con competenze provinciali. Analoga censura è mossa alle stesse disposizioni dalla Provincia di Trento, sempreché la predetta clausola di salvezza non dovesse esser interpretata come comprensiva del piano provinciale generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche, di cui all'art. 8 d.P.R. n. 381 del 1974. Il comma successivo dello stesso art. 32 è impugnato, sempre dalla Provincia di Trento, in quanto, nel prevedere che i riferimenti ai presidenti e ai funzionari regionali debbano intendersi come fatti ai presidenti e ai funzionari provinciali, estenderebbe tale normativa soltanto alle autorità del bacino dell'Adige e non anche a quelle dei bacini del Po e del Brenta-Bacchiglione. La Provincia di Bolzano contesta, poi, la violazione della riserva a favore delle norme di attuazione, di cui all'art. 107 stat. T.-A.A., da parte degli artt. 10 e 24 comma 1, che prevederebbero un'incidenza sulla ripartizione delle competenze fra Stato e Provincia attraverso atti inidonei, quali la stessa legge (ordinaria) e il regolamento. E, infine, la medesima Provincia dubita della legittimità dell'art. 10 comma 5, il quale riserva allo Stato la normativa tecnica, mentre nessuna limitazione sarebbe prevista in proposito dallo statuto e dalle relative norme di attuazione (art. 19 d.P.R, n. 381 del 1974).
2. Il Presidente del Consiglio dei Ministri si è costituito in tutti i giudizi per chiedere il rigetto dei quattro ricorsi indicati in epigrafe.
In linea generale, il resistente osserva che non può convenirsi con le ricorrenti nel ritenere che la legge impugnata colpisca o, addirittura, stravolga le competenze regionali (o provinciali). In proposito, ricorda che tale legge si proporrebbe di « dare le gambe » alla funzione che l'art. 81 d.P.R. n. 616 del 1977 ha riservato allo Stato in relazione all'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio e, in particolare, alla difesa del suolo. In altre parole, con la predetta legge si sarebbe attuata quella competenza al fine di garantire omogeneità di condizioni nella salvaguardia della vita umana e del territorio (art. 3 comma 2). E nel far ciò non sarebbero state sottratte competenze amministrative alle Regioni, ma, anzi, sarebbero state aumentate, prevedendo in sostanza la legge impugnata un intervento analogo a quello realizzato con la l. n. 431 del 1985, già ritenuto non incompatibile con la Costituzione da parte delle sentt. nn. 151 e 153 del 1986.
In particolare, poi, non violerebbe le competenze assegnate dalla Costituzione alle Regioni (o alle Province autonome) la previsione di bacini di rilievo nazionale, in quanto questa previsione manterrebbe ferme le attuali funzioni amministrative o, addirittura, ne prevederebbe di maggiori per le Regioni (o le Province autonome) ricomprese nei bacini, essendo queste ultime chiamate a far parte degli organi delle autorità di bacino, talora (come nel comitato tecnico) paritariamente.
3. In prossimità dell'udienza hanno presentato memorie la Regione Veneto e le Province autonome di Trento e di Bolzano, le quali, oltre a ribadire argomenti già svolti, ne aggiungono di nuovi, soprattutto in replica alle affermazioni contenute negli scritti difensivi dell'Avvocatura dello Stato.
In particolare, la Regione Veneto ritiene che sia inconferente il richiamo dell'Avvocatura alla sent. n. 151 del 1986, in quanto la legge allora in questione avrebbe avuto riguardo soltanto a interventi del Ministro competente in presenza di un'inerzia regionale. Nello stesso tempo, il richiamo al d.P.R. n. 616 del 1977 avrebbe dovuto essere accompagnato dall'osservazione che la legge impugnata sovvertirebbe completamente il regime delle opere idrauliche stabilito dall'art. 89 dello stesso decreto, il quale, fra l'altro, già prevedeva l'intesa fra Stato e Regioni.
La Provincia di Bolzano contesta all'Avvocatura la fondatezza del collegamento tra la legge impugnata e l'art. 81, lett. a, d.P.R. n. 616 del 1977, in quanto la legge impugnata, per un verso, non si manterrebbe in alcun modo entro i confini dell'urbanistica e, per altro, non si limiterebbe a fissare indirizzi o misure di coordinamento per l'ulteriore sviluppo delle competenze regionali o provinciali. In secondo luogo, la stessa Provincia nega che il richiamo all'interesse nazionale sia di per sé sufficiente a consentire immediate incisioni delle competenze regionali o provinciali, essendo invece necessario il collegamento a valori « forti » della Costituzione, quali la tutela della persona umana. Nel caso, invece, tale legame sarebbe solo indiretto e troppo tenue per giustificare le limitazioni oggetto del presente giudizio. La Provincia contesta, inoltre, che la legge impugnata possa essere qualificata nella sua interezza come norma fondamentale di riforma economico-sociale, dal momento che non lascerebbe alcuno spazio alle competenze legislative delle Regioni e delle Province autonome. Venendo alle questioni più particolari, la stessa ricorrente nega ogni parallelismo con il precedente costituito dalla sent. n. 151 del 1986, in quanto nel caso non si tratterebbe di materie delegate e ricorrerebbero poteri sostitutivi diversi, non rispettosi dei requisiti allora affermati e, in particolare, di quello della previa consultazione. La Provincia afferma, inoltre, che la previsione della partecipazione di rappresentanti provinciali al Comitato tecnico e a quello istituzionale violerebbe l'art. 14 comma 3 stat. e le relative norme di attuazione, che prevedono l'intesa in relazione al piano generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche. Tanto più ciò varrebbe, secondo la ricorrente, per la partecipazione provinciale al Comitato istituzionale, laddove, essendo la Provincia in posizione minoritaria, si permetterebbe ad essa soltanto di manifestare pubblicamente il proprio dissenso. Inoltre, la Provincia sottolinea che le limitazioni stabilite dalle disposizioni sulla normativa tecnica non sarebbero conformi all'art. 88 n. 11, d.P.R. n. 616 del 1977, che le prevede solo per le Regioni a statuto ordinario, e non già per le Province autonome.
La Provincia di Bolzano, infine, premesso che il Consiglio provinciale in sede di ratifica della delibera della Giunta di proposizione del presente ricorso ha esteso l'impugnativa ad ulteriori articoli della 1. n. 183 del 1989 (artt. 2 comma 2, 5 comma 2, 14 comma 1; 16, 20, 25 e 31), ne chiede la dichiarazione di incostituzionalità in base all'art. 27 1. n. 87 del 1953 in quanto, afferma, tali disposizioni o diventerebbero inoperanti a seguito della caducazione di quelle già impugnate, o sarebbero applicative delle medesime o con quella farebbero sistema, onde cadendo le prime dovrebbero necessariamente cadere anche le seconde.
In una breve memoria la Provincia di Trento ricorda che recentemente questa Corte ha escluso che la ricorrenza dell'interesse nazionale riguardo all'istituzione e alla gestione dei parchi nazionali possa comportare l'esclusione delle competenze regionali o provinciali.
Considerato in diritto: 1. I quattro ricorsi indicati in epigrafe concernono tutti la l. 18 maggio 1989 n. 183, intitolata « Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo », sollevando, in riferimento a molteplici parametri, numerose questioni di legittimità costituzionale fra loro oggettivamente connesse. E, pertanto, opportuno riunire i relativi giudizi per deciderli con un'unica sentenza.
2. Se pure con argomenti e formulazioni di carattere non sempre identico, le Regioni Veneto e Friuli-Venezia Giulia, nonché la Provincia autonoma di Trento, contestano l'intera l. n. 183 del 1989, sostenendo che quest'ultima porrebbe in essere un insieme di discipline, di istituzioni e di procedure d'intervento che sconvolgerebbe l'assetto organizzativo delle Regioni (o delle Province autonome) e produrrebbe una grave compressione delle autonomie regionali (o provinciali).
La questione, così com'è posta, non è ammissibile. Questa Corte ha più volte affermato (sentt. nn. 517 del 1989, 1111 del 1988 e 459 del 1989) che ogni questione di costituzionalità sollevata nei ricorsi in via principale deve essere adeguatamente motivata al fine di «consentire alla Corte il vaglio in limine litis, attraverso l'esame della motivazione e del suo contenuto, della sussistenza in concreto dello specifico interesse a ricorrere in relazione alle singole disposizioni impugnate », oltreché al fine « di determinare inequivocabilmente l'oggetto della questione sottoposta al giudizio di costituzionalità » e di verificare l'eventuale arbitrarietà, pretestuosità o astrattezza dei dubbi di legittimità prospettati. Dal momento che le censure adeguatamente motivate riguardano soltanto singole disposizioni della l. n. 183 del 1989, le quali non sono logicamente così collegate con tutte le altre contenute nel medesimo atto legislativo da indurre ragionevolmente a pensare che la loro proposizione debba necessariamente estendersi a tutta la legge e dal momento che l'indicazione delle restanti censure è affatto generica e, nel caso del ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia, addirittura imprecisa, non resta che dichiarare l'inammissibilità della relativa questione.
3. L'art. 1 comma 5, il quale prevede che « le disposizioni della presente legge costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale, nonché princìpi fondamentali ai sensi dell'art. 117 Cost. », è oggetto di impugnazione da parte di tutte le ricorrenti. A loro avviso, infatti, non potrebbe ammettersi una duplice e diversa qualificazione delle stesse disposizioni e, in ogni caso, tali qualificazioni non potrebbero essere indiscriminatamente estese a tutte le norme contenute nella legge, comprese quelle di dettaglio.
Nei termini appresso indicati la questione non è fondata, E affermazione costante di questa Corte (sentt. nn. 219 del 1984, 192 del 1987 e 1002 del 1988) che la qualificazione di una legge o di alcune sue disposizioni come princìpi fondamentali della legislazione statale o come norme fondamentali di riforma economico-sociale non può discendere soltanto da apodittiche affermazioni del legislatore stesso, ma deve avere una puntuale rispondenza nella natura effettiva delle disposizioni interessate, quale si desume dal loro contenuto normativo, dal loro oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei confronti di altre norme dell'ordinamento o dei rapporti sociali disciplinati. Se, dunque, l'autoqualificazione di per sé non è determinante, appare conseguentemente irrilevante anche la duplice e divergente autodefinizione contenuta nell'articolo impugnato, tanto più che, riferita a tutta la legge, una di esse potrebbe riguardare alcune disposizioni e la seconda altre distinte disposizioni.
4. La Regione Veneto e la Provincia autonoma di Bolzano contestano la legittimità costituzionale dell'art. 3 comma 2, il quale stabilisce che le attività di pianificazione, di programmazione e di attuazione, previste dallo stesso articolo e deliberate ai sensi del successivo art. 4 comma 1, « sono svolte (...) secondo criteri, metodi e standards, nonché modalità di coordinamento e di collaborazione tra i soggetti pubblici comunque competenti al fine, fra l'altro, di garantire omogeneità di: a) condizioni di salvaguardia della vita umana e del territorio, ivi compresi gli abitati e i beni; b) modalità di utilizzazione delle risorse e dei beni, e di gestione dei servizi connessi ». Secondo le ricorrenti, tali disposizioni contravverrebbero ai requisiti minimi costituzionalmente posti in ordine allo svolgimento della funzione governativa di indirizzo e coordinamento.
La questione non è fondata.
La l. n. 183 del 1989 predispone un'articolata disciplina volta al raggiungimento degli obiettivi della difesa del suolo, del risanamento delle acque, della fruizione e della gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, nonché della tutela degli aspetti ambientali ad essa connessi (art. 1 comma 1). Si tratta, in sostanza, di una legge che, come riconoscono l'Avvocatura dello Stato e alcune delle ricorrenti, non si propone in via principale di stabilire una nuova ripartizione di materie e di competenze fra Stato e Regioni (o Province autonome), ma fissa piuttosto un obiettivo — la difesa del suolo — da raggiungere attraverso una complessa pianificazione dei settori materiali coinvolti. In altre parole, la legge contestata pone molteplici obiettivi imperniati sulla difesa del suolo, per il perseguimento dei quali, fermo restando nella sostanza il quadro generale di ripartizione delle competenze fra, Stato e Regioni (o Province autonome) stabilito da vari articoli del d.P.R. n. 616 del 1977 (o delle norme di attuazione), si prevede un'articolata pianificazione degli interventi (piani di bacino), una programmazione dei finanziamenti (programmi triennali d'intervento), la creazione di nuove istituzioni (centrali e periferiche) di supporto per i predetti interventi (Comitato di Ministri; Comitato nazionale per la difesa del suolo e autorità di bacino), la previsione di forme di collaborazione e di atti di indirizzo e coordinamento, la predisposizione di controlli e di atti sostitutivi in ordine agli adempimenti connessi alle attività di pianificazione e di programmazione e, infine, l'accollamento allo Stato di tutti i conseguenti oneri finanziari.
In questo quadro, l'art. 3, mentre determina, al comma 1, le attività che dovranno essere oggetto delle misure pianificatorie previste nella legge stessa (sistemazione, conservazione e recupero del suolo nei bacini idrografici; difesa, sistemazione e regolazione dei corsi d'acqua; moderazione delle piene; limiti alle attività estrattive ai fini della tutela del suolo; ecc.), stabilisce nel comma 2 — e cioè nel comma la cui contestazione è ora in discussione — che le predette programmazioni dovranno essere adottate con le procedure di cui al successivo art. 4 e secondo criteri, metodi, standards, modalità di coordinamento e di collaborazione, tendenti al fine di garantire l'omogeneità riguardo alle condizioni di salvaguardia della vita umana e del territorio e riguardo di gestione dei servizi connessi. In sé considerata, quest'ultima disposizione non contiene alcuna lesione della sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle ricorrenti, ne comporta alcuna violazione dei princìpi costituzionali in ordine alla funzione governativa di indirizzo e di coordinamento, dal momento che si limita a stabilire un potere di programmazione, giustificato dall'esigenza di perseguire uniformemente determinati obiettivi, senza toccare minimamente il problema della ripartizione delle relative competenze pianificatorie fra i vari « soggetti pubblici comunque competenti » e senza porre norme particolari sullo svolgimento della funzione governativa di indirizzo e coordinamento al di là del semplice rinvio al successivo art. 4 (sul quale si veda il punto seguente). In sintesi, la mera previsione di programmi e di piani, finalizzati all'obiettivo della difesa del suolo e dei beni umani e naturali a ciò connessi, non può comportare, di per sé, alcuna forma di illegittimità costituzionale.
5. La Provincia autonoma di Bolzano dubita della legittimità costituzionale dell'art. 4 comma 1, in quanto quest'ultimo prevederebbe poteri di indirizzo e coordinamento non rispettosi del principio di legalità e delle procedure stabilite per il loro esercizio.
La questione non è fondata.
Va premesso, innanzitutto, che, a norma delle disposizioni impugnate, determinati atti, conseguenti all'esercizio di talune funzioni connesse alla disciplina della difesa del suolo, sono sottoposti all'approvazione del Presidente del Consiglio dei Ministri (che li adotta con proprio decreto), previa deliberazione del Consiglio dei Ministri e su proposta del Ministro dei lavori pubblici o del Comitato dei Ministri previsto nel comma 2 dello stesso articolo. Molti di tali atti — e precisamente quelli indicati nelle lett a), c) e d)— consistono in piani e programmi nazionali, nonché in deliberazioni di metodi e di criteri per lo svolgimento degli stessi e delle connesse attività conoscitive e di controllo. Si tratta, in altre parole, di atti più comprensivi e più complessi di quelli di indirizzo e coordinamento, soprattutto perché non interessano soltanto materie riservate alla competenza regionale (o provinciale) e non hanno, quindi, come propri destinatari soltanto le Regioni o le Province autonome, ma sono diretti all'insieme dei soggetti statali e regionali (o provinciali) coinvolti nella complessa opera finalizzata alla difesa del suolo (v. anche sentt. nn. 389 e 452 del 1989). Allo stesse modo non ricadono oggettivamente nell'ambito delle censure prospettate dalla ricorrente anche altre disposizioni — come quelle alle lett. b) e e)— che si riferiscono ad atti non riconducibili alla funzione di indirizzo e coordinamento: tali sono gli atti relativi alla delimitazione dei bacini di rilievo nazionale e interregionale, i quali rimandano a una competenza già attribuita al Governo dall'art. 89 d.P.R. n. 616 del 1977, nonché gli atti di sostituzione in caso di inerzia persistente dei vari soggetti coinvolti nei processi pianificatori delineati dalla legge impugnata. Solo la lett. f)è rilevante ai fini della censura ora esaminata, in quanto sottopone all'approvazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, « ogni altro atto di indirizzo e coordinamento nel settore disciplinato dalla presente legge ».
Tuttavia, contrariamente a quanto suppone la ricorrente, quest'ultima disposizione non disciplina una determinata funzione di indirizzo e coordinamento, tanto che non stabilisce criteri o princìpi direttivi in relazione a una particolare materia o funzione, non prevede procedure, non fissa obiettivi o finalità particolari. Essa è, più semplicemente, una disposizione analoga a quella contenuta nell'art. 2 comma 3 lett. d), l. 23 agosto 1988 n. 400, volta a precisare, in funzione prevalentemente ricognitiva, che anche gli atti governativi di indirizzo e coordinamento occorrenti nel settore della difesa del suolo devono essere deliberati dal Consiglio dei Ministri ed emanati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Sicché non resta a questa Corte che pervenire sul punto alla medesima conclusione raggiunta nella sent. n. 242 del 1989 e ribadire, in particolare, la peculiare posizione dell'autonomia costituzionale riconosciuta alla Provincia di Bolzano nei confronti della funzione di indirizzo e coordinamento (v. punto 8.2 della medesima pronunzia).
6. La Regione Veneto e le Province autonome di Trento e Bolzano contestano la legittimità costituzionale dell'art. 12 — che istituisce le autorità di bacino di rilievo nazionale, ne determina le competenze e ne stabilisce la formazione — ritenendolo illegittimo in quanto creerebbe nuove istituzioni statali in luogo di quelle regionali (o provinciali) attributarie delle medesime competenze.
La questione non è fondata.
Come si è precedentemente accennato, la l. n. 183 del 1989 è essenzialmente una legge di obiettivi, poiché la difesa del suolo è una finalità il cui raggiungimento coinvolge funzioni e materie assegnate tanto alla competenza statale quanto a quella regionale (o provinciale). Essendo, dunque, un obiettivo comune allo Stato e alle Regioni, la difesa del suolo può essere perseguita soltanto attraverso la via della cooperazione fra l'uno e gli altri soggetti. Naturalmente le forme della cooperazione possono essere svariate, poiché oscillano dalla concorrenza (paritaria o non) delle due parti nella produzione del medesimo atto (intese, pareri, ecc.) al coordinamento dell'esercizio delle rispettive funzioni, dalla possibilità di utilizzazione di organi dell'altra parte alla creazione di « organi misti » in cui siano rappresentate, paritariamente o non, le due parti. Nel caso dell'impugnato art. 12, quest'ultima è la soluzione prescelta, dal momento che il governo dei bacini idrografici di rilievo nazionale è affidato ad « autorità » appositamente costituite, alla cui composizione concorrono sia rappresentanti statali che regionali (o provinciali). Di per sé, pertanto, l'istituzione di tali « organi misti » non può considerarsi costituzionalmente illegittima, dal momento che rientra fra le possibilità che il legislatore ha di conformare là cooperazione fra Stato e Regioni in relazione al perseguimento di obiettivi comportanti numerosi punti di interferenza e di intreccio tra competenze statali e competenze regionali. Né può dirsi che la creazione delle suddette istituzioni sia di per sé irragionevole, poiché, anzi, quando ricorrono ipotesi di discipline funzionalmente e materialmente complesse e di reti pianificatorie particolarmente articolate, appare tutt'altro che arbitrario prevedere istituzioni a composizione mista dirette a fungere da supporto di organizzazione e di direzione unitaria del complesso governo del settore.
Secondo le ricorrenti, un ulteriore motivo di illegittimità costituzionale deriverebbe dal rilievo che in tali « organi misti » la rappresentanza regionale sarebbe sistematicamente minoritaria. Questa affermazione è, in realtà, espressamente contraddetta dallo stesso art. 12 comma 5, per quanto riguarda il Comitato tecnico, nel quale si raccolgono rappresentanti statali e rappresentanti regionali « in numero complessivamente paritetico » al fine di operare come organo di consulenza del Comitato istituzionale e, soprattutto, di provvedere all'elaborazione del piano di bacino. La tesi interpretativa prospettata dalle ricorrenti non può valere neppure per quanto riguarda il Comitato istituzionale, in relazione al quale, proprio perché si tratta dell'organo che, oltre a stabilire i princìpi direttivi e i criteri per l'elaborazione dei piani interessanti gli specifici bacini idrografici, provvede alla loro approvazione e determina quali componenti del piano costituiscano interesse esclusivo delle singole Regioni, si segue un criterio di composizione non meramente numerico o per quote, ma dipendente dalle competenze e dagli interessi incidenti sull'area considerata. E per tale motivo che il Comitato istituzionale è formato, oltreché dai quattro ministri competenti, dai presidenti delle Regioni maggiormente interessate. Si tratta, in altre parole, di una composizione che non prestabilisce quale « componente » sia maggioritaria e quale no (come dimostra anche l'attuazione della legge che vede le Regioni in « minoranza » solo in tre delle sei autorità dei bacini di rilievo nazionale), per il semplice fatto che ciò è irrilevante o, quantomeno, secondario rispetto al criterio di composizione non irragionevolmente prescelto dal legislatore.
7. Numerose censure proposte dalle ricorrenti prospettano la presunta violazione del principio costituzionale di cooperazione fra Stato e Regioni.
7.1. In relazione all'art. 4 comma 1, lett. a), la Regione Veneto solleva il dubbio se sia costituzionalmente legittimo che il Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, stabilisca i metodi e i criteri, anche tecnici, per lo svolgimento delle attività conoscitive e pianificatorie di cui agli artt. 2 e 3 della stessa legge, nonché per la verifica e il controllo dei piani ivi indicati, senza prevedere alcuna forma di collaborazione con le Regioni.
La questione non è fondata.
La disposizione impugnata concerne il potere governativo di deliberare le linee essenziali relative ai metodi e ai criteri, anche tecnici, che devono essere seguiti nell'esercizio delle attività conoscitive, pianificatorie e di attuazione indicate, in via generale, dagli artt. 2 e 3 della stessa legge. Sull'esercizio di tale competenza statale le Regioni possono influire attraverso il Comitato nazionale per la difesa del suolo — cioè attravero un « organo misto », fra i cui componenti vi sono anche membri prescelti da ciascuna Regione o Provincia autonoma — il quale ha un potere generale di proposta nei confronti del Ministero dei lavori pubblici (art. 6 comma 7) cui spetta portare gli atti all'esame del Consiglio dei Ministri (art. 4 comma 1). Se si considera che, da un lato, per gli atti di indirizzo e coordinamento, i quali perseguono finalità non lontane da quelle degli atti in esame, non sussiste una previsione generale di una qualche forma di cooperazione con le Regioni interessate, e che, dall'altro lato, lo svolgimento della competenza in questione ha ad oggetto le linee direttive più generali, che dovranno poi essere determinate nei piani elaborati dagli « organi misti » indicati nel numero precedente (ai quali, come si è già ricordato, partecipano le Regioni interessate) la scelta del legislatore non può essere considerata irragionevole.
7.2. La Regione Friuli-Venezia Giulia impugna l'art. 4 comma 1 lett. c) e d), argomentando che le predette disposizioni prevedono l'approvazione di programmi nazionali o di rilievo nazionale da parte del Presidente del Consiglio senza stabilire la necessità dell'intesa con la Regione stessa in relazione alle attività interferenti con quelle di competenza regionale, come invece sarebbe richiesto dall'art. 23 d.P.R. 26 agosto 1965 n. 1116 (Norme integrative di attuazione dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia). Analoghe censure sono mosse dalla RegioneVeneto e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano in relazione all'art. 22 comma 1, che prevede l'adozione dei programmi di intervento da parte dei Comitati istituzionali senza esigere un parere della singola Regione o Provincia interessata.
Le questioni non sono fondate.
In realtà, né la norma di attuazione invocata dalla Regione Friuli-Venezia Giulia ne altre prevedono alcuna intesa o parere delle singole Regioni (o Province) interessate. Ed, in verità, non è irragionevole die così sia, in quanto i piani e i programmi considerati dalle disposizioni impugnate comportano interventi, anche statali, comunque incidenti nel territorio di più Regioni. Pertanto, non è arbitrario che la l. n. 183 del 1989 preveda per quei piani forme di cooperazione quali gli « organi misti » di cui al punto n. 6, che permettono un confronto anche fra le varie Regioni interessate.
7.3. La stessa Regione Friuli-Venezia Giulia contesta la legittimità costituzionale degli artt. 4 comma 1 lett. b) e 25 comma 4, in quanto prevedono l'approvazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri dei piani di bacino di rilievo nazionale e interregionale, nonché dei programmi nazionali d'intervento, senza che sia prevista la partecipazione o il consenso del Presidente della Regione alle relative deliberazioni.
La questione non è fondata nei sensi di cui in motivazione. Questa Corte ha già avuto modo di affermare (v. senti, nn. 625 del 1988, 242 e 544 del 1989) che, quando ricorrano ipotesi per le quali gli statuti speciali o le norme di attuazione degli stessi impongano la partecipazione del Presidente regionale alla relativa deliberazione, la mancata previsione della stessa partecipazione nelle disposizioni impugnate non può costituire motivo di illegittimità costituzionale delle medesime, in quanto il silenzio sul punto non può essere interpretato come espressione di una volontà contrastante con quelle norme di rango superiore, ma dev'essere inteso come riconoscimento della diretta applicabilità di queste ultime.
7.4. La Provincia di Bolzano dubita della legittimità costituzionale dell'art. 28, che, nel prevedere la possibilità del distacco di personale dipendente dalla Provincia stessa presso la segreteria del Comitato nazionale per la difesa del suolo e presso le segreterie tecnico-operative dei comitati tecnici di bacino, non esigerebbe l'intesa con la ricorrente.
La questione non è fondata.
La disposizione impugnata si limita a prevedere la possibilità del distacco del personale regionale e provinciale presso le suddette segreterie senza stabilire regole derogatorie alla generale disciplina del distacco stesso, la quale esige che questo avvenga sempreché vi sia l'assenso dell'amministrazione di provenienza. Per tale motivo il dubbio prospettato dalla Provincia di Bolzano non ha alcun fondamento.
8. La Regione Veneto e le Province autonome di Trento e di Bolzano contestano la legittimità costituzionale degli artt. 17 e 18, i quali, nel prevedere i piani di bacino e nel sovraordinarli a ogni altra funzione regionale (o provinciale), violerebbero le competenze che le ricorrenti posseggono in materia di assetto del territorio, di opere di difesa, di utilizzo delle risorse idriche e di disciplina dell'estrazione di materiali. Per la sola Provincia di Trento le disposizioni appena citate, in combinato disposto con quelle contenute negli artt. 25 e 31, sarebbero altresì lesive dell'autonomia finanziaria della Provincia stessa, in quanto porrebbero vincoli alle spese in materie di competenza provinciale.
Nei termini di seguito indicati, la questione è infondata. Le censure delle ricorrenti nascono dalla imprecisa formulazione dell'art. 17, che, al comma 1, assegna ai piani di bacino il valore di piano territoriale di settore e, al comma 2, li definisce come atti di indirizzo e di coordinamento ai sensi dell'art. 81 comma 1 lett. a), d.P.R. n. 616 del 1977. In realtà, né l'una ne l'altra qualificazione rispondono perfettamente all'effettiva natura dei predetti piani, quale si desume dalla disciplina delineata dalla l. n. 183 del 1989. Come si è già precisato, la complessiva natura dei piani di bacino non può essere ridotta a quella degli atti di indirizzo e coordinamento, in quanto si tratta di atti che interessano anche competenze statali (ad esempio, le opere idrauliche di seconda categoria) e che, quindi, si dirigono anche ad uffici ed enti dello Stato. Più in particolare, si tratta di piani esclusivamente finalizzati alla « difesa del suolo », e cioè, come risulta dai lavori delle varie commissioni di studio ministeriali e parlamentari preparatorie della legge impugnata, finalizzati alla conservazione dinamica del suolo attraverso l'imposizione di vincoli e di opere di carattere idraulico, idraulico-agrario e forestale. In altre parole, i piani di bacino contengono varie prescrizioni dirette alla preservazione e alla salvaguardia del suolo e dell'attitudine di questo ad essere utilizzato a fini produttivi e civili rispetto alle cause di aggressione dovute alle acque meteoriche, fluviali e marine o a qualsiasi altro fattore meteorico. Come tali, essi non si svolgono attraverso misure e opere inerenti alle competenze urbanistiche o a quelle della protezione civile ovvero a quelle attinenti ad altre competenze regionali o provinciali, quali le cave e miniere, l'agricoltura o la tutela del paesaggio e dell'ambiente, anche se indubbiamente incidono o interferiscono nei confronti di ciascuna di queste attribuzioni.
In base a questa loro natura, i piani di bacino vengono equiparati ai piani territoriali di settore, non già per significare che si tratta di strumenti inerenti alla disciplina urbanistica (di competenza regionale o provinciale), ma semplicemente al fine — esplicitato dall'art. 17 comma 2 — di stabilire che i vincoli posti dal predetto piano obbligano immediatamente le amministrazioni e gli enti pubblici (statali e regionali), i quali sono tenuti ad osservarli e ad operare in conseguenza. Allo stesso modo, la loro contemporanea qualifica come atti di indirizzo e di coordinamento sta semplicemente a significare che, quando i vincoli posti dai predetti piani incidono su materie di competenza regionale o provinciale, questi devono mantenersi entro i limiti imposti alla funzione di indirizzo e coordinamento e, in particolare, a quella prevista dall'ari. 81 comma 1 lett. a), d.P.R. n. 616 del 1977.
Questa interpretazione appare più in armonia con la natura complessa del piano di bacino e con la sua efficacia diversificata in relazione alle prescrizioni di interesse regionale (v. spec. artt. 12 comma 4 lett. c) e 18 comma 1, lett. b). Nello stesso tempo, il carattere vincolante delle prescrizioni idrogeologiche o, comunque, finalizzate alla difesa del suolo è legato all'esigenza logica che il fine conservativo dei piani di bacino sia pregiudiziale e condizionante rispetto agli usi del territorio a fini urbanistici, civili, di sfruttamento dei materiali e di produzione. L'indubbia interferenza che si realizza tra i piani di bacino e questi ultimi usi, rientranti nell'ambito di competenze regionali o provinciali, dava luogo nel d.P.R. n. 616 del 1977 a forme cooperative imperniate sull'intesa fra Stato e Regioni (o Province autonome) (v. artt. 81 e 89). La l. n. 183 del 1989, come si è già detto, ha invece non arbitrariamente prescelto forme cooperative diverse, più adeguate alla complessità della rete pianificatoria in essa prevista.
Considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione al richiamo all'art. 81 d.P.R. n. 616 del 1977 valgono anche nei confronti della censura promossa dalla Provincia autonoma di Trento in relazione all'efficacia dei programmi triennali prevista dall'ari. 22 comma 6.
Una volta riconosciuta come costituzionalmente non illegittima una programmazione degli interventi per piani di bacino, i vincoli che ne derivano sul piano della spesa provinciale sono una conseguenza necessaria di quella programmazione, in quanto non avrebbe alcun senso consentire alla Provincia di spendere liberamente somme che sono state ripartite tra le Amministrazioni dello Stato e le Province autonome (o Regioni) tenendo conto delle priorità indicate nei singoli programmi (art. 25 comma 3).
9. Non fondata è, inoltre, la censura prospettata dalla Regione Veneto nei confronti all'art. 35, il quale, in relazione a quanto previsto dall'art. 17 comma 3, lett. e), stabilisce che i piani di bacino possono individuare « gli ambiti territoriali ottimali per la gestione mediante consorzio obbligatorio dei servizi pubblici di acquedotto, fognatura, collettamento e depurazione delle acque usate ». Da questa disposizione, infatti, non può derivare alcuno sconvolgimento delle competenze regionali in ordine alla definizione degli ambiti territoriali e alla costituzione di consorzi per la gestione di servizi pubblici, per il fatto che essa si limita a prevedere la possibilità per il piano di bacino di prefigurare gli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei servizi anzidetti senza stabilire alcuna ripartizione di competenza e senza imporne l'attuazione alle Regioni o alle Province autonome. Di per sé, dunque, l'art. 35 non può esser considerato lesivo di competenze regionali.
Priva di qualsiasi fondamento è anche la censura proposta contro l'art 25 comma 5, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, per la quale la previsione del parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici in relazione ad opere rientranti nelle competenze regionali lederebbe la sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle Regioni medesime. In realtà, la previsione di un parere obbligatorio, ma non vincolante, che deve essere prestato da un organo statale di natura tecnica in ordine a opere che le Regioni dovranno realizzare nell'esercizio delle loro competenze, ma che rivestono anche « grande rilevanza tecnico-idraulica per la modifica del reticolo idrografico principale e del demanio idrico », non può essere considerato un onere irragionevolmente connesso all'esercizio delle proprie competenze. Per tale motivo, la sfera di autonomia costituzionalmente attribuita alla Regione Friuli-Venezia Giulia non può considerarsi lesa dall'art. 25 comma 5.
10. Non fondate sono le questioni proposte contro gli artt. 13, 14 comma 8, 15 comma 2 e 16 comma 3.
La Regione Veneto e la Provincia autonoma di Trento contestano la legittimità costituzionale dell'art. 13 sulla classificazione dei bacini idrografici e sulla loro delimitazione assumendo che la 1. n. 183 del 1989, nel modificare il d.P.R. n. 616 del 1977, si porrebbe in contrasto con norme di rango superiore in quanto adottate in attuazione di un preciso dovere costituzionale. Questa interpretazione non può essere condivisa, poiché, anche se il d.P.R. n. 616 del 1977 deve essere considerato un atto legislativo adottato in immediata attuazione della Costituzione, non può per ciò stesso ritenersi che sia dotato di una forza o di un valore di legge peculiare o superiore a quello delle leggi ordinarie (v. spec. sent. n. 188 del 1984). Ed in effetti, se il rapporto di immediata attuazione con la Costituzione può portare a considerare le disposizioni del d.P.R. n. 616 del 1977 come norme interposte suscettibili di integrare il significato dei parametri costituzionali, esso non può avere alcuna influenza sulla determinazione del rango o del valore formale delle stesse disposizioni, tanto che queste ultime, come questa Corte ha avuto modo di affermare in altre occasioni (v., ad es., sent. n. 101 del 1989), non possono fungere da autonomo parametro nei giudizi di legittimità costituzionale. Da ciò consegue che leggi ordinarie successive ben possono modificare disposizioni contenute nel d.P.R, n. 616 del 1977 e ripartire diversamente le competenze assegnate o delegate alle Regioni con quel decreto.
Per le considerazioni ora fatte, che valgono a maggior ragione quando le nuove disposizioni di legge mantengono ferme le competenze già assegnate alle Regioni o ne trasferiscono (o promettono di trasferirne) di nuove, vanno rigettate anche le censure prospettate dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia autonoma di Trento contro l'art. 14 comma 3, nonché dalla sola Regione Friuli-Venezia Giulia contro gli artt. 15 comma 2 e 16 comma 2.
Parimenti non fondata è la questione proposta dalla Regione Veneto nei confronti dell'art. 14 comma 3, laddove si sottopone la Regione a decisioni del Ministro dei lavori pubblici in merito a competenze amministrative da esercitare in materia di opere idrauliche o di polizia idraulica in ordine ai corsi d'acqua compresi nel proprio territorio. Non si può, infatti, condividere l'interpretazione proposta dalla ricorrente, secondo la quale l'art. 14 comma 3, sarebbe un segno della riduzione della Regione a puro organo esecutivo della pianificazione statale, dal momento che la disposizione impugnata, riprendendo valutazioni già svolte dalla c.d. Commissione Giannini, appare rivolta a superare i preesistenti criteri di ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni in materia di opere idrauliche, basati sulla categorìa delle opere stesse.
11. Le Province autonome di Trento e di Bolzano contestano la legittimità costituzionale dell'art. 9 comma 8, lett. a), in quanto quest'ultimo costituirebbe un illegittimo esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento allorché affida al Consiglio dei direttori il coordinamento dei servizi tecnici provinciali.
La questione non è fondata.
Nell'affidare al Consiglio dei direttori, istituito nel comma precedente, il coordinamento dell'attività svolta dai singoli servizi tecnici, compresi quelli trasferiti alle Province autonome, l'art. 9 comma 8 lett. a), imputa a quell'organo tecnico una funzione che non può essere ricondotta all'indirizzo e coordinamento politico-amministrativo, ma che va collegata al distinto concetto di coordinamento tecnico. Si tratta di una nozione che, come questa Corte ha altre volte affermato (v. sentt. nn. 924 del 1988 e 242 del 1989), non è disciplinata dalle regole proprie della funzione di indirizzo e coordinamento politico-amministrativo e, in particolare, non esige il rispetto delle norme procedurali attinenti allo svolgimento della predetta funzione.
12. L'art. 9 comma 9 lett. a) e b) è impugnato dalla Provincia di Bolzano, in quanto, prevedendo la delega per la riorganizzazione dei servizi tecnici nazionali ivi indicati (lett. a)) e per la fissazione dei criteri generali per il coordinamento dell'attività dei servizi tecnici stessi (lett. b)), lederebbe le competenze in materia di ordinamento dei propri uffici che la ricorrente possiede riguardo ai servizi tecnici del medesimo tipo ad essa trasferiti.
La questione non è fondata.
Mentre la disposizione ricompresa nella lett. b) concerne attività di coordinamento tecnico che, per le ragioni esposte nel punto precedente, non possono non esser ricondotte al Governo e alla sua potestà regolamentare, la disposizione di cui alla lett. a) riguarda espressamente il riordinamento dei servizi tecnici nazionali, tanto centrali che periferici, e, pertanto, non si vede come i futuri regolamenti possano riguardare uffici della Provincia di Bolzano.
13. La Regione Friuli-Venezia Giulia contesta la legittimità costituzionale dell'art. 4 comma 1, lett. a) ed e), nonché comma 3, in quanto contrasterebbe, con l'art. 58 stat. spec., che, a suo giudizio, con la previsione del solo controllo di legittimità sugli atti amministrativi regionali da parte della Corte dei conti, escluderebbe l'ammissibilità di qualsiasi altro controllo.
La questione non è fondata.
L'interpretazione che la ricorrente da dell'art. 58 dello Statuto friulano non può essere accolta, poiché la previsione di una determinata forma di controllo di legittimità su singoli atti non può essere minimamente considerata come preclusiva di altri tipi di controllo, come quelli previsti dalla disposizione impugnata.
Per analoghi motivi va rigettata la questione prospettata dalla Regione Veneto in ordine alla pretesa violazione dell'art. 125 Cost. da parte dell'art. 21 comma 3, il quale, nel prevedere che le Regioni, previo parere del comitato di bacino, possano provvedere con propri stanziamenti alla realizzazione di opere e di interventi previsti dai piani di bacino di rilievo nazionale, sottopone il loro operato al controllo del predetto comitato.
Quest'ultima disposizione è impugnata anche dalle Province di Trento e di Bolzano sul presupposto dell'illegittimità di qualsiasi controllo di organi statali su attività provinciali svolte nell'esercizio della propria competenza e a carico delle proprie finanze.
La questione non è fondata.
La disposizione impugnata prevede che anche sulle opere eseguite dalle Regioni o dalle Province autonome in attuazione dei piani di bacino di rilievo nazionale si estenda la vigilanza del Comitato istituzionale, al fine evidente di venire a conoscenza se il piano sia correttamente attuato e di acquisire informazioni circa la redazione dei piani futuri, la cui adozione, come si è già detto, spetta al suddetto Comitato. Si tratta, dunque, di controlli strettamente strumentali al potere di pianificazione degli organi delle Autorità di bacino di rilievo nazionale di cui è stata già esclusa la illegittimità costituzionale (v. supra n. 8).
14. Le Province autonome di Trento e di Bolzano contestano la legittimità costituzionale dell'art. 4 comma 1 lett. e), osservando che il potere sostitutivo ivi previsto non risponderebbe ai requisiti costituzionali più volte indicati da questa Corte.
La questione non è fondata.
La disposizione impugnata stabilisce semplicemente quali siano gli organi competenti a deliberare sui vari atti sostitutivi previsti nella l. n. 183 del 1989, individuandoli nel Consiglio dei Ministri quale organo decisionale e nel Presidente del Consiglio dei Ministri quale organo di emanazione. Essa, tuttavia, non istituisce un particolare potere di sostituzione, tanto che non indica le ipotesi specifiche in cui quello deve essere esercitato, ne disciplina l'intero procedimento per l'adozione dei relativi atti, ma si limita, piuttosto, a prevedere in via generale un potere di sostituzione da esercitare ogni volta che vi sia una persistente inattività dei vari soggetti coinvolti nella complessiva rete pianificatoria delineata dalla legge impugnata (Regioni, Province, Comuni, comunità montane, consorzi di bonifica ed irrigazione e di bacino imbrifero montano) in relazione a funzioni o attività da svolgere entro termini essenziali o per loro natura improcrastinabili. In riferimento agli aspetti disciplinati dalla fattispecie legislativa considerata (deliberazione governativa, presupposto della persistente inerzia dell'organo competente, inserimento in procedimenti pianificatori, improcrastinabilità dell'adempimento), il potere sostitutivo previsto è pienamente conforme ai requisiti costituzionali più volte indicati da questa Corte (v. sentt. nn. 153 e 294 del 1986, 177 del 1988, 101 del 1989). Sicché non hanno ragion d'essere le censure proposte dalle ricorrenti.
15. La Regione Veneto e le Province autonome di Trento e di Bolzano contestano la legittimità costituzionale dell'art. 18 comma 2, per il quale, in caso di inerzia in ordine agli adempimenti regionali, il Presidente del Consiglio, sentito il Comitato istituzionale di bacino, assume i provvedimenti necessari per garantire comunque lo svolgimento delle procedure e l'adozione degli atti necessari per la formazione dei piani di bacino di rilievo nazionale, ivi compresa la nomina di commissari ad acta. Secondo le ricorrenti tale potere di sostituzione non sarebbe conforme ai princìpi costituzionali vigenti in materia e più volte affermati da questa Corte e, in particolare, non rispetterebbe il requisito della necessaria previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, prescritta dall'art. 2 comma 3, lett. f)l. n. 400 del 1988.
Le questioni non sono fondate nei sensi di cui in motivazione.
Come si è ricordato nel punto precedente, questa Corte ha più volte affermato che, in materia di sostituzione di organi statali a quelli regionali in relazione al compimento di particolari adempimenti, il relativo potere deve avere una base legale, deve essere strumentale all'adempimento di obblighi o al perseguimento di interessi tutelati costituzionalmente come limiti all'autonomia regionale, dev'essere esercitato da un'autorità di governo, deve essere assistito da garanzie ispirate al principio della « leale cooperazione » e, infine, deve riguardare attività sottoposte a termini perentori o la cui mancanza metterebbe in serio pericolo la cura di interessi affidati alla responsabilità finale dello Stato. Nei casi disciplinati dalle disposizioni impugnate ricorrono tutti i predetti requisiti, compreso quello del termine per il compimento dell'attività, che è implicato dal comma 1 lett. a), del medesimo articolo, il quale prevede che il Comitato istituzionale, insieme alla proposta del piano di bacino, approvi una deliberazione contenente la fissazione dei termini alla Regione per l'adozione dei provvedimenti di sua competenza. Per quanto riguarda, poi, la pretesa mancata deliberazione del Consiglio dei Ministri in ordine alle sostituzioni previste, è sufficiente ricordare che tutti gli atti sostitutivi previsti dalla l. n. 183 del 1989 devono essere adottati in base alla procedura stabilita dall'art. 4 comma 1, della stessa legge, che prevede, fra l'altro, la predetta deliberazione. Infine, per quanto riguarda le garanzie procedurali di « leale cooperazione », occorre precisare che l'art. 18 comma 2, stabilisce che il Presidente del Consiglio deve previamente sentire il Comitato istituzionale, di cui fa parte il Presidente della Regione (o Provincia autonoma) interessata.
16. La Provincia autonoma di Trento dubita della legittimità costituzionale: a), dell'art. 15 comma 4, che, nel caso di mancanta intesa, entro un anno, fra le Regioni (o Province autonome) interessate ad un bacino di rilievo interregionale, prevede l'istituzione degli organi di bacino da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri; b) dell'art. 20 commi 2, 3 e 4, il quale prevede, per i bacini di rilievo regionale che possono interessare più Regioni, un potere sostitutivo del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Comitato nazionale per la difesa del suolo.
Le questioni vanno parzialmente accolte.
Anche se per i motivi addotti nel punto precedente il potere sostitutivo oggetto dell'attuale impugnazione risponde a tutti gli altri elementi costituzionalmente richiesti, non v'è traccia nelle disposizioni impugnate del requisito delle garanzie procedurali ispirate al principio della leale cooperazione. Mentre nell'art. 15 comma 4, manca del tutto qualsiasi preavviso alle Regioni (o Province autonome) inadempienti, nell'art. 20 comma 4, invece, esso è venuto meno a seguito di una modifica legislativa introdotta successivamente all'entrata in vigore della l. n. 183 del 1989. L'art. 20 comma 4, dispone, infatti, che per l'adozione dell'atto di sostituzione ivi previsto il Presidente del Consiglio debba previamente sentire il Comitato nazionale per la difesa del suolo, di cui facevano parte i presidenti di tutte le Regioni e Province autonome. Tuttavia, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 5 d.lgs. 16 dicembre 1989 n. 418, la partecipazione dei suddetti presidenti in organi del tipo del citato Comitato è sostituita con quella di un pari numero di esperti scelti, di norma, fra i funzionari delle Regioni e delle Province autonome. Da qui consegue che la previa audizione dell'anzidetto Comitato non può più fungere da preavviso nei confronti della Regione (o Provincia autonoma) interessata. Va, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 15 comma 4 nonché dell'art. 20 comma 4, nella parte in cui non prevedono un congrue preavviso alla Regione (o Provincia autonoma) interessate in ordine all'adozione degli atti sostitutivi ivi previsti.
17. La Provincia autonoma di Bolzano dubita della legittimità costituzionale degli artt. 9 comma 9 lett. e) e commi successivi, 12 comma 5 ss. e 24 comma 1, in quanto, nel disciplinare, rispettivamente, i ruoli e il trattamento del personale dei servizi tecnici, nonché gli uffici periferici delle autorità di bacino e la rideterminazione delle dotazioni organiche, violerebbero, per la parte in cui si riferiscono alle competenze trasferite alla Provincia stessa, le speciali norme sul bilinguismo e sulla proporzionale etnica nel pubblico impiego.
Le questioni non sono fondate nei sensi di cui in motivazione. Questa Corte ha già affermato (v. sent. n. 571 del 1988, nonché anche n. 1145 del 1988) che non è necessario che ogni legge la quale disciplini in generale problemi di personale o di accesso nei pubblici uffici richiami espressamente, laddove si riferisca all'ordinamento della Provincia di Bolzano, le norme statutarie sul bilinguismo e sulla proporzionale etnica, le quali trovano applicazione indipendentemente dai predetti richiami. Tanto più ciò è vero quando si è in presenza, come nel caso, di una legge che contiene una disciplina generale, la quale, lungi dal voler restringere le più ampie competenze delle Regioni a statuto speciale o delle Province autonome, tende a modellare le proprie norme, per ragioni di brevità, sulle competenze proprie delle Regioni a statuto ordinario.
Analoga argomentazione e analoga conclusione debbono farsi in ordine ad altre censure mosse dalla Provincia autonoma di Bolzano nei confronti degli artt. 10, 24 comma 1, 35 e 32 comma 1 (quest'ultimo è impugnato pure dalla Provincia di Trento), che, secondo la ricorrente, pretenderebbero di disciplinare materie le quali sono (parzialmente) trasferite alla Provincia stessa in base a norme di attuazione dello statuto non espressamente richiamate dalle disposizioni impugnate. Anche in tali casi, infatti, la mancanza di un'espressa clausola di salvezza delle più ampie competenze riservate in materia alle Regioni speciali e alle Province autonome non può significare che si sia tentato, illegittimamente, di ridurre, o comunque modificare, le competenze stesse, quando, come nelle ipotesi considerate, non si riscontra un puntuale contrasto con le disposizioni poste dalle norme di attuazione in base alla loro separata e riservata competenza (v. sentt. nn. 180 del 1980, 237 del 1983, 451 del 1988).
18. La Provincia autonoma di Trento esprime un dubbio di legittimità costituzionale in ordine all'art. 32 comma 2, nel caso in cui questa disposizione dovesse limitare al solo bacino dell'Adige la possibilità di estendere ai presidenti e ai funzionari delle Province autonome i riferimenti normativi relativi ai presidenti e ai funzionari regionali.
La questione non è fondata nei sensi di cui in motivazione. Non si può basare sull'imprecisa formulazione della disposizione impugnata un'interpretazione che contraddice la chiara intenzione in essa espressa dal legislatore. Il senso della norma contestata è, infatti, quello di affermare che ogni riferimento fatto dalla l. n. 183 del 1989 ai presidenti e ai funzionari delle Regioni deve intendersi esteso ai presidenti e ai funzionari delle Province autonome ogni volta che venga in questione un bacino al quale le Province stesse siano interessate. La limitazione letterale dell'ambito di applicazione della disposizione impugnata al solo bacino dell'Adige è probabilmente dettata dal fatto che a questo bacino sono interessate ambedue le Province autonome. Ma, poiché tale limitazione ha soltanto un significato esemplificativo, la disposizione impugnata deve essere interpretata come riferentesi a qualsiasi bacino cui sia interessata l'una o l'altra delle Province autonome e, quindi, anche ai bacini del Po e del Brenta-Bacchiglione, nei quali è coinvolta la sola Provincia di Trento.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 16 comma 4 e, a decorrere dall'entrata in vigore del d.igs. 16 dicembre 1989 n. 418 (17 gennaio 1990), dell'art. 20 comma 4 I. 18 maggio 1989 n. 183 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo) nella parte in cui non prevedono un congrua preavviso alla Regione (o Provincia autonoma) interessata all'adozione degli atti sostitutivi ivi previsti;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale proposta nei confronti dell'intera I. 18 maggio 1989 n. 183 sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe:
a) dalla Regime Friuli-Venezia Giulia, in riferimento agli artt, 4 (nn. 2, 9, 12, 13) e 5 (n. 14) del proprio statuto (l. cost. 31. gennaio 1963 n. 1);
b) dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., cosi come attuati dal d.P.R. ». 616 del 1977 e dalle numerose e varie leggi statali di trasferimento di competente alle Regioni;
c) dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento agli artt. 8, 9, 14, 16 del proprio statuto (d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670), nonché al suo titolo sesto e relative norme di attuazione;
3) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, in riferimento:
- per la Regione Friuli-Venezia Giulia, agli artt. 4 (nn. 2, 9, 12, 13), 5 (n, 14) e 58 del suo statuto e relative norme di attuazione;
- per la Regione Veneto, agli artt. 117, 118 e 125 Cost., come attuati dagli artt. 4, 66, 69 comma 4; 71, 73, 79, 80, 81, 82, 87, 88, 89, 90, 91 e 101 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616;
- per la Provincia autonoma di Bolzano, agli artt. 8 comma 1 (nn. 1, 5, 6, 11, 13, 14, 16, 17, 18, 21, 24); 9 comma 1 (nn. 9 e 10); 12 comma 1; 14, 16 comma 1; 68, 89, 100, 107 e 111 d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 (stat. spec. T.-A.A.) e relative norme di attuazione;
- per la Provincia autonoma di Trento, agli artt. 8 (nn. 3, 5, 6,13, 14, 16, 17, 21, 24); 9 (nn. 9 e 10); 14 commi 2 e 3; 16, nonché al titolo sesto del cit. d.P.R. n. 670 del 1972 e relative norme di attuazione, le questioni di legittimità costituzionale proposte avverso le seguenti disposizioni della l.18 maggio 1989 n. 183:
a) art. 1 comma 5 (questione proposta da tutte le ricorrenti);
b) artt. 4. comma 1, lett. b) e 25 comma 4 (F.-V.G.);
c) artt. 17 e 18 (Veneto, Trento e Bolzano);
d) art. 22 comma 6 (Trento);
e) art. 18 comma 2 (Veneto, Trento e Bolzano);
f) art. 9 comma 9, leti. c), e commi successivi; 12 comma 5 ss.; 24 comma 1 (Bolzano),
g) artt. 10, 24 comma 1; 35 (Bolzano) ; 32 comma 1 (Bolzano e Trento);
h) art. 32 comma 2 (Trento);
4) dichiara non fondate, in riferimento alle norme parametro indicate al precedente n. 3 del dispositivo, le questioni di legittimità costituzionale prospettate avverso le seguenti disposizioni della I. 18 maggio 1989 n. 183:
a) art. 3 comma 2 (Veneto e Bolzano);
b) art. 4 comma 1 (Bolzano);
c) art. 12 (Veneto, Trento e Bolzano);
d) art. 4 comma 1, lett. a) (Veneto);
e) art. 4 comma 1, lett. c) e d) (Friuli-Venezia Giulia);
f) art. 22 comma 1 (Veneto, Trento e Bolzano);
g) art. 28 (Bolzano);
h) artt. 25 e 31 (Trento);
i) art. 35 (Veneto);
l) art. 25 comma 5 (Friuli-Venezia Giulia);
m) artt. 13, 14 comma 3; 15 comma 2; 16 comma 2 (Veneto, Trento, Friuli-Venezia Giulia);
n) art. 9 comma 8, leti. a) (Trento e Bolzano);
o) art. 9 comma 9, lett. a.) e b) (Bolzano);
p) art. 4 comma 1, lett. a) ed e), nonché comma 3 (Friuli-Venezia Giulia);
q) art. 21 comma 3 (Veneto, Trento e Bolzano);
r) art. 4 comma 1, lett. e) (Trento e Bolzano).
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