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In vigore al: 19/04/2016

Corte costituzionale - Sentenza N. 222 del 13.06.2006
Tutela dell'incolumità pubblica dal rischio di aggressioni di cani potenzialmente pericolosi - Provvedimento riconducibile alla materia “ordine pubblico e sicurezza"

Sentenza (5 giugno) 13 giugno 2006, n. 222; Pres. Marini – Red. Tesauro
 
Ritenuto in fatto    1. – Con ricorso notificato il 7 novembre 2003 e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 13 novembre, la Provincia autonoma di Bolzano ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione all'ordinanza del Ministro della salute in data 9 settembre 2003, avente ad oggetto «Tutela dell'incolumità pubblica dal rischio di aggressioni da parte di cani potenzialmente pericolosi».
La Provincia premette di essere dotata, ai sensi dell'art. 9, primo comma, numero 10, del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), di potestà legislativa concorrente in materia di igiene e sanità e, in virtù dell'art. 16 dello statuto di autonomia, dell'art. 1 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello statuto della Regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità) e dell'art. 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto della Regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità), della correlata potestà amministrativa.
L'ordinanza ministeriale – sottoposta al termine di efficacia di un anno dalla data dell'entrata in vigore – stabilisce il divieto di addestrare, in modo da esaltarne la naturale aggressività, cani pit-bull e cani di altre razze o incroci potenzialmente pericolosi appartenenti ai gruppi 1° e 2° della classificazione della Federazione Cinologica internazionale; il divieto di operare selezioni o incroci tra razze con lo scopo di esaltarne l'aggressività; il divieto di sottoporre i cani a doping (art. 1); l'obbligo di condurre i cani di cui all'art. 1 nei luoghi pubblici al guinzaglio e con la museruola; il divieto di acquisto, possesso e detenzione dei cani anzidetti da parte di delinquenti abituali o per tendenza, da parte di soggetti sottoposti a misura di prevenzione personale o a misura di sicurezza personale, da parte di chi abbia riportato condanna, anche non definitiva, per delitto non colposo contro la persona o contro il patrimonio, punibile con la reclusione superiore a due anni, ovvero per i reati di cui all'art. 727 del codice penale (Maltrattamento di animali), da parte dei minori di 18 anni e degli interdetti e inabilitati per infermità; infine, l'obbligo dei detentori dei cani di cui all'art. 1 di stipulare una polizza di assicurazione di responsabilità civile per danni contro terzi e, qualora non intendano mantenere il possesso dell'animale nel rispetto dell'ordinanza, di interessare le autorità veterinarie per ricercare idonee soluzioni di affidamento (art. 2).
Richiamato per intero il testo dell'atto, la ricorrente deduce l'invasione delle competenze ad essa spettanti in materia di igiene e sanità in base alle disposizioni statutarie e di attuazione sopra indicate. In proposito, osserva come la collocazione dell'ordinanza nell'ambito materiale della tutela della salute pubblica risulti «con assoluta chiarezza anche dal suo preambolo», ove è espresso il riferimento alla necessità e all'urgenza di adottare, in attesa di una disciplina organica, disposizioni cautelari a tutela della salute pubblica.
La Provincia lamenta, inoltre, in relazione alla clausola di favore contenuta nell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché sul presupposto della natura sostanzialmente regolamentare dell'ordinanza contestata, la violazione dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione, a norma del quale non spetta allo Stato alcun potere regolamentare negli ambiti che non siano di sua competenza esclusiva, assumendo peraltro di avere già disciplinato organicamente la materia. In particolare, con legge provinciale 15 maggio 2000, n. 9 (Interventi per la protezione degli animali e prevenzione del randagismo) e successive modificazioni, ha istituito una anagrafe canina con una sezione specializzata per le razze e gli incroci più aggressivi nonché dettato disposizioni sulla custodia dei cani.
Il direttore del servizio veterinario provinciale, inoltre, con decreto 5 maggio 2003 n. 31.12/8631/1320, in esecuzione dell'accordo 6 febbraio 2003 tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in materia di benessere degli animali da compagnia e pet-therapy, ha disposto l'obbligo di identificazione di tutti i cani mediante microchip, a ciò autorizzato dall'art. 4, comma 5, lettera c), della legge provinciale 12 gennaio 1983, n. 3.
La ricorrente, dunque, chiede che la Corte dichiari che non spettava allo Stato, e per esso al Ministro della salute, emettere l'ordinanza 9 settembre 2003 (Tutela dell'incolumità pubblica dal rischio di aggressioni da parte di cani potenzialmente pericolosi) e, conseguentemente, annulli l'ordinanza stessa.
2. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza del ricorso.
La difesa erariale ha innanzitutto contestato la natura regolamentare dell'atto impugnato: il provvedimento, in quanto appartenente alla categoria delle “ordinanze di necessità”, avrebbe, secondo la giurisprudenza della Corte, natura formalmente e sostanzialmente amministrativa.
Il titolo della competenza dello Stato all'adozione dell'atto risiederebbe nell'art. 118 della Costituzione: l'intervento del Ministro della salute sarebbe giustificato dalla esigenza di «disciplinare, a livello nazionale, una questione di necessaria ed urgente risoluzione, nelle more dell'approvazione di una disciplina stabile e con effetti limitati nel tempo», laddove le competenze di cui agli artt. 9 e 16 dello statuto speciale involgono interessi di mero rilievo provinciale e devono essere esercitate nel rispetto dei limiti previsti dagli artt. 4 e 5 dello statuto.
3. – Nell'imminenza dell'udienza, la Provincia autonoma di Bolzano ha depositato memoria.
Nel ribadire le argomentazioni già svolte nel ricorso, la difesa provinciale si duole che il Ministro della salute abbia reiterato l'atto impugnato, adottando in sequenza due ordinanze di contenuto pressoché identico, con eguale termine annuale di efficacia: l'ordinanza del 27 agosto 2004 e l'ordinanza del 3 ottobre 2005, entrambe in tema di «Tutela dell'incolumità dall'aggressività di cani».
Le censure concernenti l'ordinanza del 3 luglio 2003 (recte: 9 settembre 2003) dovrebbero, pertanto, intendersi come riferite anche a tali successive ordinanze, in special modo alla ordinanza del 3 ottobre 2005, tuttora vigente.
Considerato in diritto 1. – La Provincia autonoma di Bolzano ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato avverso l'ordinanza del Ministro della salute in data 9 settembre 2003, avente ad oggetto «Tutela dell'incolumità pubblica dal rischio di aggressioni da parte di cani potenzialmente pericolosi», deducendo la violazione del regime di autonomia speciale delineato dagli artt. 9, primo comma, numero 10, e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), dall'art. 1 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello statuto del Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità) e dall'art. 4 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto del Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità), nonché la violazione dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione, in relazione all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).
Ad avviso della Provincia, l'atto, adottato dal Ministro nel dichiarato esercizio dei poteri di ordinanza di cui all'art. 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), e all'art. 117 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), avrebbe determinato una lesione delle prerogative provinciali in materia di igiene e sanità.
2. – Preliminarmente, va escluso che le censure svolte dalla Provincia nei confronti dell'ordinanza del 9 settembre 2003 possano essere estese alle successive ordinanze del Ministro della salute del 27 agosto 2004 e del 3 ottobre 2005, entrambe in tema di «Tutela dell'incolumità dall'aggressività di cani» e parimenti sottoposte al termine di efficacia di un anno dalla data dell'entrata in vigore.
Le ordinanze da ultimo menzionate costituiscono autonomi e distinti provvedimenti e, pur avendo lo stesso oggetto e le stesse finalità dell'atto impugnato, non presentano contenuto precettivo del tutto identico: il divieto di addestramento diretto all'esaltazione dell'aggressività interessa tutti i cani e non solo quelli appartenenti a determinate specie; le razze canine a rischio di maggiore aggressività sono individuate non per rinvio alla classificazione della Federazione Cinologica internazionale, ma in apposito elenco; il divieto di detenzione dei cani potenzialmente pericolosi è posto altresì a carico dei soggetti che abbiano riportato condanna per i reati previsti dalla legge 20 luglio 2004, n. 189 (Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate).
La Provincia avrebbe potuto impugnare i nuovi provvedimenti innanzi a questa Corte ai sensi dell'art. 134, secondo alinea, della Costituzione e degli artt. 39 e 42 della legge 11 marzo 1953, n. 87, senza lasciare invano trascorrere i termini prescritti dal menzionato art. 39. In difetto, le ordinanze del 27 agosto 2004 e del 3 ottobre 2005 non possono costituire oggetto d'esame in questa sede.
L'esaurimento dell'efficacia dell'ordinanza del 9 settembre 2003, d'altra parte, non esclude l'interesse dell'ente all'accertamento del giusto riparto delle competenze e non incide sull'ammissibilità del ricorso (sentenza n. 289 del 1993).
3. – Nel merito, il ricorso non è fondato.
La premessa da cui muove il ricorrente, che l'atto in parola attiene alla materia “igiene e sanità”, non è corretta.
L'esame delle singole direttive dettate dal Ministro, piuttosto, consente di rilevare che il provvedimento regola fattispecie eterogenee ed insiste su una pluralità di materie, ascrivibili non solo alla potestà legislativa concorrente (“tutela della salute”, ivi compresa la polizia veterinaria) ma anche e soprattutto a quella esclusiva dello Stato (“ordine pubblico e sicurezza”).
Alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, in siffatti casi di concorso di competenze si deve fare applicazione del criterio della prevalenza e verificare se una tra le materie interessate possa dirsi dominante, in quanto nel complesso normativo sia rintracciabile un nucleo essenziale appartenente ad un solo ambito materiale ovvero le diverse disposizioni perseguano una medesima finalità (sentenze nn. 181 e 133 del 2006, 50 e 219 del 2005).
Nella specie, le prescrizioni denunciate risultano accomunate da un'identica ratio, afferente al miglioramento delle condizioni di sicurezza dei cittadini dinanzi al rischio di attacco da parte di cani di razze con un particolare potenziale di aggressività, come del resto esplicitato nel preambolo dell'ordinanza, dove l'urgenza della regolamentazione ha riguardo proprio alla frequente reiterazione di episodi di aggressione animale.
L'art. 1 proibisce l'addestramento, diretto ad esaltarne la “naturale” aggressività, di cani pit-bull e cani di altre razze o incroci potenzialmente pericolosi appartenenti ai gruppi 1° e 2° della classificazione della Federazione Cinologica internazionale; vieta selezioni o incroci tra razze finalizzate all'esaltazione dell'aggressività dei cani; proibisce, infine, la sottoposizione dei cani a doping.
L'art. 2 stabilisce l'obbligo di condurre i cani di cui all'art. 1 nei luoghi pubblici al guinzaglio e con la museruola; il divieto di acquisto, possesso e detenzione dei cani anzidetti da parte di delinquenti abituali o per tendenza, da parte di soggetti sottoposti a misura di prevenzione personale o a misura di sicurezza personale, da parte di chi abbia riportato condanna, anche non definitiva, per delitto non colposo contro la persona o contro il patrimonio, punibile con la reclusione superiore a due anni, ovvero per i reati di cui all'art. 727 del codice penale (Maltrattamento di animali), da parte di minori di 18 anni e interdetti e inabilitati per infermità; l'obbligo dei detentori dei cani di cui all'art. 1 di stipulare una polizza di assicurazione di responsabilità civile per danni contro terzi e, qualora non intendano mantenere il possesso dell'animale nel rispetto dell'ordinanza, di interessare le autorità veterinarie per ricercare idonee soluzioni di affidamento.
Le citate disposizioni, salvo alcuni casi marginali inseriti nell'art. 2, ineriscono evidentemente alla repressione di contegni suscettibili di rilevanza penale, dati dall'impiego di tecniche di addestramento particolari e dalla somministrazione di sostanze eccitanti, le une e l'altra finalizzate ad accentuare il potenziale di aggressività di taluni cani. Il pericolo per l'incolumità pubblica assunto a ragione e fondamento dell'atto è pertanto determinato, non già dalla esistenza di animali dotati di caratteristiche peculiari, ma dal potenziamento delle loro capacità offensive per mano dell'uomo.
Tali rilievi trovano un preciso riscontro nella previsione concernente condizioni ostative all'acquisto o alla detenzione di cani potenzialmente pericolosi (art. 2).
La dichiarazione di abitualità nel reato o di delinquente per tendenza, la sottoposizione a misura di sicurezza personale o a misura di prevenzione personale, la precedente condanna per reati non colposi contro la persona o contro il patrimonio ovvero per maltrattamento di animali rinviano, in linea generale, ad un'esigenza di difesa sociale. La limitazione della sfera giuridica dei destinatari della direttiva non può che giustificarsi in rapporto alla prevenzione di comportamenti atti ad incrementare la capacità di danno dei cani, eventualmente a scopo di profitto. In definitiva, la misura si propone di sottrarre alla disponibilità di soggetti già resisi responsabili di condotte antisociali quegli animali che, per indole o per struttura fisica, siano suscettibili di utilizzazione quali strumenti di offesa.
L'ordinanza impugnata, dunque, è stata emanata essenzialmente per fronteggiare evenienze involgenti interessi strettamente collegati alla difesa della sicurezza pubblica e, alla luce di tale finalizzazione, a prescindere da ogni considerazione in ordine all'effettiva ricorrenza dei presupposti soggettivi e oggettivi della sua legittimità amministrativa, in base al criterio della prevalenza deve essere ricondotta alla materia “ordine pubblico e sicurezza” di cui all'art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, di competenza esclusiva dello Stato, ciò che vale ad escludere qualsivoglia violazione delle norme statutarie evocate dalla Provincia ricorrente.
La esattezza della conclusione è resa palese dal confronto con la legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 9 del 2000 (Interventi per la protezione degli animali e prevenzione del randagismo), che, lungi dal proporsi in via immediata obiettivi di difesa sociale, promuove la protezione degli animali ed incide sulla materia sanitaria lato sensu intesa, ivi compresa l'assistenza e la polizia veterinaria, di competenza concorrente.
Analogamente, è estraneo all'ambito di applicazione dell'atto censurato l'accordo 6 febbraio 2003 tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in materia di benessere degli animali da compagnia e pet-therapy, con cui le Regioni e il Governo si sono impegnati a sostenere iniziative rivolte a favorire una corretta convivenza tra le persone e gli animali da compagnia, nel rispetto delle esigenze sanitarie, ambientali e del benessere degli animali (art. 1, comma 1).
La riconduzione dell'ordinanza ministeriale, in ragione della sua complessiva finalità, nella materia “ordine pubblico e sicurezza” è conforme all'indirizzo di questa Corte, consolidatosi nel vigore del nuovo Titolo V della seconda parte della Costituzione, secondo cui la nozione “ordine pubblico e sicurezza” va intesa in termini restrittivi, in contrapposizione ai compiti di polizia amministrativa regionale e locale, come relativa alle sole misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico (sentenze n. 383 del 2005, n. 428 del 2004, n. 407 del 2002). Invero, in quanto funzionale alla salvaguardia dell'incolumità pubblica dal rischio di aggressione da parte di animali addestrati all'aggressività, la disciplina mira a prevenire reati contro la persona.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spettava allo Stato adottare l'ordinanza 9 settembre 2003, avente ad oggetto la «Tutela dell'incolumità pubblica dal rischio di aggressioni da parte di cani potenzialmente pericolosi».