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In vigore al: 21/11/2014

Corte costituzionale - Sentenza N. 195 del 15.07.1986
Legge quadro per il turismo - Potere di indirizzo e coordinamento - Vincolo di destinazione dei finanziamenti statali

Sentenza (1 luglio) 15 luglio 1986, n. 195; Pres. Paladin – Rel. La Pergola
 
Ritenuto in fatto: 1.1. Con ricorso notificato il 24 giugno 1983, la Provincia autonoma di Trento ha promosso questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 comma 4, 4 comma 1, 13 comma 1,14 commi 1 e 4, e 15 comma 2, l. 17 maggio 1983 n. 217 (Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell'offerta turistica), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 141 del 25 maggio 1983, in riferimento agli artt. 8, nn. 1 e 20, 16 e 78 dello stat. spec. Regione Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670) e alle relative norme di attuazione in materia di turismo e industria alberghiera di cui al d.P.R. 22 aprile 1974 n. 278.
La ricorrente, premesso che la l. 17 maggio 1983 n. 217, è diretta, in primo luogo, a definire i principi fondamentali, vincolanti per le regioni a statuto ordinario in base all'art. 117 Cost., in materia di turismo e industria alberghiera, ferme restando le competenze previste dal d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 (art. 1 comma 1); e, inoltre, stabilisce che « sono fatte salve le attribuzioni in detta materia delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano previste nei rispettivi statuti e nonne di attuazione » (art. 1 comma 3), ritiene la legge stessa, e in particolare alcune sue disposizioni, gravemente lesive delle proprie attribuzioni, sulla base delle seguenti considerazioni.
a) L'art. 4 della legge stabilisce, al comma 1, che per l'espletamento delle attività di promozione e propaganda delle risorse turistiche locali, nonché di informazione e di accoglienza, « le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano provvedono alla costituzione di "Aziende di promozione turistica" (APT), quali organismi tecnico-operativi e strumentali muniti di autonomia amministrativa e di gestione ». Pur a voler considerare tale disposizione un « principio fondamentale » (anche se di ciò potrebbe dubitarsi, dato il carattere puntuale della disciplina ivi prevista), in ogni caso essa non potrebbe riguardare la provincia ricorrente, in quanto l'istituzione delle aziende in questione è materia integralmente ricompresa nelle sue competenze esclusive in materia di turismo e di ordinamento degli uffici provinciali e del loro personale (artt. 8, nn. 1 e 20, e 16 . stat. spec., art. 2 d.P.R. n. 278 del 1974). Inoltre, la materia è stata già disciplinata dalla provincia con 1. n. 54 del 1975.

b) L'art. 1 ultimo comma, l. n. 217 del 1983 dispone che il Governo esercita nella materia de qua le funzioni di indirizzo e coordinamento « avvalendosi degli organismi di cui agli artt. 2 e 3 della presente legge », e cioè: il Comitato di coordinamento per la programmazione turistica (art. 2), e il Comitato consultivo (art. 3). Nel caso che la norma in esame dovesse ritenersi applicabile alla provincia ricorrente (come induce a ritenere il fatto che del Comitato di coordinamento fanno parte i Presidenti delle Giunte provinciali), essa sarebbe incostituzionale, in quanto pretende di estendere alla provincia la disciplina della funzione di indirizzo e coordinamento nella materia in esame, mentre a detta funzione, in relazione alle sue attribuzioni primarie, essa non può essere soggetta, tanto meno in modo implicito. Soltanto lo statuto speciale e le relative norme di attuazione potrebbero sottoporre, purché lo facciano espressamente, la provincia ricorrente alla funzione di indirizzo e coordinamento del Governo.

In via subordinata, nell'ipotesi cioè che dovesse ritenersi legittima la previsione di una funzione di indirizzo e coordinamento statale nei confronti della provincia, ad avviso di quest'ultima sarebbe comunque incostituzionale la concreta disciplina di tale funzione contenuta nella legge impugnata, per violazione del principio di legalità (sentenza n. 150 del 1982): non risulterebbero, infatti, individuate dal legislatore le esigenze unitarie che sollecitano l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento, ne stabiliti i criteri in base ai quali l'indirizzo e coordinamento possa essere realizzato mediante atti degli organi governativi.

c) Circa gli aspetti finanziari, l'art. 13 comma 1, della legge censurata stabilisce che ai fini dello sviluppo e del riequilibrio territoriale delle attività di interesse turistico, nonché per favorire l'ammodernamento e la qualificazione delle strutture ricettive esistenti e dei servizi turistici e dei centri di vacanza, lo Stato « conferisce alle Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano contributi ripartiti secondo le modalità e i criteri di cui all'art. 14 ». Quest'ultimo dispone, al comma 1, che « il 70 per cento delle risorse di cui al precedente art. 13 è ripartito annualmente, sentito il Comitato di coordinamento di cui all'art. 2, tra le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano secondo i seguenti criteri: un terzo in base alla popolazione residente quale risulta dai dati dell'ultimo censimento, un terzo in base alla superficie del territorio ed un terzo in base agli indici di utilizzazione del patrimonio ricettivo regionale ». Il comma 4 aggiunge che restano ferme le procedure previste dall'art. 78 dello statuto per l'erogazione di fondi a favore delle province autonome.

Infine, l'art. 15 comma 2, stabilisce che le somme comunque non utilizzate dalle regioni e province autonome entro l'esercizio successivo a quello per il quale lo stanziamento è destinato, vengono nuovamente ripartite tra tutte.
Ciò premesso, l'art. 14, nonostante l'affermazione contenuta nel comma 4, viola, al comma 1, l'art. 78 dello statuto speciale, sia in quanto, ai criteri della popolazione e del territorio ivi previsti, aggiunge l'ulteriore parametro degli « indici di utilizzazione del patrimonio ricettizio regionale », sia perché prevede che la quota spettante alla provincia ricorrente venga calcolata sulla base del solo 70 per cento del finanziamento globale e non invece di tutto il finanziamento previsto dalla legge, comprensivo della quota del 30 per cento stabilita dal comma 2 stesso art. 14.
L'art. 15 comma 2, è palesemente incostituzionale, per violazione non solo dell'art. 78, ma anche dell'ari. 8, nn. 1 e 20, dello statuto: l'autonomia finanziaria, di bilancio e contabile riconosciuta alla provincia dallo statuto quale naturale conseguenza del riconoscimento dell'autonomia legislativa per materie di propria competenza (cfr. sentenza n. 107 del 1970), comporta che le somme devolute dallo Stato alla provincia, una volta che ciò sia avvenuto, sono e restano nella piena ed autonoma disponibilità della provincia stessa ed è quindi inammissibile ogni condizionamento da parte dello Stato, anche in relazione ai tempi di utilizzazione delle somme. Ancor più evidente, prosegue la ricorrente, appare l'incostituzionalità della norma in esame là dove essa presuppone l'applicabilità anche alla provincia ricorrente dalla 1. 10 maggio 1976 n. 335 (espressamente richiamata nel comma 1 dell'articolo), mentre la detta legge è applicabile alle sole regioni a statuto ordinario.
Rileva, infine, la Provincia che essa ha esercitato la propria competenza legislativa in materia di bilancio e contabilità emanando la l. prov. 14 settembre 1979 n. 7, il cui art. 30 stabilisce che « tutti i fondi assegnati a qualsiasi titolo dallo Stato o dalla regione alla provincia affluiscono al bilancio provinciale senza vincolo a specifiche destinazioni ».
1.2. E intervenuto nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza delle questioni sollevate.
Per quanto riguarda l'art. 4 censurato, l'Avvocatura afferma che l'organizzazione turistica regionale attiene alla funzione programmatoria spettante allo Stato anche nei confronti delle regioni a statuto speciale, per l'evidente esigenza di assicurare l'uniformità di tale organizzazione, destinata ad essere utilizzata da soggetti provenienti da tutte le Regioni d'Italia e da Paesi esteri. Inoltre, la competenza statale è legittimata anche dalla necessità di determinare i fondamentali caratteri di organismi destinatari di entrate tributarie. Peraltro, la norma censurata riserva largo margine all'intervento regionale, regolato ai commi 2, 3, 4 e 5. Il comma 7, infine, costituisce, ad avviso dall'Avvocatura, applicazione di un principio dettato direttamente dall'VIII disposizione transitoria della Costituzione.
Passando alla censura concernente l'art. 1 comma ult. l. n. 217 del 1983, l'Avvocatura rileva che le funzioni statali di indirizzo e coordinamento rappresentano il « risvolto positivo del limite generale del rispetto dell'interesse nazionale e di quello di altre regioni » (sent. n. 39 del 1971), ma tale rispetto costituisce limite non solo della potestà normativa concorrente delle regioni a statuto ordinario, bensì anche di quella esclusiva delle regioni a statuto speciale.
Il problema dell'ammissibilità di funzioni statali di indirizzo e coordinamento nei confronti delle regioni a statuto speciale, prosegue l'Avvocatura, va risolto non in via generale ed astratta, ma in concreto, valutando se nelle singole fattispecie normative quelle funzioni siano rimaste allo Stato. Nel caso in esame le funzioni in discorso sono attribuite al Governo con formulazione significativamente ridotta rispetto a quella dell'art. 3 l. n. 382 del 1975 e praticamente corrispondente a quella dell'art. 43 d.P.R. n. 902 del 1975, « per il raggiungimento degli obiettivi della programmazione economica nazionale e settoriale »: tali obiettivi costituiscono limite legittimo delle potestà, normativa ed amministrativa, delle regioni ad autonomia differenziata, come affermato in alcune sentenze precedenti all'istituzione delle regioni a statuto ordinario (n. 12 del 1963, n. 4 del 1964, n. 20 del 1970). La funzione programmatoria, espressamente prevista dagli artt. 41 comma 3 e 119, comma 3 Cost., non sopporta per sua stessa natura i confini delle regioni a statuto speciale.
Anche il principio di legalità, di cui alla sentenza n. 150 del 1982, risulta, ad avviso dell'Avvocatura, nel caso di specie ampiamente soddisfatto, essendo precisati gli strumenti (organismi e mezzi finanziari) per lo svolgimento delle funzioni di indirizzo e coordinamento statale.
Circa, infine, le disposizioni di natura finanziaria censurate nel ricorso, l'Avvocatura rileva che l'art. 13 prevede un « intervento finanziario aggiuntivo dello Stato » per provvedere a scopi specifici espressamente determinati nella legge stessa: il contributo statale così stabilito chiaramente si distingue dalle entrate provinciali previste dallo statuto regionale (in particolare dall'art. 78) per lo svolgimento delle normali funzioni delle province, trattandosi di un contributo speciale, previsto dal comma 3 dell'art. 119 Cost., assegnato, alle regioni e alle province autonome « per provvedere a scopi determinati ».
Pertanto, alla ripartizione del contributo in questione tra tutte le regioni a statuto ordinario o speciale e le province autonome non si applica l'art. 78 dello statuto T.A.A., che concerne i criteri di ripartizione tra le due province autonome delle quote di alcune entrate tributarie che si realizzano nel territorio regionale. E proprio gli « scopi determinati » dell'intervento statale rendono logica anche l'aggiunta, ai due consueti parametri di ripartizione (territorio e popolazione), del terzo parametro costituito dall'indice di utilizzazione del patrimonio ricettivo. Inoltre, è conforme al dettato costituzionale (art. 119 comma 3 Cost.) e alla precisazione contenuta nell'art. 13 della legge impugnata la riserva del 30 per cento del contributo in esame alla valorizzazione delle attrezzature turistiche nelle aree del Mezzogiorno. Infine, la speciale natura e destinazione del contributo statale giustificano anche il disposto dell'art. 15 della legge.
2.1. Con ricorso notificato il 24 giugno 1983, anche la Provincia autonoma di Bolzano ha. promosso questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni della 1. 17 maggio 1983 n. 217: la censura investe l'intera legge « nel suo complesso » e in particolare gli artt. 1 ultimo comma, 4 commi 1, 6, ed ultimo,.6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 e 15, in riferimento agli artt. 3 comma 3; 8, nn. 1, 5, 19 e 20; 9, n. 7; 16 comma 1; 78 e 79 dello statuto speciale per il T.A.A. e alle relative norme di attuazione.
a) II ricorso della Provincia di Bolzano, sia nella premessa di fatto che nella parte in diritto, è in buona parte sostanzialmente identico a quello della Provincia di Trento; in particolare, identiche sono le argomentazioni poste a sostegno delle censure concernenti gli artt. 1 ultimo comma, 13, 14 e 15, in riferimento agli artt. 8, nn. 1 e 20, 16, 78 e 79 dello statuto. Vi è solo da rilevare che in questo caso la censura investe specificamente anche il comma 2 dell'art. 14, secondo il quale il rimanente 30 per cento delle risorse di cui al precedente art. 13 è ripartito, con gli stessi criteri indicati al comma 1, tra le regioni che comprendono nel proprio territorio le aree del Mezzogiorno, con esclusione quindi della provincia ricorrente. Ciò costituisce, ad avviso di quest'ultima, patente violazione dell'art. 79 dello statuto, che equipara alle regioni le province autonome per ciò che riguarda l'assegnazione da parte dello Stato, ai sensi dell'art. 119 comma 3 Cost., dei contributi per la valorizzazione del Mezzogiorno e delle isole. Qualora dovesse poi ritenersi, aggiunge la ricorrente, che l'esclusione delle province autonome derivi dall'applicazione dell'art. 1 d.P.R. 6 marzo 1978 n. 218 - richiamato dalla norma censurata - che non contempla le Province di Trento e Bolzano nella sfera di applicazione delle leggi sugli interventi per il Mezzogiorno, anche quest'ultima disposizione sarebbe incostituzionale:
si chiede, pertanto, che la Corte sollevi innanzi a se stessa la questione di legittimità di detta norma, in; riferimento all'art. 79 statuto.
b) In un unico motivo dì censura vengono, poi, coinvolti gli artt. 4 commi 1, 6 e 7, 6, 7, 8, 9, 10,11 e 12 della legge, per violazione della potestà legislativa primaria, ed amministrativa, della provincia in materia di turismo'ed industria alberghiera, ordinamento degli uffici e del personale, urbanistica e piani regolatori, assunzione diretta di servizi pubblici e loro gestione a mezzo di aziende speciali (art. 3 comma 3; 8, nn. 1, 5, 19 e 20; 9, n. 7; 16 statuto e norme d'attuazione).
In particolare;
- dell'art. 4 sono censurati, oltre al comma 1 (con argomentazioni identiche a quelle svolte dalla Provincia, di Trento), i commi 6 e 7 che prevedono lo scioglimento degli enti provinciali per il turismo e delle aziende di cura, soggiorno e turismo, e regolano l'inserimento del relativo personale « nel ruolo unico regionale », nonché la destinazione con legge regionale delle entrate degli enti disciolti, e del relativo personale, agli organismi cui sono state attribuite o delegate le relative funzioni. Si tratta, ad avviso della ricorrente, di materia integralmente ricompresa nelle sue competenze esclusive;
- gli artt. 6, 7 e 12, che contengono la defìnizione e la classificazione delle strutture ricettive in genere e degli alberghi in specie, vertono anch'essi su materie riservate alla provincia e in relazione alle quali la provincia stessa ha già esercitato la sua potestà legislativa primaria con le 1. prov. 12 agosto 1978 n. 39, 18 giugno 1981 n. 15. 15 gennaio 1982 n. 3, 7 giugno 1983 n. 22;
- l'art. 8 regola la sottoposizione - con legge regionale -a vincolo di destinazione delle strutture ricettive, l'individuazione da parte dei comuni delle aree da destinare ad attività turistiche e ricettive, l'adeguamento da parte dei comuni dei relativi strumenti urbanistici e l'individuazione in essi delle aree destinate agli insediamenti turistici produttivi che a tal fine sono vincolati: la norma viola, afferma la ricorrente, oltre la competenza primaria provinciale in materia di turismo, anche quella, pure primaria, in materia di urbanistica e piani regolatori (art. 8, n. 5, Statuto T.A.A. e d.P.R. 22 marzo 1974 n. 381), già esercitata con l'emanazione del d.P.G.p. 23 giugno 1970 n. 20 (testo unico delle leggi prov. sull'ordinamento urbanistico) e della 1. prov. 20 settembre 1973 n. 38 (modifiche al suddetto t.u.);
- anche gli artt. 9 e 10 della legge - che disciplinano rispettivamente le agenzie di viaggi e turismo, e le associazioni turistiche senza scopo di lucro ricadono nella competenza primaria della provincia nella materia de qua, in quanto, in materia di agenzie di viaggio, l'unico « ritaglio » operato dal d.P.R. n. 278 del 1974 concerne il nullaosta statale per le licenze rilasciate a persone fìsiche e giuridiche straniere e, quanto alle associazioni turistiche, trattasi di un settore già ampiamente disciplinato con legge provinciale n. 41 del 1976 (artt. 15 ss.);
- l'art. 11, inoltre, che disciplina le « attività professionali » attinenti al turismo, lede anch'esso le attribuzioni primarie della ricorrente in materia, specie per il fatto che queste ultime comprendono - ai sensi dell'art. 8, n. 20, dello statuto e dell'art. 1 d.P.R. n. 278 del 1974 - la disciplina delle guide, dei portatori alpini e dei maestri di sci, professioni regolate con l. prov. 24 agosto 1978 n. 54 e 30 aprile 1982 n, 17. La norma in questione, pertanto, è incostituzionale, conclude la ricorrente, sia nel suo complesso che, in particolare, nei commi 1, 7, 8 e 9;
- gli artt. 7 e 11 della legge, infine, vengono censurati anche sotto altro profilo: l'estrema analiticità della disciplina in essi contenuta lederebbe anche la competenza concorrente della Provincia di Bolzano in materia di esercizi pubblici (art. 9, n. 7, dello statuto e d.P.R. 1° novembre 1973 n. 686).
2.2. E intervenuto anche nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, che conclude per l'infondatezza delle questioni prospettate. L'Avvocatura, oltre a svolgere argomentazioni identiche a quelle contenute nell'atto di intervento nel giudizio introdotto col ricorso della Provincia di Trento, aggiunge, relativamente alle censure concernenti gli artt. da 6 a 12 1. n. 217, le seguenti deduzioni.
Sulla delimitazione dei poteri dello Stato e delle Regioni - a statuto speciale e ordinario - relativamente alla classificazione alberghiera, la Corte costituzionale si è pronunziata con le sentenze nn. 15 del 1956 e 70 del 1981. Mentre con la prima fu respinto un ricorso della Regione Trentino-Alto Adige, con la seconda vennero, invece, rigettati alcuni ricorsi dello Stato avverso disegni di legge di regioni a statuto ordinario, che stabilivano criteri di classificazione alberghiera diversi da quelli previsti nelle leggi statali: tuttavia la Corte, sostiene l'Avvocatura, ebbe cura di chiarire espressamente che la pronunzia trovava la sua ragione nel diverso quadro normativo nel quale si iscriveva. Ciò indusse la Corte ad affermare che « qui ed ora » i principi ricavabili dalla legislazione consistevano in criteri generalissimi che non risultavano contraddetti dalla allora impugnata normativa regionale: ma la Corte, prosegue l'Avvocatura, ha voluto espressamente riaffermare il potere statale di intervenire al fine di soddisfare le esigenze di sostanziale corrispondenza tra le classificazioni adottate nelle varie regioni e anche nei vari paesi, tanto che l'argomento forma oggetto di trattative ed accordi in sede internazionale.
Quanto alla censura avente ad oggetto l'art. 8, rileva l'Avvocatura che la norma è stata dettata dall'esigenza di colmare il vuoto normativo conseguente alla sentenza n. 4 del 1981: nessun dubbio esiste sulla competenza statale in materia, trattandosi di normativa che incide notevolmente su rapporti privatistici (sentenza n. 15 del 1956), è riconducibile ai programmi e ai controlli che la legge statale determina, ai sensi dell'art. 41 comma 3 Cost., per indirizzare l'attività economica, pubblica o privata, e coordinarla ai fini sociali e pone un limite, del tipo prefigurato dall'ari. 42 comma 2 Cost., che serve a garantire ed attuare la funzione sociale della proprietà (sentenza n. 4 del 1981).
Quanto agli artt. 9 e 10, l'Avvocatura osserva: la normativa posta dallart. 9 sulle agenzie di viaggio rappresenta l'adempimento di un obbligo internazionale assunto dallo Stato con ratifica della Convenzione internazionale, relativa al contratto di viaggio ( l. 27 dicembre 1977 n. 1084); l'art. 10 disciplina le sole associazioni operanti a livello nazionale per finalità ricreative, culturali, religiose o sociali e trovarla sua ragione nella necessità di porre fine al fenomeno dell'abusivismo.
L'art. 11, poi, soddisfa 1' esigenza della necessaria cautela con cui devono essere riguardate le professioni in questione, della necessità che siano adottati criteri omogenei per l'ammissione all'esercizio di alcune attività professionali ( l. 21 dicembre 1978 n. 845), e dell'opportunità di conservare un patrimonio di conoscenze tecniche, di esperienza e di prestigio acquistato con impegno, studio e sacrifìcio degli operatori.
Quanto, infine, all'art. 7, l'Avvocatura conclude affermando che anche se le disposizioni in esso contenute potessero intendersi quali principi fondamentali da osservarsi dalla ricorrente nell'esercizio della sua competenza concorrente in materia di esercizi pubblici, la censura sarebbe ugualmente infondata, limitandosi la norma a stabilire pochi ed essenziali requisiti minimi ai fini della classificazione e non ponendo certamente una disciplina analitica tale da comprimere la competenza provinciale.
3.1. Con ricorso notificato il 24 giugno 1983, la Regione Sardegna ha, a sua volta, promosso questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4. 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 15 l. n. 217 del 1983, in riferimento agli artt. 116 Cost., 3, lett. a), f) e p), 4, lett. a), 6 e 56 statuto speciale per la Sardegna (l. cost. 26 febbraio 1948 n. 3) e alle relative norme di attuazione (d.P.R. nn. 250 del 1949, 1531 del 1965, 480 del 1975, 348 del 1979).
La regione, oltre a svolgere argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle contenute nei ricorsi delle province autonome, deduce, quale nuova censura, che anche l'art. 5 della legge, che disciplina le imprese turistiche, è illegittimo, perché viola anch'esso la competenza primaria regionale in materia di industria alberghiera; ma anche se si volesse ipotizzare, in via subordinata, che tale disciplina ricade invece nella competenza concorrente della regione in materia di industria e commercio (art. 4 lett. a) statuto), la norma sarebbe ugualmente incostituzionale per il suo carattere di estrema analiticità.
3.2. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, intervenuto nel giudizio per tramite dell'Avvocatura Generale dello Stato, svolge, a sostegno dell'infondatezza delle questioni proposte, argomentazioni sostanzialmente identiche a quelle già esaminate; quanto, poi, alla censura concernente l'art. 5, rileva l'Avvocatura che la norma non incide sulla competenza esclusiva della ricorrente in materia di turismo, ma su quella concorrente in materia di commercio e non costituisce disposizione di dettaglio tale da comprimere indebitamente l'autonomia regionale.
4.1. Con ricorso notificato il 22 giugno 1983, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha proposto questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 comma 4, 2 comma 1, e 4 l. n. 217 del 1983, in riferimento all'art. 4 nn. 1 e 10, stat. spec. reg. (l. cost. 31 gennaio 1963 n. 1) e alle relative norme di attuazione (titolo III d.P.R. n. 1116 del 1965, modificato dal titolo VII d.P.R. n. 902 del 1975), che stabiliscono la competenza esclusiva della ricorrente in materia di turismo e di ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla regione.
L'art. 2, in particolare, è censurato sotto il profilo che, là dove esso prevede che il comitato di coordinamento indica le « finalità prioritarie » in relazione alle quali le regioni stabiliscono criteri e modalità di utilizzo dei finanziamenti, le dette finalità, assegnate alle regioni speciali, vengono stabilite da un organismo in cui le regioni ordinarie hanno la maggioranza assoluta: ne deriverebbe una « sottordinazione istituzionale, funzionale ed operativa » delle regioni a statuto speciale rispetto a quelle a statuto ordinario, in una materia in cui le prime hanno competenza esclusiva.
Per il resto, la Regione Friuli non svolge deduzioni dissimili, nei limiti dell'impugnativa proposta, da quelle contenute nei ricorsi già esaminati.
4.2. Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto per tramite dell'Avvocatura Generale dello Stato, conclude per l'infondatezza delle questioni, con deduzioni analoghe a quelle relative agli altri giudizi. Quanto al particolare profilo di censura dell'art. 2 sopra evidenziato, l'Avvocatura afferma che « data la natura nazionale degli interessi perseguiti e l'estensione indiscriminata, alle regioni ad autonomia differenziata ed ordinaria, dei limiti derivanti dalla programmazione, non è confìgurabile ne tanto meno tutelabile una posizione privilegiata delle regioni a statuto speciale: non ha perciò giuridico rilievo il fatto che queste, di minor numero, assommino un minor numero di rappresentanti nel comitato in questione ».
5.1. Con ricorso notificato il 24 giugno 1983, la Regione Emilia-Romagna ha proposto questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 comma 1, 5 commi 2, 3, 4 e 5, 10 comma 1, 11 comma 12, 13, 14 e 15 l. n. 217 del 1983, in riferimento agli artt. 5, 117, 118 e 119 Cost.
a) L'art. 1 comma 1, è censurato là dove afferma che la legge in esame « definisce i principi fondamentali in materia di turismo e industria alberghiera »: questa dichiarazione, in astratto corretta, si traduce, per la ricorrente, in un'illegittima violazione dell'autonomia legislativa regionale nel momento in cui eleva al rango di principi inderogabili anche disposti normativi (come quelli contenuti nelle norme successivamente impugnate) i quali dettano, invece, discipline dettagliate e minuziose, in violazione dell'art. 117 Cost.;
b) l'art. 5 commi 2 e 3, stabilisce che i titolari o gestori delle imprese turistiche sono tenuti ad iscriversi « in una sezione speciale del registro istituito ai sensi della 1. 11 giugno 1971 n. 426 » (cioè il registro degli esercenti il commercio all'ingrosso e al minuto e l'attività di somministrazione al pubblico di alimenti o bevande) e che per ottenere l'iscrizione debbono presentare domanda alle Camere di commercio. Ad avviso della ricorrente, « è diffìcile sfuggire all'impressione » che il legislatore abbia disposto
l'iscrizione dei titolari delle imprese turistiche nello stesso registro nel quale sono iscritti i titolari delle imprese commerciali - pur essendo le due categorie di imprese nettamente distinte - allo scopo di sottrarre alle regioni e conservare, attraverso le Camere di commercio, allo Stato la disciplina e la gestione del registro degli esercenti delle imprese turistiche. In ogni modo, la censurata previsione legislativa invade illegittimamente l'ambito di competenza regionale, in quanto attribuisce alle Camere di commercio, anziché alle regioni, la titolarità e la gestione del registro in questione, e riserva implicitamente allo Stato (secondo l'interpretazione più probabile e comunque possibile dell'art. 5) la disciplina del registro stesso e dei procedimenti di iscrizione e di accertamento dei requisiti richiesti, nonché la nomina dei componenti della relativa commissione. Sarebbe di conseguenza illegittimo anche il comma 4 dell'ari. 5, là dove prevede quale requisito per l'iscrizione l'« aver superato un esame di idoneità all'esercizio dell'attività di impresa », se lo si interpreta nel senso che detto esame debba essere superato davanti ad una commissione costituita presso la Camera di commercio e soggetta a disciplina statale.
E, infine, illegittimo, prosegue la ricorrente, il comma 5 dell'art. 5, che prevede senz'altro il diritto a ottenere l'iscrizione, a domanda, nel registro dei soggetti che alla data di entrata in vigore della legge esercitavano imprese turistiche;
c) l'art. 10 comma 1, è censurato nella parte in cui limita alle associazioni operanti « a livello nazionale » per finalità ricreative, culturali, religiose o sociali la facoltà di esercitare attività turistiche per i propri associati: tale limitazione si traduce, ad avviso della ricorrente, in una violazione della competenza regionale in quanto sembra escludere che la regione possa disciplinare le medesime attività svolte da associazioni operanti a livello regionale e locale;
d) l'art. 11 comma 12, è censurato in quanto prescrive che le capacità professionali dei maestri di sci, guide alpine e speleologiche, istruttori di alpinismo e di sci alpino siano accertate alla stregua dei criteri didattici elaborati per i vari gradi di professionalità dai competenti enti ed associazioni nazionali: ciò si traduce, afferma la ricorrente, in una palese violazione della competenza regionale, oltre che in una indebita attribuzione di efficacia erga omnes a decisioni e criteri elaborati da enti e associazioni che non sempre hanno carattere pubblicistico, ma piuttosto di associazioni private. Infatti le regioni non potrebbero definire nella propria normativa i criteri cui attenersi nell'accertamento, e nemmeno attribuire rilevanza a criteri e parametri tecnici elaborati dalle associazioni professionali operanti
in sede regionale;
e) gli artt. 13, 14 e 15, infine, vengono censurati in quanto prevedono « l'ennesimo fondo settoriale che viene a complicare ulteriormente il sistema di finanziamento delle regioni e la cui disciplina viene a comprimere ulteriormente la loro autonomia di spesa, in contrasto con il principio generale stabilito nell'art. 21 comma 1 l. n. 335 del 1976 ».
La legge censurata crea, infatti, un fondo di settore, ripartito in base a parametri settoriali e rigidamente e specificamente vincolato alla sua destinazione (artt. 13 comma 1, 14 commi 5 e 6, 15); gestito con modalità anche contabili speciali e derogatorie rispetto alla normativa generale sulla contabilità statale e regionale (si veda la riassegnazione dei fondi - art. 15 comma 2 - e la speciale rendicontazione, non coordinata con la disciplina dei conti consuntivi delle regioni - art. 15 comma 3): la disciplina, in conclusione, è lesiva dell'autonomia finanziaria, di spesa e contabile delle regioni.
5.2. Il Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuto in giudizio per tramite dell'Avvocatura Generale dello Stato e conclude per l'infondatezza delle questioni proposte.
In particolare l'Avvocatura sostiene:
a) il richiamo dell'art. 5 alla l. n. 426 del 1971 è forse superfluo, ben potendosi ritenere che le imprese turistiche, quali sono definite dal comma 1 dello stesso art. 5, rientrino tra gli esercizi commerciali previsti appunto dalla citata 1. n. 426 o, in genere, tra i pubblici esercizi di cui al capo II del titolo III r.d. n. 773 del 1931. Non sussiste, perciò, la denunciata violazione della competenza regionale in materia di turismo e industria alberghiera, che non esclude l'applicabilità della disciplina in materia di commercio, che è di competenza statale, salva l'ampia attribuzione di funzioni alle regioni contenuta nella stessa 1. n. 426 del 1971.
In ogni caso, prosegue l'Avvocatura, l'art. 5 risponde certamente ad un interesse generale di pubblicizzazione dell'esistenza di imprese turistiche e costituisce il principio fondamentale che la legge dello Stato ben può stabilire quale limite della potestà legislativa regionale. D'altra parte, che il registro degli esercenti le imprese turistiche non costituisce, come adombra la ricorrente, un espediente per sottrarre alle regioni la disciplina delle imprese stesse, è dimostrato dal fatto che le Camere di commercio non sono organi dello Stato. Infine, l'ultimo comma dell'art. 5 risponde all'esigenza di salvaguardare i diritti di coloro che con l'attività finora legittimamente svolta hanno già mostrato di possedere la qualificazione necessaria;
b) l'eccezione, contenuta nell'art. 10 censurato, al generale divieto di esercizio di attività turistiche e ricettive da parte delle associazioni diverse dalle imprese commerciali elencate negli articoli precedenti, è limitata alle associazioni senza scopo di lucro che operano a livello nazionale per finalità ricreative, culturali, religiose o sociali a causa dell'accertata esistenza di valide organizzazioni turistiche di emanazione sindacale operanti a livello nazionale;
c) l'art. 111. n. 217 del 1983 applica esattamente i principi affermati dalla Corte costituzionale sulla delimitazione della sfera di competenza statale e regionale in materia di valutazione attitudinale ai fini della concessione dell'abilitazione all'esercizio di un'attività professionale con le sentenze nn. 58 e 216 del 1976, 89 del 1977 e 9 del 1979. L'art. 11 comma 12, prescrive infatti alle regioni, per le professioni di maestro e istruttore di sci
ed alpinismo e di guida alpina e speleologica, di accertare il possesso di requisiti che non possono dirsi d'interesse strettamente turistico, come già previsto dagli artt. 237 e 238 del regolamento approvato con r.d. 6 maggio 1940 n. 645; si tratta di prescrizioni imposte in considerazione dei pericoli all'incolumità personale che sono connaturali alle attività alpine o di alta montagna. Questa considerazione sposta notevolmente dal lato dell'interesse - extra-regionale - della tutela dell'incolumità personale e della prevenzione degli infortuni, la comparazione ponderale già compiuta dalla Corte in relazione alle diverse professioni di guida, interprete e corriere turistico (sentenza n. 9 del 1979): a tutela specifica di questo interesse ben possono, conclude l'Avvocatura, essere posti, ai sensi dell'ari. 117 Cost., coerenti limiti all'autonomia regionale;
d) quanto, infine, agli artt. 13, 14 e 15 censurati, rileva l'Avvocatura che il contributo statale in essi previsto si distingue chiaramente dalle entrate regionali di cui all'art. 119 comma 2 Cost., destinato allo svolgimento delle normali funzioni della regione: si tratta, invece, di un contributo speciale dello Stato, previsto dal comma 3 dell'art. 119 Cost., assegnato alle regioni e alle province autonome « per provvedere a scopi determinati ». Ciò esclude l'applicabilità a simile contributo del principio di cui all'art. 21 1. n. 335 del 1976, in forza della deroga prevista nell'ultima parte del comma 1 di detta norma relativa al finanziamento dei « programmi ulteriori di sviluppo ».
La speciale natura e destinazione del contributo statale in questione giustifica anche il disposto dell'art. 15.
6. In prossimità dell'udienza pubblica hanno depositato memorie aggiuntive le Regioni Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna, insistendo per la fondatezza delle questioni sollevate.
7. All'udienza pubblica del 22 aprile. 1986, il giudice la Pergola ha svolto la relazione e le difese delle ricorrenti e l'Avvocato dello Stato hanno ribadito le conclusioni già adottate.
 
Considerato in diritto: 1. La legge 17 maggio 1983, n. 217 («Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell'offerta turistica»), disciplina il turismo e l'offerta alberghiera sotto vario riguardo. Tale normativa viene in rilievo ai fini dell'attuale decisione sostanzialmente nella sua interezza. Giova tuttavia all'indagine rimessa alla Corte distinguere due serie di disposizioni e prenderle partitamente in considerazione nel tracciare il quadro delle impugnative.
I ricorsi sono stati esperiti dalle Regioni Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, dalle Province autonome di Trento e Bolzano e dalla Regione Emilia-Romagna e prospettano questioni identiche o connesse. I giudizi promossi davanti alla Corte possono quindi essere riuniti e congiuntamente decisi.
2.1. Alcune delle norme censurate (artt. 1, 2, 3) definiscono in via generale gli scopi perseguiti dal legislatore e organizzano l'esercizio dell'indirizzo e coordinamento del Governo anche in relazione al regime previsto per la ripartizione fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome dei fondi stanziati con la stessa legge n. 217, nonché per le modalità e i controlli della relativa utilizzazione (artt. 13-15). Precisamente, è stabilito nell'art. 1, che la legge n. 217, emanata in attuazione dell'art. 117 Cost., pone «i principi fondamentali della materia», in modo da garantire l'equilibrato sviluppo delle attività turistiche e di quelle connesse, in considerazione della loro rilevanza economica e sociale. Son fatte salve le previsioni del D.P.R. n. 616 del 1977 (si vedano, per il settore in discorso, gli artt. 56-60) e le attribuzioni che, sempre con riguardo al turismo e all'attività alberghiera, spettano, secondo gli statuti speciali e le corrispondenti norme di attuazione, alle Regioni a regime differenziato e alle Province autonome (art. 1). t altresì previsto che il Governo eserciti la funzione di indirizzo e coordinamento per perseguire gli obiettivi della programmazione nazionale e settoriale, avvalendosi di due organismi: il comitato di coordinamento, nominato dal Presidente della Repubblica e composto dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Ministro da lui delegato, che lo presiede, dai Presidenti delle Giunte regionali e delle Giunte provinciali di Trento e Bolzano, ovvero dai componenti delle Giunte a tal fine delegati (art. 2); il comitato consultivo nazionale, nominato con decreto del Ministro del Turismo e dello Spettacolo, che lo presiede, e composto dai rappresentanti delle organizzazioni sindacali ed associazioni ivi indicate e da esperti del settore (art. 3). Compete al comitato di coordinamento indicare le finalità prioritarie, in relazione alle quali le Regioni stabiliscono criteri e modalità di utilizzazione dei finanziamenti previsti, nel titolo secondo, dagli artt. 13-15 della stessa legge. Tali ultime disposizioni contemplano, dal canto loro, l'intervento finanziario aggiuntivo dello Stato, destinato da un lato allo sviluppo e al riequilibrio territoriale delle attività di interesse turistico, con specifico riferimento alle aree del Mezzogiorno e delle zone interne e montane, dall'altro all'ammodernamento e alla riqualificazione delle strutture ricettive esistenti, dei servizi turistici e dei centri di vacanza (art. 13). Apposite norme sono dirette a coordinare piani e programmi di sviluppo, adottati ai sensi del D.P.R. n. 616 del 1977, con il perseguimento degli scopi indicati nell'art. 13 (art. 14). I fondi stanziati ammontano complessivamente a Lit. 300 miliardi e sono annualmente distribuiti tra le Regioni e Province autonome, sentito l'anzidetto comitato di coordinamento, secondo i seguenti criteri: il 70% delle risorse va ripartito, un terzo in base alla popolazione residente, un terzo in base alla superficie del territorio, un terzo in base agli indici di utilizzazione del patrimonio ricettivo regionale; il rimanente 30% è ripartito con gli stessi criteri fra le Regioni che comprendono nel proprio territorio le aree del Mezzogiorno, quali definite dall'art. 1 del D.P.R. n. 218 del 1978 (art. 14). Restano ferme le procedure previste dall'art. 78 dello Statuto del Trentino-Alto Adige per l'erogazione di fondi a favore delle Pro vince di Trento e Bolzano. Le Regioni possono stabilire i criteri e le modalità di accesso ai finanziamenti, nel rispetto delle destinazioni indicate nell'art. 13, e prevederne altresì la gestione unitaria ed integrata. Le somme comunque non utilizzate dalle Regioni e dalle Province di Trento e Bolzano entro l'esercizio successivo a quello per il quale lo stanziamento è destinato sono nuovamente ripartite fra tutte (art. 15). A tal fine, Regioni e Province autonome devono entro il termine all'uopo prescritto produrre il rendiconto annuale, debitamente documentato, di tutte le iniziative, pubbliche o private, che risultino finanziate con i contributi erogati a norma dell'art. 13 (art. 15, ultimo comma).
2.2. La normativa fin qui descritta è impugnata, com'è precisato in narrativa, sotto molteplici profili. Le Regioni Friuli-Venezia Giulia e Sardegna e le Province di Trento e Bolzano deducono, in primo luogo, che l'esercizio dell'indirizzo e coordinamento è stato illegittimamente previsto nei loro confronti, ricadendo la specie sotto la competenza primaria delle ricorrenti, che concerne così il turismo, come l'ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione o Provincia.
In via subordinata, e perciò nell'ipotesi che la Corte ritenga legittima la previsione dell'indirizzo e coordinamento statale anche nei riguardi delle Regioni a statuto speciale e delle Province promotrici della presente controversia, le anzidette ricorrenti deducono che la disciplina di tale funzione, com'è qui configurata, vulneri il principio di legalità (cfr. sent. n. 150 del 1982): il legislatore non avrebbe individuato le esigenze unitarie che giustificano l'esercizio dell'indirizzo e coordinamento, né stabilito i criteri secondo i quali esso può essere attuato dagli organi governativi. La Regione Emilia-Romagna, per parte sua, censura l'art. l, primo comma, dove è detto che la legge in esame «definisce i principi fondamentali in materia di turismo e industria alberghiera». Tale dichiarazione sarebbe corretta solo in astratto, ma nella specie si risolverebbe in una illegittima compressione dell'autonomia regionale, elevando a rango di principi inderogabili anche i dettagliati precetti delle altre norme impugnate.
La Regione Friuli-Venezia Giulia censura la disciplina del l'indirizzo e coordinamento sotto l'ulteriore profilo, che il comitato di coordinamento, al quale spetta di indicare le finalità prioritarie per l'utilizzazione dei finanziamenti, risulta composto, su base paritaria, oltre che dal Presidente del Consiglio o dal Ministro da lui delegato, dalle Province autonome e da tutte le Regioni. Quest'organismo sarebbe configurato in modo che le Regioni a statuto ordinario costituiscono la maggioranza del collegio, mentre, rispetto ad esse, quelle a statuto speciale verrebbero, in materie pur riservate alla loro competenza primaria, a versare in «una sottordinazione istituzionale, funzionale ed operativa».
2.3. Altre questioni investono le disposizioni concernenti il regime dei finanziamenti aggiuntivi, disposto nel titolo secondo della legge, ed impugnato come lesivo dell'autonomia, finanziaria e di spesa, delle ricorrenti.
Gli artt. 13, 14 e 15 della legge sono censurati, com'è descritto in narrativa, oltre che dalla Regione Sardegna e dalle Province di Trento e Bolzano, dalla Regione Emilia-Romagna.
La normativa impugnata avrebbe ingiustificatamente creato un ennesimo fondo di settore, rigidamente vincolato nella sua destinazione, e gestito con modalità anche speciali e derogatorie rispetto al comune regime della contabilità statale e regionale. L'impugnativa coinvolge l'art. 15, censurato anche dalla Regione Emilia-Romagna. La disposizione in parola è quella che prevede che le somme comunque non utilizzate nel termine all'uopo prescritto siano nuovamente ripartite fra tutte le Regioni (e Province). I principi dell'autonomia esigerebbero che i fondi stanziati con la legge in esame restino nella piena ed autonoma disponibilità delle ricorrenti. Di qui, appunto, si fa discendere l'illegittimità del vincolo che circonda i tempi della spesa. Analogo ordine di considerazioni dovrebbe altresì valere per la destinazione dei finanziamenti, fissata dalla legge in conformità degli scopi perseguiti dall'art. 13, che si assume incompatibile con il margine di apprezzamento garantito all'ente autonomo.
Le Province di Trento e Bolzano lamentano, in particolare, la violazione degli appositi criteri fissati nell'art. 78 dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige, sia in quanto l'art. 14 avrebbe ad essi indebitamente sovrapposto l'ulteriore parametro, che ha riguardo agli indici del patrimonio ricettivo regionale, sia perché la quota spettante all'una e all'altra ricorrente va calcolata in riferimento soltanto al 70% del finanziamento complessivo, invece che all'intero ammontare dello stanziamento previsto dalla legge, comprensivo della quota del 30% contemplata nel secondo comma dell'art. 14.
La Provincia autonoma di Bolzano deduce, altresì, la lesione dell'art. 79 dello Statuto. La norma di raffronto sarebbe appositamente dettata per equiparare Province autonome e Regioni, per quanto riguarda l'assegnazione, da parte dello Stato, ai sensi dell'art. 119 Cost., dei contributi diretti a valorizzare Mezzogiorno e Isole. Altra istanza è formulata in subordine, per l'ipotesi che l'esclusione della Provincia ricorrente dall'erogazione dei contributi in questione derivi dal disposto dell'art. 1 del D.P.R. n. 218 del 1978, richiamato dalla norma censurata, il quale non include le Province di Trento e Bolzano nella sfera di applicazione delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno. In tal caso, anche quest'ultima previsione normativa andrebbe ritenuta incostituzionale: si chiede pertanto che la Corte sollevi dinanzi a se stessa, in riferimento all'art. 79 dello statuto, la relativa questione di legittimità.
2.4. I rimanenti motivi di ricorso investono, secondo i casi, come, anche qui, si precisa in narrativa, singoli aspetti o disposti della legge n. 217. Le censure concernono, infatti, la disciplina prevista per l'organizzazione turistica regionale, le strutture ricettive e la relativa classificazione, anche in relazione alle norme transitorie dell'art. 12, il vincolo di destinazione, le agenzie di viaggio e turismo, le associazioni senza scopo di lucro, le attività professionali. Tutto il contestato assetto della materia risulterebbe aver violato le norme costituzionali, quelle di attuazione o di trasferimento delle attribuzioni invocate dalle ricorrenti, nel settore del turismo e del l'industria alberghiera o in altri di loro competenza, ora primaria, ora concorrente. La legge in esame non porrebbe principi, né configurerebbe altre idonee limitazioni dei poteri di autonomia, scadendo al piano di una normazione di dettaglio, lesiva dei criteri che governano la ripartizione delle competenze fra Stato, Regioni e Province autonome.
Le Province di Trento e Bolzano, come le altre ricorrenti a statuto speciale, adducono, inoltre, in relazione a quasi tutte le ipotesi in cui è intervenuta la legge statale, di avere, nel l'esercizio della propria autonomia, già prodotto una disciplina del settore, che sarebbe illegittimamente intaccata dalla normativa in esame. Questa seconda serie di censure va, dunque, considerata tenendo conto di ogni singolo disposto, su cui grava l'impugnativa nell'ordine in cui le previsioni dedotte in giudizio si trovano contenute nella legge.
3.  Venendo ora all'esame delle impugnative sopra richiamate, s'impone subito qualche precisazione.
La Regione Emilia-Romagna, censura, di questo primo gruppo di disposizioni, oltre a quelle in materia di spesa, che saranno esaminate più avanti, l'art. 1, in quanto è ivi detto che la legge in esame pone i «principi generali della materia», mentre tali non sarebbero, per avere dettato una disciplina di dettaglio, le altre previsioni impugnate. Così formulato, il motivo di ricorso non può essere, tuttavia, preso in autonoma considerazione. L'esame demandato alla Corte va invece condotto, nel debito luogo, sulle disposizioni che avrebbero ecceduto i legittimi confini della legislazione di principio.
Quanto ai ricorsi prodotti dalle Regioni Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, e dalle Province di Trento e Bolzano, le previsioni ora considerate - e così le norme concernenti l'esercizio dell'indirizzo e del coordinamento statale - sono ivi censurate sull'assunto che esse ledono la sfera delle ricorrenti, in quanto si riferiscono alle Regioni a regime differenziato e alle Province autonome, pur dove difetti un'espressa statuizione del legislatore in tal senso. L'assunto è peraltro condiviso dalla difesa dello Stato nel dedurre l'infondatezza dei ricorsi. Così prospettandosi la controversia, occorre ricordare la ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la funzione di indirizzo e coordinamento trova il supporto dei principi costituzionali e può essere prevista dalla legge ordinaria dello Stato nei confronti di tutte le Regioni, indipendentemente dal grado o tipo di autonomia a queste riconosciuto. Nessun fondamento ha quindi la pretesa, avanzata in via preliminare dalle ricorrenti, di sentir dichiarare la illegittimità costituzionale delle disposizioni che consentono l'esercizio di detta funzione nei loro riguardi. Sempre alla stregua della pregressa giurisprudenza, la disciplina posta dal legislatore deve tuttavia soddisfare i requisiti indispensabili perché l'indirizzo e coordinamento costituisca un legittimo titolo di ingerenza degli organi centrali nella sfera garantita all'autonomia speciale, e alla conseguente competenza primaria, di cui è nel presente caso dedotta la violazione. Ma la normativa censurata non travalica dalla corretta configurazione del fenomeno sotto alcuno dei profili censurati. Depongono per tale conclusione i rilievi di seguito svolti.
3.1. Va avvertito, in primo luogo, che, diversamente da come assumono le ricorrenti, non risulta violato il principio di legalità, qual è definito nella sentenza n. 150 del 1982. L'indirizzo e il coordinamento sono, infatti, demandati al Governo sulla base dei criteri che il legislatore, considerata l'indubbia incidenza degli interessi nazionali sulla materia in esame, ha appositamente prestabilito. L'anzidetta funzione è esercitata mediante atto governativo nella sfera della programmazione economica nazionale e settoriale. È qui che il Governo deve avvalersi dei due appositi organismi, il comitato di coordinamento per la programmazione turistica ed il comitato consultivo, composti come si è sopra visto: il primo dei quali ha la specifica competenza di indicare le finalità prioritarie che si perseguono con i finanziamenti previsti nel titolo secondo della legge. Basta, dunque, riflettere sulle disposizioni dedicate all'intervento finanziario dello Stato, per fugare il sospetto che il principio di legalità non sia stato osservato. Il legislatore è intervenuto, come doveva, con il supporto delle esigenze unitarie, giustificative della funzione di indirizzo e coordinamento, configurando l'attività programmatoria che è svolta in quella sede, alla quale si riconnettono programmi e piani regionali di sviluppo, ai sensi del secondo e terzo comma dell'art. 13. L'art. 13 traccia, dal canto suo, gli scopi che il sostegno dell'attività turistica serve a realizzare. Così è delimitato l'àmbito delle scelte consentite al competente comitato nell'indicare quali finalità prioritarie vincolano l'utilizzazione degli stanziamenti. Il riparto dei fondi è poi operato secondo i criteri e gli indici puntualmente predi sposti dalla stessa legge.
Detto ciò, la novità istituzionale introdotta nel caso in esamequella di deferire l'esercizio dell'indirizzo e coordinamento, non ai soli organi centrali, ma al comitato composto dai presidenti o dai delegati delle giunte regionali o provinciali esce indenne dalle censure formulate dalla Regione Friuli-Venezia Giulia. L'aver configurato un organismo composto su base paritaria dagli organi dello Stato e da tutte indistintamente le Regioni e Province non integra offese all'autonomia di alcun rango, e perciò nemmeno allo statuto speciale di cui gode la ricorrente. La soluzione sancita nella legge n. 217 è, al contrario, diretta a coinvolgere Regioni e Province nell'esercizio di un potere che - beninteso nei limiti in cui l'indirizzo e coordinamento statale si concilia con il rispetto delle competenze loro garantite - spetterebbe, secondo le norme poste in via generale per regolare l'esercizio di questa funzione, alla esclusiva ed unilaterale determinazione degli organi centrali. Va, piuttosto, precisato che il criterio oggetto di censura trae giustificazione dall'avere la legge in esame collegato, anzi circoscritto, l'indirizzo ed il coordinamento al perseguimento degli obiettivi della programmazione nazionale e settoriale. In questa prospettiva, la complessa materia del turismo e dell'industria alberghiera s'inquadra nella funzione programmatoria, della quale è investito il comitato previsto dall'art. 2. Quest'organismo si atteggia, allora, come uno strumento istituzionale idoneo a comporre le istanze unitarie con quelle dell'autonomia, anche differenziata, sia in attuazione dei principi che presiedono alla corretta strutturazione dell'indirizzo e coordinamento, sia in conformità del generale precetto dell'art. 11 del D.P.R. n. 616 del 1977, secondo cui lo Stato determina gli obiettivi della programmazione «con il concorso» delle Regioni.
3.2. Le ragioni da ultimo dette soccorrono, altresì, per ritenere l'infondatezza delle questioni che vertono sulla ripartizione ed utilizzazione dei fondi (artt. 14 e 15). I vincoli di destinazione della spesa e l'onere di utilizzare le somme entro il termine prescritto, con il conseguente obbligo di rendiconto delle iniziative finanziate a norma dell'art. 13, si giustificano, essi pure, perché, nella specie, si tratta di previsioni strumentalmente connesse con il tipo, e l'attività collegiale dell'organismo, al quale la legge riserva l'indicazione prioritaria delle spese. La disciplina ora considerata vuol garantire l'osservanza, da parte di ogni singola Regione o Provincia, degli adempimenti derivanti dalla disciplina procedurale, grazie alla quale la programmazione si concreta nell'indirizzo e coordinamento dello Stato. La strutturazione collegiale e paritaria del comitato di coordinamento, di cui fanno parte le Regioni e le Province, costituisce in questo senso il razionale e legittimo presupposto del regime dell'impiego dei fondi e del relativo controllo: in particolare della norma, in forza della quale le somme non utilizzate, entro l'esercizio successivo a quello per il quale lo stanziamento è destinato, sono nuovamente ripartite fra tutti gli enti autonomi rappresentati nell'organismo anzidetto. D'altra parte, l'intervento finanziario aggiuntivo dello Stato, del genere qui considerato, trova uno specifico addentellato nelle previsioni dell'art. 119 Cost. (si veda sent. n. 357 del 1985). Le testè richiamate disposizioni del testo fondamentale demandano, per vero, alla legge di coordinare l'autonomia finanziaria delle Regioni e Province con la finanza dello Stato. La fonte legislativa statale è per questa via abilitata a produrre la disciplina occorrente all'utilizzazione dei fondi, che si aggiungono, come nel presente caso, al gettito erariale riservato alla Regione. La conclusione ora enunciata vale dunque, nella specie, anche con riguardo all'aliquota dello stanziamento che interessa l'intera cerchia degli enti autonomi e non le sole aree del Mezzogiorno, come definite dal D.P.R. n. 218 del 1978. Nella pronunzia testè ricordata si è detto, è vero, e va ora ribadito, che il regime dei finanziamenti, pur dove esso è disposto dallo Stato sulla base dell'art. 119 Cost., deve comunque risultare compatibile con le esigenze dell'autonomia, e qui, peraltro, con il suo rango speciale. Ma nel presente giudizio non si ravvisa alcuna indebita compressione delle attribuzioni garantite alle ricorrenti anche sul versante della spesa. Il vincolo di destinazione del fondo erogato è posto, nell'art. 13, in relazione agli scopi che la legge persegue nel suo complesso, lasciando al comitato di coordinamento di individuare gli obiettivi prioritari, nell'àmbito delle prescritte finalità. Quest'organismo è stato, del resto, opportunamente introdotto per adattare la funzione programmatoria alle esigenze del decentramento. Così, anche il residuo regime, che concerne modalità, procedure e controlli dell'utilizzazione dei fondi, non eccede la sfera riservata alla legge statale nel sistema dell'art. 119 Cost.
3.3. Il risultato al quale la Corte è pervenuta esige un cenno di sviluppo, in ordine alle questioni sollevate dalle Province di Trento e Bolzano per dedurre l'inosservanza degli artt. 78 e 79 dello Statuto del Trentino-Alto Adige.
Va, infatti, aggiunto che i criteri stabiliti nell'art. 14 della legge n. 217 in ordine alla ripartizione dei fondi non ledono, per alcun verso, nemmeno le invocate disposizioni statutarie. Quanto all'art. 78 dello statuto, la Corte ha in altre pronunzie precisato (si vedano sent. n. 356 del 1985 e sent. n. 357 del 1985) che esso concerne soltanto la determinazione della quota del gettito erariale riservato alle Province di Trento e Bolzano, limitatamente ai tributi in detta norma indicati. Le modalità procedurali ed i criteri contemplati nell'art. 78 possono quindi essere invocati dalla Provincia, non di fronte ad una singola legge di stanziamento, come accade nell'attuale giudizio, bensì in rapporto all'arco di tempo e al relativo flusso delle spese, ai quali va necessariamente riferito l'accordo tra il Governo e il Presidente della Giunta provinciale, che definisce annualmente l'ammontare del gettito erariale spettante, in quella sede, all'una e all'altra ricorrente.
Dopo di che, la disposizione del quarto comma dell'art. 14, secondo la quale a restano ferme le procedure previste dall'art. 78 dello Statuto speciale per l'erogazione di fondi a favore delle Province autonome di Trento e Bolzano», deve essere così intesa: lo stanziamento previsto nella legge con riguardo a tutte le Regioni e Province, ammontante al 70% delle risorse complessive, quali risultano dall'art. 13, integra gli estremi di un intervento generale dello Stato, «disposto», com'è detto nell'art. 78 dello Statuto, «nella restante parte del territorio nazionale, e negli stessi settori di competenza delle Province»: e perciò di una spesa che, ai sensi della norma statutaria, rientra fra quelle di cui si deve tener conto nell'anzidetto accordo annuale tra Governo e Presidente della Giunta provinciale. La guarentigia dell'autonomia provinciale, che la legge n. 217 fa salva, potrà dunque operare nei termini testè precisati.
Va disatteso, infine, l'assunto della Provincia di Bolzano, secondo cui le previsioni dell'art. 14 vulnerano l'art. 79 dello statuto speciale , in quanto escludono la ricorrente dalla ripartizione di quella quota del fondo, pari al 30% del complessivo conferimento di 300 miliardi, che è riservata alle Regioni comprendenti nel proprio territorio le aree del Mezzogiorno, come indicate nell'art. 1 del D.P.R. n. 218 del 1978. L'invocata norma di raffronto stabilisce infatti che l'art. 119, terzo comma, della Costituzione, si applica anche nelle Province autonome di Trento e Bolzano: e questo soltanto. Lo Stato può dunque assegnare mediante legge e a singole Regioni, contributi speciali, «per provvedere a scopi determinati e particolarmente per valorizzare Mezzogiorno e Isole». Il che, però, non significa che ciascun contributo speciale di cui fruiscono il Mezzogiorno, e le Isole, o alcun'altra Regione, debba, come vorrebbe la ricorrente, essere, secondo Costituzione, necessariamente assegnato anche alle due Province del Trentino-Alto Adige. Se così è, i criteri di ripartizione del fondo, sanciti nell'art. 14, rispondono agli scopi dell'intervento finanziario aggiuntivo, fra i quali figura, in primo luogo, lo sviluppo e riequilibrio di attività di interesse turistico, con particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno. Quel che più importa, poi, è che la norma impugnata si conforma al regime dei contributi speciali delineato nel terzo comma dell'art. 119 Cost.. Ciò conferma che l'art. 79 dello statuto speciale non è correttamente invocato nella specie. Di conseguenza, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 del D.P.R. n. 218 del 1978, sollevata dalla Provincia di Bolzano in via subordinata, sempre in riferimento all'anzidetto parametro statutario.
3.4. Le residue censure investono disposizioni di vario contenuto e vanno puntualmente esaminate, come si è premesso.
3.4.1. L'art. 4, concernente l'organizzazione turistica regionale, è impugnato da tutte le ricorrenti a statuto speciale come incompatibile con la competenza primaria loro riconosciuta, nella sfera su cui incide la legge statale. La norma prevede, al primo comma, un tipo uniforme di strutture: le aziende di promozione turistica (A.P.T.), «quali organizzazioni tecnico - operative e di gestione», che provvedono, previo nullaosta della Regione ad istituire uffici di informazione e di accoglienza, denominati IAT. Questa, e le altre disposizioni del medesimo articolo, avrebbero invaso l'autonomia spettante alle Regioni differenziate e alle Province autonome in materie di loro attribuzione, quali il turismo e l'ordinamento degli uffici. Il legislatore statale avrebbe ingiustificatamente interferito nei due settori anche con il disporre che, una volta sciolti gli enti provinciali del turismo e delle aziende autonome di cura, soggiorno e turismo, il relativo personale confluisce nel ruolo unico regionale.
Il primo punto da chiarire, di fronte al problema cosi pro spettato, è che la disciplina dedotta in controversia va ricondotta allo schema della normativa di indirizzo e coordinamento.
Resta da vedere se essa ubbidisca ai criteri che valgono per il legittimo esercizio di tale funzione, quando si versi, come nella specie, in materie coperte dalla guarantigia dell'autonomia speciale. Con le precisazioni che seguono, la questione non è fondata.
La disciplina censurata non scade certo al piano di capillari o penetranti interferenze nei settori di competenza delle ricorrenti.
Essa lascia alla legge regionale, o a quella provinciale, un congruo margine, compatibile anche con il rango dell'autonomia speciale, dal momento che l'assetto dell'organizzazione turistica è rimesso a tali fonti sotto vari profili: l'individuazione degli àmbiti territoriali in cui opera il nuovo organismo, gli strumenti e le modalità per attuare il loro collegamento funzionale con gli enti locali territoriali, la disciplina di compiti, funzioni e forme di coordinamento delle aziende. La struttura dell'A.P.T. è allora tratteggiata con una norma, per così dire, di base, il cui titolo giustificativo risiede, come esige la funzione di indirizzo e di coordinamento, nella sottostante rilevanza della materia, che non si lascia ridurre alla dimensione territoriale, e al conseguente apprezzamento, dell'ente autonomo. Ciò non significa, va tuttavia avvertito, che, se le ricorrenti hanno già regolato la materia, ed adottato un tipo di organizzazione turistica divergente dallo schema dell'art. 4, le norme da esse poste debbano ora intendersi caducate. La pregressa disciplina regionale e provinciale del settore va invece adeguata, fin dove occorre, all'uniforme schema strutturale disegnato dal legislatore statale. Lo Stato potrà del resto giovarsi dei suoi poteri di indirizzo e coordinamento per regolare tale adempimento nel rispetto dell'autonomia speciale.
Altro rilievo esige la censura che ha per oggetto il penultimo comma dell'art. 4. La norma in questione dispone il passaggio del personale degli enti del turismo e delle aziende di cura al ruolo unico regionale. Trattandosi di una disposizione di indirizzo e coordinamento, essa opera nell'implicito presupposto che le Regioni a statuto differenziato, e le due Province di Trento e Bolzano, adottino lo schema delle aziende di promozione turistica senza ulteriori qualificazioni, rispetto a quella dell'organismo tecnico-operativo ed autonomo, qual è indicato nella legge statale. In questo caso, infatti, il passaggio nel ruolo unico regionale costituisce una soluzione obbligata, prevista nel contesto dell'art. 4, con una formula, deve ritenersi, ricognitiva della competenza regionale o provinciale.
Ma alle ricorrenti non è precluso - in ragione delle attribuzioni loro riservate dallo statuto speciale e dalle connesse norme attuative - di strutturare le aziende di promozione turistica, arricchendo lo schema di base dell'art. 4 con attributi che giustifichino altra forma di inquadramento del relativo personale da parte della Regione, rispetto a quella del ruolo unico. In questo senso, l'autonomia delle ricorrenti non è lesa.
3.4.2. La questione che concerne l'art. 5 è sollevata, dalle Regioni Sardegna ed Emilia-Romagna, per impugnare il regime afferente all'iscrizione obbligatoria dei titolari o gestori delle imprese turistiche, quali risultano dalla definizione che di esse è data nel primo comma dello stesso articolo, in una sezione speciale del registro delle imprese, istituito ai sensi della legge 11 giugno 1971, n. 426. Il nucleo della censura sta in ciò, che, mentre le previsioni dell'iscrizione in apposito registro dei titolari o gestori delle imprese in parola è principio o criterio normativo che non offende, in quanto tale, l'autonomia delle ricorrenti, sarebbe invece incostituzionale l'avere assimilato il trattamento di tali soggetti a quello dei titolari o gestori delle altre imprese, tenuti all'iscrizione nel registro. Questo, si dice, con la conseguenza che la materia è necessariamente attratta nella competenza dello Stato, sebbene essa spetti, in quanto si tratta di turismo, alla Regione. Così sarebbe stato implicitamente disposto che compete allo Stato regolare le modalità dell'esame di idoneità all'esercizio dell'attività di impresa (previsto al punto d) del quinto comma dell'art. 5 fra i requisiti che il richiedente deve aver soddisfatto per ottenere l'iscrizione nell'apposita sezione del registro), ivi inclusa la composizione della relativa commissione giudicatrice. Altra illegittima conseguenza della disciplina contestata sarebbe quella di affidare alle Camere di commercio, e perciò di sottrarre alla Regione, la tenuta del registro, anche per quanto riguardo la sezione riservata ai titolari o gestori di imprese turistiche.
Ma non è nei termini ora descritti che va intesa la normativa in esame. Essa non contiene alcuna disposizione che impedisca alla legge regionale di dare attuazione ai criteri posti dall'art. 5, secondo Costituzione, sul piano dei principi o dell'indirizzo e coordinamento. La competenza dello Stato a regolare gli esami di idoneità potrà essere, allora, esplicata in quanto, e fino a quando, non sia intervenuta la disciplina prodotta al riguardo dalla Regione nell'esercizio della sua autonomia legislativa.
Analoga conclusione vale in ordine alla tenuta del registro da parte delle Camere di commercio, per quanto concerne l'iscrizione dei titolari o gestori delle imprese qui considerate. La competenza della Regione a quest'ultimo proposito discende, peraltro, dal disposto del terzo comma dell'art. 64 del D.P.R. n. 616 del 1977, le cui previsioni, occorre ricordare, sono espressamente lasciate ferme dall'art. 1 della legge n. 217.
Va infine avvertito che la censura mossa all'ultimo comma dell'art. 5 non può essere condivisa. La disposizione in esame deroga al criterio dell'esame di idoneità solo a favore di chi, all'entrata in vigore della legge n. 217, risulti esercitare le attività di gestione di strutture ricettive e di annessi servizi turistici. Questa disposizione tien conto delle aspettative degli esercenti del settore e dell'esperienza da loro già acquisita. Se il legislatore statale ha ritenuto di dover esonerare tali soggetti dall'esame di idoneità, esso non ha per questo vulnerato la sfera dell'autonomia regionale.
3.4.3. - Vanno ora esaminate le censure mosse dalla Provincia di Bolzano all'art. 6 e le altre, di questa ricorrente e della Regione Sardegna, che concernono l'art. 7. La tipologia delle strutture ricettive, e la relativa classificazione, sono, vien dedotto, incompatibili, per il grado di concretezza al quale sarebbe scesa la legge statale, con l'invocata sfera dell'autonomia speciale. L'assunto non merita accoglimento. Siamo, anche qui, di fronte a norme di indirizzo e coordinamento, sorrette dal l'esigenza di un assetto e classificazione uniforme delle strutture, sulle quali si fa affidamento per salvaguardare, e promuovere, il flusso delle attività turistiche. Non vi è dubbio che, pure sotto quest'aspetto della materia, vengano in giuoco interessi ultra regionali (si veda sent. n. 70 del 1981). A ciò si aggiunge che la legge statale, dove si occupa delle strutture ricettive e ne con figura i tipi, non trascura di adottare un criterio di salvaguardia dell'autonomia regionale. Recita infatti l'ultimo comma del l'art. 6: «In rapporto alle specifiche caratteristiche ed esigenze locali le Regioni possono individuare e disciplinare altre strutture destinate alla ricettività turistica». Le norme statali di indirizzo e coordinamento vengono nel presente caso a predisporre una disciplina che si applica, immediatamente e per intero, in assenza di disposizioni del legislatore regionale. Le norme prodotte dalla Regione o dalla Provincia, non importa se prima dell'entrata in vigore della legge n. 217 o successivamente, non devono, d'altra parte, essere necessariamente ritenute illegittime. Esse non lo sono, infatti, sia quando prevedono altre strutture ricettive, in aggiunta a quelle tipizzate dall'art. 6, come è del resto testualmente stabilito, sia quando adattano le previsioni dell'art. 6 alle peculiari esigenze del turismo nell'àmbito dell'ente autonomo, secondo le scelte di quest'ultimo, che la legge statale, in definitiva, presuppone. Il regime dettato negli artt. 6 e 7 va invece, in forza del sottostante, ed assorbente, interesse ultraregionale, considerato come inderogabile dalle Regioni e Province autonome in quei casi, in cui sono fissati requisiti minimi, ai fini della classificazione demandata alla legge regionale. In difetto di tali requisiti, l'indirizzo legislativo impresso al settore dall'intervento dello Stato sarebbe, per vero, compromesso. Allo stesso titolo, sono inderogabili le norme concernenti la distinzione degli alberghi, e delle altre strutture ricettive, in diverse categorie, graduate, anche agli effetti della normativa tributaria (cfr. art. 12), con un numero di stelle decrescenti, secondo gli standards prescritti come uniformi. Rivestono, precisamente, il carattere ora delineato le previsioni del nono comma dell'art. 6 e quelle dell'art. 7, queste ultime insieme con le disposizioni transitorie dell'art. 12. La precisazione andava fatta per stabilire in qual senso la questione ora considerata è priva di fondamento.
3.4.4. Ancora secondo la Regione Sardegna, e la Provincia di Bolzano, l'autonomia speciale sarebbe lesa dal vincolo di destinazione posto nell'art. 8. Così non è, tuttavia. Il primo comma della disposizione impugnata stabilisce che le Regioni, con specifiche leggi, sottopongono a vincolo di destinazione le strutture ricettive indicate dall'art. 6. Il vincolo è instaurato ai fini della conservazione del patrimonio che si vuol tutelare, ma solo in quanto «rispondente alle finalità di pubblico interesse e dell'utilità sociale». Per questa via è fatto salvo il discrezionale apprezzamento del legislatore regionale: il quale, se decide di porre sotto vincolo le strutture ricettive, dovrà soltanto adeguarsi alle prescrizioni del quinto comma in tema di rimozione del vincolo stesso, neppur esse in alcun senso lesive delle competenze garantite alle ricorrenti, fermo restando il non contestato divieto di sottoporre al regime vincolistico gli alloggi rurali, quelli gestiti da affittacamere e le case e gli appartamenti per le vacanze (cfr. il primo comma dell'art. 8). Va altresì escluso, per le ragioni ora dette, che le attribuzioni delle ricorrenti in materia urbanistica siano intaccate dalle previsioni del secondo, terzo e quarto comma. Queste ultime disposizioni impongono ai Comuni gli adempimenti necessari per adeguare i propri strumenti urbanistici all'avvenuta instaurazione del vincolo da parte della Regione, o della Provincia, perciò sempre sulla base e nel rispetto delle autonome determinazioni di queste ultime.3.4.5. - Le censure mosse dalla Provincia di Bolzano e dalla Regione Sardegna all'art. 9, che riguarda le agenzie di viaggio, vanno respinte per un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo, le previsioni in esame non sconfinano dal legittimo esercizio dell'indirizzo e coordinamento in via legislativa, come risulta, a tacer d'altro, dalle attribuzioni demandate alle Regioni nel secondo comma. A parte ciò, la definizione delle agenzie di viaggio e turismo è data nel primo comma in conformità di un accordo internazionale - la convenzione sul contratto di viaggio - reso esecutivo in Italia con la legge 27 dicembre 1977, n. 1084. Ecco un ulteriore ed idoneo supporto per l'intervento del legislatore statale, nei limiti in cui esso ha provveduto a disciplinare la materia, che le due ricorrenti assumono riservata alle rispettive sfere di attribuzioni.
3.4.6. Altra questione, questa volta promossa dalla Provincia di Bolzano, dalla Regione Sardegna, e dalla Regione Emilia-Romagna, grava sull'art. 10. La disposizione censurata si occupa delle associazioni senza scopo di lucro operanti a livello nazionale per finalità ricreative, culturali, religiose e sociali e le autorizza, soltanto per i propri associati, ad esercitare attività turistiche e ricettive. E altresì stabilito che la legge regionale fissi i requisiti minimi omogenei e le modalità di esercizio delle attività sopra menzionate. Spetta all'organo legislativo della Regione assicurare che le attività medesime siano esercitate nei rispettivi àmbiti associativi. Conviene aggiungere che, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 11, la fonte legislativa regionale è competente anche per la disciplina del l'attività non professionale di quanti operano nel settore del turismo e del tempo libero a favore dei soci ed assistiti dalle associazioni contemplate nell'art. 10.
Ora, le ricorrenti si dolgono del fatto che le attribuzioni legislative loro riconosciute, dove le associazioni senza scopo di lucro siano di livello nazionale, non vengano previste anche con riguardo alle omologhe associazioni infraregionali. Senonché, così ragionando, si trascura che la norma di favore, grazie alla quale le associazioni in parola sono autorizzate direttamente dalla legge a svolgere attività turistiche e ricettive, ben poteva essere posta dalla legge statale, perché si tocca la sfera, ad essa riservata, di un diritto individuale consacrato in Costituzione; e non è un corretto motivo di censura che il legislatore statale abbia contemplato il solo caso in cui il fenomeno associativo assurge a quella dimensione nazionale, da cui dipende il rilievo ad esso qui attribuito. Del resto, la stessa norma impugnata investe le leggi regionali, sotto i vari profili sopra richiamati, della normativa di attuazione e svolgimento dei precetti in essa contenuti. Lungi dall'invadere la sfera della Regione, essa lascia all'autonomia delle ricorrenti così larghe possibilità di intervento, nel settore delle associazioni operanti a livello nazionale, che, se mai, risulta suscettibile di sviluppo, mediante altra e più concreta disciplina di indirizzo e coordinamento, da emanarsi per legge, o nelle altre vie in cui questa funzione è esercitata dallo Stato. In quella sede potrà essere risolto il problema se, e a quali condizioni, i poteri conferiti in questa materia a Regioni e Province comprendono quello di regolare l'attività delle associazioni limitate al territorio dell'ente autonomo. La questione, com'è posta alla Corte, non è quindi fondata.
3.4.7. Va da ultimo considerata la questione che riguarda l'art. 11, prospettata dalla Provincia di Bolzano e dalla Regione Sardegna e, limitatamente a talune previsioni del terz'ultimo comma, anche dalla Regione Emilia-Romagna, come si è a suo tempo precisato. Detto articolo contiene definizioni e tipologia delle attività professionali. Ad acclararne l'infondatezza valgono le considerazioni svolte sopra, in merito alle analoghe disposizioni degli artt. 6 e 7. Non è fondata, va avvertito, neanche la specifica censura avanzata dalla Regione Emilia-Romagna, la quale lamenta che le capacità professionali dei maestri di sci e gli altri esercenti le attività professionali ivi indicate debbano essere accertate dalla Regione esclusivamente alla stregua - così asserisce la ricorrente - di criteri didattici elaborati da mal definiti enti ed associazioni nazionali. In effetti, il censurato comma, nell'investire la Regione degli accertamenti in discorso, altro non stabilisce, se non un'indicazione delle categorie di enti ed associazioni, da cui vanno predisposti i criteri didattici per la formazione professionale dei maestri, delle guide e degli istruttori in detta disposizione contemplati. Ma con ciò resta fermo che spetta alla Regione sia individuare gli enti e le associazioni competenti per l'elaborazione dei criteri didattici, sia valutare la congruità dei criteri così elaborati rispetto all'accertamento, ad essa rimesso, per i vari gradi di professionalità, delle adeguate capacità dei soggetti interessati. Va quindi esclusa la dedotta violazione dei poteri di autonomia.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale:
a) degli artt. 4, 6, 7, 11 e 12 della legge 17 maggio 1983, n. 217 («Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell'offerta turistica»), sollevate, in riferimento all'art. 3, terzo comma; all'art. 8, n. 5, n. 19 e n. 20; agli artt. 9, n. 7; e 16 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, dalle Province autonome di Trento e Bolzano con i ricorsi in epigrafe;
b) degli artt. 4, 5, 11 e 12 della legge 17 maggio 1983, n. 217, sollevate, in riferimento agli artt. 3, lett. a) e p); 4, lett. a); agli artt. 6 e 56 dello Statuto speciale per la Sardegna, dalla Regione Sardegna con il ricorso in epigrafe;
c) dell'art. 4 della legge 17 maggio 1983, n. 217, sollevata in riferimento all'art. 4 n. 1 e n. 10 dello Statuto speciale per il Friuli-Venezia Giulia, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia con il ricorso in epigrafe;
d) degli artt. 5 e 11 della legge 17 maggio 1983, n. 217, sollevate, in riferimento agli artt. 5, 117 e 118 Cost., dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale:
a) degli artt. 1, 8, 9, 10, 13, 14 e 15 della legge 17 maggio 1983, n. 217, sollevate, in riferimento all'art. 3, terzo comma; all'art. 8, n. 5, n. 19 e n. 20; agli artt. 9, n. 7; 16, 78 e 79 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, dalle Province autonome di Trento e Bolzano con i ricorsi in epigrafe;
b) degli artt. 1, 2, 3, 8, 10 e 15 della legge 17 maggio 1983, n. 217, sollevate, in riferimento all'art. 3, lett. a), f) e p); e all'art. 6 dello Statuto speciale per la Sardegna, dalla Regione Sardegna con il ricorso in epigrafe;
c) degli artt. 1 e 2 della legge 17 maggio 1983, n. 217, sollevate, in riferimento all'art. 4, n. 10 dello Statuto speciale per il Friuli-Venezia Giulia, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia con il ricorso in epigrafe;
d) degli artt. 1, 10, 13, 14 e 15 della legge 17 maggio 1983, n. 217, sollevate, in riferimento agli artt. 5, 117, 118 e 119 Cost., dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso in epigrafe.
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