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In vigore al: 21/11/2014

Corte costituzionale - Sentenza N. 228 del 16.07.2004
Servizio civile - Facoltà delle Regioni e Province autonome di istituire un proprio servizio civile, distinto da quello nazionale

Sentenza (8 luglio 2004) 16 luglio 2004, n. 228; Pres. Zagrebelsky; Red. Contri
 
Ritenuto in fatto 1.1. – Con ricorso depositato il 26 aprile 2001, iscritto al registro ricorsi n. 21 del 2001, la Provincia autonoma di Trento ha impugnato gli artt. 7, commi 2 e 4, 8, comma 1, e 10, comma 2, della legge 6 marzo 2001, n. 64 (Istituzione del servizio civile nazionale), per violazione: a) dell'art. 8, numeri 1), 3), 4), 5), 6), 13), 16), 17), 20), 21), 23), 25) e 29), dell'art. 9, numeri 2), 4), 5) e 10), e dell'art. 16 dello statuto speciale di autonomia (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), e delle “relative norme di attuazione”; b) dell'art. 4 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento); c) dell'autonomia finanziaria della Provincia, quale garantita dal titolo VI dello statuto, come modificato dalla legge 30 novembre 1989, n. 386 (Norme per il coordinamento della finanza della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province autonome di Trento e di Bolzano con la riforma tributaria), e in particolare dell'art. 5, commi 2 e 3, della citata legge n. 386.
La ricorrente premette che la disciplina della legge n. 64 del 2001 “interseca” molte delle materie affidate alle competenze legislative e amministrative della Provincia, quali, in particolare, quelle in tema di ordinamento degli uffici provinciali e del personale a essi addetto, di tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare, di manifestazioni e attività artistiche, culturali ed educative locali, di urbanistica, di tutela del paesaggio, di opere di prevenzione e pronto soccorso per calamità pubbliche, di alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna, di lavori pubblici, di turismo, di agricoltura e foreste, di lavoro, di assistenza e beneficenza pubblica, di addestramento e formazione professionale, di istruzione elementare e secondaria, nonché di igiene e sanità: materie contenute negli artt. 8, 9 e 16 dello statuto e nelle relative norme di attuazione.
Questa “intersezione” risulta, in generale, dalla indicazione delle finalità del servizio civile nazionale, contenuta nell'art. 1 della legge n. 64 del 2001: “promuovere la solidarietà e la cooperazione, a livello nazionale ed internazionale, con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali, ai servizi alla persona”, “partecipare alla salvaguardia e tutela del patrimonio della Nazione, con particolare riguardo ai settori ambientale, anche sotto l'aspetto dell'agricoltura in zona di montagna, forestale, storico-artistico, culturale e della protezione civile”, “contribuire alla formazione civica, sociale, culturale e professionale dei giovani”.
Sulla premessa che spetti allo Stato porre solamente la disciplina giuridica generale del servizio civile nella misura in cui lo svolgimento dello stesso determini l'assolvimento degli obblighi di leva, spettando invece alla Provincia autonoma la disciplina delle concrete attività nelle quali il servizio si realizza, in quanto esse rientrano in ambiti materiali di competenza provinciale, la ricorrente muove specifiche censure rispetto alle seguenti disposizioni della legge n. 64 del 2001: a) all'art. 7, che, attribuendo all'Ufficio nazionale per il servizio civile, di cui all'art. 8 della legge 8 luglio 1998, n. 230 (Nuove norme in materia di obiezione di coscienza), il compito di curare l'organizzazione, l'attuazione e lo svolgimento del servizio, stabilisce che esso approva i progetti di impiego predisposti dalle amministrazioni di Regioni e Province autonome, coordinando i progetti con la programmazione nazionale (comma 2), e prevede inoltre la costituzione in ambito regionale e provinciale di strutture burocratiche statali (comma 4); b) all'art. 10, comma 2, che attribuisce allo Stato il potere di determinare con d.P.C.m. “crediti formativi” per i cittadini che prestano il servizio civile, rilevanti ai fini dell'istruzione o della formazione professionale; c) all'art. 8, che prevede che con regolamento statale siano determinati le caratteristiche e gli standard di utilità sociale dei progetti di impiego, i criteri per il riparto dei finanziamenti, i modi di verifica e controllo sui progetti.
Le suddette previsioni inciderebbero su materie attribuite dallo statuto alla competenza legislativa e amministrativa della Provincia, ponendosi altresì in contrasto con l'art. 4 delle norme di attuazione dello statuto.
1.2. – Nel giudizio così promosso si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l'Avvocatura generale dello Stato, contestando l'argomento di fondo della ricorrente, incentrato sulla distinzione tra la disciplina giuridica generale del servizio civile, spettante allo Stato, e la regolazione delle attività nelle quali il servizio consiste, spettante alla Provincia in rapporto agli ambiti materiali interessati.
Il servizio civile non sarebbe finalizzato al raggiungimento degli obiettivi propri delle materie che la Provincia rivendica, ma sarebbe svolto in funzione dei diversi e molteplici obiettivi che la legge istitutiva definisce. Alla stregua di questo connotato di base del servizio, “che involge interessi unitari e nazionali”, non potrebbero dirsi invasive delle competenze provinciali le singole disposizioni censurate
1.3. – La ricorrente Provincia autonoma di Trento ha depositato una memoria, contestando l'impostazione della difesa erariale, in quanto essa non dimostra la ragione della asserita necessaria “unitarietà”, e affermando che lo Stato non potrebbe, attraverso la mera qualificazione del servizio civile come “nazionale”, autofondare la competenza e prevedere così una gestione del tutto accentrata delle attività in questione.
1.4. – Anche l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria nel medesimo giudizio, sottolineando tra l'altro che il servizio civile partecipa della medesima natura del servizio di leva, quale prestazione equivalente a quest'ultimo e riconducibile alla stessa idea di difesa della Patria, come affermato da questa Corte nella sentenza n. 164 del 1985; per tale sua natura, esso atterrebbe a materia (difesa e Forze armate) di  spettanza dello Stato, nel sistema anteriore come in quello vigente del Titolo V, e ciò indipendentemente dalle “interferenze” che possano determinarsi con alcune competenze provinciali.
1.5. – In prossimità dell'udienza pubblica del 6 aprile 2004, la ricorrente Provincia autonoma ha depositato una ulteriore memoria, con la quale ribadisce la non riconducibilità del servizio civile, disciplinato per il periodo transitorio dal Capo II della legge n. 64 del 2001, al concetto di difesa della Patria.
Si sottolinea, tra l'altro, che la legge n. 64 del 2001 prevede che possano svolgere il servizio civile anche soggetti che non sono in alcun modo tenuti a compiere il servizio militare, quali le donne e i cittadini dichiarati inabili al servizio militare. L'attività prestata da questi ultimi non sarebbe in alcun modo assimilabile al concetto di difesa della Patria, pur inteso alla luce della lettura evolutiva proposta da questa Corte.
La ricorrente ritiene che anche con riferimento a coloro che optano per il servizio civile in alternativa a quello militare possano valere le medesime conclusioni. In quest'ultima ipotesi emergerebbero esigenze di unitarietà, che però atterrebbero unicamente agli aspetti di disciplina giuridica generale, non implicando che le attività concrete in cui si svolge il servizio civile debbano essere regolate e amministrate direttamente dallo Stato.
La ricorrente sottolinea, inoltre, che, ove il legislatore statale ritenesse che talune funzioni del servizio civile richiedano livelli di coordinamento unitario, in ragione del principio di sussidiarietà, l'intervento statale dovrebbe uniformarsi ai criteri e ai principi di collaborazione fissati da questa Corte soprattutto con le sentenze n. 303 del 2003 e n. 6 del 2004; il che non sarebbe avvenuto con riguardo alla impugnata normativa.
La competenza statale non potrebbe nemmeno fondarsi sul fatto che la determinazione del contingente annuo di soggetti da ammettere alla prestazione del servizio civile sia determinata dalle disponibilità finanziarie, cosicché l'ipotesi di un totale decentramento della gestione degli obiettori non permetterebbe un controllo dei flussi finanziari correlativi. La Provincia autonoma non ha rivendicato – nella costanza del collegamento con il servizio militare – il potere di decidere quanti debbano essere di anno in anno i soggetti chiamati a svolgere il servizio civile, ritenendo invece che, una volta quantificato il numero dei soggetti chiamati e stanziati i relativi fondi, questi ultimi – con riferimento alle attività svolte in ambito provinciale – debbano essere direttamente gestititi dalla Provincia medesima.
1.6.  – In prossimità dell'udienza pubblica del 6 aprile 2004, ha depositato memoria anche l'Avvocatura dello Stato. La difesa erariale premette di aver ritenuto opportuno redigere una unica memoria per i giudizi di cui ai reg. ricorsi n. 21 del 2001, n. 44 del 2002 e n. 97 del 2003.
Con riferimento al giudizio di cui al ricorso n. 21 del 2001, la difesa erariale precisa, riguardo alla censura relativa all'art. 7, comma 2, della legge n. 64 del 2001, che nulla vieta alla Provincia ricorrente di strutturare e finanziare con proprie risorse autonomi interventi nelle materie di propria pertinenza volti a favorire iniziative nel settore del servizio civile.
Per quanto riguarda l'art. 7, comma 4, della suddetta legge, l'Avvocatura precisa che esso è stato tacitamente abrogato a seguito della soppressione dell'Agenzia ai sensi dell'art. 3, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione).
Con riguardo alla eccezione di incostituzionalità dell'art. 8 della citata legge, la difesa erariale ritiene che l'adozione del regolamento di cui al comma 1 sia tra l'altro funzionale (comma 3) alla abrogazione delle disposizioni incompatibili dei regolamenti previsti dalla legge n. 230 del 1998. Si precisa, comunque, che, in linea con quanto prospettato dalla Provincia, sono stati adottati atti di indirizzo e coordinamento in luogo del previsto regolamento (d.P.C.m. del 10 agosto 2001; circolare del 29 novembre 2002, prot. n. 31550; circolare 10 novembre 2003, n. 53529).
Per quanto attiene, infine, al riconoscimento dei crediti formativi, secondo la difesa erariale l'art. 10 della legge n. 64 del 2001 correttamente prevederebbe l'adozione di un d.P.C.m., quale atto di indirizzo e coordinamento per garantire l'unitarietà di disciplina per coloro che svolgono il servizio civile o il servizio militare.
2.1. – Con ricorso depositato il 5 luglio 2002, iscritto al registro ricorsi n. 44 del 2002, la Provincia autonoma di Trento ha impugnato gli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12 e 13 del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del servizio civile nazionale a norma dell'articolo 2 della legge 6 marzo 2001, n. 64), per violazione: a) dell'art. 8, numeri 1), 3), 4), 5), 6), 13), 16), 17), 20), 21), 23), 25) e 29), dell'art. 9, numeri 2), 4), 5) e 10), e dell'art. 16 dello statuto speciale di autonomia (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), e delle “relative norme di attuazione”; b) dell'autonomia finanziaria della Provincia, quale garantita dal titolo VI dello statuto, come modificato dalla legge 30 novembre 1989, n. 386, e in particolare dell'art. 5, commi 2 e 3, della citata legge n. 386 del 1989; c) dell'art. 117, commi secondo, terzo, quarto e sesto, della Costituzione e dell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione); d) degli artt. 3 e 76 della Costituzione (parametri non invocati espressamente dalla Provincia ricorrente, ma agevolmente ricavabili dal testo del ricorso).
La Provincia ricorda di avere già impugnato alcune disposizioni della legge delega n. 64 del 2001, con il ricorso n. 21 del 2001, in relazione ai parametri allora in vigore.
Dal momento della delega sono intervenuti rilevanti fatti giuridici che ad avviso della Provincia portano a riconsiderare l'intera disciplina.
Il primo rilievo concerne la base volontaria che caratterizza il servizio oggetto di disciplina con il d.lgs. n. 77 del 2002, il quale attiene a questo specifico tipo di servizio civile, non a quello prestato dagli obiettori in alternativa al servizio militare obbligatorio. Di quest'ultimo, osserva la ricorrente, è stata d'altra parte prevista (art. 7 del d.lgs. 8 maggio 2001, n. 215, recante “Disposizioni per disciplinare la trasformazione progressiva dello strumento militare in professionale, a norma dell'articolo 3, comma 1, della legge 14 novembre 2000, n. 331”) la “sospensione” – ma di fatto la pratica soppressione, salva la reviviscenza in ipotesi eccezionali ed estreme, come situazioni di guerra e di gravissima crisi internazionale – a decorrere dal 1° gennaio 2007.
In ogni caso, l'oggetto del d.lgs. n. 77 del 2002 impugnato è totalmente diverso, poiché si tratta di un servizio volontario, che non ha più alcun collegamento con la prestazione militare. Il nomen di servizio civile è comune, dunque, ma la sostanza della disciplina è radicalmente diversa.
Il secondo rilievo della Provincia concerne le profonde modificazioni del quadro delle competenze, statali e regionali (e delle Province autonome), apportate dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, che, nel riformare il Titolo V della Parte seconda della Costituzione, ha stabilito, nel suo art. 10, l'applicazione delle nuove disposizioni anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, per le parti in cui prevedono forme più ampie di autonomia.
La redistribuzione delle competenze e la parallela prevista scomparsa del servizio militare obbligatorio pongono in termini nuovi il giudizio circa la validità della disciplina.
La Provincia autonoma sintetizza come segue i criteri alla stregua dei quali devono essere considerate le censure rivolte verso le singole disposizioni del decreto:
- il disegno organizzativo del nuovo servizio civile, di cui al d.lgs. n. 77 del 2002, non può in generale essere riferito alla materia della difesa; possono eventualmente esserlo singoli, specifici progetti presentati da enti del settore, per questi soltanto valendo la competenza statale;
- i progetti di servizio civile che attengono a materie di competenza regionale o provinciale non possono essere disciplinati dallo Stato, se non limitatamente alla posizione di norme di principio nelle materie di potestà concorrente, mentre spetta in toto alle Regioni e Province autonome la disciplina negli ambiti di potestà esclusiva o residuale ex art. 117, quarto comma, della Costituzione;
- l'organizzazione complessiva del servizio è riferibile alla materia della tutela del lavoro, con potestà statale concorrente limitata ai principi;
- la formazione concernente il servizio rientra pienamente nella competenza provinciale;
- in tutti gli ambiti sopra detti, sono comunque illegittime, ex art. 117, sesto comma, della Costituzione, le norme che prevedono una potestà regolamentare o comunque di integrazione normativa da parte del Governo;
- quanto al finanziamento, allo Stato può competere esclusivamente la quota riferibile alle spese generali e ai progetti che fanno capo alla materia “difesa” in senso stretto;
- la gestione amministrativa dei progetti spetta in ogni caso alla Provincia, ex art. 16 dello statuto di autonomia.
Muovendo dai criteri sopra enunciati, la Provincia formula quindi specifiche censure relativamente a singole disposizioni del decreto legislativo n. 77 del 2002, nei termini che si sintetizzano di seguito:
a) art. 2, commi 1 e 2: sarebbe incostituzionale in quanto affida all'Ufficio nazionale per il servizio civile la più ampia gestione del servizio (“… cura l'organizzazione, l'attuazione e lo svolgimento del servizio civile nazionale, nonché la programmazione, l'indirizzo, il coordinamento ed il controllo, stabilendo le direttive ed individuando gli obiettivi degli interventi”), riducendo le funzioni di Regioni e Province autonome a compiti di mera attuazione;
b) art. 3, comma 3: sarebbe incostituzionale perché abilita lo Stato – con d.P.C.m. – a estendere o ridurre il periodo di servizio in relazione a specifici ambiti e progetti, senza distinzioni e dunque senza riconoscere la competenza regionale e provinciale quanto alle materie di loro competenza;
c) art. 3, comma 6: violerebbe il principio di eguaglianza, in quanto abilita lo Stato a individuare (con d.P.C.m.) “gli incarichi pericolosi, faticosi o insalubri” ai quali non può essere assegnato il personale femminile; in particolare, sarebbe discriminatoria e ingiustificata la limitazione ad assumere certi incarichi motivata solo dalla condizione femminile;
d) art. 4, concernente il fondo nazionale per il servizio civile: in via preliminare, la Provincia prospetta la possibile violazione della delega, proprio in quanto è prevista la distinzione tra tale fondo e quello delle politiche sociali, nel quale invece il primo avrebbe dovuto confluire, ai sensi dell'art. 11, comma 3, della legge delega n. 64 del 2001. In ogni caso, la ripartizione delle risorse, quale delineata nel comma 2 dell'art. 4 impugnato, ripete il medesimo vizio della impropria ripartizione di compiti tra Stato e Regioni, in particolare assegnando a Regioni e Province autonome solo una quota relativa ad attività di “informazione e formazione”, in luogo dell'intero fondo. Il comma 5, poi, prevedendo un regolamento statale per disciplinare le modalità di gestione e di rendicontazione delle risorse, sarebbe illegittimo ex art. 117, sesto comma, della Costituzione, attesa la preponderante competenza regionale e provinciale nella materia regolata;
e) art. 5, commi da 1 a 4, riguardante la formazione di un albo nazionale e di albi su scala regionale e provinciale, ai fini dell'iscrizione in questi ultimi di enti e organismi che svolgono in ambito locale le attività riconducibili al servizio civile:  una volta che questo sia ricollegato alle competenze regionali e provinciali, esso dovrebbe “necessariamente” articolarsi su base territoriale, e non potrebbe esistere dunque nessun albo “nazionale”, mentre eventuali enti di dimensione infraregionale potrebbero iscriversi in più albi, secondo le loro esigenze;
f) art. 6, concernente i “progetti”: il comma 1, che affida a un regolamento governativo la predisposizione, in generale, delle caratteristiche di “tutti” i progetti, e il comma 3, che prevede anch'esso un potere statale di disciplina amministrativa quanto ai requisiti soggettivi di idoneità al servizio, sono censurati dalla Provincia per violazione dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione; mentre i commi 4 e 5, concernenti la competenza all'approvazione dei progetti, impostati nel medesimo senso delle sopra citate disposizioni sul fondo e sugli albi, sarebbero lesivi della competenza della Provincia, alla quale resterebbe la sola approvazione di progetti di limitata rilevanza territoriale, salvo per di più un “nulla-osta” statale. Questa impostazione, afferma la Provincia, andrebbe ribaltata: allo Stato l'enucleazione dei principi fondamentali del servizio, in quanto riferito alle politiche del lavoro; alle Regioni e Province autonome la disciplina e la gestione del servizio, dunque dei progetti, senza che possa assumere rilievo contrario la “rilevanza nazionale” di essi (comma 4);
g) art. 7, che demanda all'Ufficio nazionale di stabilire annualmente il numero massimo di giovani ammessi a prestare il servizio civile volontario: la Provincia ritiene incostituzionale, e rispondente alla logica di fondo del decreto che configura il servizio come sistema essenzialmente statale, la predeterminazione di un tetto limitativo del numero complessivo, che potrà invece variare – si afferma – a seconda delle risorse che ciascun ente territoriale riterrà di impiegare per gli scopi del servizio;
h) art. 8, concernente la disciplina del “rapporto di servizio civile”: la Provincia impugna, ancora per violazione delle proprie competenze, specificamente il comma 2, che affida all'Ufficio nazionale la predisposizione degli schemi delle domande di ammissione, e il connesso comma 5 che esige la conformità dei contratti stipulati tra enti e soggetti ammessi agli “schemi” suddetti; così, anche l'approvazione dei contratti (ancora il comma 5) dovrebbe fare capo alla Provincia, mentre il comma 6 impone a quest'ultima adempimenti documentali non necessari, e il comma 7 prevede il rilascio dell'attestato di servizio da parte dell'Ufficio nazionale anziché, in base al corretto riparto di competenze, da parte di Regioni e Province;
i) art. 9, relativo al trattamento economico e giuridico dei soggetti ammessi al servizio: la Provincia afferma in linea preliminare l'incostituzionalità del comma 1, in quanto esso nega che il rapporto di servizio civile costituisca un rapporto di lavoro, sostenendo che una simile previsione è in “palese contraddizione”  con i reali caratteri del rapporto medesimo. Il comma 2, rapportando il trattamento economico dei soggetti a quello dei volontari di truppa in ferma annuale, esprime un residuo collegamento con il servizio militare che sarebbe del tutto privo di fondamento costituzionale, analogamente a quanto stabilisce il successivo comma 4, in tema di riconoscimento del servizio a fini previdenziali. Incostituzionale sarebbe altresì il comma 7, che consente ai soli dipendenti pubblici di accedere all'aspettativa senza assegni per il tempo di prestazione del servizio, in quanto determinerebbe un ingiustificato privilegio, in danno dei dipendenti privati per i quali invece varrebbe la regola della piena incompatibilità di cui all'art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 77; con parallela lesione dell'autonomia delle amministrazioni non statali al riguardo;
l) art. 11, in tema di “formazione al servizio civile”: posto che la materia di riferimento è la formazione professionale, riservata alla potestà legislativa residuale delle Regioni (e Province autonome) a norma del quarto comma dell'art. 117 della Costituzione, sarebbero illegittime sia le disposizioni che contengono prescrizioni di dettaglio, come la durata, le modalità, le materie di tale specifica “formazione” (commi 1, 2, 4), sia la previsione dell'organizzazione di corsi di formazione da parte dell'Ufficio nazionale (comma 3), sia, infine, l'attribuzione a detto Ufficio di compiti di definizione dei contenuti e di monitoraggio della formazione (ancora il comma 3);
m) art. 12, sul servizio civile all'estero: una volta che spetti a Regioni e Province autonome la disciplina del servizio non v'è ragione – rileva la ricorrente – di riservare allo Stato lo svolgimento di esso all'estero, che “non muta il radicamento nazionale del progetto”, onde l'incostituzionalità del comma 1, anche sotto l'ulteriore profilo della potestà regolamentare in esso stabilita a favore dello Stato; e il comma 2 sarebbe illegittimo per conseguenza, dovendosi affidare la competenza alla verifica e al monitoraggio dei progetti all'estero alle stesse Regioni, che potranno semmai ricorrere, d'intesa con il Ministero degli affari esteri, al “supporto” degli uffici diplomatici e consolari;
n) art. 13, relativo all'“inserimento nel mondo del lavoro” e ai “crediti formativi”: regolando la possibilità di stipulare convenzioni con enti e associazioni in funzione del collocamento nel mercato del lavoro di chi abbia svolto il servizio civile, la norma sarebbe incostituzionale per la parte in cui assegna anche all'Ufficio nazionale tale possibilità; trattandosi, qui, della materia della “tutela del lavoro”, non potrebbe invece spettare ad altri che alle Regioni – e Province autonome – disciplinare tali convenzioni e gestirne la stipulazione.
2.2. – Anche nel giudizio così promosso si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l'Avvocatura generale dello Stato, rilevando anzitutto che l'intera impostazione del ricorso proposto dalla Provincia autonoma di Trento si fonda sulla premessa secondo cui il servizio civile in discussione costituirebbe una realtà del tutto scollegata dalla “difesa”, in quanto rivolta esclusivamente a fini di solidarietà sociale. Ma, afferma l'Avvocatura, se questa premessa fosse esatta, l'impugnazione dovrebbe essere dichiarata inammissibile, poiché un servizio civile come quello disegnato dalla ricorrente – del tutto privo di collegamento con il servizio militare o con il servizio sostitutivo e dunque non strumentale alla difesa dello Stato – sarebbe stato istituito con l'art. 2, comma 1, della legge delega n. 64 del 2001, non impugnato; mentre l'attribuzione al Governo della potestà di disciplinare questo servizio sarebbe stata disposta dall'art. 2, comma 2, della medesima legge delega, anch'esso non impugnato.
D'altra parte, secondo l'Avvocatura, non si potrebbe neppure ritenere che le materie la cui disciplina è stata delegata al Governo dal citato art. 2, comma 2, della legge n. 64 siano state come tali trasferite alla competenza di Regioni e Province autonome in base alla legge costituzionale n. 3 del 2001, di riforma del Titolo V; e comunque, in questa ipotesi, si dovrebbe stabilire se possa trasferirsi in capo a Regioni (e Province) una competenza materiale che ha formato oggetto di delega al Governo con legge di delegazione non impugnata ed adottata prima della riforma costituzionale.
Ma al di là dei sopra detti rilievi di inammissibilità, è proprio la premessa di fondo dell'intera impugnazione a essere, ad avviso dell'Avvocatura, destituita di fondamento. Il servizio civile, infatti, è e resta un servizio alternativo alla prestazione militare, come emerge dagli artt. 2, comma 2, e 1, comma 1, lettera a), della legge delega n. 64 del 2001, secondo cui esso “concorre, in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della Patria con mezzi ed attività non militari”. Questa connotazione non viene meno per il solo fatto che il servizio militare perde il proprio carattere di obbligatorietà: una simile conclusione, si rileva, è sostenuta dalla Provincia sul presupposto che solo il servizio militare obbligatorio sia strumentale alla “difesa della Patria” – intesa restrittivamente come contrasto di una esterna aggressione – e che pertanto ogni altra attività non militare sarebbe come tale estranea alla competenza statale in materia di “difesa” di cui all'art. 117, secondo comma, lettera d), della Costituzione.
Ma tale lettura, ad avviso dell'Avvocatura, è inesatta; essa è già contraddetta dal testo dell'art. 52 della Costituzione, che distingue tra il dovere di difesa della Patria (primo comma) e il servizio militare, obbligatorio nei modi e nei limiti di legge (secondo comma), e dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 53 del 1967, n. 31 del 1982 e n. 164 del 1985).
Il servizio civile, prestato anche su base esclusivamente volontaria, persegue finalità corrispondenti alla prestazione militare e mantiene intatto il parallelismo con quest'ultima che caratterizza il servizio civile alternativo dettato da obiezione di coscienza.
Una volta che si escluda che la prevista “sospensione” dell'obbligatorietà del servizio militare intacchi l'anzidetta connessione, e una volta che il servizio civile sia ricondotto, secondo norme e giurisprudenza costituzionali, al concetto di difesa, l'attribuzione che rileva è quella di cui all'art. 117, secondo comma, lettera d), della Costituzione: “difesa e Forze armate”, che è materia di competenza esclusiva dello Stato.
Alla stregua di questi argomenti, conclude l'Avvocatura, viene meno il presupposto essenziale del ricorso e, con esso, cadono tutte le conseguenti censure rivolte verso le specifiche disposizioni del d.lgs. n. 77 del 2002.
2.3. – Nel giudizio di cui al registro ricorsi n. 44 del 2002, la ricorrente Provincia autonoma ha depositato una memoria, nella quale ribadisce che solo per il servizio civile “sostitutivo” del servizio militare obbligatorio può riconoscersi l'attinenza alla materia della “difesa”, proprio per il legame di alternatività; venuto meno il quale, non v'è ragione di ascrivere l'impegno sociale generico all'ambito della difesa della Patria.
La ricorrente ritiene inoltre infondata l'eccezione di inammissibilità formulata dall'Avvocatura sia alla stregua della costante giurisprudenza costituzionale, che ha sempre ammesso l'impugnazione di atti normativi ancorché esecutivi di altri precedenti atti, non  impugnati, sia perché il decreto legislativo possiede un intrinseco carattere di novità (in generale, e nella specie per la specificazione e il carattere dettagliato della disciplina che con esso è stata posta), onde non potrebbe neppure dirsi puramente “esecutivo” della legge di delegazione.
2.4. – Anche l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria nel giudizio in questione, insistendo per la necessaria riconduzione della normativa in argomento, nell'ambito del nuovo quadro del Titolo V, alle competenze dello Stato e precisamente alla materia “difesa” attribuita alla legislazione esclusiva di quest'ultimo ex art. 117, secondo comma, lettera d). Questo inquadramento, si aggiunge, è del resto la condizione necessaria per assicurare il carattere “nazionale” del servizio, che esige per definizione unitarietà e coordinamento a livello centrale, ad esempio quando si tratti di svolgere missioni di pace all'estero, e che non potrebbe perciò essere frammentato in tante particolari discipline tra loro diverse sul territorio nazionale.
L'Avvocatura conclude sottolineando il riconoscimento, nella disciplina denunciata, di un ruolo di rilievo per Regioni e Province autonome, essendo numerosi i momenti di coinvolgimento delle stesse nell'ambito dei diversi aspetti della gestione del servizio che toccano profili di connessione con le competenze regionali (artt. 4, 5, 6, 11 e 13).
2.5. – In prossimità dell'udienza pubblica del 6 aprile 2004, ha depositato ulteriore memoria la Provincia ricorrente, contestando, tra l'altro, il riferimento operato dalla difesa erariale alle missioni di pace, che giustificherebbero le ragioni di coordinamento a livello centrale: né la legge n. 64 del 2001, né il d.lgs. n. 77 del 2002 conterrebbero alcun richiamo ad esse.
Del pari privo di fondamento appare alla ricorrente il tentativo di dedurre la necessità di un intervento statale dalla circostanza che vi sarebbero materie – la protezione civile e la partecipazione ad attività all'estero – che richiederebbero una disciplina e un coordinamento unitario. La maggioranza delle attività esercitate sarebbero quelle per le quali non esiste alcuna esigenza di un coordinamento unitario. L'eventuale disciplina unitaria sarebbe giustificata, quindi, solo per quella limitatissima parte in cui il servizio civile potesse venire ad intersecare ambiti riservati allo Stato, senza che ciò possa costituire ragione per attrarre alla competenza statale l'intero servizio civile.
2.6. – Nella memoria depositata in prossimità dell'udienza pubblica del 6 aprile 2004, l'Avvocatura generale dello Stato ha ribadito, con specifico riferimento al ricorso n. 44 del 2002, la non riconducibilità del servizio civile alla competenza residuale delle Regioni, precisando che l'assenza nell'art. 117 della Costituzione di un determinato nomen non significa di per sé che il corrispondente ambito materiale debba per ciò solo essere ricondotto alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni. Né il servizio civile potrebbe rientrare nell'ambito delle c.d. “materie trasversali” o “materie non materie”, suscettibile, a seconda della specifica attività in cui esso viene a sostanziarsi, di una collocazione mobile all'interno di una pluralità di ambiti materiali. Le implicazioni di tale impostazione appaiono alla Avvocatura palesemente irragionevoli, in quanto non vi sarebbe più un'autonoma ed unitaria regolamentazione in tema di servizio civile, che verrebbe per così dire “smembrato” in una pluralità di discipline, statali e regionali.
L'unica soluzione interpretativa accettabile, ribadisce l'Avvocatura, è quella fatta propria dal d.lgs. n. 77 del 2002, il quale si muove all'interno di una lettura evolutiva del concetto di Patria. Peraltro, con riferimento alla formula contenuta nell'art. 117, secondo comma, lettera d), della Costituzione, la contestuale presenza delle parole “difesa” e “Forze armate” non dovrebbe far pensare ad una endiadi rafforzativa ed espressiva di un concetto unitario, ma ad una inequivoca differenziazione tra due distinti concetti legati da un rapporto di continenza.
Si sottolinea anche nella memoria che la scelta legislativa di avvalersi, per difendere la Patria, non più di coscritti (sia in armi che civili) ma di soggetti volontari (siano essi militari o civili) non farebbe venire meno la logica comune dei due servizi e non potrebbe produrre effetti sul riparto di materie effettuato dalla Costituzione. Non sembrerebbe comunque ragionevole discutere la costituzionalità di una norma sul presupposto della “volontarietà” o “obbligatorietà” del servizio.
La difesa erariale ritiene inoltre che non sia possibile ricondurre il servizio civile alla “tutela del lavoro”, anche in considerazione del fatto che si perderebbe così di vista la valenza del servizio come istituto teso alla realizzazione dei principi costituzionali di solidarietà sociale e difesa della Patria. Il servizio civile deve essere inteso, invece, come un autonomo istituto giuridico, in cui prevale la dimensione pubblica, oggettiva e organizzativa; contrariamente, si ridurrebbe ad un insieme di iniziative disomogenee e perderebbe la sua natura di realtà unitaria e complessiva, volta a realizzare un nuovo modello di cittadinanza.
Considerato in diritto 1.1. – Con un primo ricorso (reg. ricorsi n. 21 del 2001), la Provincia autonoma di Trento solleva questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, commi 2 e 4, 8, comma 1, e 10, comma 2, della legge 6 marzo 2001, n. 64 (Istituzione del servizio civile nazionale), per violazione: a) dell'art. 8, numeri 1), 3), 4), 5), 6), 13), 16), 17), 20), 21), 23), 25) e 29), dell'art. 9, numeri 2), 4), 5) e 10), e dell'art. 16 dello statuto speciale di autonomia (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), e delle “relative norme di attuazione”; b) dell'art. 4 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento); c) dell'autonomia finanziaria della Provincia, quale garantita dal titolo VI dello statuto, come modificato dalla legge 30 novembre 1989, n. 386 (Norme per il coordinamento della finanza della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province autonome di Trento e di Bolzano con la riforma tributaria), e in particolare dell'art. 5, commi 2 e 3, della citata legge n. 386.
Le specifiche censure, puntualmente indicate nella narrativa in fatto, ruotano attorno alla considerazione per cui allo Stato spetterebbe porre solamente la disciplina giuridica generale del servizio civile sostitutivo di quello militare, spettando invece alla Provincia autonoma la disciplina delle concrete attività nelle quali il servizio si realizza, in quanto esse rientrano in ambiti materiali di competenza provinciale. La premessa su cui si fonda il ricorso è che spetti allo Stato porre solamente la disciplina giuridica generale del servizio civile nella misura in cui lo svolgimento dello stesso determini l'assolvimento degli obblighi di leva.
Giova precisare che il ricorso è stato depositato prima della entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione. Peraltro, nel caso di specie, la Provincia ricorrente invoca come parametri esclusivamente le disposizioni del proprio statuto e le relative norme di attuazione.
Va pure tenuto conto del fatto che le norme censurate sono tutte contenute nel Capo II della legge n. 64 del 2001, dedicato alla “Disciplina del periodo transitorio”, che si apre con l'affermazione per cui “le disposizioni del presente Capo disciplinano il servizio civile nazionale fino alla data di efficacia dei decreti di cui all'articolo 2” (art. 4 della legge n. 64 del 2001).
1.2. – Con altro ricorso (reg. ricorsi n. 44 del 2002), la Provincia autonoma di Trento solleva questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12 e 13 del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del servizio civile nazionale a norma dell'articolo 2 della legge 6 marzo 2001, n. 64), per violazione, oltre che dei medesimi parametri indicati nel ricorso n. 21 del 2001, dell'art. 117, commi secondo, terzo, quarto e sesto, della Costituzione, dell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione), nonché degli artt. 3 e 76 della Costituzione (parametri non invocati espressamente dalla ricorrente, ma desumibili dal tenore del ricorso).
Le censure, puntualmente indicate nella narrativa in fatto, muovono dalla premessa che il servizio civile disciplinato dal d.lgs. n. 77 del 2002 non abbia più, in quanto volontario, alcun collegamento con la prestazione militare, la quale avrebbe ormai perso i caratteri della obbligatorietà. Nonostante il mantenimento del nomen di servizio civile, la sostanza della disciplina sarebbe radicalmente diversa rispetto a quella che prevedeva un servizio civile alternativo al servizio militare. Ne sarebbe conferma anche la previsione, nello stesso d.lgs. n. 77 (art. 14), del “ripristino” del servizio civile regolato dalla legge n. 230 del 1998 in casi eccezionali (guerra, gravissima crisi internazionale); ripristino che dimostrerebbe come debba trattarsi di servizio del tutto diverso, che ha perduto ogni connessione con la “difesa”, una volta cessato l'obbligo di prestazione di leva e con esso l'esigenza di prestazioni equivalenti.
La disciplina del servizio civile non terrebbe conto, inoltre, delle profonde modificazioni del quadro delle competenze, statali e regionali (e delle Province autonome), apportate dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, che, nel riformare il Titolo V della Parte seconda della Costituzione, ha stabilito, nel suo art. 10, l'applicazione delle nuove disposizioni anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, per le parti in cui prevedono forme più ampie di autonomia. La normativa impugnata, infatti, assumerebbe il servizio civile come materia di competenza statale, con le connesse potestà normative e organizzative, dettando una serie di disposizioni che, ricollegandosi a detto presupposto, risulterebbero viziate da incostituzionalità, rientrando invece la materia de qua nelle competenze  regionali e provinciali.
Secondo la Provincia autonoma di Trento, la redistribuzione delle competenze e la parallela prevista scomparsa del servizio militare obbligatorio porrebbero pertanto in termini nuovi il giudizio circa la validità della disciplina.
Il rilievo critico è nella sostanza il seguente: il decreto legislativo in esame ripropone un disegno di servizio civile che fa capo essenzialmente allo Stato, quanto a organizzazione, programmazione, coordinamento e controllo, lasciando a Regioni e Province autonome un limitato ruolo di attuazione degli interventi, secondo le materie di loro competenza (così nell'art. 2 del d.lgs. n. 77).
Secondo la ricorrente, la stessa organizzazione del servizio civile nazionale non potrebbe essere ascritta alla materia “difesa”, ma, al più, alla materia, di potestà legislativa concorrente, della “tutela del lavoro”. Peraltro, nella ripartizione di competenze tra Stato, Regioni e Province autonome, si dovrebbe tenere conto della afferenza ai diversi ambiti materiali delle singole attività in cui si sostanzia il servizio civile nazionale.
2. – Stante  la  loro  manifesta  connessione,  i due ricorsi, congiuntamente discussi, possono essere decisi con unica sentenza.
3. – Le questioni sottoposte all'esame della Corte con il ricorso n. 21 del 2001 sono infondate, quelle proposte con il ricorso n. 44 del 2002 sono in parte inammissibili e in parte infondate.
Le normative censurate, in quanto rivolte a disciplinare gli aspetti organizzativi e procedurali del servizio civile nazionale, trovano fondamento, anzitutto, nell'art. 52 della Costituzione, e non precludono alla Provincia autonoma la possibilità di regolare l'esercizio di funzioni specifiche, riguardanti aspetti materiali che rientrino nella sua competenza.
A venire in rilievo è, in particolare, la previsione contenuta nel primo comma dell'art. 52 della Costituzione, che configura la difesa della Patria come sacro dovere del cittadino, il quale ha una estensione più ampia dell'obbligo di prestare servizio militare. Come già affermato da questa Corte, infatti, il servizio militare ha una sua autonomia concettuale e istituzionale rispetto al dovere ex art. 52, primo comma, della Costituzione, che può essere adempiuto anche attraverso adeguate attività di impegno sociale non armato (sentenza n. 164 del 1985).
In questo contesto deve leggersi pure la scelta legislativa che, a seguito della sospensione della obbligatorietà del servizio militare (art. 7 del d.lgs. 8 maggio 2001, n. 215, recante “Disposizioni per disciplinare la trasformazione progressiva dello strumento militare in professionale, a norma dell'articolo 3, comma 1, della legge 14 novembre 2000, n. 331”), configura il servizio civile come l'oggetto di una scelta volontaria, che costituisce adempimento del dovere di solidarietà (art. 2 della Costituzione), nonché di quello di concorrere al progresso materiale e spirituale della società (art. 4, secondo comma, della Costituzione). La volontarietà riguarda, infatti, solo la scelta iniziale, in quanto il rapporto è poi definito da una dettagliata disciplina dei diritti e dei doveri, contenuta in larga parte nel d.lgs. n. 77 del 2002, che permette di configurare il servizio civile come autonomo istituto giuridico in cui prevale la dimensione pubblica, oggettiva e organizzativa.

D'altra parte il dovere di difendere la Patria deve essere letto alla luce del principio di solidarietà espresso nell'art. 2 della Costituzione, le cui virtualità trascendono l'area degli “obblighi normativamente imposti”, chiamando la persona ad agire non solo per imposizione di una autorità, ma anche per libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa. In questo contesto, il servizio civile tende a proporsi come forma spontanea di adempimento del dovere costituzionale di difesa della Patria.

Il d.lgs. n. 77 del 2002 significativamente considera il “servizio civile nazionale quale modalità operativa concorrente ed alternativa alla difesa dello Stato, con mezzi ed attività non militari” (art. 1, comma 1). In senso contrario non può rilevarsi che la alternatività tra i servizi sarebbe venuta meno perché entrambi sono ora frutto di una scelta autonoma, ben potendo essere adempiuto il dovere costituzionale di difesa della Patria anche attraverso comportamenti di tipo volontario. È proprio nel dovere di difesa della Patria, di cui il servizio militare e il servizio civile costituiscono forme di adempimento volontario, che i due servizi trovano la loro matrice unitaria, come dimostrano anche le numerose analogie con la posizione dei militari in ferma volontaria.
La suddetta ricostruzione si riflette sulla individuazione del titolo costituzionale di legittimazione dell'intervento statale che, con specifico riferimento al d.lgs. n. 77 del 2002, può essere rinvenuto nell'art. 117, secondo comma, lettera d), della Costituzione, che riserva alla legislazione esclusiva dello Stato non solo la materia  “forze armate” ma anche la “difesa”. Quest'ultima previsione deve essere letta alla luce delle evoluzioni normative e giurisprudenziali che già avevano consentito di ritenere che la “difesa della Patria” non si risolvesse soltanto in attività finalizzate a contrastare o prevenire una aggressione esterna, potendo comprendere anche attività di impegno sociale non armato (sentenza n. 164 del 1985). Accanto alla difesa “militare”, che è solo una forma di difesa della Patria, può ben dunque collocarsi un'altra forma di difesa, per così dire, “civile”, che si traduce nella prestazione dei già evocati comportamenti di impegno sociale non armato.
La riserva allo Stato della competenza a disciplinare il servizio civile nazionale, forma di adempimento del dovere di difesa della Patria, non comporta però che ogni aspetto dell'attività dei cittadini che svolgono detto servizio ricada nella competenza statale. Vi rientrano certamente gli aspetti organizzativi e procedurali del servizio. Questo, in concreto, comporta lo svolgimento di attività che investono i più diversi ambiti materiali, come l'assistenza sociale, la tutela dell'ambiente, la protezione civile: attività che, per gli aspetti di rilevanza pubblicistica, restano soggette alla disciplina dettata dall'ente rispettivamente competente, e dunque, se del caso, alla legislazione regionale o alla normativa degli enti locali, fatte salve le sole specificità direttamente connesse alla struttura organizzativa del servizio e alle regole previste per l'accesso ad esso.
4. – Con specifico riferimento alla disciplina contenuta nella legge n. 64 del 2001, oggetto di censure nel ricorso n. 21 del 2001, va osservato, peraltro, che nella parte in cui essa prevede, in via transitoria, che i giovani obbligati alla leva possano dichiarare liberamente, prima dell'arruolamento, di optare per il servizio militare o per quello civile, senza dover addurre necessariamente, in quest'ultimo caso, motivi di coscienza (art. 5, comma 1), l'intervento legislativo statale trova ulteriore legittimazione nell'art. 52, secondo comma, della Costituzione, essendo rivolto alla determinazione di limiti al servizio militare obbligatorio.
4.1. – Come ampiamente riferito nella narrativa in fatto, con il ricorso n. 21 del 2001, la Provincia di Trento censura anzitutto l'art. 7 della legge n. 64 del 2001, che, attribuendo all'Ufficio nazionale per il servizio civile di cui alla legge n. 230 del 1998 il compito di curare l'organizzazione, l'attuazione e lo svolgimento del servizio, stabilisce che esso approva i progetti di impiego predisposti dalle amministrazioni di Regioni e Province autonome, coordinando i progetti con la programmazione nazionale (comma 2), e prevede inoltre la costituzione in ambito regionale e provinciale di strutture burocratiche statali, cioè di sedi dell'Agenzia per il servizio civile (comma 4). La previsione di cui al comma 2 va intesa, in conformità a quanto sopra precisato, nel senso che l'Ufficio nazionale e le sue strutture periferiche assicurano l'osservanza delle specifiche regole proprie del servizio, senza ingerenze nella disciplina delle attività di competenza regionale. Analoghe considerazioni valgono per il comma 4 dello stesso art. 7, che prevede la costituzione in ambito regionale e provinciale di strutture burocratiche statali, cioè di sedi dell'Agenzia per il servizio civile, peraltro poi soppressa dall'art. 3, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione).
4.2. – La Provincia di Trento censura anche l'art. 10, comma 2, della legge n. 64 del 2001, che attribuisce allo Stato il potere di determinare con d.P.C.m. “crediti formativi” per i cittadini che prestano il servizio civile o il servizio militare di leva, rilevanti ai fini dell'istruzione o della formazione professionale. Rispetto a questa previsione va rilevato che lo Stato non è intervenuto a disciplinare le attività di formazione professionale nella Provincia autonoma, bensì ha solamente inteso determinare, in una logica di incentivazione dei cittadini a prestare il servizio e di riconoscimento delle competenze acquisite, gli standard dei crediti formativi acquisiti dai soggetti che aspirano al conseguimento delle abilitazioni richieste dall'ordinamento per l'esercizio delle professioni intellettuali, previa iscrizione nei corrispondenti albi. La disposizione censurata si inserisce, peraltro, nel contesto della previsione secondo cui, nel periodo transitorio, ai cittadini che prestano servizio civile a qualsiasi titolo si applicano le disposizioni di cui all'art. 6 della legge n. 230 del 1998 (art. 10, comma 1, della legge n. 64 del 2001), con la conseguenza che essi godono degli stessi diritti, anche ai fini previdenziali e amministrativi, dei cittadini che prestano il servizio militare di leva. Si conferma così, per la fase transitoria, la considerazione per cui il servizio civile, anche nella visione del legislatore, partecipa della medesima natura del servizio militare, quale prestazione equivalente a quest'ultimo e riconducibile alla stessa idea di difesa della Patria.
4.3. – Anche la censura riguardante l'art. 8 della legge n. 64 del 2001 – che prevede che con regolamento statale siano determinati le caratteristiche e gli standard di utilità sociale dei progetti di impiego, i criteri per il riparto dei finanziamenti, i modi di verifica e controllo sui progetti – deve essere respinta. La previsione di forme di monitoraggio, controllo e verifica sulle attività mediante le quali si realizza il servizio civile, che si traduce nella possibilità di determinare con regolamento governativo gli elementi ora indicati, è intesa ad assicurare il rispetto dei criteri e delle specifiche norme statali relativi al servizio, e non comporta la possibilità di intervenire nella disciplina delle attività di pertinenza regionale.
5. – Con specifico riferimento alla disciplina contenuta nel d.lgs. n. 77 del 2002, oggetto di censure nel ricorso n. 44 del 2002, va ribadito che essa riguarda propriamente gli aspetti organizzativi e procedurali del servizio civile nazionale, oggetto di una autonoma ed unitaria regolamentazione che, come già evidenziato, trova il proprio titolo di legittimazione nell'art. 117, secondo comma, lettera d), della Costituzione.
Peraltro va rilevato, nella specie, che l'esigenza di assicurare la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, attraverso adeguati meccanismi di cooperazione per l'esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali, è comunque soddisfatta proprio attraverso l'attribuzione alla cura delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, secondo le rispettive competenze, dell'attuazione degli interventi di servizio civile.
È, inoltre, evidente che, nelle ipotesi in cui lo svolgimento delle attività di servizio civile ricada entro ambiti di competenza delle Regioni o delle Province autonome di Trento e Bolzano, l'esercizio delle funzioni spettanti, rispettivamente, allo Stato ed ai suddetti enti, dovrà improntarsi al rispetto del principio della leale collaborazione tra enti parimenti costitutivi della Repubblica (art. 114, primo comma, della Costituzione).
La argomentata riconduzione degli aspetti organizzativi e procedurali del servizio civile nazionale alla competenza legislativa statale di cui all'art. 117, secondo comma, lettera d), della Costituzione non preclude, infine, alle Regioni ed alle Province autonome di Trento e Bolzano la possibilità di istituire e disciplinare, nell'autonomo esercizio delle proprie competenze legislative, un proprio servizio civile regionale o provinciale, distinto da quello nazionale disciplinato dalle norme qui esaminate, che avrebbe peraltro natura sostanzialmente diversa dal servizio civile nazionale, non essendo riconducibile al dovere di difesa.
5.1. – Alla luce della rilevata riconduzione della disciplina degli aspetti organizzativi e procedurali del servizio civile nazionale alla competenza legislativa statale di cui alla lettera d) del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione, devono essere rigettate le censure che riguardano gli artt. 2, 3, comma 3, 4, commi 2 e 5, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12 e 13 del d.lgs. n. 77 del 2002.
Occorre sottolineare che in molte delle disposizioni censurate il rispetto della autonomia dei diversi livelli di governo è espressamente assicurato, prevedendosi pure, in vari momenti, un adeguato coinvolgimento delle Regioni e delle Province autonome.
In particolare, con riferimento alle disposizioni contenute negli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 77 del 2002, il rispetto della autonomia dei diversi livelli di governo è assicurato, rispettivamente, dalla previsione di albi regionali ai quali si iscrivono gli enti e le organizzazioni in possesso dei requisiti di cui alla legge n. 64 del 2001, e dall'espresso riconoscimento della competenza delle Regioni e delle Province autonome circa l'esame e l'approvazione dei progetti presentati da enti e organizzazioni operanti in ambito regionale o provinciale. In ordine alla disciplina degli albi degli enti di servizio civile, occorre anche considerare che il comma 5 dell'art. 5 prevede che le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, ove non abbiano già provveduto, possono istituire organismi di consultazione, riferimento e confronto nell'ambito delle loro competenze, analoghi alla Consulta nazionale per il servizio civile prevista dal precedente comma 4.
Va, altresì, evidenziato che l'art. 13, relativo all'“inserimento nel mondo del lavoro” e ai “crediti formativi”, riconosce non solo all'Ufficio nazionale, ma anche alle Regioni e alle Province autonome, “nei limiti delle rispettive competenze”, la possibilità di stipulare convenzioni con enti e associazioni in funzione del collocamento nel mercato del lavoro di chi abbia svolto il servizio civile.
5.2. – Una considerazione ulteriore merita la censura relativa all'art. 11, in tema di “formazione al servizio civile”. La ricorrente sostiene che la materia di riferimento sia la formazione professionale, riservata alla potestà legislativa residuale delle Regioni (e Province autonome) a norma del quarto comma dell'art. 117 della Costituzione, con la conseguenza che sarebbero illegittime sia le disposizioni che contengono prescrizioni di dettaglio, come la durata, le modalità, le materie di tale specifica “formazione” (commi 1, 2, 4), sia la previsione dell'organizzazione di corsi di formazione da parte dell'Ufficio nazionale (comma 3), sia infine l'attribuzione a detto Ufficio di compiti di definizione dei contenuti e di monitoraggio della formazione (ancora il comma 3). La censura è infondata in quanto l'art. 11 non riguarda la formazione professionale, bensì la formazione specifica rivolta a preparare i giovani volontari all'espletamento del servizio civile. Peraltro, ai sensi del comma 3 dell'art. 11, l'organizzazione dei corsi è curata non solo dall'Ufficio nazionale ma anche dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano e la definizione dei contenuti di base per la formazione compete allo stesso Ufficio nazionale, sentita la Conferenza Stato-Regioni e la Consulta nazionale.
5.3.Sono, invece, inammissibili le questioni relative agli artt. 3, comma 6, e 4, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002.
La ragione della presunta illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 6, del decreto impugnato – che prevede l'individuazione con d.P.C.m. degli incarichi pericolosi, faticosi o insalubri ai quali non può essere destinato il personale femminile – non starebbe, come affermato dalla stessa ricorrente, in una rivendicazione di competenza, ma nella considerazione per cui la disposizione realizzerebbe una discriminazione verso il personale femminile, al quale l'accesso a determinati incarichi potrebbe semmai essere escluso a garanzia di specifici valori esclusivi della condizione femminile, quali la maternità e la gravidanza. La questione risulta inammissibile, in quanto la ricorrente fa valere un profilo che non ridonda di per sé in violazione di competenze proprie.
Con riferimento all'art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002, concernente il Fondo nazionale per il servizio civile, la Provincia rileva che la prevista distinzione tra tale Fondo e quello delle politiche sociali, nel quale invece il primo avrebbe dovuto confluire, contraddirebbe l'indicazione contenuta nell'art. 11, comma 3, della legge delega n. 64 del 2001. Quest'ultima disposizione prevede, infatti, che le risorse del Fondo nazionale per il servizio civile confluiscano nel Fondo nazionale per le politiche sociali al termine del periodo transitorio disciplinato dalla medesima legge. L'art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002 avrebbe derogato a tale previsione, disponendo che “il Fondo nazionale per il servizio civile, ai fini dell'erogazione dei trattamenti previsti dal presente decreto, è collocato presso l'Ufficio nazionale per il servizio civile”.  La Provincia lamenta pertanto che le risorse del Fondo nazionale per il servizio civile non siano confluite nel Fondo nazionale per le politiche sociali. Ma la presunta violazione della legge di delega, che si sarebbe così determinata, non implica di per sé una lesione della sfera di competenza provinciale, in quanto è sicuramente di competenza statale l'erogazione dei trattamenti previsti. Anche in questo caso la censura è dunque inammissibile, in quanto la Provincia non lamenta propriamente la lesione di una sua sfera di competenza.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,
1) dichiara non  fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 7, commi 2 e 4, 8, comma 1, e 10, comma 2, della legge 6 marzo 2001, n. 64 (Istituzione del servizio civile nazionale), sollevate, con il ricorso iscritto al n. 21 del registro dei ricorsi del 2001, dalla Provincia autonoma di Trento, per violazione degli artt. 8, numeri 1), 3), 4), 5), 6), 13), 16), 17), 20), 21), 23), 25) e 29), 9, numeri 2), 4), 5) e 10), e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige) e delle relative norme di attuazione; dell'art. 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento); dell'autonomia finanziaria riconosciuta alla Provincia dal titolo VI dello statuto speciale, come modificato dalla legge 30 novembre 1989, n. 386 (Norme per il coordinamento della finanza della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province autonome di Trento e di Bolzano con la riforma tributaria); dell'art. 5, commi 2 e 3, della legge n. 386 del 1989;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, 3, comma 3,  4, commi 2 e 5, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12 e 13 del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del servizio civile nazionale a norma dell'articolo 2 della legge 6 marzo 2001, n. 64), sollevate, con il ricorso iscritto al n. 44 del registro dei ricorsi del 2002, dalla Provincia autonoma di Trento, per violazione delle medesime norme indicate al precedente n. 1 del dispositivo, nonché dell'art. 117, primo, quarto e sesto comma, della Costituzione e dell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione);
3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 6, e 4, comma 1, del predetto decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77, sollevate, con il ricorso iscritto al n. 44 del registro dei ricorsi del 2002, dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione.
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