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In vigore al: 11/09/2012

Corte costituzionale - Sentenza N. 224 del 04.05.1990
Nuove piante organiche del Dipartimento delle dogane e delle imposte indirette

Sentenza (8 maggio) 4 maggio 1990 n. 224; Pres. Saja - Red. Baldassarre
 
Ritenuto in fatto: 1. Con ricorso ritualmente notificato e depositato la Provincia autonoma di Bolzano ha sollevato questioni di legittimità costituzionale nei confronti degli artt. 1 comma 1, 3 e 7 l. 10 ottobre 1989 n. 349, ritenendoli contrari agli artt. 52 comma ultimo, 89, 100 e 107 d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 (t.u. delle leggi costituzionali sullo statuto del Trentino-Alto Adige), e alle relative norme di attuazione contenute nel d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752.
Nel prevedere all'art. 1 comma 1, una delega al Governo « ad adottare uno o più decreti legislativi recanti norme per l'aggiornamento, la modifica e l'integrazione delle disposizioni legislative in materia doganale (...) e di quelle sull'organizzazione centrale e periferica dell'amministrazione delle dogane e imposte indirette e sull'ordinamento del relativo personale » secondo i princìpi e i criteri direttivi rispettivamente indicati negli artt. 2 e 3, la legge impugnata, a giudizio della ricorrente, pur esercitando un potere di indubbia spettanza dello Stato, ignorerebbe del tutto la speciale disciplina posta dallo statuto per il Trentino-Alto Adige a tutela delle minoranze linguistiche esistenti nella Provincia.
In particolare, una prima violazione concernerebbe l'art. 107 dello statuto, il quale esige che le norme di attuazione dello stesso statuto siano emanate o modificate con decreti legislativi dopo che sia stato espresso il parere obbligatorio, ma non vincolante, della speciale « Commissione paritetica ».
Inoltre, sempre secondo la ricorrente, lo statuto risulterebbe violato dagli artt. 1 comma 1, 3 e 7 comma 2 l. n. 349 del 1989, che, nel prevedere l'eliminazione del ruolo locale attualmente stabilito dalla tabella n. 5, allegata al d.P.R. n. 752 del 1976, in ordine alla determinazione dei posti dell'amministrazione periferica del Ministero delle finanze, e, in particolare, nel prevedere la riduzione delle direzioni compartimentali da 45 a 15 violerebbe gli obblighi stabiliti dagli artt. 89 e 100 dello statuto e dalle connesse norme di attuazione (d.P.R, n. 752 del 1976), relativi alla c.d. proporzionale etnica e alla conoscenza delle lingue italiana e tedesca negli uffici pubblici.
Un'ulteriore violazione statutaria è individuata dalla ricorrente nell'art. 3 comma 1, lett. b), n. 6, che prevede la possibilità di deroghe ai vincoli di permanenza minima degli impiegati in alcune zone del territorio al fine di favorire la mobilità del personale. Tale disposizione, ad avviso della ricorrente, contrasterebbe con l'art. 89 comma 5 dello statuto (che garantisce la stabilità di sede nella Provincia del personale), nonché con le norme di attuazione contenute degli artt. 1 comma 1 (che stabilisce un vincolo decennale per i trasferimenti a domanda dai ruoli locali al ruolo generale), 11 comma 2 (che prevede il divieto assoluto di trasferimenti dal ruolo generale a quello locale), e 15 (che ammette la possibilità di deroga al principio della stabilità della sede solo sulla base di « gravi e motivate esigenze di servizio » e al fine di consentire una « destinazione temporanea » del personale dei ruoli locali fuori dalla Provincia di Bolzano, e non già trasferimenti) del d.P.R, n. 752 del 1976.
Infine, l'art. 3 comma 1, lett. h), della legge impugnata, nel prevedere che per la copertura dei posti vacanti saranno adottate « procedure rapide (...) anche mediante concorsi basati sulla valutazione dei titoli professionali e di cultura, salvi i casi di procedure ulteriormente semplificate previste dalle disposizioni generali sul pubblico impiego », contrasterebbe con l'art. 89 dello statuto, come attuato dagli artt. 12 ss. d.P.R. n. 752 del 1976, che, nel disciplinare le procedure concorsuali per la copertura dei posti dei ruoli locali nel rispetto dei princìpi statutari della proporzionale etnica e del bilinguismo, non prevede semplificazioni o abbreviazioni delle procedure concorsuali, ma consente espressamente soltanto che nelle more dell'espletamento dei concorsi possa essere temporaneamente « comandato » presso gli uffici della Provincia di Bolzano personale dei ruoli generali.
2. Si è regolarmente costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale eccepisce, innanzitutto, l'inammissibilità del ricorso.
A sostegno della propria richiesta, il resistente osserva che il carattere non-astratto del giudizio di costituzionalità comporta che il ricorso alla Corte possa ammettersi soltanto in presenza di lesioni concrete e attuali, lesioni che potrebbero riscontrarsi unicamente a seguito dell'emanazione dei decreti delegati, e non già di fronte a leggi di delega che si limitano a indicare le linee generali per la futura normazione che il Governo è tenuto ad adottare. Inoltre, un secondo motivo di inammissibilità deriverebbe dal fatto che il legislatore delegante non potrebbe indicare tra i princìpi e i criteri direttivi della delega anche norme di rango costituzionale, sicché la mancata previsione del rispetto dei princìpi della c.d. proporzionale etnica e del bilinguismo non pregiudicherebbe l'applicabilità dei medesimi.
In ogni caso, ad avviso del Presidente del Consiglio dei Ministri, le questioni sollevate sarebbero infondate.
Innanzitutto, nulla autorizzerebbe a ritenere, sulla base delle disposizioni impugnate, che la modifica delle piante organiche dei singoli uffici, da attuarsi con decreti ministeriali secondo le norme generali sul pubblico impiego, possa contrastare con lo statuto per il Trentino-Alto Adige, considerato che la stessa legge delega, con il limitare il numero dei compartimenti doganali a 15, non ne implicherebbe la riduzione del numero, poiché attualmente esso è fissato a 13 (e non a 45) in base al d.m. 18 dicembre 1972.
Inoltre, l'insussistenza di qualsiasi violazione dell'art. 89 dello statuto deriverebbe, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, dalla errata contrapposizione tra « ruolo unico e « ruoli locali », nel senso che questi ultimi dovrebbero essere più correttamente definiti come « piante organiche locali », poiché gli impiegati statali insediati in Alto Adige continuano ad appartenere ai ruoli di inquadramento in base al testo unico del pubblico impiego. In altri termini, l'accezione del termine « ruolo » data dalla legge impugnata sarebbe quella di inquadramento giuridico-funzionale, non già di collocazione nella sede di servizio.
Anche la censura relativa alla mobilità del personale presupporrebbe, ad avviso del resistente, una lettura scorretta della norma, in quanto là possibilità di deroga alla permanenza minima prevista dall'art. 3 comma 1, lett. b), n. 6, si riferirebbe, non già alla situazione alto-atesina, ma ai casi per i quali vale l'obbligo di prestare servizio per almeno tre anni nella sede di prima immissione (art. 12 comma 3, t.u. 23 gennaio 1973 n. 43).
Infine, quanto alle censure sulle modalità di copertura dei posti vacanti, l'Avvocatura dello Stato osserva che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la mancata previsione della proporzionale etnica e del bilinguismo non impedisce l'applicazione di tali princìpi.
3. In prossimità dell'udienza hanno presentato memoria sia la Provincia autonoma di Bolzano, sia il Presidente del Consiglio dei Ministri.
La ricorrente, nel contestare l'eccezione d'inammissibilità del resistente, concorda con quest'ultimo che alla Corte cost. non possono essere poste questioni astratte, ma, nello stesso tempo, nega che non possa configurarsi una lesione concreta e immediata delle competenze costituzionalmente garantite alla Provincia nell'ipotesi di una legge che delega al Governo l'istituzione di nuovi uffici periferici, la revisione dell'ordinamento e della ripartizione territoriale degli uffici esistenti, l'introduzione di un ruolo unico e una disciplina unitaria sulla mobilità del personale. In altre parole, la mancata salvezza nella legge di delega delle competenze della Provincia costituirebbe di per se stessa una violazione dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige e vincolerebbe il Governo a una legislazione delegata per tale aspetto incostituzionale. Il carattere dell'immediatezza e della concretezza della lesione sarebbe, poi, evidente nel caso di vizi formali della legge delega e, in particolare, in relazione alla violazione dell'art. 52 comma ult. (obbligo del Consiglio dei Ministri di sentire il presidente della Giunta regionale quando si trattino questioni riguardanti la Provincia), e dell'art. 107 (obbligo di richiedere il parere della Commissione paritetica per l'emanazione o la modifica delle norme di attuazione) dello statuto per il Trentino-Alto Adige.
Nella sua memoria il Presidente del Consiglio dei Ministri insiste sull'eccezione di inammissibilità del ricorso, adducendo che il giudizio di costituzionalità non può concernere atti, come la legge di delega, che sono ritenuti insuscettibili di produrre immediati effetti innovativi sull'ordinamento prima che sia esercitata la funzione delegata. Così ha, del resto, già ritenuto questa Corte nelle sentt. nn. 111 del 1972 e 91 del 1974, con le quali, partendo dalla premessa che la legge di delegazione abbia un valore solo « preliminare » e sia una fonte unicamente per il potere governativo di normazione, ha affermato che il controllo di legittimità sulla legge delega è strumentale a quello sul decreto delegato e non può essere pertanto promosso come fine a sé stante, tanto più che non si può escludere che il termine della delegazione trascorra inutilmente. In altre parole, i princìpi e i criteri direttivi contenuti nella legge delega sarebbero precetti « per » una legislazione statale, ma non princìpi « della » stessa legislazione. Queste affermazioni, secondo l'Avvocatura dello Stato, sarebbero in sintonia con la prevalente dottrina, per la quale la legge di delegazione nasce con i caratteri di mera legge formale sulla produzione, i cui effetti ricadono soltanto all'interno del rapporto tra Parlamento e Governo, e si trasforma in legge sostanziale di produzione allorché venga emanata la legge delegata.
Per quanto attiene al merito, il Presidente del Consiglio dei Ministri osserva, in ordine alla pretesa violazione dell'art. 107 dello statuto, che la determinazione dei « princìpi e criteri direttivi » lascerebbe al Governo un'ampia discrezionalità di scelta sia sul piano normativo che su quello procedimentale, sicché ben potrebbe il Governo avvalersi, nell'esercizio della delega, del parere della « Commissione paritetica ». Del resto, come ha già affermato questa Corte (v. ad es. sent n. 156 del 1987), la mancata previsione di quel parere nella legge di delega non esclude che il delegato sia, comunque, tenuto al rispetto di procedure e di garanzie previste da altre fonti, specie se di rango costituzionale. In secondo luogo, il resistente, oltre a insistere sul rilievo che il « ruolo unico » potrebbe coesistere con il « ruolo locale » (istituito ai soli fini dell'art. 89 dello statuto), osserva che quest'ultimo è di tipo « derivato » e, perciò, modificabile per effetto di una revisione dell'ordinamento e della ripartizione territoriale degli uffici statali, previa richiesta del parere di cui all'art 107 dello statuto, allorché saranno stabilite le piante organiche. Infine, quanto al rispetto della c.d. proporzionale etnica, il resistente, oltre a ribadire che questa si applica anche in mancanza di una espressa previsione legislativa, ricorda che questa Corte ha già affermato che quel principio debba essere applicato con la dovuta « progressività ».
4. Nel corso della pubblica udienza le parti hanno approfondito ulteriormente il punto dell'ammissibilità. Mentre la difesa della Provincia ha affermato che la ricostruzione della legge di delegazione operata dall'Avvocatura generale dello Stato, oltre ad essere contestata dalla più recente dottrina, porterebbe all'assurdo di ritenere che una stessa legge si trasformi, per effetto di accadimenti ad essa esterni (approvazione del decreto delegato), da legge meramente formale a legge materiale, la difesa del Presidente del Consiglio dei Ministri, invece, ha insistito sulla configurazione della legge di delegazione come atto produttivo di effetti riferibili unicamente alla sfera dell'organizzazione e dei rapporti tra delegante e delegato e, pertanto, ha rinnovato la richiesta di una dichiarazione d'inammissibilità del ricorso per mancanza di interesse attuale della Provincia ricorrente.
 
Considerato in diritto: 1. La Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale nei confronti degli artt. 1 comma 1, 3 e 7 l. 10 ottobre 1989 n. 349, contenente una delega al Governo ad adottare norme volte, fra l'altro, alla riorganizzazione dell'amministrazione delle dogane e delle imposte indirette. I predetti articoli sono impugnati per violazione degli artt. 52 comma ult., 89, 100 e 107 d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 (t.u. delle leggi costituzionali sullo statuto del Trentino-Alto Adige), e, in connessione con questi, degli artt. 11 commi 1 e 2 e 15 d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige in materia di proporzione negli uffici statali siti nella Provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego).
Contro il ricorso della Provincia di Bolzano ha proposto un'eccezione d'inammissibilità il Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale, sul presupposto che la legge di delegazione debba esser configurata come un atto preliminare o preparatorio della concreta disciplina legislativa successivamente posta dal decreto delegato e debba essere quindi concepita come un atto regolante esclusivamente i rapporti (« interni ») tra Parlamento e Governo, contesta che la ricorrente possa fondatamente lamentare una lesione concreta ed attuale delle sue competenze costituzionali e possa quindi avere un interesse al giudizio di legittimità costituzionale prima dell'adozione dei decreti delegati.
2. Va, innanzitutto, respinta l'eccezione di inammissibilità. In base agli artt. 76 e 77 comma 1 Cost., la delegazione al Governo della funzione legislativa può avvenire, per oggetti definiti e per tempo limitato, attraverso una legge ordinaria contenente i « princìpi » e i « criteri direttivi » cui dovrà attenersi lo stesso Governo nell'esercizio della funzione delegata. Tuttavia, mentre nell'ordinamento anteriore alla Costituzione la legge di delegazione, in coerenza con la « flessibilità » della Carta costituzionale allora vigente e con il conseguente ordine delle fonti normative basato sulla legge (ordinaria), costituiva la fonte del potere di legislazione delegata del Governo (per la qual cosa essa era definita dalla dottrina come legge meramente « formale », diretta a regolare esclusivamente i rapporti « interni » fra delegante e delegato), nell'ordinamento costituzionale attuale, invece, in armonia con la « rigidità » della Costituzione e con il conseguente principio che ogni atto normativo con valore di legge può avere la propria fonte soltanto in norme di rango costituzionale, costituisce, più semplicemente, il presupposto che condiziona l'esercizio dei poteri delegati del Governo e ne delimita lo svolgimento della relativa funzione, come riconosciuta e determinata dalla Costituzione stessa.
In conseguenza di ciò la legge di delega, pur se rappresenta una deroga costituzionalmente stabilita al principio per il quale « la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere » (art. 70) e pur se è attribuita alla competenza riservata delle Assemblee parlamentari (art. 72 comma ult.), non contiene, nella sua qualità di atto-fonte, caratteri differenziali tali da comportare un regime d'impugnazione diverso da quello proprio delle altre leggi. Sotto il profilo formale, infatti, la legge delega è il prodotto di un procedimento di legiferazione ordinaria a sé stante e in sé compiuto e, pertanto, non è legata ai decreti legislativi da un vincolo strutturale che possa indurre a collocarla, rispetto a questi ultimi, entro una medesima e unitaria fattispecie procedimentale. Sotto il profilo del contenuto, essa è un vero e proprio atto normativo, nel senso che è un atto diretto a porre, con efficacia erga omnes, norme (legislative) costitutive dell'ordinamento giuridico: norme che hanno la particolare struttura e l'efficacia proprie dei « princìpi » e dei « criteri direttivi », ma che, per ciò stesso, non cessano di possedere tutte le valenze tipiche delle norme legislative (come, ad esempio, quella di poter essere utilizzate, a fini interpretativi, da qualsiasi organo o soggetto chiamato a dare applicazione alle leggi). Pertanto, come non può essere contestata l'idoneità delle disposizioni contenute nella legge delega a concorrere a formare, quali norme interposte (v., ad esempio, sentt. nn. 243 del 1976, 158 del 1985, 48 e 128 del 1986), così non può essere negata, in linea di principio, l'impugnabilità ex se della legge di delegazione.
Più in particolare, occorre precisare che i « princìpi e criteri direttivi » presentano nella prassi una fenomenologia estremamente variegata, che oscilla da ipotesi in cui la legge delega pone finalità dai confini molto ampi e sostanzialmente lasciate alla determinazione del legislatore delegato a ipotesi in cui la stessa legge fissa « princìpi » a basso livello di astrattezza, finalità specifiche, indirizzi determinati e misure di coordinamento definite o, addirittura, pone princìpi inestricabilmente frammisti a norme di dettaglio disciplinatrici della materia o a norme concretamente attributive di precise competenze. Nelle ipotesi da ultimo menzionate non si può negare che la legge di delegazione possa contenere un principio di disciplina sostanziale della materia o una regolamentazione parziale della stessa ovvero possa stabilire norme attributive di competenza, da cui potrebbe derivare una diretta e immediata incidenza sulle attribuzioni costituzionalmente garantite alle Regioni o alle Province autonome. In altre parole, ai fini della valutazione della ricorrenza dell'interesse ad agire delle Regioni (o delle Province autonome) nei giudizi di costituzionalità in via principale, decisivo è il particolare contenuto normativo dei « princìpi e criteri direttivi » di volta in volta considerati, nel senso che non può escludersi che, in ragione del loro grado di determinatezza e di inequivocità, ricorrano ipotesi normative sufficientemente precise e tali da poter dar luogo ad effettive lesioni delle competenze regionali (o provinciali). In casi del genere, come non si può contestare che le Regioni (o le Province autonome) abbiano interesse a ottenere una pronuncia d'illegittimità costituzionale delle norme di delegazione e a impedire, quindi, che siano adottati decreti legislativi conseguentemente invalidi e ulteriormente lesivi delle proprie competenze, così non si può non sottolineare che sarebbe profondamente irragionevole ritenere che questa Corte non possa eliminare tempestivamente eventuali illegittimità costituzionali, ma debba attendere che i relativi vizi siano riprodotti o, addirittura, ampliati nei successivi decreti delegati.
Pur se questa conclusione non collima con le motivazioni addotte in alcuni lontani precedenti di questa Corte (v. sentt. nn. 3 del 1957, 13 del 1964, 11 del 1972, 91 del 1974), non di meno essa risponde all'orientamento complessivo risultante dall'insieme delle decisioni della stessa Corte, la quale, mentre in alcuni casi, in conseguenza della precisione e univocità dei princìpi e dei criteri in esse contenuti, non ha esitato a giudicare direttamente della legittimità costituzionale delie norme di delegazione (v. sentt. nn. 37 del 1966, 39 del 1971 e 242 del 1989), in altre occasioni, invece, ha ritenuto che non vi fosse nella legge delega una manifestazione di volontà sufficientemente determinata o definitiva e, pertanto, ha dichiarato inammissibili le relative questioni (v. sent. n. 111 del 1972). In altri termini, i limiti di ammissibilità di un ricorso di costituzionalità proposto dalle Regioni (o dalle Province autonome) avverso disposizioni di delegazione legislativa coincidono con i più generali limiti posti a garanzia della « non astrattezza » del giudizio di legittimità costituzionale. Di modo che, ove il ricorso riguardi una certa disposizione di legge ordinaria esistente nell'ordinamento, il cui significato sia sufficientemente determinato e plausibile in ordine alla prospettazione di un puntuale contrasto con parametri costituzionali precisamente indicati, non si dovrebbe dubitare, sotto il profilo considerato, della ricorrenza dei requisiti di ammissibilità del giudizio.
Del resto, in senso contrario non si potrebbe affermare che i princìpi, gli indirizzi, i criteri e le disposizioni di cui consta la legge di delegazione, essendo principalmente diretti a orientare e delimitare l'attività decisionale del legislatore delegato, debbano essere configurati come norme ad efficacia differita, dalle quali, si asserisce, non potrebbero derivare lesioni attuali delle competenze costituzionalmente attribuite alle Regioni (o alle Province autonome). In realtà, diversamente da quanto accade nei giudizi di legittimità sui provvedimenti amministrativi o nei conflitti di attribuzione aventi per oggetto i medesimi, l'attualità dell'interesse a ricorrere nei giudizi di legittimità costituzionale sulle leggi dev'esser valutata, non già in relazione alla effettiva producibilità di effetti delle singole disposizioni e, tantomeno, alla concreta applicabilità delle stesse nei rapporti della vita, ma, piuttosto, in relazione all'esistenza giuridica delle disposizioni impugnate nell'ordinamento giuridico. Ed è perciò che l'art. 2 comma 1, l. cost. 9 febbraio 1948 n. 1 (Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d'indipendenza della Corte), e l'art. 32 comma 2 l. 11 marzo 1953 n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte), fanno decorrere il termine per la promozione dell'azione di legittimità costituzionale « dalla pubblicazione della legge o dell'atto avente forza di legge », e non già dal momento in cui le disposizioni in esse contenute diventano concretamente efficaci nei rapporti della vita (v. in tal senso, in relazione alla legge delega, sentt. nn. 75 del 1957, 37 del 1966, 242 del 1989, nonché, a contrario, sent. n. 39 del 1971).
3. Sulla base dei princìpi enunciati non si può dubitare dell'ammissibilità del ricorso della Provincia autonoma di Bolzano nei confronti della l. di delega n. 349 del 1989. Tutte le disposizioni impugnate contengono princìpi e criteri direttivi dotati di un grado di determinatezza tale da non poter escludere, a una valutazione ex ante operata in limine litis, la prefigurabilità di un possibile contrasto con le norme statutarie invocate e con le relative norme di attuazione (v. sent. n. 1012 del 1988).
Non v'è dubbio, infatti, che il principio della proporzionalità etnica (art. 89 dello statuto speciale) potrebbe essere plausibilmente ritenuto violato dalla norma di delegazione che demanda al Governo la riduzione su scala nazionale delle direzioni compartimentali delle dogane da 45 a 15 (art. 3 comma 1, lett. b, n. 1), allo stesso modo in cui potrebbero contrastare con le norme di attuazione esistenti in materia sia le deroghe che il legislatore delegato dovrà disporre ai vincoli di permanenza minima degli impiegati in determinate zone del territorio nazionale (art. 3 comma 1, lett. b, n. 6), sia la previsione di un ruolo unico del personale addetto ai servizi centrali e periferici dei dipartimenti da istituire con i decreti delegati (art. 3 comma 1, lett. f), sia, infine, la previsione che i posti vacanti saranno coperti con procedure rapide « anche concorsi basati sulla valutazione dei titoli professionali e di cultura » (art. 3 comma 1, lett. h). A fortiori, poi, è, ipotizzabile un contrasto della legge impugnata con le disposizioni statutarie e di attuazione che esigono la richiesta del parere della c.d. Commissione paritetica nel caso di modificazione delle norme di attuazione e che impongono l'obbligo di sentire il presidente provinciale in occasione delle deliberazioni del Consiglio dei Ministri relative ad atti riguardanti la Provincia di Bolzano.
4. Non fondata, nei sensi di cui in motivazione, è la questione di legittimità costituzionale concernente l'art. 3 comma 1, lett. b, n. 1, nella parte in cui vincola il Governo a istituire « non più di quindici direzioni compartimentali ».
Secondo la ricorrente, la predetta riduzione dei compartimenti doganali a non più di quindici, dai quarantacinque oggi esistenti, comporterebbe l'eliminazione del compartimento di Bolzano, con conseguente lesione dell'art. 89 dello statuto, relativo al principio della proporzionale etnica, nell'attuazione datane dalla tabella n. 5, allegata al d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752. In realtà, questa interpretazione non può essere condivisa, poiché il principio costituzionale della proporzionale etnica, come ha più volte affermato questa Corte (sentt, nn. 571, 768 e 1145 del 1988, 85 del 1990), trova applicazione indipendentemente dal fatto che sia richiamato dalle singole leggi che regolano un certo settore, tanto più se si tratta di leggi che stabiliscono una disciplina generale. La stessa Corte, anzi, in un caso che presenta significative analogie con quello esaminato, ha ammessa l'applicabilità del medesimo principio anche in relazione a leggi di riorganizzazione generale di un certo settore che comportano una ridefinizione sul piano nazionale del numero degli uffici e, quindi, una potenziale alterazione della ripartizione dei posti stabilita nelle tabelle annesse alle citate « norme di attuazione » (v. sent. n. 585 del 1989). In altre parole, in mancanza di una chiara manifestazione di volontà diretta a escludere l'applicazione del principio della proporzionale etnica, non si può interpretare una norma volta a stabilire una disciplina generale come se fosse rivolta a derogare a quel principio. L'applicabilità di quest'ultimo s'impone da sé, mentre le modalità e l'estensione di tale applicazione sono stabilite, finché non sono modificate con il procedimento costituzionalmente richiesto, dalle tabelle allegate alle ricordate « norme di attuazione » e, in particolare, per quanto riguarda gli uffici doganali, dalla tabella n. 5. E, poiché questa prevede tuttora che vi sia un ufficio compartimentale doganale a Bolzano, la norma impugnata, finché la tabella resterà in vigore in tali termini, dovrà essere interpretata e attuata in modo, da escludere che Bolzano resti priva di un ufficio di quel tipo.
Questa interpretazione, proprio perché non è direttamente contraddetta dalla legge delega impugnata, si impone anche al legislatore delegato, dai momento che non è ipotizzabile che quest'ultimo possa validamente derogare a norme di attuazione dello statuto speciale, espressione di una competenza legislativa atipica il cui ambito è precluso alle comuni leggi ordinarie e agli atti a queste equiparati.
5. Non fondata, nei sensi di cui in motivazione, è, inoltre, la questione di legittimità costituzionale sollevata, per contrasto con l'art. 89 comma 5, dello statuto, con gli artt. 11, 14 e 15 d.P.R. n. 752 del 1976 e con la tabella n. 5 allegata allo stesso decreto, nei confronti dell'art. 3 comma 1, lett. b), n. 6, nella parte in cui prevede procedure di trasferimento necessario per la copertura delle nuove piante organiche « anche in deroga ai vincoli di permanenza minima degli impiegati in determinate zone del territorio nazionale ».
Ad avviso della ricorrente, la disposizione impugnata contrasterebbe con una serie di norme statutarie e di attuazione che stabiliscono, a favore dei dipendenti statali nella Provincia di Bolzano, garanzie particolari concernenti la stabilità di sede e i limiti al trasferimento. In realtà le disposizioni impugnate, come ha correttamente affermato l'Avvocatura dello Stato, si riferiscono a ipotesi diverse da quelle disciplinate dalle norme invocate come parametro di questo giudizio e, in particolare, riguardano i casi per i quali vale l'obbligo di prestare servizio per almeno tre anni nella sede di prima immissione (v. art. 12 comma 3 d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43, contenente il testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale). Pertanto, la questione va rigettata in quanto le norme impugnate non si applicano alla Provincia di Bolzano.
6. Non fondata è la questione di legittimità costituzionale sollevata, per contrasto con gli stessi parametri indicati nel paragrafo n. 4, nei confrónti dell'art. 3 comma 1, lett. f), nella parte in cui dispone che « sarà previsto un ruolo unico del personale addetto ai servizi centrali e periferici del dipartimento ».
Secondo la ricorrente, tale disposizione violerebbe il principio della proporzionale etnica (art. 89 dello statuto), come attuato dalla citata tabella n. 5, in quanto quest'ultima risulterebbe illegittimamente derogata dall'istituzione del ruolo unico nazionale e dalla conseguente eliminazione del ruolo locale stabilito dall'anzidetta tabella. In realtà, come ha correttamente sottolineato l'Avvocatura generale dello Stato, le tabelle allegate al d.P.R, n. 752 del 1976 non prevedono un vero e proprio ruolo locale, cioè un particolare inquadramento giuridico-funzionale del personale addetto agli uffici statali siti nella Provincia di Bolzano, ma, seppure quel termine sia contenuto nel d.P.R, n. 752 del 1976, con esso si vuol indicare, piuttosto, le piante organiche locali, vale a dire la distribuzione dei posti di ruolo negli uffici statali della dogana localizzati a Bolzano. Da ciò risulta con tutta evidenza che l'istituzione di un ruolo unico nazionale non può collidere in alcun modo con i parametri invocati.
7. Parimenti infondata è la questione di legittimità costituzionale sollevata nei confronti dell'art. 3 comma 1, lett. h), nella parte in cui dispone che « saranno previste procedure rapide di copertura dei posti vacanti, anche mediante concorsi basati sulla valutazione di titoli professionali e di cultura, salvi i casi di procedure ulteriormente semplificate previste dalle disposizioni generali sul pubblico impiego ».
Ad avviso della ricorrente, tale disposizione contrasterebbe coli l'art. 89 dello statuto, come attuato dagli artt. 12 ss. d.P.R. n. 752 del 1976, i quali, nello stabilire la disciplina delle procedure concorsuali per la copertura dei posti vacanti nella Provincia di Bolzano, non prevederebbero semplificazioni o abbreviazioni delle procedure stesse. Anche in tal caso non può condividersi l'interpretazione che delle « norme di attuazione » fornisce la ricorrente, poiché tali norme pongono alcune prescrizioni a salvaguardia della proporzionale etnica e della peculiarità dell'autonomia di Bolzano senza precludere l'applicabilità nella stessa Provincia di procedure concorsuali semplificate o abbreviate. Naturalmente resta fermo, come ha ammesso la stessa Avvocatura dello Stato, che anche a queste ultime procedure si applicano le norme particolari predisposte, a tutela della proporzionale etnica, dagli artt. 12 ss. d.P.R, n. 752 del 1976.
8. Non fondata è, altresì, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 comma 1, 3 (nelle disposizioni indicate nelle censure esaminate nei paragrafi precedenti) e 7, i quali mirerebbero ad arrecare modifiche o deroghe alle norme di attuazione dello statuto precedentemente ricordate senza che sia stata sentita, in occasione della loroapprovazione, la speciale commissione paritetica prevista dall'art. 107 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige. Come si è precisato nei paragrafi precedenti, nessuna delle disposizioni impugnate è diretta a modificare le citate norme di attuazione o ad apportarvi implicitamente deroghe. Sicché non può riconoscersi alcun fondamento alla richiesta della ricorrente.
9. Non fondata è, infine, la questione di legittimità costituzionale relativa agli articoli della l. n. 349 del 1989 citati nel numero immediatamente precedente per violazione dell'art. 52 comma ult., dello statuto, il quale dispone che il presidente della Giunta provinciale « interviene alle sedute del Consiglio dei Ministri, quando si trattano questioni che riguardano la Provincia ».
Come questa Corte ha affermato (v. sentt. nn. 544 e 545 del 1989, ma anche sentt. nn. 34 e 166 del 1976, 627 del 1988), la ricordata partecipazione del presidente provinciale alle sedute del Consiglio dei Ministri, anche in occasione della deliberazione di disegni di legge, si rende necessaria soltanto nelle ipotesi in cui l'interesse regionale sul quale viene a incidere la disciplina statale in discussione sia qualificato come un interesse differenziato e dotato di una particolare rilevanza o intensità ». Poiché nel caso si tratta di una legge che mira a una riorganizzazione generale degli uffici doganali su tutto il territorio nazionale, manca evidentemente il presupposto principale (interesse differenziato) per l'applicazione al caso di specie della norma statutaria invocata.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 comma 1, lett. b), n. 1, l. 10 ottobre 1989 n. 349, contenente, fra l'altro, delega al Governo ad adottare norme per la riorganizzazione dell'amministrazione delle dogane e imposte indirette, nella parte in cui vincola il Governo a istituire « non più di quindici direzioni compartimentali », sollevata dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento agli artt. 89 e 100 d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 (t.u. delle leggi costituzionali sullo statuto del Trentino-Alto Adige), e alle relative norme di attuazione contenute nel d.P.R. 26 luglio 1976 n. 752, tabella n. 5;
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 comma 1, lett. b), n. 6, l. 10 ottobre 1989 n. 349, nella parte in cui prevede procedure di trasferimento necessario per la copertura delle nuove piante organiche « anche in deroga ai vincoli di permanenza minima degli impiegati in determinate zone del territorio nazionale », sollevata dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento all'art. 89 comma 5 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e alle relative norme di attuazione contenute negli artt. 11, 14 e 15 d.P.R, n. 752 del 1976 e nella tabella 5 allegata al suddetto decreto;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 comma 1, lett. f), l. 10 ottobre 1989 n. 349, nella parte in cui dispone che «sarà previsto un ruolo unico del personale addetto ai servizi centrali e periferici del dipartimento », sollevata dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento agli artt. 89 e 100 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e alle relative norme di attuazione contenute nel d.P.R. n. 752 del 1976, tabella n. 5;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 comma 1, lett. h), l. 10 ottobre 1989 n. 349, nella parte in cui dispone che « saranno previste procedure rapide di copertura dei posti vacanti, anche mediante concorsi basati sulla valutazione dei titoli professionali e di cultura, salvi i casi di procedure ulteriormente semplificate previste dalle disposizioni generali sul pubblico impiego », sollevata dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento agli artt. 89 e 100 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e alle norme di attuazione contenute negli artt. 12 ss. d.P.R, n. 752 del 1976;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 comma 1, 3 comma 1, lett. b) nn. 1 e 6, lett. f) e lett. h) e 7, l. 10 ottobre 1989 n. 349, sollevata dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento all'art. 107 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli indicati nel capoverso precedente della l. 10 ottobre 1989 n. 349, sollevata dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento all'art. 52 comma ult., dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.