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In vigore al: 11/09/2012

Corte costituzionale - Sentenza N. 381 del 31.07.1990
Esclusione delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome dal riparto di fondi speciali

Sentenza (12 luglio) 31 luglio 1990 n. 381; Pres. Saja - Red. Baldassarre
 
Ritenuto in fatto: 1. Con ricorso ritualmente notificato e depositato, la Regione Sardegna ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 20 d. l. 28 dicembre 1989 n. 415 (Norme urgenti in materia di finanza locale e di rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni, nonché disposizioni varie), per contrasto con gli artt. 3, 4, 5 e 6 e con il titolo III (artt. 7-14) st. spec. reg. Sardegna e relative norme di attuazione; con gli artt. 3, 32, 81, 97, 116 e 119 Cost.; con l'art. 47 st. sardo e relative norme di attuazione.
Secondo la ricorrente, l'art; 19 d.l. impugnato, riducendo del 5 % le assegnazioni alla Regione della parte corrente del Fondo sanitario nazionale di cui all'art. 51 l. n. 833 del 1978, imporrebbe alla Regione una spesa sanitaria senza che essa abbia gli strumenti per controllarla o ridurla, come sarebbe attestato dal fatto che tanto le spese ospedaliere (livelli retributivi del personale e spese per acquisti di beni e servizi), quanto quelle per l'assistenza farmaceutica, l'assistenza specialistica e la medicina di base sfuggono alla determinazione regionale (come questa Corte avrebbe riconosciuto con le sentt. nn. 245 del 1984 e 452 del 1989). La disciplina impugnata, da un lato, lascerebbe immutata la regolamentazione del servizio sanitario e l'entità degli oneri e, dall'altro, scaricherebbe il costo della manovra finanziaria sulle sole Regioni a statuto speciale e Province autonome, con violazione dei princìpi costituzionali di ragionevolezza, di autonomia finanziaria regionale e di copertura delle spese (v. artt. 81 comma 4 Cost. e 27 l. 5 agosto 1978 n. 468, che impone l'obbligo di indicare detta copertura in capo alle « leggi che comportano oneri, anche sotto forma di minori entrate », a carico degli enti del settore pubblico allargato).
La stessa disciplina violerebbe, altresì, gli artt. 3, 32 e 116 Cost.; discriminando in peius una Regione a statuto speciale rispetto a quelle ad autonomia ordinaria, nonché i cittadini italiani che in tale Regione risiedono rispetto agli altri, a causa dei riflessi negativi della contrazione di spesa sulla funzionalità e sulla qualità dei servizi. Sulla base di quest'ultimo rilievo, anzi, la ricorrente prospetta una ulteriore violazione degli artt. 3 e 97 Cost.
La Regione Sardegna impugna anche l'art. 18, che, al comma I, esclude la stessa Regione dai fondi concernenti la spesa sanitaria (Fondo per il servizio dei consultori familiari), adducendo argomenti analoghi a quelli sopra enunciati, considerato che anche qui si tratterebbe di oneri per i quali la Regione non avrebbe rilevanti poteri di scelta o di controllo.
La stessa disposizione viene, altresì, censurata dalla Regione Sardegna nella parte in cui esclude la Regione medesima dal riparto del fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto di cui all'art. 9 l. n. 151 del 1981, imponendole il rispetto dei princìpi stabiliti da quella legge, fra cui quello che pone a carico delle Regioni parte del ripiano dei disavanzi delle aziende (artt. 6 e 9). Questa disciplina, che inciderebbe su materie di competenza esclusiva (trasporti di interesse regionale: art. 3 lett. g st.) e concorrente (servizi pubblici di interesse regionale: art. 4 lett. g st.), addosserebbe alla Regione un nuovo onere senza fornirle le risorse per fronteggiarlo e senza che essa abbia poteri di controllo sulla spesa, specie se si considera la potestà statale in ordine alla determinazione delle tariffe (v. d. l. n. 77 del 1989, convertito nella l. n. 160 del 1989 e, per un caso analogo, la sent. n. 307 del 1983 di questa Corte).
Con argomentazioni analoghe la ricorrente censura anche gli artt. 18 comma 1, e 20, per quanto riguarda l'esclusione della Regione dalle erogazioni provenienti dal fondo speciale per l'esercizio delle funzioni della soppressa ONMI e dal fondo per gli asili nido (art. 18 comma 1), nonché da quelle provenienti da altri fondi di settore (art. 20 lett. da a a d).
Dopo aver osservato che la complessiva decurtazione alla finanza derivata della Regione risultante dalle norme impugnate ammonta a circa 419 milioni (7 % del bilancio preventivo per il 1990), la ricorrente richiama la sent. n. 307 del 1983 di questa Corte nella parte in cui ha statuito che il rispetto dell'autonomia finanziaria regionale impone al legislatore statale di evitare una « grave alterazione » del « necessario rapporto di complessiva corrispondenza ... fra bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte ». La decurtazione arrecata alla finanza regionale non andrebbe dunque considerata, secondo la ricorrente, « in termini quantitativi », ma per quella « grave alterazione » cui la Corte aveva fatto riferimento.
Infine, la stessa ricorrente lamenta la violazione dell'art. 47 st. e relative norme di attuazione, giacché il Presidente della Regione non è stato convocato per intervenire alla seduta del Consiglio dei Ministri in cui veniva deliberato il decreto legge impugnato, diversamente da quanto avvenuto in occasione della predisposizione del disegno di legge « di accompagnamento » alla legge finanziaria per l'anno 1990, il cui contenuto è stato ripreso dal decreto legge in questione.
2. Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Provincia di Bolzano ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 20 d. l. n. 415 del 1989 per violazione: degli artt. 8, 9, 10, 16, 69 ss. (titolo VI, con le modifiche e integrazioni apportate dalla l. n. 386 del 1989) st. reg. Trentino-Alto Adige e delle relative norme di attuazione; degli artt. 3, 32, 81, 97, 116 e 119 Cost; dell'art. 52 comma ultimo st. e relative norme di attuazione.
Una specifica censura della Provincia concerne la lesione dell'art. 116 Cost. da parte dell'art. 19, per la duplice discriminazione operata nei confronti delle Regioni a statuto ordinario e di quelle a statuto speciale, giacché la riduzione delle assegnazioni di parte corrente del Fondo sanitario nazionale risulta per queste ultime minore di quella stabilita per la Provincia, con conseguente irragionevole discriminazione nei confronti dei suoi abitanti.
Una seconda specifica censura viene mossa nei confronti dello stesso art. 19 alla luce del principio, stabilito dall'art. 5 l. 30 novembre 1989 n. 386 (adottata con la procedura di cui all'art. 104 st.), che impone la partecipazione delle Province autonome alla « ripartizione di fondi speciali istituiti per garantire livelli minimi di prestazioni in modo uniforme per tutto il territorio nazionale » (comma 1).
Per il resto, le censure vengono svolte con argomentazioni identiche a quelle sostenute nel ricorso riassunto nel numero precedente.
3. Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Regione Trentino-Alto Adige ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 20 d. l. n. 415 del 1989 per violazione: degli artt. 4, 5, 6, 8, 9, 10, 16, 69 ss. st. reg. Trentino-Alto Adige e delle relative norme di attuazione; degli artt. 3, 32, 81, 97, 116 e 119 Cost.; dell'art. 40 comma ultimo st. reg. Trentino-Alto Adige e delle relative norme di attuazione.
La Regione osserva preliminarmente che, sebbene le decurtazioni di trasferimenti finanziari colpiscono le due Province autonome prima e più che la Regione, occorrerebbe, d'altro canto, tener conto che l'art. 20 lett. a) esclude la ricorrente dal fondo per i programmi regionali di sviluppo. Inoltre, non si potrebbe trascurare il nesso inscindibile che lega la Regione alle due Province, che è fondato sul comune statuto di autonomia e sulla coincidenza degli elementi territoriali, organizzativi e personali dei tre enti. Ciò rileverebbe particolarmente nella specie, poiché la pretesa lesione dell'autonomia finanziaria comporta conseguenze negative per i cittadini delle due Province, che sono anche cittadini della Regione. Al fine di giustificare la legittimazione della Regione a proporre il ricorso, la ricorrente richiama poi l'art. 98 comma 1 st., che prevede il potere regionale di impugnativa, non solo per lesione di specifiche competenze, ma per ogni « violazione del presente statuto ». Per il resto, le censure regionali vengono svolte con argomentazioni identiche a quelle sostenute nel ricorso della Provincia di Bolzano (v. punto n. 2).
4. Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Provincia di Trento ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 20 d. l. n. 415 del 1989, Le norme invocate a parametro e le argomentazioni addotte risultano identiche a quelle del ricorso della Provincia di Bolzano (v. punto n. 2).
5. Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Regione Valle d'Aosta ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 20 d. l. n. 415 del 1989 per la violazione: degli artt. 2, 3 e 4; del titolo III (artt. 12 e 13, come modificati e integrati dalle l. 29 novembre 1955 n. 1179 e 26 novembre 1981 n. 690) st. reg. Valle d'Aosta e delle relative norme di attuazione; degli artt. 32, 81, 97, 116 e 119 Cost.; dell'art. 44 st. e relative norme di attuazione.
Le argomentazioni addotte risultano identiche a quelle del ricorso della Regione Sardegna (v. punto n. 1).
6. Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 20 d. l. n. 415 del 1989, per violazione degli artt. 4, 5, 6, 7, 8 del titolo IV (artt. 48-57) st. reg. Friuli-Venezia Giulia e delle relative norme di attuazione; degli artt. 3, 32, 81, 97, 116 e 119 Cost.; dell'art. 44 st. e delle relative norme di attuazione.
Le argomentazioni addotte risultano identiche a quelle del ricorso della Regione Sardegna (v. punto n. 1).
7. Il Presidente del Consiglio dei Ministri si è costituito in giudizio in relazione a tutti i ricorsi indicati nei punti precedenti.
II resistente contesta, in primo luogo, che la riduzione delle assegnazioni di parte corrente del Fondo sanitario nazionale, disposta per ciascuna delle Regioni a statuto speciale e per le Province autonome dall'impugnato art. 19, avrebbe leso la loro autonomia finanziaria. Richiamati taluni passi della sent. n. 245 del 1984 di questa Corte, dai quali desume l'affermazione di una spettanza alle amministrazioni regionali di specifici poteri esercitabili per contenere la spesa sanitaria ed impedire il formarsi di maggiori oneri, il resistente rileva l'infondatezza dell'assunto relativo all'assoluta impotenza delle Regioni a statuto speciale nel governare e tenere sotto controllo la spesa sanitaria. Diversamente da altre norme in passato dichiarate illegittime dalla Corte, quella in esame non comporterebbe un accollo di nuove spese sulle finanze regionali, ma si limiterebbe ad eguagliare le assegnazioni sul Fondo nazionale alla più contenuta spesa riconosciuta occorrente al fine di garantire il servizio sanitario a livelli omogenei rispetto a quelli esistenti nell'intero territorio nazionale. Da ciò deriverebbe, altresì, l'infondatezza delle censure mosse in relazione agli artt. 81 Cost. e 27 l. n. 468 del 1978, nonché in relazione agli artt. 3, 32, 81, 97 e 116 Cost. Del resto, soggiunge l'Avvocatura, la pretesa discriminazione rispetto alle Regioni a statuto ordinario sarebbe esclusa dalla circostanza, sottolineata dalla stessa norma denunciata, che le Regioni a statuto speciale partecipano ai tributi statali in una misura maggiore di quella propria delle Regioni a statuto ordinario. In base a tale premessa, l'esigenza perequativa, sottolineata dalla sent. n. 245 del 1984 di questa Corte in materia di diritto alla salute, non potrebbe costituire argomento per conservare o conseguire un trattamento preferenziale in una materia che non giustifica le particolari garanzie ad altri fini accordate agli enti ad autonomia speciale.
Quanto al comma 1 art. 18 ed all'art. 20 lett. e, l'Avvocatura rileva che la sussistenza di Specifica poteri regionali sia. in. materia di sanità sia in quella dei consultori familiari (artt. 2 e 7 1. n. 405 del 1975), giustificherebbe l'esclusione delle Regioni a statuto speciale tanto dal riparto del fondo sanitario nazionale in conto capitale, quanto dai finanziamenti statali per il servizio dei consultori.
In ordine all'esclusione delle stesse Regioni dal riparto del fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto (art. 18 comma 1), l'Avvocatura dello Stato ricorda che quel riparto aveva la finalità (enunciata dall'art. 9 comma 8 l. n. 151 del 1981) di conseguire l'equilibrio di bilancio delle aziende entro il termine massimo di cinque anni e che le Regioni erano all'uopo tenute a fissare, tra l'altro, gli indirizzi per l'organizzazione e la ristrutturazione dei servizi di trasporto, previa definizione dei limiti territoriali dei c.d. bacini di traffico. Se così è, anche in tal caso mancherebbe il presupposto di un'assenza di poteri regionali di controllo e di governo della spesa in materia.
Ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, l'esclusione dalla partecipazione al riparto di altri fondi settoriali (fondi per interventi programmati in agricoltura e per il piano forestale nazionale) sarebbe giustificata col rilievo che già la l. n. 752 del 1986 limitava al quinquennio '86-'90 gli interventi finalizzati di sostegno (disposti, peraltro, con ampia flessibilità nella ripartizione delle risorse disponibili). L'Avvocatura rileva, inoltre, che dalla disposta esclusione sono esplicitamente eccettuate (art. 20 lett. b) le spese per la concessione di contributi nel pagamento di interessi sui mutui di miglioramento fondiario e su quelli destinati al consolidamento delle passività delle imprese agricole, assicurandosi così la disponibilità alle Regioni delle somme già impegnate. Nessuna lesione deriverebbe, dunque, dalle disposizioni denunciate alla sfera delle ricorrenti, dal momento che l'esclusione dal suddetto riparto equivale ad esonerarle dal concorso nell'attuazione dei piani nazionali.
Analoghe considerazioni varrebbero, ad avviso dell'Avvocatura, a proposito della disposta esclusione dal fondo integrativo per gli asili nido, dal fondo speciale per lo svolgimento delle funzioni della disciolta ONMI e da quello per i consultori familiari.
Infine, viene respinta la censura relativa alla mancata convocazione del Presidente della Giunta alla seduta del Consiglio dei Ministri in cui è stato approvato il decreto legge impugnato, giacché i contenuti del decreto erano stati ripresi dall'originario disegno di legge predisposto e deliberato in una seduta del Consiglio dei Ministri nelle quali sono intervenuti i rappresentanti regionali. Sicché le norme statutarie la cui violazione le ricorrenti lamentano sarebbero state sostanzialmente rispettate.
8. Dopo la conversione in ( l. 28 febbraio 1990 n. 38), senza modifica alcuna, degli artt. 18, 19 e 20 d. l. n. 415 del 1989, le Regioni a statuto speciale Sardegna, Trentino-Alto Adige, Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia, nonché le Province autonome di Bolzano e di Trento, hanno presentato altrettanti ricorsi con i quali hanno ribadito le stesse censure di legittimità costituzionale proposte con i ricorsi nei confronti del decreto legge. Di nuovo, tutte le ricorrenti hanno: lamentato la lesione, da parte della legge di conversione, delle norme dei rispettivi statuti che prevedono l'intervento del Presidente regionale (o provinciale) alle sedute del Consiglio dei Ministri riguardanti questioni di specifico interesse per le ricorrenti stesse. Inoltre, la Provincia autonoma di Bolzano ha esteso l'impugnazione dell'art. 18 comma 1 d.l. impugnato, alla parte in cui dispone l'esclusione della ricorrente dal riparto del fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di gestione delle aziende di trasporto di cui all'art. 9 l. n. 151 del 1981 e, nello stesso tempo, mantiene fermi « i princìpi di cui alla l. 10 aprile 1981 n. 151 ». Anche questa norma sarebbe incostituzionale, secondo la Provincia di Bolzano, tanto perché i suddetti princìpi non potrebbero vincolare le potestà di tipo esclusivo godute in materia dalla ricorrente (art. 8 nn. 18 e 19, e art. 16 st.), quanto perché la l. n. 151 del 1981 limita espressamente l'efficacia di quei princìpi alle Regioni a statuto ordinario.
9. La Regione Sicilia, con ricorso ritualmente notificato e depositato, ha sollevato questione di legittimità costituzionale nei confronti degli artt. 18, 19 e 20 d. l. n. 415 del 1989, conv. nella l. 28 febbraio 1990 n. 38, per violazione degli artt. 118 e 97 Cost. e 36 st. spec. sic.; degli artt. 54, 119 e 3 Cost., nonché 36 e 38 st.; degli artt. 3, 32, 81, 97 e 119 Cost., nonché 17, 36 e 38 st.
Secondo la Regione Sicilia, la riduzione o la cessazione dei finanziamenti statali stabilite con le disposizioni impugnate violerebbero, innanzitutto, il principio di logicità nonché l'autonomia finanziaria della Regione, m quanto, anziché essere disposte attraverso un processo graduale, comporterebbero invece un'improvvisa e immotivata restrizione delle finanze regionali.
In secondo luogo, le disposizioni impugnate violerebbero i princìpi posti dall'art. 53 Cost., in quanto la sottrazione di entrate ivi prevista comporterebbe un « concorso alle spese pubbliche» da parte della Regione in contrasto con la norma costituzionale che impone quel concorso a « tutti in ragione della loro capacità contributiva ». Né andrebbe trascurato, secondo la ricorrente, l'art. 38 st., che prevede entrate al fine specifico di « bilanciare il minore ammontare dei redditi di lavoro rispetto alla media nazionale », fine che risulterebbe frustrato dalle disposizioni impugnate, comportanti una maggiore imposizione fiscale e, quindi, una decurtazione ulteriore dei redditi dei cittadini della Regione e il rischio di maggiore disoccupazione.
Infine, la stessa ricorrente denuncia l'incostituzionalità delle disposizioni che riducono i finanziamenti in materia di trasporti e di servizio sanitario con argomenti analoghi a quelli addotti dalle altre ricorrenti in ordine alla pretesa lesione della loro autonomia finanziaria.
10. Pure nei confronti dei ricorsi riportati nei punti 8 e 9 si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, riformulando le obiezioni già enunciate negli scritti difensivi riassunti nel precedente punto 7, anche per quanto riguarda la presunta lesione delle norme statutarie sulla partecipazione dei Presidenti delle Giunte delle Province di Trento e diBolzano alla seduta del Consiglio dei Ministri nella quale è stato deliberato il disegno di legge di conversione del decreto legge impugnato.
Rispetto alle nuove censure proposte della Provincia di Bolzano in relazione all'art. 18 comma 1, l'Avvocatura dello Stato ne chiede l'inammissibilità, per il fatto che, non essendo state formulate nei confronti della corrispondente norma del decreto-legge, si opererebbe una sorta di rimessione in termini ove le si ritenesse giustificate.
In relazione al ricorso della Regione Sicilia, l'Avvocatura dello Stato, oltre a riformulare argomenti analoghi a quelli svolti verso gli altri ricorsi, osserva, in ordine alla pretesa violazione dell'art. 53 Cost., che gli sforzi argomentativi cui si affida il ricorso non varrebbero comunque a trasformare la natura obiettiva delle norme impugnate in quella propria di norme di imposizione fiscale.
11. In prossimità dell'udienza tutte le ricorrenti, ad eccezione della Sicilia, hanno presentato ulteriori memorie.
La Provincia di Bolzano, nel ribadire le proprie censure, ricorda che, a norma dell'art. 104 st., le misure di contenimento della finanza regionale avrebbero dovuto essere previste su concorde richiesta del Governo e della Provincia (come ha riconosciuto anche la Commissione parlamentare per le questioni regionali nel parere adottato in data 18 ottobre 1989). Essa aggiunge, inoltre, che la replica dell'Avvocatura dello Stato sulla partecipazione del Presidente della Giunta provinciale alle sedute del Consiglio dei Ministri non avrebbe alcuna rilevanza sul piano giuridico.
Nella loro memoria unica, le altre ricorrenti, ribadite le proprie posizioni su tutti i punti della controversia e, in particolare, sulla rigidità della spesa sanitaria e sull'irragionevolezza dei tagli apportati (che sarebbe comprovata anche dalle riserve espresse nel corso dei lavori parlamentari), replicano all'Avvocatura che la proposizione nei confronti della legge di conversione di censure non prospettate contro il decreto legge non può ritenersi preclusa, in quanto la legge di conversione, perpetuando i vizi di costituzionalità del decreto-legge, rinnoverebbe per ciò stesso la lesione delle competenze regionali (o provinciali). Del resto, concludono le ricorrenti, nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale non trova applicazione l'istituto dell'acquiescenza.
 
Considerato in diritto: 1. Dal momento che hanno ad oggetto le medesime disposizioni legislative, possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza sia i ricorsi presentati dalla Regione Sardegna, dalla Provincia autonoma di Bolzano, dalla Regione Trentino-Alto Adige, dalla Provincia autonoma di Trento e dalle Regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia nel confronti degli artt. 18, 19 e 20 d. l. 28 dicembre 1989 n. 415, sia i ricorsi presentati dalla Provincia autonoma di Bolzano, dalle Regioni Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta, dalla Provincia autonoma di Trento e delle Regioni Sardegna e Friuli-Venezia Giulia, nei confronti dell'art. 1 l. 28 febbraio 1990 n; 38, nella parte in cui ha convertito in lègge, senza modificazioni, gli artt. 18, 19 e 20 predetto d.l.
2. Il ricorso presentato dalla Regione Trentino-Alto Adige va dichiarato inammissibile per mancanza d'interesse della stessa Regione, salvo che per quanto si riferisce alle censure sollevate nei confronti dell'art. 20 lett. a) d. l. n. 415 del 1989, conv. nella l. n. 38 del 1990.
Poiché la Regione ricorrente possiede competenze che non possono essere incise dalle disposizioni impugnate salvo che dall'art. 20 lett. a) il quale esclude le Regioni a statuto speciale dal riparto del « fondo per i programmi regionali di sviluppo a destinazione indistinta di cui all'art. 9 l. 16 maggio 1970 n. 281, al netto della quota spettante ai sensi della l. 30 maggio 1965 n. 274 » -, l'interesse a ricorrere della Regione Trentino-Alto Adige non può essere limitato ad altro che alla disposizione da ultimo ricordata.
Né può riconoscersi alcun fondamento alle argomentazioni addotte dalla difesa della ricorrente al fine di dimostrare la piena legittimazione della Regione Trentino-Alto Adige nel giudizio in considerazione. Innanzitutto, l'indubbio legame che unisce la suddetta Regione alle Province autonome di Trento e di Bolzano non può indurre a ritenere che la prima possa surrogarsi o possa affiancarsi all'una o all'altra delle Province nella difesa dell'integrità delle attribuzioni di queste ultime, poiché la comune soggezione al medesimo statuto speciale e la coincidenza del territorio (oltreché della popolazione) regionale con quelli delle Province congiuntamente considerate non sono elementi tali da portare a superare il rilievo che lo statuto Trentino-Alto Adige riconosce alla Regione e alle due Province autonome competenze legislative e amministrative rigorosamente distinte. In secondo luogo, nessun argomento in senso contrario può desumersi dall'ari. 98 st. spec. Trentino-Alto Adige, poiché quest'ultimo, nel prevedere in forma sintetica che la Regione o le Province autonome possono presentare ricorso alla Corte costituzionale nei confronti di leggi o di atti con forza di legge adottati in « violazione del presente statuto », non può non voler dire che il suddetto ricorso è ammesso nei limiti in cui la Regione o le singole Province siano legittimate a proporlo, vale a dire nei limiti in cui l'addotta violazione dello statuto si riferisca a sfere di autonomia costituzionale rispettivamente attribuite all'una o a ciascuna delle altre.
3. Va, invece, respinta l'eccezione d'inammissibilità sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato nei confronti della censura prospettata dalla Provincia autonoma di Bolzano avverso l'art. 1 l. 38 del 1990, nella parte in cui ha convertito, senza modificazioni, l'art. 18 comma 1 d. l. n. 415 del 1989, relativamente alla esclusione della Provincia stessa dal riparto del fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di gestione delle aziende di trasporto di cui all'art. 9 1. n. 151 del 1981.
Questa Corte ha più volte affermato che la formulazione di una nuova censura nei confronti di una norma convertita in legge senza modificazioni non può considerarsi preclusa dal fatto che la stessa ricorrente non l'abbia proposta nel ricorso presentato dalla medesima nei confronti del decreto legge anteriormente alla conversione. Il rilievo che la disposizione censurata con il ricorso presentato contro la legge di conversione era già contenuta, in forma identica, nel decreto legge e non era stata impugnata con il relativo ricorso non può, infatti, comportare l'esclusione della prospettazione di nuove censure dopo che il decreto sia stato convertito, senza modificazioni, in legge, poiché la conversione, rendendo permanente e definitiva la disciplina normativa adottata in via provvisoria, perpetua gli eventuali vizi di legittimità costituzionale e, pertanto, rinnova la lesione delle competenze regionali (o provinciali) che si assume derivare da quella disciplina (v. sentt. nn. 113 del 1967, 192 del 1970, 151 del 1986, ord. n. 1035 del 1988).
4. Non fondata è la questione di legittimità costituzionale che tutte le ricorrenti, ad eccezione della Sicilia, hanno sollevato nei confronti degli artt. 18, 19 e 20 d. l. n. 415 del 1989, conv. nella l. n. 38 del 1990, per violazione delle rispettive disposizioni statutarie (artt. 52 comma ultimo st. reg. Trentino-Alto Adige; 40 comma ultimo st. reg. Trentino-Alto Adige; 44 comma ultimo st. reg. Valle d'Aosta; 47 comma ultimo st. reg. Sardegna e 44 st. reg. Friuli-Venezia Giulia) che impongono la convocazione dei Presidenti di ciascuna delle Regioni o delle Province ricorrenti alle sedute del Consiglio dei Ministri nelle quali si adottano deliberazioni su questioni che interessano particolarmente l'autonomia di ciascuna delle stesse.
Questa Corte ha costantemente affermato che la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province ad autonomia differenziata alle sedute del Consiglio dei Ministri nelle quali si discutono questioni di interesse delle rispettive Regioni (o Province autonome) si rende necessaria soltanto nei casi in cui l'interesse di quest'ultime possa essere qualificato, oltreché di particolare rilevanza o intensità, come interesse differenziato, nel senso che dev'essere tale da distaccarsi da quelli generali e comuni a tutte o a una categoria di Regioni e da configurarsi come interesse proprio e peculiare della singola Regione (o Provincia autonoma) (v. sentt. nn. 34 e 166 del 1976, 627 del 1988, 544 e 545 del 1989, 224 del 1990). Nel caso dedotto in questi giudizi si è, invece, di fronte a una disciplina normativa concernente trasferimenti di risorse finanziarie tra lo Stato e tutte le Regioni (o le Province) ad autonomia speciale, che è inserita in un disegno generale vòlto a dettare norme urgenti per l'intero complesso della finanza regionale e locale.
5. Non fondate sono, altresì, le varie questioni di legittimità costituzionale che le ricorrenti prospettano nei confronti dell'insieme delle disposizioni contenute negli artt. 18, 19 e 20 d. l. n. 415 del 1989, conv., senza modif., dalla l. n. 38 del 1990.
In linea generale, le ricorrenti contestano le decurtazioni delle entrate operate con le disposizioni impugnate in quanto produrrebbero un grave squilibrio nella finanza regionale, nel senso che, di fronte a bisogni e a spese che restano immutati e sulla cui misura le Regioni (e le Province autonome) non hanno alcun potere di incisione, si produrrebbe una sensi» bile diminuzione delle risorse finanziarie, con conseguente violazione, oltreché delle norme statutarie attributive di competenze, degli artt. 119 e 81 comma 4 Cost., anche in relazione all'art. 27 l. 5 agosto 1978 n. 468. Inoltre esse lamentano che con le norme impugnate si sia realizzata una discriminazione a loro danno nei confronti delle Regioni a statuto ordinario e delle collettività da queste amministrate, in violazione degli artt. 3, 32, 97 e 116 Cost.
La posizione delle ricorrenti muove dall'erronea convinzione che il d. l. n. 415 del 1989 abbia provveduto a stabilire per la finanza delle Regioni (e delle Province) ad autonomia differenziata un nuovo e definitivo rapporto tra entrare e spese. In realtà, come risulta chiaramente dai lavori preparatori e in particolare dalla relazione al disegno di legge di conversione del medesimo decreto-legge, le norme impugnate contengono misure provvisorie, vòlte ad allineare le entrate prese in considerazione su un livello minimo calcolato in base a parametri di omogeneità delle relative prestazioni in riferimento all'intero territorio nazionale, misure che, comunque, fanno salvi - ed, anzi, si assumono come propedeutiche rispetto a - i futuri aggiustamenti che verranno definitivamente apportati a seguito di trattative del Governo con le singole Regioni (o Province) ad autonomia differenziata e nell'ambito di una riconsiderazione globale della materia, basata su più approfondite analisi del rapporto tra i flussi finanziari esistenti fra lo Stato e le Regioni (e le Province autonome) e le funzioni esercitate da queste ultime.
Non vi può esser dubbio che, come sottintendono le ricorrenti allorché lamentano una discriminazione in peius rispetto alle Regioni a Statuto ordinario, la specificità dell'autonomia deve riflettersi anche sul piano finanziario, nel senso che le Regioni e le Province autonome cui la Costituzione e gli statuti assegnano più ampie e significative competenze debbono essere messe in grado di avere a disposizione risorse finanziarie maggiori e, comunque, adeguate alla più elevata quantità e qualità delle attribuzioni loro spettanti. Ma questa esigenza non può giustificare la pretesa che le Regioni (e le Province) ad autonomia differenziata siano chiamate a compartecipare con le Regioni a statuto ordinario a tutti i fondi settoriali previsti a favore di queste ultime. Come si sottolinea nella già ricordata relazione al disegno di legge di conversione del decreto legge impugnato, gli strumenti appropriati per stabilire un equilibrio tra le risorse finanziarie assegnate alle Regioni (e alle Province) ad autonomia differenziata e i più complessi compiti assegnati alle medesime sono costituiti dalle norme di attuazione e dalle leggi previste dagli statuti per la revisione delle proprie norme finanziarie.
In considerazione di ciò e, in particolare, del rilievo che le disposizioni impugnate rappresentano provvedimenti provvisori contenenti una parte di una globale manovra finanziaria che dovrà esser compiutamente realizzata con gli appropriati strumenti legislativi, non è possibile ravvisare nelle misure urgenti impugnate motivi che possano indurre a dichiarare la loro complessiva previsione come costituzionalmente illegittima. Questa Corte ha più volte affermato che la Costituzione e gli statuti speciali non definiscono, né garantiscono, l'autonomia finanziaria delle Regioni (e delle Province autonome) « in termini quantitativi » e che la concessione ovvero l'eliminazione o la riduzione di determinati finanziamenti rivolti a scopi specifici rientrano nella discrezionalità del legislatore statale, ove, considerate nel loro insieme, non determinino quella « grave alterazione » del necessario rapporto di complessiva corrispondenza, che - nel rispetto delle compatibilità con i vincoli generali, derivati dalle preminenti esigenze della finanza pubblica nel suo insieme, - deve sussistere fra bisogni regionali e oneri finanziari per farvi fronte, affinché alle Regioni (e alle Province autonome) non sia impedito il normale espletamento delle loro funzioni (sent. n. 307 del 1983). In realtà, quest'ultima conseguenza non può essere imputata all'insieme delle disposizioni oggetto dell'attuale impugnazione, sia perché tali norme, come si preciserà meglio nell'esame delle censure più specifiche, perseguono un fine perequativo, sia perché esse non alterano il collegamento automatico di una consistente parte delle entrate delle Regioni (e delle Province) ad autonomia differenziata con il gettito dei tributi erariali regionalmente riscossi (sicché le stesse riduzioni lamentate possono considerarsi suscettibili di un prevedibile riassorbimento nel tempo).
6. L'art. 19, che è impugnato da tutte le ricorrenti, per violazione del principio di ragionevolezza e per disparità di trattamento rispetto alle Regioni a statuto ordinario e alle relative popolazioni (artt. 3, 32 e 116 Cost.), dispone che, a decorrere dall'anno 1990, « alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano le assegnazioni di parte corrente del Fondo sanitario nazionale sono ridotte, tenuto conto del livello della compartecipazione ai tributi statali risultanti dai rispettivi ordinamenti, del 20 % per la Regione Valle d'Aosta e per le Province autonome di Trento e di Bolzano, del 10 % per le Regioni Sicilia e Friuli-Venezia Giulia e del 5 % per la Regione Sardegna ».
Oltre alle considerazioni già svolte nel punto precedente, occorre sottolineare che questo articolo, insieme agli artt. 18 e 20, attua una operazione finanziaria avente il fine di riequilibrare, nei campi considerati, gli effetti distorcenti prodottisi nei flussi finanziari tra Stato e Regioni nel corso degli anni precedenti all'emanazione del decreto legge. In questo periodo di tempo, infatti, la complessiva manovra dello Stato, volta a contenere la spesa pubblica e, in questo quadro, i trasferimenti alle Regioni e agli enti locali, mentre ha prodotto una riduzione delle risorse reali messe a disposizione delle Regioni a statuto ordinario, ha invece portato le Regioni (e le Province) ad autonomia differenziata (oltreché i Comuni) a beneficiare di ogni incremento reale e monetario della pressione fiscale esercitata dallo Stato, a causa del sostanziale agganciamento delle loro entrate alla dinamica dei tributi a livello statale. Sicché l'impugnata riduzione delle assegnazioni di parte corrente del Fondo sanitario nazionale - a fronte dell'accrescimento delle risorse finanziarie avvenuto a favore delle Regioni (e delle Province) ad autonomia differenziata e del perdurante effetto compensativo a loro favore realizzato dal tipo e dalla dimensione della compartecipazione delle stesse Regioni ai tributi statali - non appare affatto arbitraria ed irragionevole sia con riferimento al raffronto con le Regioni a statuto ordinario, sia con riguardo agli effetti sull'equilibrio finanziario degli enti ad autonomia differenziata a seguito della manovra contestata.
In conseguenza dei motivi ora addotti risulta non fondata anche la censura relativa alla violazione dell'art. 97 Cost., con riferimento all'incidenza negativa che la norma impugnata avrebbe sulla funzionalità dell'amministrazione regionale.
7. Lo stesso art. 19 è impugnato dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, nonché dalla Regione Valle d'Aosta, nella parte in cui quantifica la decurtazione prima ricordata al 20% delle assegnazioni di parte corrente del Fondo sanitario nazionale, dal momento che tale determinazione, in violazione degli artt. 3, 32 e 116 Cost., discriminerebbe in peius le ricorrenti in paragone alle altre Regioni ad autonomia differenziata (e alle relative popolazioni), le quale si sono viste ridurre le predette assegnazioni in percentuali minori (10% per la Sicilia e il Friuli-Venezia Giulia e 5 % per la Sardegna).
Posto che, come si è già avvertito, il sindacato della Corte costituzionale è necessariamente ristretto alla verifica della ragionevolezza della scelta operata dal legislatore, non appare certo arbitraria una riduzione che è stata variamente modulata dal legislatore in ragione del livello di compartecipazione ai tributi statali proprio in ciascuna Regione (o Provincia) ad autonomia differenziata.
8. Sempre l'art. 19 è oggetto ad un'ulteriore censura da parte delle Province autonome di Trento e di Bolzano per la addotta violazione dell'art. 5 comma 1 l. 30 novembre 1989 n. 386, - approvata con la procedura di cui all'art. 104 st. - a norma del quale « le Province autonome partecipano alla ripartizione dei Fondi speciali istituiti per garantire livelli minimi di prestazioni in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, secondo i criteri e le modalità per gli stessi previsti ».
Anche tale questione non è fondata, dal momento che, pur se il Fondo sanitario nazionale ha indubbiamente le caratteristiche dei fondi menzionati dalla norma invocata come parametro (v. art. 51 l. n. 833 del 1978, per il quale il Fondo sanitario nazionale è preordinato al fine di «tendere a garantire i livelli di prestazione sanitaria [...] in modo uniforme su tutto il territorio nazionale »), non v'è alcuna disposizione nell'art. 5 l. n. 386 del 1989 o in altra legge idonea a fungere da parametro costituzionale che garantisca una determinata quota, vale a dire una quantità di risorse finanziarie definita direttamente o attraverso il rinvio a precisi indici. Del resto, una siffatta garanzia non può ragionevolmente rinvenirsi in alcuna norma, per il fatto che l'anzidetta finalità perequativa dei fondi prima menzionati comporta logicamente che il legislatore proceda ad aggiustamenti progressivi in vista del superamento degli squilibri eventualmente formatisi tra le singole Regioni (o Province autonome).
9. Oggetto di impugnazione sono anche: a) l'art. 18 comma 1 d. l. n. 415 del 1989, nella parte in cui prevede, a decorrere dal 1990, la cessazione della corresponsione alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano dei finanziamenti di cui all'art. 5 l. 29 luglio 1975 n. 405, all'art. 10 l. 23 dicembre 1975 n. 698, all'art. 3 l. 22 maggio 1978 n. 194 e all'art. 1 l. 29 novembre 1977 n. 891; b) l'art. 20 stesso d.l., il quale esclude, a partire dal 1990, le anzidette Regioni e Province autonome dal riparto dei fondi ivi previsti (fondo per i programmi regionali di sviluppo a destinazione indistinta, fondo per l'attuazione del piano forestale nazionale, fondo per gli investimenti del settore dei trasporti pubblici locali, fondo sanitario di conto capitale). Tali articoli sono impugnati per violazione dell'autonomia finanziaria garantita alle ricorrenti dagli artt. 119 e 81 comma 4 Cost. (in relazione all'art. 27 l. n. 468 del 1978), nonché per violazione del principio di parità di trattamento fra gli enti regionali nel godimento dei diritti e delle posizioni garantiti dagli artt. 3, 32, 97 e 116 Cost.
Tali questioni vanno dichiarate non fondate per gli stessi motivi espressi in precedenza e, in particolare, nei punti 5 e 6. Oltre a quegli argomenti non è inutile ricordare che la compartecipazione delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome ai fondi vincolati indicati nelle norme impugnate costituisce un elemento aggiuntivo rispetto alle entrate libere, oggi assolutamente prevalenti in linea di fatto.
10. L'art. 18 comma 1, è altresì impugnato da tutte le ricorrenti nella parte in cui esclude dal riparto del fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto di cui all'art. 9 l. 10 aprile 1981 n. 151, le Regioni e le Province ad autonomia differenziata, obbligando tuttavia queste stesse al rispetto del principio stabiliti nella predetta legge, fra i quali quello che impone alle Regioni di intervenire a ripianare i disavanzi delle aziende medesime. Anche tale disposizione violerebbe il principio costituzionale dell'autonomia finanziaria delle Regioni (e delle Province autonome) nelle materia di loro competenza (trasporti), in quanto, a giudizio delle ricorrenti, addosserebbe ad esse oneri senza dotarle di adeguate risorse per farvi fronte.
L'infondatezza della questione ora esaminata discende dagli stessi argomenti esposti in precedenza nei punti 5 e 6. Né può costituire un elemento di difformità rilevante il ribadito vincolo all'osservanza, da parte delle Regioni e delle Province ad autonomia differenziata, dei princìpi della l. n. 151 del 1981. Quest'ultima, infatti, oltre a essere nel suo complesso una legge quadro sui trasporti pubblici locali, contiene princìpi di coordinamento finanziario che, in quanto dettati in vista del perseguimento di finalità di interesse nazionale, non possono non vincolare anche le Regioni (e le Province) ad autonomia differenziata. Il fatto che il legislatore abbia ribadito nelle disposizioni impugnate il vincolo ora menzionato non ha altro significato fuorché quello di precisare che i « princìpi di cui alla l. 10 aprile 1981 n. 151 », debbono essere intesi come i princìpi di coordinamento finanziano ricavabili dalla predetta legge, disposti al fine dell'equilibrio finanziario delle aziende di trasporto locali.
11. Un'ultima censura è mossa dalla Regione Sicilia agli artt. 18, 19 e 20 d. l. n. 415 del 1989, i quali contrasterebbero con l'art. 53 Cost. in quanto la sottrazione o la riduzione delle entrate previste nelle disposizioni impugnate comporterebbero un « concorso alle spese pubbliche » da parte della Regione stessa, in difformità con il principio costituzionale che impone quel concorso « a tutti in ragione della loro capacità contributiva ». Gli stessi articoli, sempre secondo la ricorrente, contrasterebbero anche con l'art. 38 st. spec. Sicilia, il quale, muovendosi in senso opposto alle disposizioni impugnate, prevede invece un contributo statale a titolo di solidarietà nazionale, diretto al fine specifico di « bilanciare il minore ammontare dei redditi di lavoro rispetto alla media nazionale ».
La palese infondatezza delle questioni sollevate discende, come ha sottolineato giustamente l'Avvocatura generale dello Stato, dall'assoluta insuscettibilità delle disposizioni impugnate ad esser considerate come norme di imposizione tributaria.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 20 lett. b), e), d), e) d. l. 28 dicembre 1989 n. 415 (« Norme urgenti in materia di finanza locale e di rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni, nonché disposizioni varie »), conv. nella l. 28 febbraio 1990 n. 38, sollevata, con il ricorso indicato in epigrafe, dalla Regione Trentino-Alto Adige, in riferimento all'art. 4.0 comma ultimo d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 (statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige), agli artt. 4, 5, 6, 8, 9, 10, 16, 69 ss. medesimo statuto, nonché agli artt. 119 e 81 comma 4 Cost. anche in relazione all'ari. 27 l. 5 agosto 1978 n. 468 ed agli artt. 3, 32, 116 e 97 Cost.;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 20 (limitatamente alla lett. a per la Regione Trentino-Alto Adige) d.l.. 28 dicembre 1989 n. 415, conv. nella l. 28 febbraio 1990 n. 38, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Province autonome di Trento e Bolzano, dalla Regione Trentino-Alto Adige, dalla Regione Valle d'Aosta, dalla Regione Sardegna e dalla Regione Friuli-Venezia Giulia in riferimento, rispettivamente, all'ari. 52 comma ultimo d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 (statuto speciale per la, Regione Trentino-Alto Adige), all'art. 40 comma ultimo, medesimo statuto, all'art. 44 comma ultimo l. cost. 26 febbraio 1948 n. 4 (statuto speciale per là Regione Valle d'Aosta), all'art. 47 comma ultimo l. cost. 26 febbraio 1948 n. 3 (statuto speciale per la Regione Sardegna) ed all'art. 44 l. - cost. 31 gennaio 1963 n. 1 (statuto speciale per la Regione Friuli-Venezia Giulia);
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 18,19 e 20, considerati nel loro complesso, d. l. n. 415 del 1989, conv. nella l. n. 38 del 1990, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano e dalle Regioni Sardegna, Sicilia, Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia in riferimento, rispettivamente, agli artt. 8, 9, 10 e 16 st. Trentino-Alto Adige, agli artt. 3, 4, 5 e 6 e al Titolo III (artt. 7-14) st. reg. Sardegna, all'art. 17 st. reg. Sicilia, agli artt.2, 3 e 4, e al Titolo III st. reg. Valle d'Aosta, agli artt. 4, 5, 6, 7, 8 e al Titolo VI st. reg. Friuli-Venezia Giulia, nonché agli artt. 119 ed 81 comma 4 Cost., anche in relazione all'art. 27 l. n. 468 del 1978, ed agli artt. 3, 32, 97 e 116 Cost.;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 d. l. n. 415 del 1989, conv. nella l., n. 38 del 1990, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, e dalle Regioni Sardegna, Sicilia, Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia in riferimento agli artt. 3, 32, 97 e 116 Cost.;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 d. l. n. 415 del 1989, conv. nella l. n. 38 del 1990, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Province autonome di Bolzano e Trento e dalla Regione Valle d'Aosta, in riferimento agli artt. 3, 32 e 116 Cost.;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 d. l. n. 415 del 1989, conv. nella l. n. 38 del 1990, sollevata, con incorsi indicati in epigrafe, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, in riferimento all'art. 5 comma 1 l. 30 novembre 1989 n. 396;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18 comma 1, primo periodo, dell'art. 20 d. l. n. 415 del 1989, conv. nella l. n. 38 del 1990, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, dalle Regioni Sardegna, Sicilia, Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia, in riferimento agli artt. 119, 81 comma 4 Cost., anche in relazione all'art. 27 l. n. 468 del 1978, nonché in riferimento agli artt. 3, 32, 97 e 116 Cost.;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 lett. a) d. l. n. 415 del 1989, conv., nella l. n. 38 del 1990, sollevata, con il ricorso indicato in epigrafe, dalla Regione Trentino-Alto Adige, in riferimento agli artt. 119, 81 comma 4 Cost., anche in relazione all'art. 27 l. n. 468 del 1978, nonché in riferimento agli artt. 3, 32, 97 e 116 Cost.;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18 comma 1 secondo e terzo periodo d. l. n. 415 del 1989, conv. nella l. n. 38 del 1990, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Province autonome di Trento e Bolzano, dalle Regioni Sardegna, Sicilia, Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia in riferimento, rispettivamente, agli artt. 8 n. 18 st. reg. Trentino-Alto Adige; 3 lett. g) st. reg. Sardegna; 17 st. reg. Sicilia; 2 lett. h) st. reg. Valle d'Aosta e 53 d.P.R. 22 febbraio 1982 n. 182; 4 n. 11 st. reg. Friuli-Venezia Giulia;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 18, 19 e 20 d. l. n. 415 del 1989, conv. nella l. n. 38 del 1990 sollevata, con il ricorso indicato in epigrafe, dalla Regione Sicilia in riferimento all'art. 53 Cost. e all'art. 38 st. reg. Sicilia.
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