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In vigore al: 11/09/2012

Corte costituzionale - Sentenza N. 459 del 27.07.1989
Finanziamenti statali per la realizzazione di parcheggi urbani in favore dei Comuni

Sentenza: (19 luglio) 27 luglio 1989 n. 459; Pres. Saja - Red Caianiello
 
Ritenuto in fatto: 1. Con tre distinti ricorsi le Regioni Emilia-Romagna e Lombardia e la Provincia autonoma di Trento hanno impugnato alcune norme della l. 24 marzo 1989 n. 122 (Disposizioni in materia di parcheggi, programma triennale per le aree urbane maggiormente popolate, nonché modificazioni di alcune norme del testo unico sulla disciplina della circolazione stradale, approvato con d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393), in riferimento a parametri costituzionali in parte eguali e in parte diversi, ma tutti diretti alla salvaguardia delle competenze regionali o provinciali.
2.1. La Regione Emilia-Romagna censura, in primo luogo, l'art. 3 comma 2, della citata legge che, disponendo che le Regioni sono tenute ad approvare i programmi comunali dei parcheggi urbani entro il termine di 30 giorni dal loro ricevimento — decorso il quale, senza che sia intervenuta una deliberazione di rigetto, si forma il provvedimento di approvazione in forza del silenzio-accoglimento esplicitamente previsto — porrebbe un termine troppo breve che impedisce di fatto l'esercizio delle competenze regionali in materia di urbanistica e di trasporti, e quindi più in generale in tema di assetto del territorio, così violando gli artt. 117 e 118 Cost., anche considerando che i programmi predetti, per esplicita ammissione normativa, costituiscono varianti agli strumenti urbanistici vigenti.
In particolare, il sistema previsto nella norma impugnata non solo interviene con una disciplina di dettaglio della formazione degli strumenti urbanistici, ma pone a carico della Regione, per la procedura istruttoria e decisoria, un termine di brevità irragionevole, tale da non poter essere rispettato, sì che l'istituto del silenzio-accoglimento, previsto solo come eccezione, diverrebbe la regola della procedura.
L'irragionevolezza sarebbe ancor più evidente ove si considerino le interconnessioni che il programma comunale dei parcheggi presenta con i sistemi della viabilità, del trasporto collettivo e addirittura del trasporto ferroviario, correlati ad interessi territoriali sovracomunali che, come tali, non possono che essere valutati dall'organo regionale.
Pertanto o il termine esageratamente breve è posto per sottrarre scientemente alla Regione le proprie competenze, così violandosi i ricordati parametri costituzionali (artt. 117 e 118), ovvero il termine è frutto di irragionevolezza e quindi la norma che lo prevede si pone in contrasto con gli stessi parametri in relazione anche agli artt. 3 e 97 Cost.
2.2. Le medesime considerazioni sono poi svolte dalla Regione ricorrente a sostegno della impugnativa concernente l'art. 6 comma 6 (rectius: 4), l. n. 122 del 1989, che direttamente individua determinati Comuni (fra cui Bologna) tenuti a formulare i previsti programmi.
2.3. Viene altresì impugnato, dalla stessa Regione, l'art. 9 l. n. 122 che consentirebbe ai proprietari di immobili o ai Comuni, che, rispettivamente, realizzino o prevedano la realizzazione di parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, un'indiscriminata utilizzazione del sottosuolo, a prescindere dalla localizzazione di siffatti interventi, e nel rispetto dei soli vincoli paesaggistici e ambientali, così ledendo le competenze regionali in materia di assetto del territorio, ed obliterando del tutto gli aspetti geologici e di sicurezza sismica.
Inoltre la norma, per il rispetto dei vincoli paesaggistici e ambientali, nel prevedere che i poteri regionali (oltreché quelli dei Ministeri dell'ambiente e dei beni culturali) nella materia vengano motivatamente esercitati nel termine di 90 giorni — ipotizzandosi così la formazione di un silenzio-accoglimento alla scadenza — non salvaguarderebbe per la brevità del termine gli interessi della difesa del paesaggio, che, per insegnamento della Corte cost. (sent. n. 151 del 1986), costituisce « valore primario » dell'ordinamento. Ciò soprattutto se si paragona la citata previsione legislativa con la l. 28 febbraio 1985 n. 47, il cui art. 32 accorda alle Amministrazioni preposte alla tutela dei vincoli un termine ben più congruo di 180 giorni, decorso il quale la domanda di sanatoria si intende non accolta (come nel caso ora all'esame), ma respinta.
Se quindi il legislatore, in un caso, ha trovato congrue un termine di 180 giorni per arrivare al diniego di accoglimento di una domanda che si Ponga in contrasto con i valori paesistici, non è ragionevole nell'altro caso un termine dimezzato (90 giorni) per di più per giungere ad un accoglimento, in violazione delle attribuzioni che, in tema di tutela del valore primario rappresentato dal paesaggio, l'ordinamento riconosce alle Regioni, le quali, nella materia, sono tenute all'osservanza dei princìpi fondamentali e generali e, a maggior ragione, del principio supremo posto a garanzia di detto valore primario, insopprimibile persino ad opera di leggi costituzionali (sent. n. 1146 del 1988). Sotto quest'ultimo aspetto si avrebbe, altresì una violazione dell'art. 9 Cost.
3.1. La Provincia autonoma di Trento ha impugnato nel presupposto di essere anch'essa destinataria della nuova normativa statale — gli artt. 1, 3 e 4 l. 24 marzo 1989 n. 122 per violazione degli artt. 8 n. 17 e 16 st. spec. di autonomia (d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670), delle relative norme di attuazione in materia di « urbanistica e opere pubbliche » adottate con d.P.R. 22 marzo 1974 n. 381, del titolo VI del medesimo statuto relativo all'autonomia finanziaria della Provincia (in particolare artt. 78 e 79) e dell'art. 119 Cost.
Assume in primo luogo la ricorrente che le norme impugnate, disciplinando gli interventi per la realizzazione di parcheggi pubblici, inciderebbero su materie riservate alla competenza esclusiva della Provincia, quali la « viabilità e i lavori pubblici di interesse provinciale » (artt. 8 n. 17 e 16, st.), per le quali spetterebbe alla Provincia, e non allo Stato, di disporre in ordine ai singoli interventi comunali e ai relativi finanziamenti agli enti locali; l'art. 3 comma 6 l. n. 122, affidando invece tali funzioni al Presidente del Consiglio dei Ministri (o, per sua delega, al Ministro delle aree urbane), si porrebbe in violazione delle suddette attribuzioni provinciali.
3.2. In secondo luogo la disciplina impugnata precluderebbe alla Provincia ricorrente la possibilità di una effettiva programmazione degli interventi per la realizzazione dei parcheggi nei Comuni del suo territorio, ostacolata altresì dalla previsione del silenzio-approvazione (art. 3 comma 2) e dall'apposizione di un termine di soli trenta giorni di per sé vessatorio per l'esercizio dei poteri provinciali.
La incostituzionalità della norma denunciata sarebbe ancor più palese per il fatto che, in materia, la Provincia autonoma di Trento ha già provveduto con proprie leggi (da ultimo l. prov. 25 novembre 1988 n. 44, art. 2), nell'ambito delle quali ha già dato esecuzione al previsto piano per la costruzione di parcheggi pubblici.
Né, ad avviso della ricorrente, la disciplina impugnata potrebbe giustificarsi come espressione del potere statale di indirizzo e coordinamento, per il quale non sussisterebbero in concreto i presupposti ripetutamente indicati dalla Corte cost. (sentt. nn. 340 del 1983, 357 del 1985, 49 del 1987, 177 del 1988 e 242 del 1989), specie con riferimento a materie di competenza esclusiva o primaria.
3.3. Sotto altro profilo tutte le norme impugnate (artt. 1, 3 e 4 l. n. 122), creando un meccanismo centralizzato di finanziamento in materia di esclusiva competenza provinciale, determinerebbero la lesione della autonomia finanziaria della ricorrente, come delineata nel titolo VI st. spec. e, in modo particolare, negli artt. 78 e 79, e si porrebbero altresì in contrasto con l'art. 119 Cost.; in relazione alle materie rientranti nella sua competenza, infatti, la Provincia avrebbe dovuto essere la destinataria dei finanziamenti, che poi essa avrebbe potuto trasferire ai Comuni, in conformità delle scelte già formulate in sede di programmazione provinciale.
4. La Regione Lombardia, a sua volta, ha impugnato gli artt. 3 comma 6, 4 comma 1, 6 comma 5, 7 commi 1 e 2 della legge più volte richiamata, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., perché incidenti nelle materie « urbanistica » e « viabilità e lavori pubblici », come definite dagli artt. 80 e 87 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616.
La prima, la seconda e l'ultima delle norme censurate (art. 3 comma 6, art. 4 comma 1 e art. 7 commi 1 e 2), affidando agli organi statali la individuazione delle opere e degli interventi da ammettere al finanziamento, determinerebbero lo stravolgimento dei programmi comunali approvati dalla Regione.
Parrebbe pertanto illogica una disciplina nella quale, al riconosciuto potere di approvazione degli organi regionali, non faccia in concreto riscontro una effettiva potestà programmatoria degli interventi. Né a tali fini sembrerebbe idoneo il previsto parere della Commissione interregionale di cui all'art. 13 l. n. 281 del 1970, sia perché non vincolante, sia perché nemmeno necessario alla luce dell'art. 3 comma 6, della legge impugnata.
Neppure, ad avviso della ricorrente, potrebbe ritenersi che le opere in questione siano di competenza degli enti locali e che lo Stato si limiti a finanziare tali enti o a disciplinare l'esercizio del credito nei loro confronti, perché le funzioni di programmazione e di finanziamento di parcheggi, che sono standards urbanistici, rientrano nelle competenze regionali, e perché il previsto finanziamento diretto da parte dello Stato in capo ai Comuni si porrebbe comunque in violazione della competenza regionale in tema di interventi per agevolare l'accesso al credito (art. 109 d.P.R. n. 616 del 1977).
Ancor più rilevante, infine, sarebbe l'invasione delle competenze regionali ad opera dell'art. 6 comma 5 cit. l. n. 122, che demanda agli organi governativi ivi previsti l'approvazione dei programmi comunali in contrasto con la volontà delle Regioni, dovendosi ritenere, in mancanza di esplicita disposizione, che l'organo statale provveda direttamente in caso di disaccordo tra Comune e Regione sul programma medesimo.
5.1. Si è costituito in tutti e tre i giudizi il Presidente del Consiglio dei Ministri, per sostenere l'inammissibilità o la infondatezza delle impugnative.
In particolare, quanto al ricorso della Regione Emilia-Romagna, la difesa dello Stato ha osservato che la censura, relativa alla brevità del termine di 30 o 60 giorni che rispettivamente gli artt. 3 comma 2, e 6 comma 4, riservano alle Regioni per l'approvazione del programma comunale, si risolve nella prospettazione di un mero inconveniente empirico, eppure rappresentato come sintomo di irragionevolezza delle disposizioni.
L'altra censura concernente l'art. 9 della legge, pur riferita genericamente all'intero articolo, per il suo contenuto riguarda il solo comma 1 della disposizione, che specificamente concerne i parcheggi realizzati da privati proprietari, e si risolve essa pure nella prospettazione di un inconveniente empirico rappresentato dalla brevità dei termini ivi previsti (90 giorni).
Sempre in relazione a tale doglianza, si precisa che la disposizione impugnata, ponendo una distinzione tra « vincoli » e « poteri », lascia fermi i primi indipendentemente da qualsiasi atto regionale, sì che per essi non vi sarebbe alcun termine da osservare; inoltre, per vincoli fatti salvi debbono intendersi quelli di ogni specie, al di là della indicazione legislativa, di carattere meramente esemplificativo, che ha riguardo ai soli vincoli posti dalla legislazione in materia paesaggistica e ambientale. Così il problema della brevità del termine di 90 giorni, si porrebbe soltanto per l'esercizio dei « poteri » regionali, ma rispetto a questi non sarebbe unico il dies a quo, sembrando improbabile la contemporanea attivazione di un elevato numero di procedimenti. Comunque è noto, secondo i princìpi generali, che il decorso di un termine non produce l'effetto giuridico di consumazione del potere amministrativo di che trattasi, e il sopravvenire del silenzio-accoglimento riguarderebbe soltanto l'ipotesi di domande conformi agli strumenti urbanistici vigenti, dovendosi viceversa interpretare la norma nel senso di aver mantenuto integri i poteri regionali di autorizzazione « in deroga » rispetto ai medesimi strumenti urbanistici.
5.2. Quanto al ricorso della Provincia autonoma di Trento, l'Avvocatura dello Stato innanzi tutto esprime dubbi sulla ammissibilità della impugnativa, proposta da un Assessore in luogo del Presidente della Giunta provinciale, in relazione a quanto stabilito nei commi 1 e 3 dell'art. 98 st. spec. di autonomia, approvato con d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670.
In secondo luogo osserva che l'intervento previsto dalla l. n. 122 non è incompatibile con la legislazione provinciale già intervenuta nella stessa materia e con il programma di interventi sui parcheggi già deliberato ed attuato dalla Provincia autonoma, sì che questa, oltre a non essere interessata all'applicazione del titolo II della legge, perché nessuno dei Comuni del suo territorio figura nell'elenco ivi contenuto, può rimanere estranea anche alle vicende applicative connesse al titolo I, ad eccezione soltanto dei commi 1 e 2 dell'art. 2, che recano modifiche alla legge urbanistica e alla normativa generale in tema di standards, e che non sono stati impugnati.
Ne consegue che le censure proposte parrebbero inammissibili; esse sarebbero comunque infondate, perché le norme denunciate concernono poteri degli organi centrali nell'ambito dell'autonomo intervento finanziario dello Stato e non incidono sui programmi e sulle decisioni della Provincia, la quale resta libera di scegliere se astenersi dall'individuare i Comuni (art. 3 comma 1) tenuti alla predisposizione dei programmi, ovvero se coordinare i propri interventi con quelli dello Stato.
In linea generale, l'Avvocatura dello Stato fa notare che la l. n. 122 non ha necessariamente ad oggetto la materia dei « lavori pubblici », rivendicata dalla Provincia, perché non promuove ad « opera pubblica » qualsiasi costruzione di parcheggi e non qualifica i parcheggi come beni appartenenti al demanio comunale, essa è in sostanza una legge di incentivi finanziari, riferiti alla promozione di una attività economica produttiva di un « servizio » e nessuna norma dello Statuto speciale di autonomia vieta allo Stato di disporre siffatti incentivi.
5.3. In relazione, infine, al ricorso della Regione Lombardia, la stessa Avvocatura dello Stato rileva che esso ha di mira la sostituzione della Regione allo Stato nell'erogazione dei finanziamenti, così chiedendosi una inammissibile pronuncia manipolativa, in contrasto altresì con l'art. 128 Cost. e con il principio per cui lo Stato può direttamente disporre finanziamenti in capo ai Comuni, che sono enti dotati di autonomia e non enti pararegionali o dipendenti dalle Regioni.
Con riferimento poi alla censura che si appunta sull'art. 6 comma 5 della legge, denunciandosi un inammissibile intervento sostitutivo dello Stato nel caso di disaccordo tra Comune e Regione sulla definizione del programma di parcheggi, la difesa dello Stato ricorda che il Dipartimento per le aree urbane è stato istituito con d.P.C.M. 10 novembre 1987 proprio per svolgere compiti di coordinamento e di raccordo tra enti territoriali, e che la norma impugnata è diretta soltanto a promuovere la concorde iniziativa degli enti locali, senza prevedere alcuna sostituzione ad essi da parte dello Stato.
6.1. In prossimità dell'udienza di discussione, la Regione Emilia-Romagna ha presentato una memoria nella quale ha, in primo luogo, contestato l'affermazione dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui le censure rivolte agli artt. 3, 6 e 9, circa la brevità dei termini ivi fissati, si configurerebbero come meri inconvenienti « empirici », poiché al contrario è un dato della esperienza il prevedibile afflusso di un numero rilevante di programmi da parte dei Comuni tenuti a redigerli, sì che è reale per la Regione la difficoltà e anzi la impossibilità di procedere alle relative, complesse istruttorie per giungere a deliberazioni ponderate, con conseguente lesione delle proprie competenze, considerando altresì che la « perentorietà » dei termini imposti alle Regioni dalle norme impugnate deriva implicitamente dalla previsione normativa della formazione del silenzio-accoglimento in caso di inutile decorso dei medesimi.
6.2. In particolare, quanto al termine di 90 giorni, indicato nell'art. 9 della legge per l'esercizio dei « poteri » regionali in materia paesaggistica e ambientale, la ricorrente ribadisce la irragionevolezza della norma, per la assoluta insufficienza di detto termine al corretto esercizio delle funzioni regionali.
In più la disposizione impugnata determinerebbe una incongrua, differente disciplina in materia di vincoli, per alcuni dei quali (vincoli paesaggistico-ambientali) si prevederebbe la formazione del silenzio accoglimento, mentre per gli altri (vincoli urbanistici, archeologici, sismici, idrogeologici) mancherebbe addirittura qualsiasi previsione, con ciò ipotizzandosi la duplice violazione degli artt. 97 e 117 Cost., per l'assenza di coerenti e razionali princìpi fondamentali cui la Regione possa attenersi.
7.1. Anche la Provincia autonoma di Trento ha presentato una memoria nella quale, in primo luogo, dissipa i dubbi formulati dalla difesa dello Stato sulla ammissibilità del suo ricorso, in quanto proposto dall'« Assessore sostituto del Presidente » invece che dal Presidente della Giunta provinciale, come richiesto dall'art. 98 st. spec. di autonomia. Ai sensi dell'art. 50 st., infatti, il Consiglio provinciale elegge, tra gli Assessori, quello destinato a sostituire il Presidente in caso di sua assenza o impedimento. Il che, nella specie, è avvenuto nella seduta consiliare del 17 febbraio 1989, cosicché correttamente il ricorso è stato proposto a seguito di delibera n. 4548 adottata in via d'urgenza dalla Giunta e ratificata dal Consiglio con delibera n. 5 del 17 maggio 1989.
7.2. Nel merito, ha ribadito le censure svolte nell'atto introduttivo del giudizio, negando che lo Stato abbia comunque titolo per intervenire nella realizzazione dei parcheggi pubblici nel territorio della Provincia autonoma, sia perché non si configurerebbe una ipotesi di legittimo esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento, non essendo gli interessi tutelati dalla nuova disciplina « insuscettibili di frazionamento e di localizzazione territoriale », sia perché non potrebbe invocarsi a fondamento l'« interesse nazionale » soprattutto in assenza, nella materia oggetto della disciplina, di una specifica protezione costituzionale.
8.1. Sempre in prossimità dell'udienza di discussione, l'Avvocatura dello Stato, relativamente al ricorso della Provincia autonoma di Trento (R.O. n. 38 del 1989), ha presentato una memoria fuori termine, con il consenso della ricorrente.
In essa si sostiene che la Provincia autonoma chiede alla Corte una pronuncia « manipolativa » che non faccia decadere la legge, ma che comporti la sostituzione dell'ente provinciale allo Stato nella funzione relativa alla ammissione al contributo dei soggetti interessati dalla nuova normativa. Ma una siffatta richiesta, finalizzata ad operare veri e propri « ritagli » di competenza da un insieme organico di disposizioni, lasciando invece fermo lo stanziamento a carico del bilancio dello Stato (art. 26 della legge), non pare ammissibile e la rivendicata « gestione » degli interventi rischierebbe di introdurre ragioni di squilibrio finanziario tra le varie parti del territorio nazionale, perché si alimenterebbero ulteriori flussi di « finanza derivata » non programmati e addirittura in contrasto con l'art. 78 secondo periodo st. spec. di autonomia in quanto costituenti una duplicazione di finanziamenti.
In realtà l'intervento complessivo ipotizzato dalla l. n. 122 — così come è avvenuto per altre normative statali recanti flussi di spesa destinati a soddisfare necessità manifestatesi in sede locale, — prevede la partecipazione delle Regioni e delle Province autonome ai momenti di programmazione e decisionali, così attuando il principio del coordinamento tra programmi e attività conseguenti, espresso nell'art. 11 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, in una materia che il Parlamento ha ritenuto di interesse nazionale » non frazionabile anche con riguardo agli artt. 9 e 32 Cost., tutelati m concreto attraverso incentivi finanziari ad una categoria di iniziative destinate alla produzione di un servizio.
8.2. In via subordinata, poi, la difesa dello Stato ribadisce che, comunque, la legge in esame non pare incompatibile con la competenza esclusiva della Provincia autonoma nella materia dei « lavori pubblici di interesse provinciale », poiché la valutazione giuridica circa il carattere « pubblico » di un'opera non può prescindere dalla funzione pubblica o dal servizio pubblico cui l'opera stessa è destinata e rispetto ai quali (funzione o servizio) essa risulta mero « bene strumentale »; cosicché nessuna ragione « oggettiva » giustificherebbe un riparto di competenze basato, non sulle funzioni pubbliche, ma su un'attività produttiva « strumentale » qual'è la edificazione, ed anzi l'art. 87 d.P.R. n. 616 del 1977 renderebbe esplicito il profilo « funzionale » delle attribuzioni con le parole « lavori pubblici di interesse regionale ». Non è pertanto plausibile ritenere che alla Regione o alla Provincia autonoma sia assegnato in esclusiva il ruolo di « finanziatore unico » delle più svariate iniziative economiche, solo perché queste coinvolgono anche processi edilizi, e la enfatizzazione dell'ambito di competenza relativo alla materia dei « lavori pubblici di interesse provinciale » ridurrebbe gravemente l'intervento economico dello Stato previsto dalla legge impugnata, intervento che per di più risulterebbe compatibile con l'art. 2 delle norme di attuazione approvate con d.P.R. 22 marzo 1974 n. 381, ove sono espressamente contemplati gli « eventuali interventi finanziari dello Stato per opere di competenza regionale o provinciale ». Nell'ambito di tali interventi, in conclusione, parrebbe legittimamente rientrare quello delineato dalla l. n. 122, che il Parlamento, con scelta discrezionale, ha ritenuto necessario per il sussistere di una vera « emergenza-traffico », ravvisata nel degrado ambientale e culturale di talune città e nelle difficoltà, anche di ordine economico, rappresentate per tutti da un non sopportabile affollamento dei veicoli.
 
Considerato in diritto: 1. Con ricorso in via principale la Regione Emilia-Romagna ha impugnato gli artt. 3 comma 2, e 6 comma 6 (rectius 4), l. 24 marzo 1989 n. 122, che, nel quadro di un programma straordinario perseguito da detta legge per potenziare i parcheggi per le auto nelle aree urbane maggiormente popolate, prevedono che le Regioni debbano approvare i programmi comunali dei parcheggi urbani, rispettivamente entro 30 e 60 giorni dal loro ricevimento.
Ad avviso della Regione ricorrente le norme denunciate violerebbero « gli artt. 117 e 118, in relazione agli artt. 3 e 97 » Cost. perché, a causa della irragionevole brevità dei termini anzidetti, impedirebbero di fatto l'esercizio delle competenze regionali in materia di assetto del territorio in quanto i programmi comunali presentano connessioni con i sistemi della viabilità e dei trasporti collettivi, e, quindi, la loro approvazione suppone complessi adempimenti istruttori, mentre l'infruttuoso decorso dei termini anzidetti equivale, per espressa statuizione della legge, a tacita approvazione del programma e costituisce quindi variante agli strumenti urbanistici vigenti.
Con il medesimo ricorso viene anche impugnato per violazione degli stessi parametri costituzionali l'art. 9 della suddetta legge, nell'assunto che esso consente ai proprietari di immobili ed ai Comuni una indiscriminata utilizzazione del territorio per la realizzazione dei parcheggi, a prescindere dalla localizzazione degli interventi in zone di espansione extraurbane o nei centri storici, prevedendo che restino fermi solo i vincoli paesaggistici ed ambientali e non anche gli altri vincoli, come quelli concernenti le zone sismiche e quelli idrogeologici, affidati essi pure alle competenze regionali.
La Regione ravvisa altresì il contrasto dello stesso art. 9 della legge con gli artt. 9, 117 e 118 Cost., perché, per la brevità del termine di novanta giorni previsto per il rilascio delle autorizzazioni e dei nulla-osta in materia paesaggistica ed ambientale e decorrente dalle richieste di localizzazione dei parcheggi, trascorso il quale si formerebbe il silenzio-accoglimento della richiesta, verrebbero lese le competenze regionali in materia di assetto del territorio e soprattutto in quella di tutela del paesaggio che è un valore primario dell'ordinamento.
A sua volta la Provincia autonoma di Trento impugna gli artt. 1, 3 e 4 della legge medesima, nell'assunto che essi, creando un meccanismo centralizzato di finanziamento ed affidando allo Stato di disporre in ordine ai singoli interventi previsti nei programmi comunali, si porrebbero in contrasto con il titolo VI dello Statuto speciale di autonomia (d.P.R. n. 670 del 1972) e, in particolare, con gli artt. 78 e 79, nonché l'art. 119 Cost. che garantiscono l'autonomia finanziaria della Provincia presupponendo che essa, e non i Comuni, sia destinataria dei finanziamenti, specie in una materia, quale quella della viabilità e dei lavori pubblici, che gli artt. 8 n. 17 e 16 st., affidano alla competenza esclusiva della Provincia ricorrente.
Sotto altro profilo viene denunciato lo stesso art. 3, che reca la procedura per la predisposizione e l'approvazione dei programmi nonché per la determinazione degli interventi da ammettere al finanziamento. La Provincia ricorrente assume violati gli artt. 8 n. 17 e 16 st. spec. di autonomia che espressamente contemplano le materie della viabilità e dei lavori pubblici, nonché le norme di attuazione in materia di urbanistica e opere pubbliche (d.P.R, n. 381 del 1974) che non riservano allo Stato alcuna competenza in materia di parcheggi, mentre la norma denunciata precluderebbe alla Provincia una effettiva programmazione dei parcheggi dei Comuni nel suo territorio a motivo della brevità dei termini ivi previsti e della formazione del silenzio accoglimento nel caso del loro infruttuoso trascorrere, incidendo così in materie di esclusiva competenza provinciale.
Con un terzo ricorso, infine, la Regione Lombardia impugna gli artt. 3 comma 6, 4 comma 1, e 7 commi 1 e 2 l. in parola, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., perché essi, affidando agli organi governativi dello Stato la determinazione dei singoli interventi da ammettere al finanziamento in materie, quali « l'urbanistica, la viabilità ed i lavori pubblici » definite dagli artt. 117 e 118 Cost., determinerebbero in concreto lo stravolgimento dei programmi comunali approvati dalla Regione ed inciderebbero altresì nel settore del credito che l'art. 109 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 affida alle competenze regionali.
La Regione Lombardia impugna anche l'art. 6 comma 5, di detta legge per violazione dei medesimi parametri costituzionali, perché esso, implicitamente demandando agli organi dello Stato l'approvazione dei programmi comunali in caso di disaccordo tra Comune e Regione, sarebbe invasivo di competenze regionali in materia di urbanistica, viabilità e lavori pubblici, come delineate negli artt. 80 e 87 d.P.R. n. 616 del 1977 cit.
2. I ricorsi, in quanto connessi, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
Il giudizio instaurato con il ricorso della Regione Lombardia deve essere dichiarato estinto per intervenuta rinunzia, formalizzata nel corso dell'udienza di trattazione mediante deposito della deliberazione n. 42839 del 16 maggio 1989 della Giunta della Regione medesima (dichiarata esecutiva dalla Commissione di controllo in data 23 maggio 1989), che ha revocato la precedente deliberazione avente per oggetto la proposizione del ricorso.
3. Preliminarmente deve poi essere disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso della Provincia di Trento, sostenuta dall'Avvocatura generale dello Stato, sotto un profilo appena adombrato nella memoria di costituzione in giudizio.
L'eccezione viene prospettata esprimendosi qualche riserva circa l'ammissibilità del ricorso, in relazione a quanto disposto nei commi 1 e 3 dell'art. 98 st. Trentino-Alto Adige. La riserva stessa non ha però trovato svolgimento negli ulteriori scritti difensivi e quindi non può essere presa in considerazione per genericità.
Deve quindi passarsi ad esaminare l'altra eccezione di inammissibilità dello stesso ricorso svolta nella memoria difensiva depositata in vista della trattazione in udienza pubblica, eccezione che muove dall'assunto « che non sarebbe consentito invocare una pronunzia manipolativa che investe soltanto la norma che individua negli organi dello Stato i soggetti erogatori dei finanziamenti, senza impugnare la norma (art. 26 della legge) che fa gravare tali finanziamenti a carico del bilancio dello Stato ».
Gli aspetti, così prospettati, attengono alla fondatezza della questione proposta che consiste appunto nello stabilire se lo Stato possa o meno assegnare in concreto i finanziamenti previsti nel proprio bilancio o se debba conferirli alle Regioni e alla Province autonome, per cui anche questa eccezione deve essere disattesa.
4.1. Nel merito non è fondata la censura svolta, in senso sostanzialmente analogo sia dalla Regione Emilia-Romagna che dalla Provincia autonoma di Trento, nei confronti dell'art. 3 della legge impugnata e dalla Regione Emilia-Romagna anche nei confronti dell'art. 6 comma 4, in relazione alla irragionevole brevità dei termini ivi indicati che impedirebbero di fatto alla Regione e alla Provincia di esercitare i poteri di propria competenza. In proposito va rilevato che la prima disposizione (art. 3 comma 2) prevede che la Regione o la Provincia debbano approvare il programma inviato da ciascun Comune nel termine di trenta giorni, trascorso il quale, senza che intervenga la deliberazione di rigetto, tale programma si intende approvato, e la seconda disposizione (art. 6 comma 4) contiene analoga previsione in relazione ai programmi da predisporsi dai 15 Comuni nominativamente indicati nella legge stessa.
Osserva al riguardo la Corte che, dall'esame degli atti preparatori e dall'intero contesto della l. 24 marzo 1989 n. 122, risulta che le disposizioni in essa contenute costituiscono un programma di interventi del tutto straordinario, deliberato dal Parlamento nazionale su iniziativa del Governo per ovviare ad « una situazione di grave disagio e di concreti danni » divenuta « all'improvviso polo di riferimento all'attenzione collettiva », come si esprime la relazione governativa che aveva accompagnato il disegno di legge e come risulta confermato dal dibattito parlamentare che ha preceduto l'approvazione della legge. In detta relazione è stato rilevato come il problema « per le dimensioni e per la gravità che nelle aree a grande intensità è venuto assumendo, specie in questi ultimi anni, e soprattutto a seguito dell'aumento dei veicoli circolanti, travalica i confini comunali e richiede la necessaria attenzione del Governo centrale del Paese. Non è quindi questione di realizzare singole opere ma di ridisegnare le aree urbane più intensamente abitate, attraverso una programmazione razionale ed organica dei parcheggi che tenga conto delle esigenze ambientali » in quanto, si soggiunge, « la paralisi della circolazione nelle maggiori città italiane, rallentando i tempi delle comunicazioni e del trasporto, influisce direttamente e negativamente sulla produzione nazionale ... danneggia lo svolgimento degli affari e delle relazioni commerciali ... mette a rischio le stesse condizioni di salute dei cittadini a cagione dell'aumento dell'inquinamento atmosferico e di quello acustico », onde ci si trova « di fronte ad una vera e propria emergenza che, se non viene tempestivamente ed efficacemente affrontata, può compromettere in modo serio e forse irreparabile lo sviluppo dell'intero Paese ed il benessere, non soltanto fisico, dei suoi abitanti »; appare perciò evidente quanto in tale occasione ribadito, che la legge è diretta « a consentire la realizzazione e l'organizzazione di un servizio essenziale per le città e per i loro abitanti ».
Da quanto precede non può ritenersi irragionevole che, in presenza di una emergenza che postula l'esigenza di interventi rapidi ed immediati a salvaguardia di esigenze primarie dei singoli e dell'intera collettività nazionale, il legislatore, nel predisporre un programma di provvidenze straordinarie ed eccezionali, abbia previsto termini brevi per lo svolgimento delle relative procedure, termini perciò che potrebbero considerarsi ostacolare di fatto l'esercizio delle funzioni regionali o provinciali nell'ambito delle rispettive competenze, solo se dovessero risultare in modo macroscopico in tale senso impeditivi.
Poiché non sarebbe possibile però in questa sede stabilire quale altro termine possa essere considerato congruo, l'unica possibile pronunzia di illegittimità costituzionale della norma potrebbe riguardare questa in toto ma essa verrebbe a paralizzare l'attuazione di un intervento generalmente riconosciuto come indispensabile per l'interesse del Paese, sotto i molteplici aspetti testé posti in evidenza, sol perché qualche Regione e la Provincia autonoma di Trento non si reputano in grado di sopperire con sollecitudine ad una così improrogabile esigenza, in relazione alla quale la legge impugnata ha fissato alle Regioni i termini, rispettivamente di trenta e di sessanta giorni, che appaiono, diversamente da quanto dedotto, ictu oculi ragionevoli ai fini dell'esame dei programmi all'uopo predisposti dai Comuni.
4.2. Va in proposito difatti considerata la ragionevole previsione, esattamente evidenziata dall'Avvocatura generale dello Stato, che i programmi predisposti da ciascun Comune non perverranno tutti nello stesso giorno alla Regione o alla Provincia competente, che potrà quindi da un canto scaglionarne l'esame e dall'altro potenziare in modo adeguato, mediante la temporanea utilizzazione del personale a propria disposizione presso le strutture amministrative, gli uffici preposti a questo particolare compito del tutto temporaneo e straordinario.
D'altronde, la scansione temporale del procedimento descritto nell'art. 3 della legge, oggetto di impugnativa sia da parte della Regione Emilia-Romagna che della Provincia autonoma di Trento, consente di prevedere che ciascuna Regione o Provincia possa giungere non del tutto impreparata al momento di ricevimento dei vari programmi da parte dei Comuni, perché ognuna di essa, entro 150 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, è tenuta ad individuare i Comuni che devono predisporre il programma per poter partecipare all'intervento straordinario previsto dalla legge; il che suppone che la Regione o la Provincia, per aver un così lungo termine a disposizione, pervengano alla individuazione di quei Comuni attraverso una indagine che tenga conto della situazione propria dì ciascuno di essi, con la conseguenza di avere già cognizione di un complesso di elementi da utilizzare in sede della successiva valutazione dei programmi concreti da approvare.
Infine va considerato che i tempi previsti per le attività da svolgersi da parte dei Comuni per la predisposizione del programma (sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento regionale o provinciale di individuazione ed ulteriori trenta giorni per l'invio alla Regione o alla Provincia) consentono ad esse di seguire da vicino, durante lo svolgimento la compilazione dei programmi da parte di ciascun Comune da esse stesse indicato, il che, con un minimo di efficienza organizzativa, può certamente agevolare ed accelerare con graduale e piena cognizione delle varie situazioni, la successiva fase approvativa.
5. Alle stesse conclusioni devesi a maggior ragione pervenire per quel che riguarda l'art. 6 comma 4 (impugnato dalla sola Regione Emilia-Romagna) della stessa legge, il quale, come si è detto, ha direttamente individuato 15 Comuni tenuti a formulare il programma, fissando il termine di sessanta giorni per l'approvazione regionale e prevedendo che la mancata deliberazione di rigetto entro tale termine equivale ad approvazione del programma.
Orbene — anche se in relazione a questa particolare categoria di Comuni (costituiti dalle maggiori città italiane e tutte, tranne la città di Catania, capoluogo di Regione), che sono stati direttamente individuati dalla legge, la Regione non ha a disposizione il precedente termine di 150 giorni previsto dall'art. 3 per l'individuazione dei Comuni — va rilevato che la legge fìssa a ciascuna delle città, in tal modo individuate, il termine di 150 giorni per la predisposizione del programma, cioè un periodo tale da consentire alla Regione di seguire i lavori di compilazione del programma da parte del Comune tenendosi aggiornata del loro corso ed essere così in condizione di utilizzare i dati, in tal modo gradualmente acquisiti, in sede di procedimento approvativo, rispetto al quale il termine di sessanta giorni per la sua conclusione appare pienamente ragionevole tenuto conto che tranne che per la Sicilia per la quale la legge ha indicato due città, come Palermo e Catania, per ogni altra delle Regioni interessate ed in particolare per quella ricorrente, è stato individuato il solo Comune capoluogo.
6. Anche la questione che investe l'art. 9 della legge non è fondata, dato che l'impugnativa della Regione Emilia-Romagna muove da una interpretazione della norma che non è consentita dalla sua formulazione. La Regione ricorrente da un lato ritiene che tale articolo, menzionando solo i vincoli paesaggistici ed ambientali, non abbia fatto salvi gli altri vincoli anch'essi di competenza regionale e, dall'altro, che i poteri delle Regioni relativi a quelli paesaggistici ed ambientali debbano essere esercitati entro novanta giorni, trascorsi i quali le richieste dei privati dovrebbero intendersi positivamente assentite da parte delle autorità regionali.
Dalla lettura della norma entrambe tali premesse appaiono errate, perchè, ponendosi a raffronto il comma 1 (oggetto di censura) con il comma 2, risulta come solo quest'ultimo, che disciplina il procedimento per il rilascio della autorizzazione comunale (di carattere urbanistico), prevede che l'istanza per ottenere tale autorizzazione si intenda accolta qualora il sindaco non si pronunci nel termine di sessanta giorni dalla data della richiesta.
Il comma 1, invece, che concerne, come si è già detto, i nulla-osta e le autorizzazioni in materia paesaggistica ed ambientale, prevede solo che « restano in ogni caso fermi i vincoli previsti dalla legislazione in materia paesaggistica ed ambientale ed i poteri attribuiti dalla medesima legislazione alle Regioni e ai Ministeri dell'ambiente e per i beni culturali ed ambientali, da esercitare motivatamente nel termine di 90 giorni ».
Orbene, costituisce principio generale pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa, che per potersi attribuire un contenuto significativo al silenzio della Pubblica Amministrazione ed in particolare un significato positivo, occorre che ciò sia espressamente stabilito dalla legge, come è appunto previsto nel comma 2 dell'art. 9 per le autorizzazioni comunali, altrimenti il silenzio deve essere interpretato come rifiuto.
Escluso dunque in modo inequivocabile che, in mancanza di espressa previsione, possa ritenersi che, per le autorizzazioni o i nulla-osta nella materia paesaggistica ed ambientale, le richieste dei privati, per effetto dell'infruttuoso trascorrere del termine anzidetto possano intendersi positivamente assentite dalle autorità regionali (e statali) competenti, l'intera disposizione assume un significato del tutto diverso. Con essa infatti si è voluto stabilire che, in dette materie, il silenzio-rifiuto si considera formato con il solo trascorrere di novanta giorni complessivi dal momento della proposizione dell'istanza da parte dei privati, e cioè con una previsione analoga a quella dell'art. 10 l. 6 agosto 1967 n. 765. La regola generale invece, desunta dalla giurisprudenza amministrativa dall'art. 25 t.u. 10 gennaio 1957 n. 3, è che per il formarsi del silenzio-rifiuto, ai fini della proposizione del ricorso giurisdizionale, occorre che, trascorsi sessanta giorni dalla presentazione della domanda, l'interessato notifichi all'organo competente una diffida a provvedere entro l'ulteriore termine di trenta giorni.
Del tutto ininfluente, ai fini del problema interpretativo così risolto, appare poi la formula dell'art. 9 cit., secondo cui i poteri attribuiti alle autorità competenti in tali materie debbano essere esercitati « motivatamente mente » nel suddetto termine di 90 giorni. In proposito va rilevato che costituisce principio ricevuto dalla giurisprudenza che, in tema di autorizzazioni e provvedimenti simili, l'obbligo della motivazione, salvo che non sia diversamente previsto dalla legge, sussista solo per gli atti di diniego. L'art. 9 in questione, con lo stabilire che in tema di parcheggi i poteri in materia paesaggistica ed ambientale debbano essere esercitati «motivatamente», ha voluto sancire l'obbligo che la motivazione occorra anche in caso di provvedimento positivo e ciò, evidentemente, proprio per evitare che in una materia, rispetto alla quale l'intera collettività è ogni giorno più attenta, possa pervenirsi al rilascio di autorizzazioni o di nulla-osta che potrebbero compromettere quei valori, senza quella adeguata ponderazione che solo l'obbligo di una puntuale motivazione può rendere effettiva.
Le considerazioni che precedono inducono perciò a disattendere anche l'altra censura formulata dalla Regione ricorrente nell'assunto di una pretesa soppressione dei vincoli, di competenza regionale, diversi da quelli paesaggistici ed ambientali. La circostanza secondo cui l'art. 9 cit. non ne abbia fatto menzione non può assumere tale significato, proprio in virtù della ratio della disposizione in precedenza individuata e consistente nell'intento di porre una particolare disciplina per quel che riguarda la formazione del silenzio rifiuto in tema di autorizzazioni e nulla-osta nella materia paesaggistica ed ambientale. La mancata menzione degli altri vincoli sta, dunque, solo a significare che in ordine ad essi il silenzio rifiuto, relativamente alle richieste di autorizzazioni o nulla-osta di competenza regionale, si forma non con il solo trascorrere di un termine, bensì secondo la regola generale della presentazione della istanza e della successiva notifica della diffida a provvedere.
7. Parimenti non fondata è la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla Provincia autonoma di Trento, che censura per invasività delle proprie competenze il meccanismo centralizzato di finanziamento delle iniziative previste dalla legge in esame, per cui verrebbe affidata in tal modo ad organi dello Stato la scelta di singoli interventi che riguardano materie di interesse provinciale quali la viabilità, le opere pubbliche e urbanistica, sconvolgendo peraltro programmi riguardanti parcheggi oggetto di specifici provvedimenti legislativi già emanati dalla Provincia.
In proposito la Corte ritiene utile qui richiamare quanto già precisato in precedenza, in occasione dell'esame della questione concernente l'art 3 della legge, circa il carattere del tutto straordinario ed eccezionale del programma di interventi previsti dalla legge censurata, diretti a fronteggiare un'emergenza che coinvolge interessi che riguardano l'intera collettività quali la salute e l'economia nazionale in termini di utilità sociale, essendo stata segnalata in sede di dibattito sulla legge l'esigenza che la loro soddisfazione, in relazione all'enorme diffusione dei mezzi meccanici in circolazione, specie nelle grandi città, debba avvenire in modo quanto più è possibile uniforme in qualunque parte del Paese.
Non si è dunque in presenza di interessi esclusivamente legati alle materie cui fa riferimento la Provincia ricorrente, quali la viabilità, i lavori pubblici di interesse provinciale, l'urbanistica, le opere pubbliche, rispetto alle quali rivendica la competenza, perché si tratta invece di soddisfare esigenze di più ampia portata connesse a valori costituzionali primari (artt. 32, 41, 42 e 43 Cost).
Di fronte ad emergenze di questo tipo la giurisprudenza anche recentissima di questa Corte (sent. n. 324 del 1989) ha riaffermato la possibilità di un diretto intervento dello Stato, quando sia « destinato ad affrontare una situazione eccezionale con mezzi straordinari ». Nel caso ora in esame la legge impugnata intende realizzare un programma interessante l'intero territorio nazionale e diretto ad affrontare una situazione eccezionale entro tempi brevi, in modo che, tenuto conto della limitatezza dei mezzi finanziari disponibili, la priorità degli interventi da finanziare venga determinata mediante un giudizio comparativo di tutte le iniziative programmate, compiuto sulla base di un raffronto della gravità delle varie situazioni. Tale comparazione non può, perle enunciate caratteristiche degli scopi perseguiti dalla legge, essere compiuta che in una sede idonea a valutare l'interesse primario riguardante l'intero contesto nazionale, il che può avvenire solo da parte di un organo centrale dello Stato.
Questa competenza statale appare perciò pienamente giustificata sulla base di princìpi affermati dalla Corte (sent. n. 217 del 1988), la quale ha appunto ritenuto che la sussistenza di esigenze unitarie, tali da giustificare il diretto intervento dello Stato, si ha quando esse siano insuscettibili di frazionamento; quando lo specifico interesse invocato sia così imperativo e stringente (oppure così urgente) da giustificare l'intervento anche in aree che in via di principio gli sono sottratte; quando la disciplina posta in essere dallo Stato, considerata nei suoi concreti svolgimenti e nelle sue particolari modalità, sia non solo contenuta nei precisi limiti delle reali esigenze sottostanti all'interesse invocato, ma appaia anche essenziale o necessaria per l'attuazione del medesimo interesse: presupposti questi tutti certamente presenti nel caso in esame. II carattere autonomo dell'intervento dello Stato o anzi aggiuntivo, e rispetto a quello delle Regioni, comprese quelle (come la Provincia ricorrente) dotate autonomia differenziata, che secondo la giurisprudenza costituzionale (sent. n. 217 del 1988 cit.) rende compatibile la legge impugnata con i parametri costituzionali invocati, toglie pregio anche all'altra i censura formulata dalla Provincia ricorrente per avere essa già predisposto  ed approvato un programma di interventi dello stesso tipo (da ultimo con 1. prov. n. 44 del 1988). Difatti, avendo la legge dello Stato predisposto provvidenze straordinarie e quindi aggiuntive, spetta alla Provincia autonoma - che in base all'art. 3 comma 2 della legge impugnata, ha centocinquanta giorni di tempo per individuare i Comuni obbligati a formulare il programma — di decidere se coordinare il proprio piano già approvato con gli interventi previsti nella legge impugnata e destinati a far fronte all'emergenza nell'intero territorio nazionale e quindi di avvalersi anche delle provvidenze statali, oppure di rinunziarvi qualora li ritenga incompatibili con le proprie iniziative già deliberate. Ma una volta che la provincia autonoma dovesse optare per la prima alternativa, essa non potrebbe che assoggettarsi alle regole generali che, essendo previste dalla legge in un quadro unitario ed insuscettibile di frazionamento, non possono subire deroghe.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara estinto il giudizio promosso dalla Regione Lombardia, per intervenuta rinunzia al ricorso;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3 comma 2, 6 comma 6 (rectius: 4) e 9 l. 24 marzo 1989 n. 122 (Disposizioni in materia di parcheggi, programma triennale per le aree urbane maggiormente popolate, nonché modificazioni di alcune norme del testo unico sulla disciplina della circolazione stradale, approvato con d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 9, 97, 117 e 118 Cost., dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3 e 4 l. 24 marzo 1989 n. 122, sollevate, in riferimento agli artt. 8 n. 17, 16 e al tit. VI st. spec. Trentino-Alto Adige, approvato con d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670, alle norme di attuazione approvate con d.P.R. 22 marzo 1974 n. 381, e all'art. 119 Cost., dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso indicato in epigrafe.
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