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In vigore al: 11/09/2012

Corte costituzionale - Sentenza N. 338 del 15.06.1989
Determinazione degli standards di personale ospedaliero

Sentenza (13 giugno) 15 giugno 1989 n. 338; Pres. Saja - Red. Baldassarre
 
Ritenuto in fatto: 1. Con ricorso del 22 novembre 1988, la Provincia di Bolzano ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione agli artt. 1, 2, 5 e 6 d.m. sanità 13 settembre 1988, dal titolo « Determinazione degli standards del personale ospedaliero ». Secondo la ricorrente, tali articoli lederebbero le competenze ad essa assicurate dagli artt. 9, n. 10, (potestà legislativa concorrente in materia di igiene e sanità) e 8, n. 1 (potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento del personale dipendente, compreso quello sanitario) e 16 (funzioni amministrative nelle materie attribuite alle potestà legislative delle Province autonome) dello statuto (d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670), competenze già esercitate dalla Provincia di Bolzano con la l. 18 agosto 1988 n. 33 (piano sanitario provinciale 1988-91).
Più in particolare, la Provincia sottolinea che in base al d.l. 8 febbraio «1988 n. 27, convertito con l. 8 agosto 1988 n. 109, mentre spetta al Ministro della sanità fissare gli standards del personale ospedaliero per posto-letto e per tipologia di ospedali (art. 1 comma 1), è attribuita alle Regioni e Province autonome la successiva rideterminazione dei posti-letto e delle piante organiche in armonia con i criteri stabiliti dal medesimo decreto legge (art. 2 commi 2 e 3), salvo il potere del Ministro di adottare, su delega del Consiglio dei Ministri, « gli atti sostitutivi necessari » in caso di inerzia regionale relativamente agli adempimenti previsti dai commi precedenti (art. 2 comma 3). Tuttavia, ad avviso della ricorrente, il decreto ministeriale impugnato, pur se dice di voler determinare gli standards del personale ospedaliero, in realtà dedica a questo argomento, che è l'unico affidato alla competenza del Ministro, solo alcuni articoli (in particolare, gli artt. 3 e 4), disciplinando per il resto - ora con la predisposizione di criteri e di indirizzi, ora con disposizioni puntuali e poteri sostitutivi del Ministro non previsti da leggi - aspetti che il d. l. n. 27 del 1988 affida all'autonomia regionale o provinciale, quali la rideterminazione dei posti-letto e delle piante organiche del personale ospedaliero, le assunzioni e, in genere, la riorganizzazione dei servizi e dei presìdi ospedalieri, nonché le istituzioni sanitarie convenzionate. In queste materie, già regolate dalla Provincia di Bolzano con una propria legge, i criteri direttivi necessari per garantire i minimi di uniformità, per un verso, sono già stabiliti dal d. l. n. 27 del 1988 e da altre disposizioni legislative e, per altro verso, sono riservati al futuro Piano sanitario nazionale che sarà approvato dal Parlamento e, pertanto, sempre secondo la ricorrente, non potrebbero mai essere adottati dal Ministro al di là di ogni previsione legislativa.
Anche se il decreto impugnato volesse essere imposto alla Provincia come atto di indirizzo e di coordinamento, continua la ricorrente, esso sarebbe privo dei requisiti formali e sostanziali propri della predetta funzione. Per un verso, infatti, risulterebbe violato il principio di legalità, in base al quale, secondo la giurisprudenza costituzionale, l'atto governativo di indirizzo dovrebbe fondarsi su norme di legge volte a vincolare la discrezionalità del Governo stesso. Per altro verso, il potere del Ministro, esercitato con il decreto impugnato, non avrebbe alcun fondamento legislativo, poiché l'unico potere di indirizzo affidato dalle leggi vigenti al Ministro della sanità riguarda « le direttive concernenti le attività delegate alle Regioni » (art. 5 comma 3 l. n. 833 del 1978), attività che non ricorrono nel caso di specie. In particolare, sarebbero macroscopicamente lesivi delle competenze provinciali gli artt. 2 comma 3, e 1 comma 6, del decreto impugnato: il primo in quanto, oltre a imporre alla Provincia di conformarsi alle indicazioni del decreto impugnato (in aggiunta a quelle contenute nel d.l.), estende senza alcun supporto legislativo il potere sostitutivo del Ministrò anche all'ipotesi di mancato adeguamento della legge relativa al piano sanitario provinciale alle determinazioni del decreto impugnato; il secondo in quanto, nello stabilire che il provvedimento provinciale di deroga in ordine alla disattivazione dei presìdi sanitari minori debba essere approvato dal Ministro della sanità, si scontrerebbe con l'insegnamento di questa Corte (sent. n. 610 del 1988), secondo il quale spetta solo alla Provincia il definitivo apprezzamento delle peculiari esigenze locali dirette a giustificare le deroghe in questione.
In generale, conclude la ricorrente, l'illegittimità del decreto impugnato sarebbe resa evidente dall'esplicito intento di costituire « una anticipazione del piano sanitario nazionale » (art. 2 comma 1 lett. e) o da quello di porre disposizioni temporanee di salvaguardia dell'assetto definitivo del servizio sanitario nazionale: in ambedue le ipotesi il Ministro pretenderebbe di sostituirsi illegittimamente al Parlamento, poiché, per un verso, le disposizioni di salvaguardia, in base alla sent. n. 610 del 1988, vanno approvate con legge e sono legittime solo se provvisorie e, per altro verso, il Piano sanitario nazionale esige l'approvazione delle Camere con un atto di indirizzo non legislativo.
2. Un identico conflitto di attribuzione è stato sollevato con un ricorso del 22 novembre 1988 dalla Provincia autonoma di Trento in relazione agli artt. 1, 2, 5 e 6 del ricordato d.m. sanità 23 settembre 1988.
Con motivazioni molto simili a quelle adottate dalla Provincia di Bolzano, la ricorrente sottolinea l'assenza di qualsivoglia base legislativa del decreto impugnato, soffermandosi in una dettagliata analisi della giurisprudenza di questa Corte, che sarebbe stata disattesa nel caso di specie, secondo la quale, stando alla ricostruzione della Provincia di Trento, il legittimo affidamento ai poteri centrali di compiti di programmazione ed anche di anticipazione dei contenuti del piano sanitario nazionale sarebbe stato sempre subordinato al presupposto che quei compiti dovessero svolgersi attraverso interventi legislativi. Più in particolare, poi, la ricorrente osserva che il decreto impugnato conterrebbe puntuali violazioni del d. l. n. 27 del 1988, poiché, mentre gli artt. 1 e 2 di quest'ultimo conferiscono la priorità alla determinazione degli standards di personale ospedalierio rispetto alla ristrutturazione dei presìdi ospedalieri, il decreto impugnato invece investirebbe tale rapporto.
3. Con ricorso del 22 novembre 1988 anche la Regione Toscana ha sollevato un analogo conflitto di attribuzione in relazione agli artt. 1, 2, 3 commi l, 2 e 3, 4, 5 e 6 d.m. l3 settembre 1988, ritenendoli invasivi della sfera di competenza assicurata alle Regioni dagli artt. 117 e 118 Cost., come definita dalla l. 23 dicembre 1978 n. 833 e dal d. l. n. 27 del 1988, convertito dalla l. n. 109 dello stesso anno.
Oltre a sottolineare l'esorbitanza del decreto impugnato, limitatamente agli artt. 1, 2 e 6, rispetto alle previsioni del d. l. n. 27 del 1988, e oltre a contestare l'illegittimità delle norme indicate come anticipazioni del piano sanitario nazionale con motivazioni analoghe a quelle addotte dai precedenti ricorsi, la Regione Toscana individua più specifiche violazioni della l. n. 833 del 1978 nell'art. 3, che, introducendo i concetti di « preospedalizzazione », «dimissione protetta» e « ciclo diurno », estenderebbero i referenti cui parametrare gli standards di personale ospedaliero a una serie di funzioni e di attività esorbitanti quelle tipiche del personale ospedaliero, in quanto riferite a momenti antecedenti e successivi a quelli della degenza ospedaliera, nonché a qualsiasi tipo di struttura assistenziale. Allo stesso modo i commi 2 e 3 dello stesso art. 3, imponendo la riorganizzazione funzionale degli ospedali secondo « moduli organizzativi tipo », contrasterebbero con gli artt. 17 l. n. 833 del 1978 e 10 l. n. 595 del 1985, che riservano alle Regioni le relative attività. Da tali osservazioni, continua la Regione, discenderebbero, per via consequenziale, ulteriori motivi di illegittimità degli artt. 4 e 5 del decreto impugnato e, in particolare, dell'art. 5 comma 1, che, secondo la ricorrente, darebbe al Ministro il potere di estendere gli standards anche ai fini della individuazione degli istituti convenzionati obbligatoriamente.
In conclusione, secondo la ricorrente, non essendo state adottate con un atto legislativo o approvato dal Parlamento e non potendosi considerare misure temporanee o di salvaguardia, le disposizioni impugnate lederebbero le competenze costituzionalmente attribuite alle Regioni.
4. In data 23 novembre 1988 la Regione Umbria ha sollevato un conflitto di attribuzione identico, nei termini e nelle motivazioni addotte, a quello promosso dalla Regione Toscana.
5. Si è costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri per chiedere l'inammissibilità e, in ogni caso, il rigetto dei ricorsi presentati dalle Regioni.
La richiesta d'inammissibilità si basa sul rilievo che le ricorrenti, anziché far valere lesioni delle proprie competenze, prospetterebbero asserite esorbitanze di un potere del Ministro della sanità nei confronti del potere del Parlamento, in conseguenza della mancata approvazione dell'atto impugnato con legge. Un secondo motivo di inammissibilità riguarderebbe poi le doglianze concernenti, in sostanza, competenze amministrative dei Comuni e delle unità sanitarie locali.
Nel merito, l'Avvocatura dello Stato osserva che lo stesso art. 2 comma 1 lett. c) d. l. n. 27 del 1988, nell'indicare l'obiettivo di « applicare gli standards di cui all'art. 1 alla nuova consistenza dei posti letto », avrebbe stabilito una sequenza di quattro momenti unitariamente raffigurati e disciplinati: rideterminazione dei posti letto, applicazione degli standards, conseguente revisione degli organici del personale, mobilità del personale eventualmente in eccedenza. E logico, secondo l'Avvocatura, che non si possono determinare gli standards senza toccare nel contempo la rideterminazione dei posti-letto. In ogni caso, non si potrebbe sostenere che le linee-guida siano tracciate dal decreto ministeriale, essendo invece stabilite dalla l. n. 109 del 1988. Quest'ultima avrebbe altresì modificato le leggi previgenti, che, conseguenzialmente, non potrebbero essere invocate come parametri.
6. In prossimità dell'udienza hanno presentato memoria la Provincia autonoma di Bolzano, le Regioni Toscana e Umbria, nonché il Presidente del Consiglio dei Ministri.
La Provincia di Bolzano, dopo aver respinto l'ipotesi di inammissibilità prospettata dall'Avvocatura dello Stato in quanto la ritiene basata su una visione formalistica dell'individuazione delle norme delimitanti le competenze regionali o provinciali, sottolinea, in particolare, che la stessa difesa dello Stato ammette che il decreto impugnato disciplina la rideterminazione dei posti-letto, la quale è affidata dalla l. n. 595 del 1985 alla competenza delle Regioni o delle Province autonome nel rispetto degli indirizzi stabiliti dall'art. 10 comma 1, lett. a), della stessa legge.
Le Regioni Toscana e Umbria replicano anch'esse, di fronte all'eccezione di inammissibilità dell'Avvocatura dello Stato, che la ripartizione orizzontale delle competenze fra Stato e Regioni (che si assomma a quella verticale, per materie) esige di considerare lesa la sfera di autonomia regionale quando, come nel caso, si pongano, in luogo di « princìpi » o «indirizzi», statuizioni dettagliate o addirittura provvedimenti oppure si adottino quelle statuizioni con un atto non abilitato e posto da un'autorità incompetente. Nel merito, oltre a ribadire le censure già prospettate nei ricorsi, le suddette Regioni sottolineano, in particolare, che, nonostante il richiamo all'ari 2 comma 3 l. n. 109 del 1988, il decreto impugnato prevede poteri sostitutivi del Ministro che nessuna legge in realtà configura (v. artt. 1 commi 2 e 6, 2 comma 3 del decreto impugnato).
7. Nella propria memoria l'Avvocatura dello Stato sottolinea, innanzitutto, che molte censure nascono da un'erronea interpretazione di varie disposizioni del decreto impugnato. In particolare, ad avviso dell'Avvocatura, le norme sui poteri sostitutivi del Ministro non innovano l'ordinamento, ma si limitano a richiamare una previsione già contenuta nell'art. 8 comma 3 l. n. 109 del 1988. Analogamente, le disposizioni contenute nei primi tre commi dell'art. 1 costituirebbero una ripetizione - certo superflua, ma non illegittima - di disposizioni già presenti nel citato atto legislativo. Allo stesso modo, le « anticipazioni » del piano sanitario non sarebbero lesive delle competenze regionali o provinciali, per il fatto che, lungi dal modificare la situazione normativa o di fatto, costituirebbero, per l'Avvocatura, un semplice incentivo ad accelerare i processi di programmazione sanitaria regionale o locale, riconducibili alla funzione di indirizzo dello Stato (ex art. 53 1. n. 833 del 1978 e successive modificazioni). Inoltre, gli « indirizzi » posti alle Regioni per la riorganizzazione dei presìdi ospedalieri conterrebbero una sorta di memorandum degli aspetti che le programmazioni regionali o locali dovrebbero « indicare » o, se si preferisce, un modello per la completezza e la confrontabilità dei provvedimenti regionali e locali. Secondo l'Avvocatura, le Regioni ricorrenti male interpreterebbero anche i primi tre commi dell'art. 3, che, a suo avviso, conterrebbero semplici delucidazioni su come gli standards ospedalieri sono stati costruiti e su come devono essere applicati in relazione all'intera gamma dei servizi erogabili dagli ospedali. Infine, anche le censure mosse dalle Regioni agli artt. 5 e 6 dimenticherebbero che, mentre il secondo conterrebbe solo esortazioni di buon senso circa l'applicazione delle disposizioni del provvedimento, l'art. 5, invece, se lo si interpreta correttamente secondo il suo tenore letterale, non permette affatto al Ministro di estendere gli standards ai fini dell'individuazione delle istituzioni convenzionate obbligatoriamente.
Per l'Avvocatura il vero punto di conflitto riguarda la disattivazione dei presìdi minimi (art. 1 commi 4, 5 e 6), la quale sarebbe giustificata in quanto inquadrata in un piano di contenimento della spesa sanitaria disposto dalla l. n. 109 del 1988, che, a suo tempo, non fu oggetto di contestazione. Essa, inoltre, esprimerebbe, per lo più, un posizione « ottativa » dello Stato, mentre solo eventuale e successivo sarebbe l'intervento sostitutivo di cui all'art. 1 comma 6, che avrebbe, peraltro, precise radici nella legge.
:In generale, conclude l'Avvocatura, le ricorrenti non contestano la spettanza del potere statale, ma le modalità di esercizio di tale potere nel caso concreto, lamentando la natura amministrativa dell'atto statale, senza tuttavia precisare quale sia il turbamento delle proprie competenze e senza giustificare, pertanto, perché non abbiano adito il giudice amministrativo.
Considerato in diritto: 1. I conflitti di attribuzione oggetto degli attuali giudizi sono stati sollevati dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, nonché dalle Regioni della Toscana e dell'Umbria.
Mentre le Province ritengono che gli artt. 1, 2, 5 e 6 d.m. sanità 13. settembre 1988, dal titolo « Determinazione degli standards del personale ospedaliero », ledano tanto la loro competenza esclusiva in materia di « ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto » (art. 8 n. 1 st.), quanto quella concorrente in materia di « igiene e sanità », ivi compresa « l'assistenza sanitaria e ospedaliera » (art. 9 n. 10 st.), oltreché le relative funzioni amministrative ad esse assicurate nelle stesse materie (art. 16 st.), le Regioni Toscana e Umbria, invece, sospettano che le competenze ad esse assegnate in materia di sanità dagli artt. 117 e 118 Cost. (come attuati dalla l. 23 dicembre 1978 n. 833 e dal d. l. 8 febbraio 1988 n. 27, convertito nella l. 8 aprile 1988 n. 109) risultino lese dagli artt. 1, 2 e 3 commi 1, 2 e 3, 4, 5 e 6 del medesimo decreto).
Dal momento che i quattro conflitti ora indicati hanno ad oggetto disposizioni identiche o fra loro connesse, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
2. Va, innanzitutto, respinta l'eccezione d'inammissibilità presentata dall'Avvocatura dello Stato nei confronti di tutti i ricorsi. Secondo tale eccezione le richieste delle ricorrenti sarebbero da rigettare in limine, in quanto, dolendosi di una pretesa esorbitanza del potere del Ministro della Sanità nei confronti di competenze proprie del Parlamento in conseguenza dell'adozione con decreto ministeriale di disposizioni che dovrebbero essere approvate dalle Camere, prospetterebbero in realtà un conflitto tra poteri dello Stato. In senso contrario è appena il caso di ricordare che, secondo una giurisprudenza da tempo consolidata (v., ad esempio, sentt. nn. 110 del 1970, 211 del 1972,191 del 1976, 29 del 1981,152 del 1986, 731 del 1988), gli estremi del conflitto di attribuzione tra Stato e Regione sussistono, non soltanto quando l'uno o l'altro dei soggetti ora menzionati contestino la spettanza di un determinato potere, ma anche quando le Regioni (o lo Stato) assuma che il corretto svolgimento delle proprie competenze risulti pregiudicato o turbato dall'illegittimo esercizio di un potere spettante allo Stato (o alla Regione). E poiché nel caso di specie le ricorrenti contestano che lo Stato, violando le norme sulle competenze relative a poteri di propria spettanza, produca indebite interferenze sull'esercizio di attribuzioni ad esse assegnate dalla Costituzione o dagli statuti speciali, nessun dubbio può sussistere, sotto tale profilo, circa l'ammissibilità dei conflitti in discussione.
3. Il decreto ministeriale impugnato costituisce un'immediata attuazione del d. l. n. 27 del 1988, convertito nella l. n. 109 del 1988, che, nel determinare le misure urgenti per le dotazioni organiche del personale ospedaliere e per la razionalizzazione della spesa sanitaria, prevede un intervento, in parte statale e in parte regionale (o provinciale), composto da quattro fasi poste fra loro in successione cronologica e corrispondenti ad altrettante competenze.
La prima di queste fasi è costituita dall'esercizio del potere del Ministro della sanità di fissare gli standards del personale ospedaliero per posto letto e per tipologie di ospedali (art. 1 comma 1). Entro un termine perentorio decorrente dalla pubblicazione del decreto ministeriale di fissazione degli standards, il procedimento si snoda in una seconda fase, consistente nella rideterminazione dei posti letto da parte delle Regioni o delle Province autonome su proposta delle USL (art. 2 comma 1). Entro un successivo termine, decorrente da quello finale indicato per la fase precedente, se ne apre una terza, di competenza delle Regioni o delle Province autonome, costituita dalla « determinazione delle piante organiche e dall'applicazione delle misure sulla mobilità del personale » eventualmente in esubero (arti 2 comma 2). Infine, una quarta fase è data dal compimento da parte del Ministro della sanità, su delega del Consiglio dei Ministri (della quale dev'essere data notizia al Parlamento), degli « atti sostitutivi » resisi necessari in conseguenza dell'eventuale omissione da parte delle Regioni o delle Province autonome degli adempimenti precedentemente previsti (art. 2 comma 3).
Con l'adozione del d.m. 13 settembre 1988, intitolato « Determinazione degli standards del personale ospedaliero », il Ministro della sanità ha esercitato le competenze ad esso demandate come prima fase dell'intervento programmatico ora delineato. Tuttavia, esprimendo nel primo « considerato » del decreto la convinzione che « la ristrutturazione dei presìdi ospedalieri assume per un verso carattere di priorità rispetto alla determinazione degli standards di personale ospedaliero » e ritenendo, come si legge nel secondo « considerato », che « la standardizzazione di cui trattasi presuppone altresì la esplicitazione delle finalità da perseguire nel riordinamento degli ospedali », lo stesso Ministro ha conferito al proprio decreto un contenuto più complesso, avente la seguente struttura: art. 1, norme per la rideterminazione dei posti letto; art. 2, indirizzi organizzativi in materia ospedaliera; art. 3, standards di personale da applicarsi nelle unità operative di degenza; art. 4, maggiorazioni delle dotazioni organiche in relazione alle applicazioni degli standards prima citati; art. 5, valore degli standards in relazione alle istituzioni convenzionate obbligatoriamente; art. 6, norme e direttive per l'attuazione del decreto.
Poiché ciascuno di tali articoli è oggetto di varie contestazioni, si rende opportuno esaminare le censure prospettate articolo per articolo.
4. L'art. 1 d.m. 13 settembre 1988 è impugnato da tutte le ricorrenti con il duplice argomento, in base al quale, per un verso, tale articolo conterrebbe la disciplina di una materia, la rideterminazione dei posti letto, che l'art. 2 comma 1 d. l. n. 27 del 1988 conferisce alla competenza delle Regioni e delle Province autonome e, per altro verso, ove dovesse ritenersi che prevede misure di indirizzo e di coordinamento, sarebbe privo della dovuta base legale.
In effetti, il complesso contenuto dell'art. 1 consiste nella previsione di norme finalistiche e di poteri sostitutivi del Ministro della sanità che si pongono in un vario rapporto con le disposizioni di legge contenute nel d. l. n. 27 del 1988. È certo, comunque, che l'intero articolo disciplina una materia - la rideterminazione dei posti letto - che, ai sensi dell'art. 2 comma 1 d.l. n. 27, è indiscutibilmente attribuita alle Regioni e alle Province autonome.
In senso contrario non possono valere le osservazioni contenute nel preambolo del decreto impugnato (primo e secondo « considerato »), e riformulate nel corso di questi giudizi dall'Avvocatura dello Stato, secondo le quali la connessione finalistica della riorganizzazione dei presìdi ospedalieri (di competenza delle Regioni e delle Province autonome) con la fissazione degli standards di personale ospedaliero (di competenza del Ministro della sanità) e la priorità logica della prima materia rispetto alla seconda imporrebbero al Ministro della sanità di disciplinare insieme l'una e l'altra. Per un verso, infatti, è giurisprudenza costante di questa Corte (v., ad esempio, sentt. nn. 94 e 165 del 1985; 304 e 433 del 1987) che la ripartizione delle materie fra Stato e Regioni non può essere identificata nei suoi precisi confini in base a una correlazione di strumentalità rispetto a un determinato scopo o risultato, ma va determinata, piuttosto, in base alla oggettiva consistenza ontologica della materia stessa; e, per altro verso, il decreto ministeriale impugnato non può, certo, rovesciare un ordine di priorità logiche che il d. l. n. 27 del 1988 delinea ragionevolmente in modo inverso, ponendo, cioè, come pregiudiziale alla ristrutturazione ospedaliera e alla rideterminazione delle relative piante organiche la fissazione (ministeriale) degli standards di personale ospedaliero.
Posto, dunque, che l'art. 1 del decreto impugnato ha ad oggetto una materia assegnata alle competenze regionali (o provinciali) e che, in relazione a questa, pone norme di indirizzo vòlte a coordinare la futura disciplina regionale (o provinciale), si tratta di verificare, ai fini della risoluzione dei conflitti in discussione, se le disposizioni impugnate rispondano ai requisiti di forma e di sostanza propri della funzione statale di indirizzo e di coordinamento.
4.1. Per quel che concerne i primi tre commi dell'art. 1 - con l'eccezione delle ultime due proposizioni normative contenute nel comma 2, laddove è previsto un potere sostitutivo che verrà esaminato nel successivo punto 4.3 - le censure delle ricorrenti sono inammissibili, poiché, come ha sottolineato l'Avvocatura dello Stato, le disposizioni ivi contenute riformulano gli obiettivi già posti alle Regioni e alle Province autonome dal d. l. n. 27 del 1988.
Più precisamente, il comma 1 riproduce il contenuto normativo dell'art. 2 comma 1 d.l. appena citato, che disciplina le procedure e i criteri direttivi relativi alla rideterminazione dei posti letto. Il comma 2 riformula le norme poste dall'art. 2 comma 2, d.l. n. 27, nella parte in cui si riferisce alla consistenza dei posti letto nei singoli ospedali e alla conseguente dotazione organica del personale. Infine, il comma 3, riproduce l'art. 2 comma 2 lett. a) dello stesso d.l. esplicitando i rinvii normativi che vi sono contenuti, nonché la prescrizione, peraltro implicita nelle norme riprodotte, secondo la quale i posti letto ad esaurimento, ai sensi dell'art. 64 l. n. 833 del 1978, vanno esclusi dal computo relativo alla rideterminazione dei posti letto. Da ciò consegue che le ricorrenti non hanno interesse a chiedere l'annullamento delle disposizioni ora indicate, le quali, essendo già contenute nel d. l. n. 27 del 1988 (decreto che, peraltro, non è stato oggetto di alcuna impugnazione da parte delle Regioni o delle Province autonome), continuerebbero ad avere vigore nella loro forma legislativa anche nell'ipotesi che i ricorsi in discussione fossero riconosciuti fondati.
4.2. Meritano, invece, accoglimento le censure che le ricorrenti prospettano in relazione ai commi 4, 5 e 6 (salva l'ultima proposizione che verrà esaminata nel successivo punto 4. 3) e 7 del decreto ministeriale impugnato, in quanto contengono disposizioni di indirizzo e di coordinamento sprovviste dei requisiti di forma e di sostanza propri di questa funzione.
In particolare, le norme contenute nei commi 4 e 5 prescrivono (« le Regioni e Province autonome debbono programmare... ») la predisposizione di misure coordinate al fine della disattivazione dei presìdi ospedalieri con meno di centoventi posti letto (prevedendo, in certi casi, la loro riconversione in struttura sanitarie diversamente finalizzate) e fissano termini perentori per l'adozione dei suddetti programmi. Inoltre, il comma 6 - diversamente dall'art. 2 comma 2 d. l. n. 27 del 1988, che prevede la possibilità, previo parere del Consiglio sanitario nazionale, di evitare la soppressione di divisioni o di servizi specialistici quando non esistano ospedali con specialità corrispondenti entro distanze o percorrenze predeterminate per tipi di area - autorizza semplicemente le Regioni e le Province autonome a derogare al principio della disattivazione per le « zone particolarmente disagiate, obiettivamente verificabili sulla base di indicatori di accessibilità ».
Si tratta, in breve, di disposizioni che pongono indirizzi diversi da quelli legislativamente fissati, i quali, per, le espressioni usate e per la loro disciplina complessiva, non possono essere qualificati, secondo la prospettazione difensiva dell'Avvocatura dello Stato, come manifestazioni ottative o come consigli rivolti dallo Stato alle Regioni e alle Province autonome. Pertanto, pur a non voler considerare che lo stesso decreto impugnato le configura come anticipazioni del piano sanitario nazionale - di un piano, cioè, per il quale è previsto un particolare procedimento culminante nell'approvazione parlamentare con atto non legislativo - tali disposizioni; per essere ritenute valide, esigono, per lo meno, la forma richiesta per l'approvazione degli atti di indirizzo e di coordinamento, vale a dire esigono che siano adottate, quantomeno, con deliberazione del Consiglio dei Ministri o con decreto ministeriale emanato su delega del Consiglio dei Ministri (v. sentt. nn. 111 del 1975; 245 del 1984; 304 del 1987; 242 del 1989). Inoltre, sempre ai fini della loro validità, alle stesse disposizioni non può mancare un'adeguata copertura legislativa, nel senso che esse devono avere il loro fondamento in puntuali norme di legge, vòlte a determinarne, se pure nelle loro linee essenziali, il sostanziale contenuto normativo (v. sentt. nn. 150 del 1982; 340 del 1983; 177 del 1988.
Poiché le disposizioni ora esaminate contravvengono all'uno e all'atro requisito, né possono essere giustificate come misure provvisorie di salvaguardia del Servizio sanitario nazionale, dato che anche di queste, alla luce della sent. n. 610 del 1988 di questa Corte, sono prive della forma (atto legislativo o d'indirizzo e coordinamento) e della sostanza (provvisorietà), non resta che dichiararle illegittime e annullarle.
Per gli stessi motivi, identica conclusione deve trarsi in ordine al comma 7 dello stesso art. 1. In questo comma si prescrive (« le Regioni e le Province autonome " debbono ", altresì, indicare... ») il contenuto strutturale dei provvedimenti di riorganizzazione dei presìdi ospedalieri, che dovranno essere adottati, ai sensi dell'art. 2 comma 2 d. l. n. 27 del 1988, dalle Regioni e dalle Province autonome. Anche in tal caso si tratta, dunque, di misure di indirizzo e di coordinamento che si aggiungono ai criteri e agli obiettivi indicati dall'art. 2 comma 2 d.l., senza peraltro averne la necessaria copertura, e che, non potendo essere interpretate come dotate di un'efficacia meramente « indicativa » (come suppone, invece, l'Avvocatura dello Stato) e non essendo fornite della norma richiesta dalle leggi per gli atti governativi di indirizzo e di coordinamento, non possono esser considerate legittime.
4.3. L'art. 1 del decreto impugnato prevede, ai commi 2 e 6, che, in caso di omissione degli adempimenti previsti a carico delle Regioni e delle Province autonome, il Ministro della sanità possa adottare gli atti sostitutivi necessari in luogo di quelli omessi dalle competenti autorità.
Più precisamente, il comma 2 di tale articolo, nel richiamare l'art. 2 comma 3 d.l. n. 27, che prevede un analogo potere in caso di omissione degli adempimenti relativi alle procedure ivi stabilite a proposito della rideterminazione dei posti letto, della riorganizzazione dei singoli ospedali e delle corrispondenti piante organiche, ne estende l'ambito di operatività anche alle ipotesi « di applicazione non conforme alle norme di cui al presente decreto », norme che, come si è già detto e si dirà anche in seguito, dispongono adempimenti ulteriori rispetto a quelli determinati dai ricordati commi 1 e 2 dell'art. 2 d. l. n. 27 del 1988. In particolare, esse riferiscono il potere sostitutivo del Ministro della sanità anche all'eventualità di inadempimento da parte delle Regioni e delle Province autonome delle prescrizioni relative alle disattivazioni e alle riconversioni dei presìdi ospedali previste nei commi precedenti.
Nella parte in cui tali disposizioni estendono le ipotesi per le quali è previsto il potere sostitutivo contemplato nell'art. 2 comma 3 d. l. n. 27 del 1988 - e, segnatamente, per quanto disposto nell'ultima proposizione contenuta nel comma 6 dell'art. 1 del decreto impugnato e per l'inciso « o in caso di applicazione non conforme alle norme di cui al presente decreto », contenuto nell'ultima proposizione del comma 2 dello stesso articolo - esse devono considerarsi illegittime.
Questa Corte, infatti, ha già avuto modo di affermare (v. sent. n. 177 del 1988) che le ipotesi in cui può esser esercitato un potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni (o delle Province autonome) e le modalità di esercizio dello stesso debbono essere previste da un atto fornito di valore di legge, che le determini in via generale (com'è nell'ipotesi dell'art. 5 comma 4 l. n. 833 del 1978) o caso per caso. E ciò, come è stato precisato dalla stessa sentenza, dipende dal fatto che il potere di sostituzione di organo di governo verso enti che godono di autonomia costituzionale deve considerarsi un evento eccezionale, in quanto l'esercizio di quel potere comporta, se pure in un'ipotesi puntuale e in presenza di un evidente pericolo di grave pregiudizio ad interessi unitari dovuto alla persistente inerzia regionale, il superamento della separazione costituzionale delle competenze fra Stato e Regioni (o Province autonome).
5. Per ragioni identiche a quelle espresse nel precedente punto 4.2 della motivazione deve ritenersi illegittimo anche l'art. 2 del decreto impugnato (salvando, per ora, le ultime due proposizioni del comma 3, che verranno esaminate immediatamente dopo).
Con l'eccezione del primo periodo contenuto nel comma 3, che riproduce il contenuto normativo dell'art. 2 comma 2 d. l. n. 27 del 1988, le restanti disposizioni dell'art. 2 ora in esame - e precisamente quelle previste nei primi due commi dello stesso articolo - determinano gli indirizzi cui « le Regioni e le Province autonome debbono ispirarsi » nel disciplinare la riorganizzazione degli ospedali, incluse la gestione del personale e delle risorse materiali e tecniche (v. lett. c) ed e), nonché nel predisporre le politiche direzionali dei presìdi ospedalieri (v. comma 2).
Anche tali disposizioni vanno considerate illegittime per il fatto che esse sono state adottate senza la forma richiesta per gli atti governativi di indirizzo e di coordinamento e senza un'adeguata copertura legislativa.
Per ragioni analoghe a quelle espresse nel precedente punto 4.3 della motivazione, vanno pure considerate illegittime le ultime due proposizioni del comma 3 dell'art. 2, laddove si prevede un termine perentorio per gli adempimenti descritti nel precedente capoverso e si introduce un potere sostitutivo del Ministro della sanità non previsto, relativamente a quelle attività, da alcuna norma di legge.
6. Gli artt. 3 e 4 del decreto impugnato stabiliscono gli standards del personale ospedaliero, nonché una maggiorazione delle dotazioni organiche per alcuni servizi. Poiché si tratta di disposizioni adottate dal Ministro della sanità in attuazione delle competenze a lui attribuite dall'art. 1 comma 1 d. l. n. 27 del 1988, nessuna delle ricorrenti ne contesta la legittimità per quel che riguarda il loro fondamento legale o la loro forma. Tuttavia le Regioni Toscana e Umbria, rilevando che l'art. 3 comma 1, si riferisce anche alle fasi di preospedalizzazione e di dimissione protetta, nonché all'assistenza dei degenti a ciclo continuo e a ciclo diurno, contestano la legittimità di tale estensione a funzioni e ad attività che, a loro giudizio, esorbiterebbero dal tipico ambito ospedaliero.
Siffatte censure non possono essere accolte, poiché, se è pur vero che si tratta di attività sostitutive dell'assistenza ospedaliera, altrettanto certo è che esse adempiono a funzioni equivalenti a quelle connesse all'assistenza ospedaliera. Sarebbe, pertanto, palesemente illogico pretendere che attività del tutto analoghe siano sottoposte a parametri diversi sol perché svolte in strutture diverse da quelle ospedaliere. In considerazione di ciò è del tutto ragionevole che il Ministro della sanità, con proprio decreto, determini gli standards di personale in relazione alla globalità delle attività assistenziali erogate dai presìdi ospedalieri o dalle istituzioni di cura similari.
Le stesse ricorrenti contestano, poi, anche i commi 2 e 3 dell'art. 3, in quanto vincolerebbero le Regioni nell'esercizio delle competenze programmatorie ad esse spettanti in materia, a seguire, nell'organizzazione delle unità operative, i moduli tipo delineati nello stesso articolo. Pur in tal caso le censure vanno rigettate, in quanto, come è espressamente detto nel comma 3, i moduli tipo costituiscono tanto « la soglia minima al di sotto della quale la gestione dell'unità operativa diviene antieconomica », quanto « una indicazione parametrica per la determinazione della dotazione organica del personale delle divisioni, sezioni o servizi ». Pertanto, come è precisato nella susseguente proposizione dello stesso comma, i moduli tipo non sono diretti a vincolare le scelte programmatorie delle Regioni, dal momento che « non costituiscono riferimento per la strutturazione formale delle unità operative », ma assolvono, piuttosto, alla funzione connessa alla determinazione degli standards del personale, vale a dire alla fissazione dei criteri di proporzionalità relativi al rapporto tra il personale e le attività ospedaliere, da un lato, e i posti letto, dall'altro. Poiché, a norma dell'art. 1 d. l. n. 27 del 1988, tale funzione è appunto demandata al Ministro della sanità, i suddetti ricorsi, per gli aspetti indicati, vanno rigettati.
Restano assorbiti i profili relativi all'art. 4 del decreto impugnato, i quali sono stati sollevati dalle Regioni ricorrenti come aspetti conseguenziali delle contestazioni relative ai primo tre commi dell'art. 3.
7. Tutte le ricorrenti contestano, poi, la legittimità dell'art, 5 del d.m. impugnato, in quanto, a loro giudizio, andrebbe al di là dei limiti posti dal d. l. n. 27 del 1988 al Ministro della sanità, in conseguenza dell'estensione degli standards anche a soggetti ulteriori rispetto ai presìdi ospedalieri (istituti di ricovero o cura a carattere scientifico, università, istituti, enti ed ospedali convenzionati).
Le censure vanno rigettate. Nell'ambito di una legislazione volta alla razionalizzazione e al contenimento della spesa sanitaria nella sua globalità, non può apparire esorbitante dai limiti posti dall'art. 1 d. l. n. 27 del 1988 alla competenza ministeriale di determinazione e di applicazione degli standards del personale ospedaliero che questi ultimi siano diretti ad operare con riferimento a tutti gli enti la cui attività incide sulla spesa sanitaria statale.
8. Oggetto di impugnazione è, infine, l'art. 6, che dispone, nei suoi otto commi, varie norme collegate all'attuazione dei molteplici aspetti regolati dal decreto ministeriale. La valutazione della legittimità delle diverse disposizioni contenute nei predetti commi è, pertanto, in gran parte conseguenziale alla valutazione data alle disposizioni esaminate nei punti precedenti, alle quali quelle ora analizzate si collegano.
Su tali basi, vanno respinte le censure proposte contro il comma 1, il quale, precisando che gli standards fissati nei precedenti articoli si riferiscono al dimensionamento massimo della dotazione complessiva in ambito regionale (o provinciale), salve le determinazioni delle stesse Regioni (o delle Province autonome) in tema di ripartizione di tale dotazione complessiva fra i singoli presìdi, disciplinano la materia che l'art. 1 comma 1 d. l. n. 27 del 1988 riserva alla competenza del Ministro della sanità.
Al contrario, gli obiettivi, i criteri e i termini posti alle Regioni (e alle Province autonome) in materia di riorganizzazione ospedaliera nei commi che vanno dal secondo al quinto costituiscono misure di indirizzo relative all'esercizio di competenze regionali (o provinciali) che non hanno una specifica base legislativa e non sono adottate con un atto idoneo a porre in essere forme di indirizzo e di coordinamento. Per le stesse ragioni, vanno considerati illegittimi gli indirizzi stabiliti nel comma 7, che riguardano una materia di spettanza regionale, quale la riqualificazione professionale del personale eccedente, stabilendo disposizioni parzialmente difformi rispetto alla disciplina legislativa vigente.
Inoltre, va dichiarata inammissibile la censura che le ricorrenti muovono al comma 6 dell'art. 6, in quanto riproduce sostanzialmente l'indirizzo già contenuto nell'art. 2 comma 2 lett. e) d. l. n. 27 del 1988.
Infine, va respinta la censura mossa al comma 8 dell'art. 6, il quale stabilisce semplicemente doveri di informazione e di relazione sullo stato di attuazione del decreto che le Regioni (e le Province autonome) sono tenute ad adempiere nei confronti del Ministro della sanità, doveri che, per loro natura, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, non possono essere lesivi di competenza alcuna e sono, anzi, giustificati dal principio fondamentale della « leale cooperazione » fra le Regioni e lo Stato (v. sentt. nn. 359 del 1985; 153, 177 e 294 del 1986; 201 del 1987; 730 del 1988).

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione sollevati dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, e dalle Regioni della Toscana e dell'Umbria nei confronti dell'art. 1 commi 1 e 2, salvo l'inciso « o in caso di applicazione non conforme alle norme di cui al presente decreto » e 3, nonché dell'art. 6 comma 6 d.m. sanità 13 settembre 1988 (Determinazione degli standards del personale ospedaliero), in attuazione del d. l. 8 febbraio 1988 n. 27, convertito con modificazioni dalla l. 8 aprile 1988 n. 109 (Misure urgenti per le dotazioni organiche del personale degli ospedali e per la razionalizzazione della spesa sanitaria);
2) dichiara che non spetta allo Stato adottare con il decreto del Ministro della sanità sopra indicato le disposizioni contenute nell'art. 1 comma 2, limitatamente all'inciso « o in caso di applicazione non conforme alle norme di cui al presente decreto », nonché commi 4, 5, 6 e 7; nell'art. 2 commi 1, 2 e 3, limitatamente agli ultimi due periodi; nell'art. 6 commi 2, 3, 4, 5 e 7; e, conseguentemente, annulla le suddette disposizioni;
3) dichiara che spetta allo Stato adottare con il d.m. sanità sopra indicato le disposizioni contenute nell'art. 2 comma 3, limitatamente al primo periodo; negli artt. 3, 4, 5 e 6 commi 1 e 8.
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