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In vigore al: 11/09/2012

Corte costituzionale - Sentenza N. 304 del 30.09.1987
Idennità a favore degli agricoltori che abbandonano definitivamente la produzione lattiera - Attuazione di regolamenti comunitari

Sentenza (22 maggio) 30 settembre 1987, n. 304; Pres. Andrioli – Rel. Spagnoli
 
Ritenuto in fatto: 1. Con ricorso notificato l'11 gennaio 1985, la Provincia autonoma di Trento ha proposto regolamento di competenza nei confronti dello Stato in ordine al decreto del Ministro dell'agricoltura e foreste dell'8 novembre 1984 (pubblicato nella G.U. n. 313 del 14 novembre) concernente « Criteri e modalità per la concessione di una indennità a favore dei produttori che intendono abbandonare definitivamente la produzione lattiera in applicazione dell'art. 4, comma 1, lett. a), del Regolamento CEE n. 857 del 1984 »: decreto mirante - come specificato nelle premesse a « conseguire la ristrutturazione della produzione lattiera nazionale mediante la concessione di un premio di riconversione per l'abbattimento di capi femminili bovini di talune razze da latte, nonché un premio supplementare per la sostituzione dei capi eliminati con vacche di razze da carne o con capi femminili di altre specie animali »; e contenente, perciò, un'analitica disciplina circa « le condizioni e modalità per la concessione » di tali premi.
La ricorrente, dopo aver richiamato le norme dello statuto speciale di autonomia in materia di agricoltura e zootecnia (artt. 8 n. 21 e 16 d.P.R. n. 670 del 1972), le relative norme di attuazione (d.P.R. n. 279 del 1974) e la l. prov. 31 agosto 1981 n, 17 (Interventi organici in materia di agricoltura), premette di non potere escludere che, nelle intenzioni dell'Autorità statale, il decreto impugnato possa non riguardare la Provincia di Trento, non contenendo l'atto alcuna precisa disposizione sul punto, che comprenda o escluda espressamente le Province autonome dall'ambito di operatività del decreto, e riferendosi anzi esclusivamente ad organi « regionali ». Nell'ipotesi, tuttavia, ugualmente da non scartare, che il decreto sia invece diretto anche nei suoi confronti, la Provincia ne chiede l'annullamento, ritenendolo gravemente lesivo delle proprie attribuzioni, per le seguenti considerazioni.
Non vi possono essere dubbi, ad avviso della ricorrente, che l'atto impugnato ricada nella materia riservata alla competenza primaria della Provincia dalle sopra citate disposizioni dello statuto speciale; ne rileva che il decreto sia stato emanato in applicazione di un regolamento CEE, giacché questa spetta alle Regioni e Province autonome nelle materie di loro competenza ai sensi dell'art. 6 d.P.R. n. 616 del 1977. In particolare, poi, l'art. 8 del citato d.P.R. n. 279 del 1974 esclude che rientri nella competenza statale l'applicazione del regolamento in esame, in quanto detta norma, alla lett. b), riserva allo Stato i soli regolamenti « concernenti la politica dei prezzi e dei mercati », mentre nel caso di specie trattasi di interventi sulla produzione.
Non potrebbe neanche valere ad escludere l'incostituzionalità del decreto il ritenere che trattisi di atto d'indirizzo e coordinamento. A parte, infatti, il suo contenuto analitico e dettagliato, che dovrebbe portare ad escludere la detta qualificazione, la ricorrente rileva, in primo luogo, che l'atto non trova fondamento in alcuna disposizione legislativa che, nella materia de qua, attribuisca al Governo il potere d'indirizzo nei confronti della Provincia, con conseguente violazione del principio di legalità (sent. n. 150 del 1982); in secondo luogo, esso è stato emanato dal Ministro e non dal Consiglio dei Ministri, come invece richiede l'art. 3 l. 22 luglio 1975 n. 382; infine, anche se il decreto volesse considerarsi atto di esercizio della funzione d'indirizzo e coordinamento, esso sarebbe comunque in contrasto con i principi dettati in materia dalla Corte con la sent. n. 340 del 1983, ove sono stati ben circoscritti i limiti di tale potere nei confronti delle Province autonome: non sussisterebbe, in particolare, nel caso di specie, il requisito della « insuscettibilità di frazionamento o localizzazione territoriale » dell'interesse, che solo legittima l'esercizio dell'indirizzo e del coordinamento nei confronti di dette Province.
Va anche considerato, prosegue la ricorrente, che il decreto ministeriale impugnato, stabilendo una disciplina estremamente analitica, non lascia alcun margine di discrezionalità alla Provincia in ordine alla sua applicazione e all'eventuale coordinamento con gli obiettivi programmatici già stabiliti dalla Provincia stessa in materia con la citata 1. prov. 31 agosto 1981 n. 17: in particolare, l'erogazione indiscriminata dei premi prevista nel decreto provocherebbe gravi ripercussioni per il settore agricolo e zootecnico provinciale e creerebbe disorientamento negli operatori agricoli. Al riguardo, la ricorrente osserva che l'erogazione indiscriminata di cospicui premi per l'eliminazione concerne anche bestiame acquistato o mantenuto - proprio in virtù della citata l. prov. n. 17 del 1981 - grazie a finanziamenti dell'Amministrazione provinciale, vanificando anche gli esborsi finanziari da questa sostenuti per ottenere bestiame sempre più selezionato; ed inoltre, che essa comprometterebbe l'utilizzazione agricola di alcune aree del territorio provinciale, che è spesso l'unica possibile trattandosi di zone di montagna.
D'altra parte, poiché il Regolamento CEE n. 857 del 1984 prevede la possibilità della istituzione dell'indennità in questione, tale discrezionalità non potrebbe essere radicalmente eliminata mediante una disciplina amministrativa, statale, oltretutto incompatibile con la valutazione degli interessi pubblici già effettuata in materia dalla Provincia in ogni caso non potrebbe essere a questa sottratto qualsiasi potere discrezionale circa i criteri di applicazione del Regolamento CEE in questione, specie per quanto concerne l'individuazione delle zone e dei tipi d'imprese cui concedere l'indennità e la determinazione dell'entità, dei tempi e dei modi dell'erogazione stessa.
2. Con ricorso notificato il 12 gennaio 1985, anche la Regione Friuli-Venezia Giulia ha proposto regolamento di competenza nei confronti dello Stato in ordine, al medesimo d.m. 8 novembre 1984.
Dopo aver riassunto il contenuto del decreto, la ricorrente osserva che esso rientra nella materia dell'agricoltura, così come definita dall'art. 4 n, 2 st. spec. della Regione (l. cost. 31 gennaio 1963 n. 1) e dall'art. 66, commi 1 e 2, lett. e), d.P.R. n. 616 del 1977. In detta materia la Regione Friuli ha competenza primaria ed esclusiva; tutte le pertinenti funzioni amministrative le furono trasferite con l'art. 1 d.P.R. 26 agosto 1965 n. 1116. Spetta, quindi, alla Regione operare le scelte e stabilire le condizioni per la concessione dell'indennità in questione. Ciò anche se nel decreto potesse ravvisarsi qualche attinenza alla materia del commercio, rientrando anche quest'ultima nella competenza primaria ed esclusiva della Regione(art. 4 n. 6 st. e 8 d.P.R. n. 1116 del 1965). Infine, l'atto impugnato violerebbe anche l'art. 4 n. 1 st., incidendo sull'ordinamento degli uffici regionali, creando competenze, attribuzioni e obblighi di organi regionali.

3. Si è costituito in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei Ministri, tramite l'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, con atti d'intervento in gran parte identici, il rigetto dei ricorsi.

L'Avvocatura premette che la norma comunitaria cui fa riferimento il decreto impugnato (art. 4, comma 1, lett. a), del Regolamento CEE n. 857 del 1984) rientra nell'ambito degli interventi diretti a risolvere il grave problema delle eccedenze del latte e dei prodotti lattiero-caseari, agevolando l'abbandono definitivo della produzione lattiera. Questa finalità della norma non muta per il fatto che l'intervento è previsto come facoltativo e non obbligatorio. D'altro canto il regolamento citato da facoltà agli Stati Membri di attuare l'intervento « a livello nazionale, regionale o delle zone di raccolta » e lo Stato italiano, con l'art. 17 l. 4 giugno 1984 n. 194, ha già mostrato di voler esercitare tale facoltà a livello nazionale. Trattandosi, pertanto, di programma nazionale, finalizzato a raggiungere gli obiettivi perseguiti dal Regolamento comunitario e finanziato totalmente con spese a carico dello Stato (v. art. 17 cit.), non v'è dubbio, ad avviso dell'Avvocatura, che la competenza a provvedere spetti allo Stato stesso.
Trattandosi, poi, di applicazione di un Regolamento CEE, l'Avvocatura rileva che, per quanto riguarda la Provincia di Trento, la competenza statale è prevista dall'art. 8, lett. o), d.P.R. n. 279 del 1974, dovendosi ritenere che l'intervento rientri nella « politica dei mercati »; mentre, per la Regione Friuli-Venezia Giulia non esiste nessuna norma che attribuisca ad essa potestà in materia di applicazione di Regolamenti comunitari.
L'Avvocatura, infine, aggiunge che il decreto impugnato è stato modificato con decreto 20 dicembre 1984, che consente una valutazione di problemi ed interessi di livello locale.
4. In una memoria depositata nell'imminenza dell'udienza, la Regione Friuli-Venezia Giulia nega che possa ritenersi cessata la materia del contendere per effetto delle modificazioni e integrazioni apportate al d.m. 8 novembre 1984 col successivo d.m. 20 dicembre 1985, atteso che il primo non è stato revocato e che alla base di entrambi sta l'affermazione di competenza in materia riservata alla Regione, cui sono imposti determinati adempimenti. Ove questa non si adegui entro un breve e perentorio termine - ormai scaduto, nonostante la proroga disposta con d.m. 22 novembre 1985 - l'art. 5, comma 2, del nuovo decreto riafferma che « si applicano esclusivamente le disposizioni del d.m. 8 novembre 1984, modificate ed integrate dai precedenti artt. 3 e 4 »: nessuno dei quali ha di mira le competenze spettanti all'Amministrazione regionale (così come, del resto, tali competenze vengono trascurate ed ulteriormente lese dal più recente d.m. 25 marzo 1986, emanato per l'esercizio 1986).
Quanto alla competenza in materia di applicazione dei Regolamenti CEE, negata dall'Avvocatura, la difesa della Regione la fonda sull'ari. 6 d.P.R. n. 616 del 1977, la cui applicabilità alle Regioni a st. spec. sarebbe deducibile dalle sentt. nn. 223 del 1984 e 81 del 1979 di questa Corte. La procedura prevista da tale norma per l'esercizio.del potere sostitutivo - osserva la ricorrente - non è stata nella specie rispettata. D'altra parte, essendo solo facoltativa la concessione dell'indennità peri'abbandono della produzione lattiera (art. 4, comma 1, lett. a) Regolamento n. 857 del 1984), il d.m. impugnato non poteva legittimamente porre - come pretende l'Avvocatura - un programma a carattere nazionale di ristrutturazione della produzione lattiera, occorrendo all'uopo quanto meno una disciplina legislativa di principio. Questa non potrebbe peraltro rinvenirsi nell'art. 17 1. n. 194 del 1984, giacché la Corte ha al riguardo precisato (sent. n. 356 del 1985) che « con il testo normativo in esame sono soltanto stanziate le somme occorrenti al pagamento delle indennità e dei premi »; mentre « nulla è disposto circa i procedimenti e le competenze che vengono in rilievo nell'erogazione delle provvidenze contemplate ».

Né la competenza statale in materia riservata ad una Regione a statuto speciale potrebbe - secondo la ricorrente - fondarsi sull'essere il suddetto programma nazionale finanziato totalmente con spese a carico dello Stato, posto che persino rispetto a leggi statali (e non decreti ministeriali) di finanziamento la Corte ha precisato che il potere d'indirizzo e coordinamento può esercitarsi solo ove trattisi di interesse « insuscettibile di frazionamento o localizzazione territoriale »; che le Regioni speciali godono al riguardo, rispetto a quelle di diritto comune, di maggiori possibilità di valutazione e scelta (sent. n. 340 del 1983); che ad esse, inoltre, spetta l'impiego nel proprio ambito degli stanziamenti ripartiti dallo Stato (sent. n. 356 del 1985), e ciò « non nei limiti della singola destinazione, ma secondo le finalità in complesso perseguite con il generale intervento » (sent. n. 357 del 1985). Sarebbe perciò evidente, ad avviso della ricorrente, l'anomalia del d.m, impugnato, il quale « prende addirittura in espressa considerazione una razza da abbattere come quella pezzata rossa friulana » (cfr. l'art, 1, comma 1, d.m. 8 novembre 1984), senza tenere alcun conto del fatto che essa costituisce i] 75 % delle specie bovine allevate nel Friuli-Venezia Giulia e senza armonizzare questa previsione con le autonome scelte riservate alla Regione, quanto al patrimonio zootecnico regionale ».

5. Con Regolamento CEE n. 797 del 1985 del Consiglio del 13 marzo 1985 è stata dettata la nuova disciplina comunitaria degli interventi volti « al miglioramento dell'efficienza delle strutture agrarie », contenente un'analitica regolamentazione delle varie forme di aiuti alle aziende agricole, e sostitutivo, tra l'altro (art. 33), di varie direttive della stessa CEE (fra cui le nn. 72/159; 72/160; 72/161 del 17 aprile 1972, e la n. 75/268 del 28

aprile 1975) alle quali lo Stato italiano aveva dato attuazione con 1. 9 maggio 1975 n. 153.

Con d.m. del 12 settembre 1985 (pubblicato nella G.U. n. 223 del 21 settembre 1985) il Ministro dell'agricoltura e foreste - « Considerata l'urgenza di dare immediata attuazione alla nuova azione comune ferma restando la competenza delle Regioni a deliberare nelle materie loro riservate » - ha emanato « disposizioni recanti criteri e modalità di ordine generale per l'applicazione » del predetto Regolamento CEE: decreto cui il medesimo Ministro ha apportato « modificazioni » con successivo d.m. del 26 settembre 1985 (pubblicato nella G.U. n. 231 del 1° ottobre 1985).

Con ricorsi notificati, rispettivamente, in data 19, 19 e 20 novembre 1985, le Regioni Lombardia (reg. confi, n. 49 del 1985), Toscana (reg. conf l. n. 50 del 1985) e la Provincia Autonoma di Trento (reg. conf l. n. 48 del 1985) hanno sollevato conflitto di attribuzioni contro lo Stato in ordine al suddetto d.m., così come modificato.
6. La Regione Lombardia contesta la legittimità del decreto impugnato, sostenendo che spetta ad essa, ai sensi dell'art. 6 d.P.R. n. 616 del 1977, l'applicazione, nel proprio ambito, dei Regolamenti comunitari, in materia di « agricoltura e foreste »; in particolare, rileva - in riferimento all'« urgenza » fatta valere nelle premesse del decreto, ed all'ipotesi che si ravvisi quindi nella specie un esercizio del potere sostitutivo del Governo (art. 6, comma ult., cit.) - che anche a voler ritenere rispettato il requisito dell'audizione della Regione « inattiva » (in quanto vi fu al riguardo una riunione tra funzionari del MAF e funzionari di tutte le Regioni interessate), mancherebbero pur sempre la richiesta del parere della Commissione parlamentare e la deliberazione del Consiglio dei Ministri.
Egualmente illegittimo dovrebbe ritenersi l'atto censurato ove dovesse riguardarsi come espressione della funzione, incontestabilmente statale, d'indirizzo e coordinamento, poiché non sarebbe stato adottato nelle forme e secondo le procedure previste dall'art. 3 l. n. 382 del 1975.
Quanto al contenuto del decreto, la Regione sostiene che esso, anziché « stabilire criteri e modalità di ordine generale » - come affermato nell'art. 1, comma 1 - detta in realtà una disciplina di assoluto dettaglio e rigorosamente puntuale, oltre la quale nessuno spazio è consentito alle Regioni, cui pur spetta dare attuazione al Regolamento CEE. Ciò vale in particolare, ad avviso della ricorrente: 1) per l'analitica disciplina concernente i beneficiari degli interventi, estesa fino a dettagliare quale debba essere l'aliquota dei soci di cooperativa in possesso dei prescritti requisiti soggettivi (art. 2); 2) per la predisposizione di uno « schema » dei piani di miglioramento e la sottoposizione al vaglio ministeriale delle « eventuali » modifiche regionali (art. 3), che toglierebbe alle Regioni anche una funzione di mero accertamento dei contenuti tecnico-economico-funzionali; 3) per il controllo di merito su ciascuna erogazione che sarebbe sotteso alla previsione dell'obbligo delle Regioni di inviare dettagliate relazioni sui problemi « particolari » relativi all'attuazione delle misure comunitarie (art. 19, comma 2), con il che sembrerebbe si riservino alle Regioni mere funzioni istruttorie; 4) per la specificazione delle forme giuridiche delle associazioni di assistenza interaziendali o fornitrici di servizi specializzati (artt. 11 e 12), che violerebbero, oltre all'art. 6, anche l'art. 14 d.P.R. n. 616 del 1977; 5) per la dettagliata disciplina dei corsi di formazione professionale, che determinerebbe anche una violazione degli artt. 35 ss. d.P.R. n. 616 del 1977.
7. La Regione Toscana svolge censure analoghe a quelle dianzi illustrate in riferimento agli artt. 6 d.P.R. n. 616 del 1977 e 3 1. n. 153 del 1975 richiamata da alcune disposizioni del decreto impugnato.
Nega inoltre l'esistenza dell'« urgenza » posta a base di questo, precisando che comunque non è l'urgenza ma l'« inerzia » delle Regioni a legittimare - nelle dovute forme - l'esercizio del potere sostitutivo. Contesta infine, in particolare, la disposizione di cui all'art. 17 "del d.m., assumendo che essa violerebbe la competenza regionale in materia di istruzione professionale.
8. La Provincia autonoma di Trento riferisce innanzitutto di avere, il 16 luglio 1985, adottato un disegno di legge (n. 101) recante « modifiche alle leggi provinciali in materia di agricoltura » inteso a dare attuazione al Regolamento CEE n. 797 del 1985, comunicato il 3 settembre alla Commissione della CEE per il prescritto parere di conformità e seguito, il 3 ottobre dall'invio dell'ulteriore documentazione da questa richiesta; e di essere stata peraltro, il 30 settembre c. a., invitata dal Ministero, tramite il Commissario del Governo, a redigere un nuovo testo che risultasse « conforme ed in armonia » con le disposizioni del d.m. 12 settembre 1985; con ciò chiaramente intendendosi - in contrasto con la riserva della competenza regionale di cui alla premessa dello stesso decreto - che questo
vincoli anche la potestà legislativa primaria della Provincia e non sia derogabile dalla legge provinciale.
Tanto premesso, la ricorrente deduce la violazione della propria competenza legislativa primaria - e amministrativa propria - statutariamente stabilita: nella materia dell'agricoltura dall'art.. 8 n. 21 st. spec. e dal d.P.R. n. 279 del 1974; nonché (per quanto riguarda l'art. 17 del decreto) nella materia dell'addestramento e formazione professionale, dall'art. 8 n. 29 dello stesso statuto e dal d.P.R. n. 689 del 1973. Tale competenza - secondo la Provincia - trova bensì un limite nell'esistenza di obblighi internazionali (art. 8, in riferimento all'art. 4, st.), ma non è affatto esclusa, bensì rimane integra, negli oggetti a cui gli obblighi internazionali (o comunitari) si riferiscono e cioè per quanto attiene, in particolare, all'applicazione dei regolamenti comunitari: in ordine alla quale lo Stato non ha alcuna competenza normativa, tanto meno se esercitata mediante un atto fonte atipico come un decreto ministeriale, privo di qualsiasi fondamento legislativo. D'altra parte - prosegue la ricorrente - trattandosi nella specie di applicare un Regolamento, e non un direttiva, della CEE, esso non necessita di essere recepito o « fatto proprio » dallo Stato (come si esprime a proposito delle direttive CEE l'art. 6, comma 1, d.P.R. n. 616 del 1977); e non è ipotizzabile, nemmeno ai sensi dell'art. 6, comma 2, d.P.R. n, 616 del 1977, una normativa di fonte statale a carattere suppletivo e cedevole; senza dire che tale normativa, ai sensi del citato art. 6, dovrebbe riguardare le sole Regioni ordinarie, e dovrebbe comunque essere posta con legge, e non con decreto ministeriale.
Quanto poi alle funzioni amministrative, la spettanza ad essa Provincia di quelle relative all'applicazione dei Regolamenti CEE si desumerebbe non solo dal citato art. 6 - dettato per le Regioni ordinarie ma valevole a fortiori per le Province autonome - ma anche dalla norma di attuazione di cui all'art. 8, lett. b), d.P.R. n. 279 del 1974, ai cui sensi resta ferma la competenza statale solo in ordine « all'applicazione di regolamenti ed altri atti della Comunità economica europea concernenti la politica dei prezzi e dei mercati », non quindi di quelli concernenti - come nella specie - altri aspetti della materia dell'agricoltura.
La ricorrente nega, inoltre, che il decreto impugnato possa intendersi come non efficace nei confronti delle Regioni speciali e Province autonome; e ciò sia per i molteplici, espliciti riferimenti a tali enti contenuti in disposizioni del decreto a carattere vincolante ovvero enuncianti limiti e non facoltà; sia per il dubbio valore normativo della riserva di competenza regionale di cui alla premessa del decreto; sia infine per l'ambiguità - a fronte delle successive disposizioni precettive - deiriferimento all'attuazione degli interventi da parte degli enti predetti « nell'ambito dei rispettivi statuti » (art. 1, comma 2), e per il valore cogente assegnato al decreto dello stesso Ministero con la citata nota del 30 settembre. Vertendosi in materia « interamente di competenza provinciale », non è ad avviso della ricorrente concepibile che un semplice decreto ministeriale pretenda di imporsi e di prevalere sulla legislazione emanata o emananda nell'esercizio della potestà legislativa primaria della Provincia, e di vincolare l'attività amministrativa di questa. Né d'altra parte il decreto in questione potrebbe intendersi come atto d'indirizzo e coordinamento, sia perché non presenta i requisiti all'uopo precisati nella sent. n. 340 del 1983, sia perché non ne ha ne la forma, né il contenuto, né il necessario supporto legislativo. A ritenere altrimenti, la competenza provinciale in materia di agricoltura « sarebbe praticamente cancellata, o ridotta a rango di mera potestà di attuazione e di pedissequa esecuzione di norme e di decisioni statali ».
9. II Presidente del Consiglio dei Ministri - costituitesi con atti di identico tenore nei giudizi promossi dalle Regioni Lombardia e Toscana - dopo aver negato che l'art. 3 l. n. 382 del 1975 contenga precetti costituzionali la cui eventuale violazione possa essere denunciata con lo strumento del conflitto di attribuzione, sostiene che il Regolamento CEE n. 797 del 1985 richiede, per le sue finalità ed i suoi contenuti, l'adozione di un'azione comune che, a livello degli Stati Membri, non può non tradursi in un programma nazionale, che va necessariamente disegnato dallo Stato ai fini della tutela dell'interesse nazionale e di quello di tutte le Regioni. Di qui la necessità di stabilire criteri e modalità applicative d'interesse generale, le quali non sottraggono competenze alle Regioni, bensì consentono ad esse l'esercizio delle loro competenze, nel rispetto però dell'esigenza del programma nazionale e dell'interesse generale. E lo stesso Regolamento CEE n, 797 del 1985 che richiede di provvedere non solo all'adattamento o integrazione della preesistente disciplina regionale, ma anche a definire aspetti di ordine generale (quelli in particolare di cui all'art. 2 reg., precisati negli artt. 2 e 4 d.m.), per i quali una disciplina differenziata da Regione a Regione sarebbe inadeguata alla predetta esigenza unitaria. A tal fine, ad avviso del resistente, è sufficiente un atto statale a contenuto generale - quale il decreto impugnato - posto che principi e criteri sono già stabiliti nel regolamento comunitario. Quanto poi al richiamo, nel decreto impugnato, a talune norme della 1. n. 153 del 1975, il resistente sostiene - particolarmente in riferimento agli artt. 2, par. 2, 7, 8, par. 2, 14 e 17- che esse non sono state modificate dal Regolamento CEE n. 797 del 1985.
10. In riferimento alle censure mosse al d.m. in questione dalla Provincia di Trento, il Presidente del Consiglio dei Ministri, oltre a ribadire anche in tal caso le considerazioni ora illustrate, nega - in base alle cennate espressioni di cui alle premesse ed all'ari. 1, comma 2 - la dedotta menomazione della competenza provinciale, la quale si sarebbe realizzata solo per la parte (ad es., art. 30, commi 1 e 2) in cui sono riprodotti principi e limiti posti dalla stessa normativa comunitaria; a ciò soltanto si riferirebbe la citata nota del 30 settembre 1985.
Quanto poi all'espresso richiamo alle Province autonome contenuto in alcune disposizioni ministeriali, il resistente assume trattarsi di normazione statale che o amplia le possibilità offerte dal sopracitato regolamento (art. 4: determinazione provinciale anziché ministeriale del « reddito di riferimento »), o riconosce poteri rientranti nella competenza esclusiva o concorrente, a seconda dei Casi, delle Regioni o Province autonome (artt. 3, comma 1 el3, commi 4 e 5), oppure indica (art. 19) adempimenti o procedure di rendicontazione già definite per misure comunitarie analoghe e mai contestate.

11. Replicando, in una memoria aggiunta, alle argomentazioni svolte dal Presidente del Consiglio dei Ministri, la Provìncia autonoma di Trento osserva che la tesi per cui gli atti impugnati (d.m. 12 settembre 1985 e nota 30 settembre 1985) la vincolano solo nella parte in cui riproducono la normativa comunitaria - pur se contraddetta dal tenore della predetta nota - implica comunque il riconoscimento che con essi è stata posta una disciplina « cedevole » nei confronti della 1. prov. 27 febbraio 1986 n. 5 (nella quale è stato tradotto il già citato disegno di legge n. 101, non essendosi il Governo opposto al suo corso).

La ricorrente contesta peraltro che tra norma comunitaria e legge provinciale lo Stato possa inserire una propria disciplina, sia pure transitoria e « cedevole », soprattutto se dettata con atto amministrativo.

Spetta infatti al legislatore provinciale adeguare la normativa preesistente alle nuove disposizioni comunitarie, e ove vi sia ritardo dovranno applicarsi i consueti principi in tema di rapporti tra norme di fonte comunitaria e norme di fonte interna.

La ricorrente contesta poi che il d.m. impugnato concretizzi un « programma nazionale », sostenendo che esso contiene semplicemente una disciplina della materia oggetto del regolamento comunitario; e ribadisce che questa non può in alcun modo vincolare o limitare la competenza primaria della Provincia, tanto più in quanto posta con un semplice decreto ministeriale (sia pure attuativo del regolamento comunitario) non fondato su alcuna disposizione di legge.
12. La Regione Toscana sostiene, in una memoria aggiunta, che data la natura dei regolamenti comunitari, essi sono suscettibili d'integrazione solo con una normativa secondaria - spettante alle Regioni sia in materia di agricoltura che di istruzione professionale - e che pertanto non vi è spazio per l'esercizio di una concorrente competenza statale a porre norme di principio, le quali sono già contenute - come la stessa Avvocatura ammette - nello stesso Regolamento n. 797 del 1985.
Nelle premesse di questo è, d'altra parte, espressamente formulata la considerazione che « la diversità delle cause, della natura e della gravita dei problemi strutturali in agricoltura può richiedere soluzioni distinte a seconda delle Regioni e adattabili nel tempo ». Sarebbe perciò priva di base l'esigenza di uniformità della normativa interna di attuazione posta a base del decreto impugnato. Ne potrebbe ritenersi che tale esigenza sia sostenuta dall'interesse nazionale all'uniformità della normativa di attuazione. Ed invero - ricorda la ricorrente, richiamando la sent. n. 223 del 1984 - « perché l'interesse nazionale possa assurgere a criterio ispiratore degli organi statali, sembra indispensabile che esso non rimanga indeterminato e, quindi, apoditticamente rimesso alla valutazione, di volta in volta, di un Ministro, ma riceva adeguata qualificazione attraverso un ragionevole fondamento normativo demandato, pertanto, all'individuazione del legislatore ».
Nella specie si sarebbe, d'altra parte, al di fuori dell'ipotesi di esercizio della funzione d'indirizzo e coordinamento, giacché le disposizioni del decreto non contengono « direttive » rivolte agli organi amministrativi regionali, ma « norme indirizzate alla generalità circa le modalità degli interventi e circa i requisiti per usufruire degli interventi stessi (artt. 2, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 14) ».
Quanto, poi, alla censura concernente il mancato rispetto delle forme e procedure fissate per l'esercizio di tale funzione dall'ari 3 1. n. 382 del 1975, la ricorrente ricorda come la giurisprudenza di questa Corte abbia già chiarito che il parametro dei giudizi sui conflitti deve essere integrato anche dalle norme esecutive di disposizioni formalmente costituzionali - quali sono lai. n. 382 del 1975 e il d.P.R. n. 616 del 1977 - e che l'inosservanza di disposizioni procedimentali può essere fatta valere come lesione di competenze demandate dalla Costituzione dal momento che le disposizioni stesse concorrono alla garanzia di dette competenze (sentt. nn. 217 del 1985 e 206 del 1985).
13. La stessa Regione Toscana ha, nell'imminenza dell'udienza del 5 maggio 1987, depositato un'altra memoria aggiunta in cui, contestando le deduzioni dell'Avvocatura dello Stato, sostiene: a) che il Regolamento comunitario n. 797 del 1985 - relativo al miglioramento dell'efficienza delle strutture agrarie - non richiede l'adozione di un'azione comune, sia perché in tal caso avrebbe direttamente dettato una normativa particolareggiata, sia perché nella premessa di esso si dice espressamente (terzo « considerando ») che la diversità dei problemi in agricoltura richiede soluzioni differenziate tra le varie Regioni; b) che non vi è neanche un interesse nazionale ad un'azione comune, posto che nelle materie di competenza regionale - quale quella in questione - è istituzionalmente prevista una disciplina differenziata per tener conto delle esigenze locali; c) che in ogni caso l'inviduazione dell'interesse nazionale spetta al legislatore e non al Ministro (cfr. sent. n. 233 del 1984).
La Regione sostiene, inoltre, che un intervento statale in materia di applicazione di regolamenti comunitari potrebbe giustificarsi solo come esercizio o di un potere sostitutivo o di un potere d'indirizzo e coordinamento. La prima ipotesi è stata esclusa dallo stesso Ministero dell'agricoltura, che - nella relazione conseguente all'ord. n. 318 del 1986 - ha riferito di aver predisposto i decreti impugnati sulla base di informazioni ed analisi fornitegli dalle Regioni nell'apposita riunione ivi citata. La seconda ipotesi sarebbe contraddetta dal fatto che, all'epoca dell'emanazione dei decreti impugnati. Regioni e Province autonome stavano già predisponendo gli strumenti per dare applicazione al regolamento comunitario (ad es., il disegno di legge n. 101 del 16 luglio 1985 della Provincia di Trento).
14. Con ordinanza istruttoria n. 318 del 31 dicembre 1986 la Corte, riuniti i ricorsi relativi ai conflitti di attribuzione nn. 4, 5, 48, 49 e 50 del reg. confi. 1985, ha chiesto alle parti « di dare informazioni; a) sui rapporti eventualmente intercorsi fra lo Stato, le Regioni nonché le Provincie autonome successivamente alla data dei Regolamenti comunitari nn. 857 del 1984 e 797 del 1985 ed a quella degli imputati provvedimenti ministeriali;
b) sugli effetti derivati dall'applicazione degli stessi provvedimenti nell'ambito delle varie Regioni e delle due Provincie autonome ».
15. In riferimento al d.m. 8 novembre 1984, relativo alla concessione d'indennità per l'abbandono della produzione lattiera, il Ministero dell'agricoltura e delle foreste, con nota n. 20970 del 27 febbraio 1987, dopo aver ricordato che le 11. n. 194 del 1984 e 887 del 1985 avevano stanziato, ciascuna, 60 miliardi per il pagamento di tale indennità, riferisce che successivamente si è provveduto a ciò « con i fondi nazionali dell'AIMA, nell'ambito degli interventi per la regolazione del mercato agricolo ».
Per tener conto delle problematiche emerse nel corso della sua pratica attuazione, il predetto d.m. - aggiunge il MAF - è stato modificato con i dd.mm. 20 dicembre 1984, 12 febbraio 1985, 7 settembre 1985 e 22 novembre 1985.
Le somme stanziate dalle leggi finanziarie sono state ripartite tra Regioni e Province autonome con dd.mm. 8 novembre 1984 e 14 febbraio 1985, assumendo a base, per le Regioni, la consistenza, in ciascuna, delle bovine da latte, risultante da rilevazioni ISTAT, e per le Province autonome i criteri di cui all'ari 78 d.P.R. n. 670 del 1972.
I principi ispiratori dei criteri e modalità di concessione dell'indennità - soggiunge il MAF - sono stati discussi con Regioni e Province autonome, ancor prima dell'emanazione del d.m. 8 novembre 1984, in incontri periodici informali nei quali si sono raggiunte le intese - « informali ma politicamente vincolanti » - necessarie per la messa a punto di detto d.m. e di quelli successivi. Tali incontri « hanno poi trovato riconoscimento ufficiale con la norma dell'art. 2, comma 4, 1. 8 novembre 1986 n. 752, la quale ha istituito, nell'ambito della istituenda Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni, una Commissione di settore composta dal Ministro dell'agricoltura e dagli assessori regionali e provinciali delegati dai Presidenti delle rispettive Giunte »: Commissione nelle cui riunioni partecipano anche gli Assessori dell'agricoltura delle ricorrenti.
Quanto poi all'applicazione del d.m. in questione, il MAF precisa che quindi Regioni e Province autonome (tra cui la .Regione Friuli-Venezia Giulia) hanno Stabilito con propria delibera una serie di priorità per la graduazione delle domande di abbattimento in relazione alla variabilità e complessità delle realtà geografìche e socio-economiche, tenuto conto anche dei limitati fondi disponibili per gli abbattimenti e per le eventuali riconversioni aziendali.
Il MAF ha inoltre allegato dei prospetti, desunti da quelli inviati da Regioni e Province autonome (ivi comprese quelle ricorrenti), relativi alle domande presentate dagli operatori agricoli (in totale, 14.673, di cui 2.804 richiedenti il premio supplementare per la sostituzione con vacche da carne), al numero dei capi di cui è stato preventivato l'abbattimento (in totale, 207.305), alle indennità spettanti a fronte di esso (oltre 228 miliardi), al numero delle domande favorevolmente istruite (7.317) ed al numero dei capi abbattuti (86.544); dati questi che, secondo il Ministero, evidenzierebbero il favorevole accoglimento dell'iniziativa da parte degli operatori agricoli, testimoniato anche dalle richieste di assegnazione di ulteriori disponibilità finanziarie da parte di Regioni e Province autonome.
16. Con nota del 24 febbraio 1987 la Provincia autonoma di Trento ha riferito di non aver avuto rapporti diretti con lo Stato per l'attuazione del Reg. CEE n. 857 del 1984 e di aver avuto assegnati al riguardo, nel periodo novembre '84-marzo '85, 1.610 milioni. Con d.m. 25 marzo 1986, al pagamento del premio è stata delegata l'AIMA.
Nel fornire i dati circa le domande presentate (455) e gli abbattimenti di capi effettuati od effettuandi nel biennio '85-'86 (2.048), la Provincia pone in rilievo che in tal modo hanno cessato l'attività zootecnica il 7,5 % delle aziende, ed è stato eliminato quasi il 10 % del bestiame da latte esistente in Provincia. Ne risulterebbero, perciò, da un lato realizzati gli obiettivi indicati nel Regolamento CEE, ma dall'altro stravolti quelli di programmazione di settore posti con la l. prov. n. 17 del 1981, in quanto sono stati eliminati anche capi in selezione e provenienti da stalle ristrutturate o potenziate col concorso di sovvenzioni pubbliche, e ciò soprattutto nelle zone marginali, in cui l'attività zootecnica è l'unica possibile ed è lo strumento fondamentale per il mantenimento del territorio e presupposto per lo sviluppo di altre realtà economiche, come il turismo.
17. Con nota del 25 febbraio 1987, la Regione Friuli-Venezia Giulia segnala di aver immediatamente protestato - peraltro, senza esito - per l'inclusione tra le razze da abbattere della pezzata rossa friulana, sia perché tecnicamente razze non solo da latte ma anche da carne, sia perché, rappresentando esso circa il 90 % dell'intero patrimonio zootecnico regionale, il favorirne l'abbattimento contrasta con la politica agricola di essa Regione, costantemente rivolta ad incentivare ed incrementare lo sviluppo degli allevamenti di tale razza.
La Regione aggiunge di avere poi, in applicazione del d.m. 20 dicembre 1984, fissati i criteri di priorità per l'accoglimento delle domande e di avere, sugli stanziamenti assegnatile (pari a L. 2.885.679.000), liquidato indennizzi per complessive L. 2.518.450.000 a 438 allevatori per un totale di n. 2.442 capi abbattuti (di cui ben 2.198 classificabili nella razza pezzata rossa friulana). E rimasta invece inutilizzata per mancanza di richieste di premio - precisa la Regione - la quota di L. 435 milioni assegnatale sullo stanziamento di 15 miliardi di cui all'ari 2 1. 8 agosto 1985 n. 430 per inventivi rivolti ad eliminare dal circuito produttivo nazionale vacche lattifere o giovenche mediante concessione di premi all'esportazione verso . Paesi terzi degli animali vivi e/o macellati provenienti dagli allevamenti per i quali le Regioni e le Province autonome avessero già accolto le. domande di abbattimento (senza che questo fosse avvenuto).
18. Per quanto attiene al Regolamento CEE n. 797 del 1985, il MAF riferisce, con la predetta nota, di avere esaminato con le Regioni e Province autonome tale normativa sia prima della sua approvazione sia in una riunione successiva. Alla luce degli elementi di giudizio emessi in tale sede, nonché di appositi studi dell'ENEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria) sarebbero stati predisposti i dd.mm. 12 e 26 settembre 1985 e 26 marzo 1986 (ritenuti conformi al diritto comunitario con decisione CEE del 23luglio 1986).
In base alle disposizioni di carattere generale contenute in tali dd.mm. - aggiunge il MAF - quasi tutte le Regioni, ivi comprese quelle ricorrenti, hanno predisposto le necessarie normative di attuazione, per la maggior parte delle quali l'istruttoria a livello comunitario sarebbe già in fase avanzata. In particolare, precisa la nota, per i provvedimento adottati dalle Regioni Friuli-Venezia Giulia e Sicilia e dalla Provincia autonoma di Trento, l'iter nazionale e comunitario è stato concluso con la conseguenza che gli interventi previsti nell'« azione comune » sono già in corso di attuazione.
II MAF sostiene inoltre che i provvedimenti normativi regionali di attuazione del Regolamento CEE - compresi quelli adottati dalle ricorrenti - hanno avuto corso a livello sia nazionale che comunitario e non avrebbero incontrato ostacoli per incompatibilità, nei dd.mm. impugnati:
il mantenimento dei quali sarebbe opportuno per far retroagire al momento della loro emanazione l'imputazione alla CEE delle spese regionali per domande di contributo anteriori all'emanazione della normativa regionale di dettaglio, e per impedire - rispetto alle Regioni che non hanno ancora presentato provvedimenti attuativi del regolamento - la scadenza del termine per fruire della maggiorazione di contributi per investimenti prevista dall'ari. 4, par. 2, ultimo capoverso del regolamento medesimo.
19. La Provincia autonoma di Trento, con la nota sopraindicata, riferisce di aver dato attuazione al regolamento in questione con la 1. prov. 27 febbraio 1986 n. 5, nella quale si tiene essenzialmente conto delle particolari esigenze locali, peraltro considerando anche talune indicazioni contenute nel d.m. 12 settembre 19-85. Sulla base di detta legge sono stati approvati 101 piani di miglioramento biennale, accolte richieste d'indennità compensativa per complessive L. 2.750.000 e concessi aiuti agli investimenti collettivi per la produzione di foraggi per L. 1.177.000.000.
20. La Regione Toscana, con nota del 25 febbraio 1987, informa che nel maggio 1985 funzionari ministeriali comunicarono che per l'attuazione del regolamento sarebbe stato emanato un atto d'indirizzo e coordinamento previo interpello delle Regioni, che questo non avvenne, e che a tale attuazione essa ha provveduto con delibera consiliare n. 223 del 25 giugno 1986.
21. La Regione Lombardia ha inviato la delibera consiliare n. IV-248 del 29 aprile 1986 di attuazione del medesimo regolamento, allegando il parere su di essa espresso dalla Commissione della Comunità Europea.
 
Considerato in diritto: l. I conflitti nn. 4 e 5 (reg. confl. 1985) sollevati rispettivamente dalla Provincia autonoma di Trento e dalla Regione Friuli-Venezia Giulia investono il D.M. 8 novembre 1984 del Ministero dell'agricoltura e delle foreste concernente "criteri e modalità per la concessione di un'indennità a favore dei produttori che intendono abbandonare definitivamente la produzione lattiera in applicazione dell'art. 4 del Regolamento CEE n. 857/84, primo comma, lett. a)". I conflitti nn. 48, 49 e 50 (reg. confl. 1985) sollevati rispettivamente dalla Provincia autonoma di Trento, dalla Regione Lombardia e dalla Regione Toscana, riguardano il D.M. 12 settembre 1985 del Ministero dell'agricoltura e delle foreste - così come modificato dal successivo D.M. 26 settembre 1985 - contenente "criteri e modalità di ordine generale per l'applicazione del Regolamento CEE n. 797/85 del Consiglio in data 12 marzo 1985 relativo al miglioramento dell'efficienza delle strutture agrarie". I due gruppi di conflitti possono essere riuniti e decisi con unica sentenza poiché la loro risoluzione pone il comune problema della titolarità della competenza ad adottare le misure necessarie per l'attuazione di regolamenti comunitari per varie ragioni non immediatamente applicabili, incidenti in materie che le Regioni e le Province ricorrenti affermano essere loro riservate.
2.l. Il D.M. 8 novembre 1984 è stato emanato dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste per dare attuazione a quanto disposto nell'art. 4 del Regolamento CEE n. 857/84, primo comma, lett. a) che prevede la possibilità per gli Stati membri - al fine di realizzare la ristrutturazione della produzione lattiera a livello nazionale, regionale e delle zone di raccolta - di concedere ai produttori che si impegnano ad abbandonare detta produzione, un'indennità versata in una o più mensilità. Prima ancora dell'emanazione del detto decreto ministeriale, la legge 4 giugno 1984, n. 194, recante "interventi a sostegno dell'agricoltura" all'art. 17 aveva stabilito che "Per il pagamento dell'indennità prevista dall'art. 4 del Regolamento CEE n. 857/84, primo comma, lett. a), è stanziata la somma di lire 60 miliardi per l'anno 1984".
Il decreto impugnato, richiamato in premessa l'art. 4 del Regolamento CEE n. 857/84 nonché l'art. 17 della legge n. 194 del 1984, prevede, nell'art. 1, a favore dei produttori agricoli che, nel quadro della ristrutturazione della produzione lattiera a livello nazionale, si impegnano ad abbandonare tale produzione per l'intero periodo di validità del Reg. CEE n. 857/1984 e per l'intero patrimonio bovino da latte presente in azienda, la corresponsione di un premio di riconversione di lire l.100.000 per ogni vacca da latte o giovenca gravida abbattuta. Un premio supplementare pari a lire 500.000 a capo viene previsto, nell'art. 2, a favore degli stessi produttori nel caso in cui procedano alla sostituzione delle bovine eliminate con altre razze da carne o con capi femminili, in età riproduttiva, di altre specie animali. Il decreto stesso elenca (art. 1, primo comma) le razze delle bovine da abbattere e del bestiame ammesso in sostituzione di quello eliminato (allegato n. 1) e detta poi specifiche modalità per la concessione dei premi, affidando agli organi regionali compiti esecutivi in ordine all'istruttoria delle relative domande - i cui schemi analitici sono anch'essi fissati nel provvedimento (allegati 2 e 3) - alla verifica della regolarità delle operazioni di abbattimento e di immissione in azienda del bestiame sostitutivo, nonché al pagamento dei premi, con l'obbligo di comunicare - seguendo schemi prefissati e riportati negli allegati 6, 7, 8 e 9 - l'elenco delle domande favorevolmente istruite e di quelle ammesse a liquidazione.
Il D.M. 8 novembre 1984 del Ministro dell'agricoltura e delle foreste apportava alcune modificazioni con successivo decreto in data 20 dicembre 1984, nel quale si consentiva entro il 20 gennaio 1985 alle Regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano di stabilire "criteri di priorità per la graduazione delle domande di indennizzo in relazione alla disponibilità finanziaria a ciascuna di esse a tal fine assegnate" (art. 1) e consentiva alle Regioni e Province autonome medesime di aggiungere altre razze di vacche da latte a quelle indicate nel decreto ai fini dell'abbattimento (art. 3). In mancanza di adozione di provvedimenti da parte degli enti suddetti nel termine indicato si sarebbero applicate esclusivamente le disposizioni del D.M. 8 novembre 1984 con alcune modificazioni contenute negli artt. 3 e 4 del nuovo provvedimento.
Successivi D.M. provvedevano poi a prorogare i termini stabiliti in origine per le diverse fasi del procedimento di concessione dell'indennità. Il finanziamento delle operazioni, già previsto, per il 1984 dal ricordato art. 17 della legge n. 194 del 1984, veniva disposto, per il 1985, per lo stesso importo di 60 miliardi, dalla legge n. 887 del 1984; i relativi fondi venivano ripartiti tra le Regioni e le Province autonome con il D.M. 14 febbraio 1985. In seguito, con il D.M. 25 marzo 1986, il pagamento dei premi veniva demandato all'A.I.M.A. e pressoché contemporaneamente entrava in vigore il Reg. CEE n. 1336/86 che istituiva a favore dei produttori che si impegnassero ad abbandonare definitivamente la produzione lattiera, un'indennità pari a 6 ECU/anno/100 Kg. di latte ritirato dal mercato, pagata per 7 anni, a carico del bilancio comunitario e con possibilità di integrazioni nazionali, escludendo i produttori che avessero beneficiato di indennità concesse ai sensi dell'art. 4 del Reg. CEE n. 857/84, lett. a).
2.2. La Provincia autonoma di Trento e la Regione Friuli-Venezia Giulia hanno impugnato il D.M. 8 novembre 1984, ritenendolo invasivo delle proprie competenze. Entrambe le ricorrenti infatti non dubitano che questo decreto incida nella materia dell'agricoltura e zootecnia, demandata alla propria potestà legislativa primaria, e corrispondente potestà amministrativa, dai rispettivi Statuti e relative norme di attuazione. La Provincia di Trento inoltre fa presente di avere già adottato un'organica disciplina della materia con legge 31 agosto 1981, n. 17. Ad avviso delle ricorrenti, in tale materia spetta ad esse e non allo Stato la competenza ad applicare i regolamenti comunitari, così come prevede l'art. 6 del D.P.R. n. 616 del 1977, estensibile anche agli enti a speciale autonomia a seguito delle sent. n. 81 del 1979 e sent. n. 223 del 1984 di questa Corte.
Ciò posto, l'intervento dello Stato, concretatosi nel D.M. impugnato, potrebbe considerarsi legittimo - sempre a parere delle ricorrenti - solamente se potesse ritenersi un atto di indirizzo e coordinamento, anche finanziario, delle attività regionali e provinciali. Ma ciò dovrebbe escludersi nel caso di specie, sia per l'inesistenza di appositi atti legislativi che attribuiscano all'autorità governativa il relativo potere, sia per il difetto dei requisiti formali richiesti dall'art. 3 della legge n. 382 del 1975 per il corretto esercizio del potere medesimo. Sotto il profilo sostanziale, poi, indurrebbero a tale esclusione, da un lato, l'assenza di un "interesse insuscettibile di frazionamento o localizzazione territoriale"; dall'altro, il carattere estremamente analitico e dettagliato della disciplina posta dall'atto censurato, che priverebbe la Provincia e la Regione di qualsiasi discrezionalità in ordine alla sua applicazione, impedendo loro anche di realizzarne il necessario e razionale coordinamento, per quanto riguarda Trento, con gli obbiettivi programmatici e le erogazioni già disposte in materia con la legge n. 17 del 1981 citata per il miglioramento e il potenziamento della produzione zootecnica; per quanto riguarda la Regione Friuli-Venezia Giulia, con le esigenze di tutela delle bovine di razza pezzata caratteristiche della zona, incluse, dal decreto, nell'elenco degli animali da abbattere.
2.3. Prima di iniziare l'esame delle censure mosse all'atto che ha dato origine ai presenti conflitti, è necessario chiarire che esso investe certamente anche le Province autonome. Come questa Corte ha anche di recente ribadito, "riguardo alle fonti normative statali è il territorio nazionale che designa l'ambito naturale della loro efficacia, in quanto elemento normale, nel quale tali fonti sono destinate ad operare, a meno che particolari disposizioni derogatorie ne circoscrivano l'efficacia soltanto ad una parte dello spazio, al quale esse sono astrattamente riferibili" (sent. n. 165 del 1986). Non può intendersi infatti in questo ultimo senso il riferimento alle sole Regioni da parte del decreto, considerato che esso è espressamente inteso a realizzare la ristrutturazione produttiva "a livello nazionale" e che i fondi stanziati per la concessione delle indennità sono ripartiti tra tutti gli enti autonomi, comprese le Province di Trento e Bolzano. Del resto i successivi interventi ministeriali in argomento presuppongono tutti l'applicazione del decreto stesso anche nel territorio delle Province. Ciò premesso, questa Corte ritiene che, in effetti, la materia oggetto del decreto ministeriale censurato rientra in ambiti di competenza attribuiti alle ricorrenti dalle rispettive disposizioni statutarie e conseguenti norme di attuazione.
Lo Statuto del Trentino-Alto Adige affida alle Province di Trento e Bolzano la potestà legislativa esclusiva (art. 8, n. 21), e la corrispondente potestà amministrativa (art. 16), in tema di "agricoltura" e "patrimonio zootecnico", mentre lo Statuto del Friuli-Venezia Giulia demanda alla Regione identica potestà legislativa (art. 4, n. 2), e le relative attribuzioni amministrative (art. 8, trasferite con D.P.R. 26 agosto 1965, n. 1116), riguardo all'"agricoltura", "zootecnia" ed "economia montana".
Così individuata la sfera di competenza spettante alle ricorrenti, non sembra contestabile che il D.M. impugnato, e lo stesso art. 4 del Reg. CEE n. 857/84, lett. a) investano tale sfera e non invece la sub-materia della "regolazione (o " politica") dei prezzi e dei mercati ", riservata, in presenza di particolari presupposti, alla competenza dello Stato da altre disposizioni (art. 8 del D.P.R. n. 279 del 1974, lett. b) di attuazione dello Statuto del Trentino-Alto Adige; art. 71 del D.P.R. n. 616 del 1977, lett. b).
Il comparto della produzione delle strutture produttive intese in senso lato (pianificazione della produzione, interventi sulle dimensioni produttive e quindi riconversioni produttive) costituisce infatti un settore essenziale della materia "agricoltura" (vedi l'art. 66 del D.P.R. n. 616 del 1977) ed assume un rilievo distinto ed autonomo rispetto alla regolazione dei prezzi e dei mercati (vedi i documenti preparatori del D.P.R. n. 616 del 1977 ed in particolare i lavori della cosiddetta Commissione Giannini). Ora, il decreto in esame, (come la norma comunitaria che intende attuare) ha ad oggetto diretto, immediato e specifico la ristrutturazione della produzione lattiera, prevedendo interventi di vario tipo che ne promuovano la riconversione o il ridimensionamento, con rilevanti conseguenze sul piano economico e sociale, specie nei confronti dei piccoli produttori o allevatori. Naturalmente, una simile ristrutturazione può produrre ripercussioni e riflessi sui prezzi dei prodotti e sul mercato, e questa può essere stata la prospettiva nella quale è stato adottato il decreto medesimo: ma essa non si è tradotta in alcun modo nel contenuto dell'atto. Il solo (possibile) nesso strumentale tra l'oggetto specifico del provvedimento e la politica del mercato agricolo non può perciò giustificare l'attrazione del primo nell'ambito della seconda. D'altra parte, se si dovesse far rientrare in quest'ultima ogni atto - quale che sia il suo contenuto - solo perché strumentale a tale politica, si rischierebbe di vanificare pressoché integralmente la competenza regionale in materia di agricoltura, anche in correlazione alle numerose iniziative comunitarie, dal momento che ogni attività agricola può essere strumentale al mercato.
Ciò è ribadito del resto anche dal più recente orientamento di questa Corte, che, sempre in ordine al riparto delle attribuzioni tra Stato e Regioni, ha negato la possibilità che le materie incise dalle norme impugnate si possano identificare in base a soli criteri strumentali e finalistici (vedi per es. sent. n. 94 del 1986 e sent. n. 165 del 1986).
Per contestare la conclusione raggiunta, non ha rilievo il fatto che nel D.M. 25 marzo 1986 - che contiene una riedizione del decreto impugnato - si riconduca all'A.I.M.A. l'onere del finanziamento del premio, sul presupposto che si tratti di un intervento di mercato da classificare tra quelli il cui finanziamento è affidato all'A.I.M.A. dal penultimo comma dell'art. 18 della legge finanziaria del 1985 (n. 887/84). Non è esatto, invero, il richiamo a quest'ultima disposizione, che non è applicabile al premio per l'abbandono della produzione lattiera, per un duplice ordine di ragioni: innanzitutto perché, in relazione al medesimo premio, la stessa legge dispone, nel precedente terzo comma dell'art. 18, un autonomo e specifico finanziamento di 60 miliardi (già previsto dall'art. 17della legge n. 194 del 1984); in secondo luogo perché l'imputazione a carico delle assegnazioni dell'A.I.M.A. riguarda soltanto le occorrenze finanziarie relative alla " parte nazionale " delle spese previste da regolamenti comunitari e non può dunque riferirsi al caso del Reg. n. 857/84, il quale non prevede contributi da parte della Comunità e, quindi, una ripartizione di spese tra questa e lo Stato italiano.
In sostanza, lo spostamento sull'A.I.M.A. dell'onere di pagamento di tali premi, non sorretto da un'apposita previsione normativa ed esulante dai compiti istituzionali di tale ente, si risolve oggettivamente in una pretesa di definire a posteriori la natura del decreto contestato come intervento in materia di regolazione del mercato agricolo, che non può certo infirmare la sopra acclarata competenza della Regione e Provincia ricorrenti.
2.4. Una volta accertato che la materia investita dal decreto impugnato è demandata alla competenza delle ricorrenti, resta da precisare che nella medesima competenza è da considerare ricompresa anche la potestà di dare applicazione ai regolamenti comunitari, ai sensi dell'art. 6, primo comma, del D.P.R. n. 616 del 1977. Questa disposizione, pur essendo stata dettata per le Regioni ad autonomia ordinaria e non essendo riprodotta in apposite norme concernenti gli enti ricorrenti, è da ritenere, in assenza di contrarie disposizioni, applicabile anche a questi ultimi: la giurisprudenza di questa Corte ha infatti più volte affermato che la normativa posta da questo decreto legislativo si deve estendere - salva contraria disposizione - anche alle Regioni e alle Province ad autonomia differenziata, ogni qual volta essa preveda poteri più ampi per le Regioni ordinarie, sull'ovvio rilievo che a queste non può essere riservato un trattamento più favorevole rispetto alle prime (sent. n. 216 del 1985, e, già prima, sent. n. 223 del 1984).
Tale potestà delle ricorrenti, una volta escluso che si verta, nella specie, in materia di politica dei prezzi e dei mercati, non può peraltro essere negata invocando l'art. 8 del D.P.R. n. 279 del 1974, lett. b) già ricordato, che riserva allo Stato, privandone le Province di Trento e Bolzano, la competenza ad attuare le norme comunitarie concernenti appunto quella politica, oppure, eventualmente, appellandosi all'art. 71 del D.P.R. n. 616 del 1977, lett. b) che esclude dal trasferimento alle Regioni di "interventi di interesse nazionale per la regolazione del mercato agricolo"; e ciò anche a prescindere, quanto a quest'ultima disposizione, dalla concreta esistenza o meno, nel caso di specie, di un simile interesse.
Il riconoscimento agli enti ricorrenti, nelle materie di loro competenza, della potestà di adottare le misure necessarie per dare applicazione ai regolamenti comunitari, implica che, in via di principio, l'intervento dello Stato debba considerarsi precluso, salvo che non esista su un idoneo presupposto giustificativo, contemplato, o comunque consentito, dalle norme costituzionali. Si tratta delle ipotesi in cui sia necessario assicurare il soddisfacimento di ben individuate esigenze unitarie o di garantire l'effettivo e puntuale adempimento degli obblighi comunitari a fronte dell'inerzia degli organi regionali o in eccezionali situazioni di urgenza in cui il tempestivo adempimento in sede regionale si riveli oggettivamente impossibile.
La disposizione dell'art. 6 del D.P.R. n. 616 del 1977, cui si è fatto più sopra riferimento, sembra contemplare la sola applicazione in via amministrativa dei regolamenti comunitari. E in effetti, questa dovrebbe considerarsi l'ipotesi normale, posto che, come questa Corte ha più volte affermato (vedi per es. sent. n. 205 del 1976 e sent. 170 del 1984), i regolamenti stessi, se dotati di contenuto dispositivo completo, si applicano immediatamente nell'ordinamento italiano, illegittima essendo l'interposizione di fonti normative nazionali che in qualunque modo ne condizionino l'efficacia obbligatoria. Ciò tuttavia non esclude la necessità che in talune ipotesi l'attuazione di questi atti comunitari esiga non una mera attività esecutiva, ma l'intervento di atti normativi nazionali, anche di grado primario. Ciò avviene quando lo richieda espressamente lo stesso regolamento, ovvero occorra fornire idonea copertura, ex art. 81 Cost., a nuove o maggiori spese derivanti dal medesimo, oppure sia indispensabile istituire nuovi uffici o servizi amministrativi o predisporre concrete modalità applicative (sent. n. 205 del 1976). L'esigenza del ricorso allo strumento legislativo è poi particolarmente pressante quando, come di frequente accade, il regolamento comunitario, o singole statuizioni in esso ricomprese, non siano pienamente "autosufficienti", ma presentino un contenuto per vari aspetti incompleto, e siano perciò insuscettibili di immediata applicazione.
In questi casi, la competenza ad adottare anche le necessarie misure normative richieste per la concreta attuazione degli atti comunitari non può essere in principio preclusa alle Regioni e alle Province autonome, sempre naturalmente nei limiti derivanti dalle disposizioni costituzionali e dagli statuti speciali.
Negli stessi casi tuttavia resta salva per lo Stato la facoltà di intervenire, secondo quanto s'è detto più sopra, quando lo richieda la necessità di garantire, in particolari situazioni, il puntuale e corretto adempimento degli obblighi comunitari, ovvero lo esigano interessi unitari, che impongano l'attuazione uniforme della normativa comunitaria nell'intero territorio nazionale: in quest'ultima ipotesi, proprio perché si tratta di vincolare a precise scelte e a criteri uniformi anche la potestà legislativa degli enti autonomi, è indispensabile che l'intervento statale avvenga mediante legge o atto equiparato, o con il congruo supporto di questi ultimi.
2.5. La disciplina del Reg. CEE n. 857/84 cui si ricollega il decreto ministeriale impugnato è certamente priva di quella completezza di contenuto dispositivo idonea a consentirne l'automatica, immediata applicazione, com'è dimostrato dal fatto che la sua attuazione è rimessa alla facoltà degli Stati membri, e quindi alla loro scelta discrezionale - anche in relazione a diverse ipotesi alternative poste dalle lett. b) e c) dello stesso articolo - di realizzare la ristrutturazione produttiva del settore lattiero mediante la concessione di un'indennità per l'abbandono della produzione. Era indispensabile dunque l'adozione di un'apposita normativa nazionale nella quale si traducesse tale scelta e nella quale si determinassero la misura e le modalità di corresponsione dell'indennità e le relative fonti di finanziamento.
La titolarità della competenza ad adottare tale normativa, per quanto s'è detto, spetta alle Regioni, ed in particolare agli enti ricorrenti, titolari in materia di potestà primarie. Al fine di ulteriormente suffragare tale conclusione, non sembra priva di significato la constatazione dell'emergere, nella recentissima legislazione nazionale ( legge 16 aprile 1987, n. 183), della tendenza ad ampliare la consistenza della partecipazione delle Regioni a Statuto speciale e delle Province di Trento e Bolzano all'attuazione della normativa comunitaria, con l'attribuzione alle medesime, nell'ambito delle loro competenze esclusive, della facoltà di dare immediata attuazione, anche legislativa, alle direttive comunitarie, senza attendere l'"interpositio" del legislatore nazionale, salvo l'obbligo di adeguarsi alle norme di principio eventualmente poste da questo, nei limiti previsti dalle disposizioni costituzionali e statutarie.
Anche nel caso di specie, la riconosciuta competenza locale non impediva interventi dello Stato che, constatata la presenza di interessi non suscettibili di frazionamento o localizzazione territoriale, fossero intesi a imporre, in apposite leggi, principi o programmi che servissero da guida per l'attuazione della normativa comunitaria in sede regionale, o diretti ad adottare, in forma legislativa, misure di indirizzo e coordinamento o almeno a dettare i necessari criteri e presupposti per la fissazione di queste ultime in via amministrativa. Egualmente ammissibile infine doveva considerarsi l'esercizio da parte delle autorità centrali di poteri sostitutivi nell'eventualità che l'inerzia, o l'oggettiva impossibilità ad adempiere tempestivamente, da parte degli organi regionali rischiasse di compromettere il rispetto degli obblighi comunitari.
La fattispecie, però, non può ricondursi a nessuna delle ipotesi ora considerate.
Innanzi tutto, l'atto impugnato non può ritenersi adottato nel quadro di un programma nazionale, come sostiene l'Avvocatura. Non può infatti essere considerata normativa di principio o di programma la disposizione, cui esso fa richiamo, posta dall'art. 17, primo comma, della legge 4 giugno 1984, n. 194, consistendo quest'ultima, in una pura e semplice previsione di spesa, priva di qualsiasi diverso contenuto sostanziale.
Né il decreto ministeriale censurato può essere inteso come atto di esercizio del potere sostitutivo di cui all'art. 6, terzo comma, del D.P.R. n. 616 del 1977: sono assenti infatti non solo tutti i requisiti di forma imposti da quest'ultimo, ma, soprattutto, difetta ogni possibilità di addebitare alle ricorrenti comportamenti inerti, del resto mai contestati. Né si ravvisano, nella specie, quelle ragioni di urgenza che, in particolari circostanze possono giustificare la sostituzione provvisoria dell'autorità statale a quelle locali per consentire il rispetto dei termini per l'adempimento fissati nelle norme comunitarie (vedi punto 3.4 mot. dir.): nel caso presente, non esiste un simile termine né, d'altra parte, il decreto in esame dispone alcuna riserva a favore della competenza regionale e provinciale.
2.6. Il decreto impugnato non può poi neppure essere considerato un atto di esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento, per la mancanza dei requisiti formali e sostanziali necessari per il corretto espletamento di questa funzione.
Innanzi tutto, infatti, non è rispettato il principio di legalità, che richiede che l'atto governativo trovi fondamento in un'apposita legge che individui le esigenze unitarie che sollecitano l'esercizio della funzione, nonché almeno i criteri che debbono dirigere e vincolare l'attività degli organi governativi (sent. n. 150 del 1982, sent. n. 245 del 1984, sent. n. 195 del 1986 e sent. n. 64 del 1987).
L'art. 17 della legge n. 194 del 1984 - che, come si è detto, è limitato al mero finanziamento dei premi - non può costituire valido supporto per l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento, non indicando quali siano le esigenze unitarie, né prevedendo l'emanazione di atti di indirizzo, né precisando i criteri con cui la funzione medesima avrebbe dovuto essere esercitata. D'altra parte, questa Corte, con la sent. n. 356 del 1985 (confermata dalla più recente decisione n. 64/1987), ha escluso che detta norma abbia disposto alcunché circa procedure e competenze e che quindi abbia definito criteri e limiti di interventi di indirizzo nei confronti delle Regioni, tali da incidere sulla loro competenza.
Né il necessario supporto legislativo può essere ravvisato nell'art. 4 del Reg. CEE n. 857/84, lett. a) che, come già rilevato, si è limitato a prospettare alle autorità nazionali una mera, generica facoltà, senza quindi imporre obblighi né precetti con contenuti determinati.
Il decreto in esame, inoltre, viola l'art. 3 della legge n. 382 del 1975 che, nel fissare i requisiti formali per l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento, non prevede in linea di principio che la stessa possa essere svolta individualmente, da un solo Ministro (vedi pure la sent. n. 111 del 1975); né esiste, nel caso di specie, alcuna apposita disposizione legislativa che espressamente autorizzi il solitario intervento del Ministro dell'agricoltura.
Infine, l'atto contestato non può considerarsi espressione della funzione di indirizzo e coordinamento, per l'assenza del presupposto sostanziale che ne giustifica l'esercizio e per le caratteristiche del suo contenuto dispositivo.
Non si può sostenere, infatti, che esista un'esigenza di regolamentazione uniforme del settore, imposta dalla normativa comunitaria o da ragioni di interesse nazionale.
Il Regolamento CEE n. 857/84, cui si richiama il decreto impugnato, lungi dall'imporre una necessaria uniformità di scelte, in campo nazionale, in ordine all'attuazione del suo complessivo disegno di interventi, prospetta invece la necessità che si tenga conto delle "esigenze dello sviluppo regionale, soprattutto al fine di evitare la desertificazione di alcune zone" (art. 1).
Neppure sussiste la necessità di perseguire un interesse "insuscettibile di frazionamento o localizzazione territoriale" (sent. n. 340 del 1983, sent. 177 del 1986, sent. n. 195 del 1986 e sent. 49 del 1987), posto che la situazione regionale della produzione lattiero-casearia è assai diversificata nel nostro Paese - essendo concentrata per larga parte in tre Regioni (e, più ancora, in quattro Province) - e si presenta, soprattutto per quanto riguarda la struttura e la produttività delle aziende, in termini assai difformi da Regione a Regione ed all'interno delle singole Regioni.
La normativa posta dal decreto impugnato è, poi, estremamente analitica e dettagliata, ben oltre i limiti della "penetrante e capillare interferenza" che, specie riguardo agli enti dotati, come i ricorrenti, di autonomia differenziata, circoscrivono l'ingerenza statale, imponendole di lasciare un congruo margine di discrezionalità alle autorità locali (sent. n. 340 del 1983 e sent. n. 195 del 1986). La pressoché totale compressione di quest'ultima non trova nella specie giustificazione in alcuna norma della Costituzione, la quale anzi, imponendo alla legge di adottare provvedimenti a favore delle zone montane (art 44, ultimo comma) e quindi, di tenere in adeguata considerazione le condizioni e le esigenze particolari di queste.
Confortano l'assunto della necessità di un'attuazione diversificata del Regolamento CEE nell'ambito degli enti ricorrenti anche le informazioni rese a questa Corte dagli enti medesimi a seguito dell'ordinanza istruttoria n. 318 del 1986. Da tali informazioni risulta che, come effetto dell'applicazione del decreto del Ministro dell'agricoltura, nella Provincia di Trento sono stati eliminati capi di bestiame in selezione e provenienti da stalle ristrutturate o potenziate con il concorso di sovvenzioni pubbliche promosse dalla legge provinciale n. 17 del 1981, specie in zone marginali in cui l'attività zootecnica è l'unica possibile ed è lo strumento fondamentale per la salvaguardia del territorio e il presupposto per lo sviluppo di altre attività economiche, come il turismo; per quanto riguarda la Regione FriuliVenezia Giulia, la grandissima maggioranza dei capi abbattuti appartiene alla razza pezzata rossa friulana, la quale costituisce il 90% dell'intero patrimonio zootecnico regionale e il cui sviluppo è stato sempre incrementato ed incentivato dalla politica agricola della stessa Regione.
2.7. Escluso pertanto che il D.M. 8 novembre 1984 abbia legittimamente compresso o vincolato le attribuzioni della Regione e della Provincia ricorrenti, i ricorsi da esse proposti debbono essere ritenuti fondati e di conseguenza accolti.
3.l. Il D.M. 12 settembre 1985 del Ministero dell'agricoltura e foreste, oggetto dei ricorsi proposti dalla Provincia autonoma di Trento, dalla Regione Lombardia e dalla Regione Toscana (rispettivamente, nn. 48, 49 e 50 reg. confl. 1985) è stato emesso in attuazione del Regolamento CEE n. 797/85 del Consiglio in data 12 marzo 1985 relativo al miglioramento dell'efficienza delle strutture agrarie.
Il Regolamento CEE n. 797/85 si propone di "aiutare l'agricoltura degli Stati comunitari a migliorare l'efficienza delle proprie strutture". In relazione a tali impegnativi obbiettivi il regolamento istituisce un'"azione comune" di vasto respiro prevedendone una durata sino al 1994, con un notevole investimento di risorse economiche; azione che gli Stati membri dovranno mettere in atto per migliorare l'efficienza delle aziende e contribuire all'evoluzione delle loro strutture, garantendo nel contempo una duratura conservazione delle risorse naturali all'agricoltura. Il regime di aiuti previsto e disciplinato dal regolamento comprende investimenti per interventi di miglioramento, riconversione o ristrutturazione delle aziende agricole, anche al fine di realizzare risparmi energetici e tutela dell'ambiente; per l'insediamento dei giovani agricoltori; per l'introduzione di forme di contabilità aziendale; per la costituzione di associazioni per lo svolgimento di servizi destinati a più aziende; per interventi specifici per l'agricoltura delle zone di montagna e di talune zone svantaggiate; per misure forestali nelle aziende agricole e per l'adeguamento della formazione professionale alle esigenze di un'agricoltura moderna. E' prevista poi, a carico dei singoli Stati membri, la corresponsione di aiuti alle zone sensibili dal punto di vista ambientale. Sono dettate infine numerose norme finanziarie e procedurali, tra le quali l'art. 32, che impone agli Stati membri un termine di sei mesi dalla sua entrata in vigore per porre in applicazione le misure necessarie per conformarsi al regolamento (termine poi scaduto il 30 settembre 1985) e l'art. 33, che dichiara non più applicabili alle domande presentate dopo tale data la direttiva 72/159/CEE, la direttiva 72/160/CEE, la direttiva 72/161/CEE e la direttiva 75/268/CEE (artt. da 4 a 17).
La normativa del regolamento è molto complessa ed articolata e contiene una descrizione particolareggiata ed analitica della tipologia degli aiuti nonché delle condizioni e requisiti ai quali essi sono subordinati. Tuttavia, la sua disciplina non può di massima essere oggetto di diretta applicazione da parte degli operatori economici, ma abbisogna dell'interposizione di atti delle competenti autorità nazionali che ne specifichino e indichino le concrete modalità di attuazione, come del resto è richiesto dallo stesso regolamento, il quale - sia per il richiamo espresso del preambolo (penultimo "considerando"), sia per le numerose norme che impongono compiti agli Stati membri, sia per le specifiche disposizioni che espressamente contemplano l'adozione, da parte di questi, di "disposizioni legislative, regolamentari o amministrative" in applicazione della sua normativa (artt. 24 e 32) - mostra di ritenere indispensabile l'intervento integrativo ad opera di quelle autorità.
3.2. Il D.M. 12 settembre 1985 del Ministero dell'agricoltura e foreste, richiamato innanzitutto l'art. 6 del D.P.R. n. 616 del 1977 che trasferisce alle Regioni le funzioni amministrative relative all'applicazione dei Regolamenti CEE nelle materie di loro competenza, rileva, nella premessa, l'urgenza di dare immediata attuazione all'azione comune prevista dal Regolamento CEE n. 797/85, "ferma restando la competenza delle Regioni a deliberare nelle materie loro riservate".
Nell'art. 1 (finalità generali) si precisa che il decreto ha lo scopo di stabilire criteri e modalità di ordine generale per l'applicazione del Regolamento CEE;
che gli interventi nei diversi settori sono attuati dalle Regioni a statuto ordinario in conformità alle disposizioni contenute nel D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11 e nel D.P.R 24 luglio 1977, n. 616, dalle Regioni a statuto speciale e dalle Province autonome nell'ambito dei rispettivi statuti;
che le Regioni, ai fini degli interventi e per le finalità previste dal regolamento, provvedono ad istituire servizi di sviluppo agricolo integrati, comprendenti attività di assistenza tecnica, di divulgazione agricola, di qualificazione e aggiornamento professionale, di informazione socio-economica, di dimostrazione e sperimentazione agraria.
Le successive norme specificano le modalità di attuazione del regolamento, determinando le figure dei beneficiari, le condizioni oggettive per ottenere gli aiuti, e la tipologia degli aiuti in relazione ai diversi tipi di intervento previsti nel regolamento medesimo.
3.3. Le Regioni ricorrenti e la Provincia autonoma di Trento lamentano che il predetto decreto 12 settembre 1985 (così come modificato dal D.M. 26 settembre 1985), disponendo su materie ad esse attribuite da norme costituzionali, quali l'agricoltura e la formazione professionale, vulnera la loro sfera di competenza, ivi compresa la potestà di dare applicazione ai regolamenti comunitari, riconosciuta dall'art. 6, primo comma, del D.P.R. n. 616 del 1977.
A loro avviso infatti, il decreto contestato non potrebbe considerarsi atto di esercizio del potere sostitutivo di cui all'art. 6, terzo comma, del D.P.R. n. 616 del 1977, non essendo giustificato da alcuna inadempienza da parte degli enti autonomi, ed essendo stato adottato senza i requisiti formali richiesti dalla predetta disposizione.
Il decreto in questione inoltre non potrebbe neppure qualificarsi come atto di indirizzo e coordinamento, mancando dei necessari requisiti formali e sostanziali e difettando di idoneo supporto legislativo.
Per altro verso, l'atto censurato non conterrebbe solo criteri e modalità di ordine generale per l'applicazione del regolamento comunitario, ma porrebbe una disciplina di notevole dettaglio, in particolare per quanto riguarda l'indicazione dei beneficiari degli interventi, la sottoposizione al vaglio del Ministero delle eventuali modifiche regionali apportate agli schemi dei piani di miglioramento, la specificazione delle forme giuridiche delle associazioni di assistenza, la disciplina dei corsi professionali. Tale particolareggiata regolamentazione vanificherebbe la competenza spettante alle ricorrenti per l'applicazione della normativa comunitaria, né sarebbe richiesta per l'attuazione di quest'ultima, trattandosi di regolamento e non di direttiva; né, si aggiunge, potrebbe ritenersi una disciplina statale di tipo cedevole, ex art. 6, secondo comma, del D.P.R. n. 616 del 1977, la quale, eventualmente, dovrebbe essere adottata con legge e non con semplice regolamento ministeriale.
L'Avvocatura dello Stato, premesso che l'assenza dei requisiti fissati per l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento dall'art. 3 della legge n. 382 del 1975, semplice legge ordinaria, non potrebbe costituire vizio denunciabile in sede di conflitto di attribuzione davanti a questa Corte, oppone comunque che il Regolamento CEE n. 797/85 richiede l'adozione di un'azione comune che non potrebbe non tradursi in un programma nazionale ai fini della tutela dell'interesse nazionale e di quello di tutte le Regioni. Di qui la necessità, soddisfatta dal decreto, di stabilire criteri e modalità applicative di interesse generale che consentano ad esse l'esercizio della loro competenza nel rispetto del programma, mentre le sue disposizioni di dettaglio consisterebbero nella riproduzione di principi e criteri già posti dal Reg. CEE, o in previsioni che ampliano possibilità offerte da esso, riconoscono poteri rientranti nella competenza concorrente o esclusiva di Regioni e Province, indicano adempimenti o procedure di rendicontazione già definite per misure comunitarie analoghe e mai contestate.
3.4. Ad avviso della Corte, si può innanzitutto considerare fuori discussione - essendo ammesso dallo stesso decreto impugnato e non contestato peraltro dall'Avvocatura dello Stato - che il Regolamento CEE e il conseguente decreto ministeriale incidano in materie demandate alla competenza delle ricorrenti. In tali materie, come si è rilevato più sopra (punto 2.4. mot. dir.) spetta ad esse dare applicazione alla normativa comunitaria di fonte regolamentare, adottando tutte le misure eventualmente necessarie, mentre resta riservato allo Stato il potere di intervenirvi in forza di determinati presupposti e con le forme dovute.
Per risolvere il presente conflitto occorre allora verificare se, nella specie, l'ingerenza dell'autorità governativa possa ritenersi giustificata e, perciò, legittima.
Il decreto ministeriale impugnato, non può, innanzitutto, ricondursi alla figura dell'atto di indirizzo e coordinamento anche, eventualmente, in vista di una programmazione nazionale: manca infatti l'apposita ed idonea copertura legislativa e non sono state osservate le forme prescritte dall'art. 3 della legge n. 382 del 1975 (la quale, pur essendo una legge ordinaria ben può, per le sue particolari caratteristiche, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, integrare il parametro costituzionale del giudizio). L'atto in esame concretizza invece una forma particolare di intervento sostitutivo, reso indispensabile dall'impellente necessità di dare sollecita attuazione ad un obbligo comunitario prossimo alla scadenza, in presenza di un'obbiettiva impossibilità delle Regioni di provvedervi tempestivamente. Come si è ricordato, infatti il Reg. CEE imponeva che fossero poste in applicazione le necessarie misure attuative entro il termine del 30 settembre 1985, ricollegando anche alla scadenza di questo l'inapplicabilità di precedenti direttive comunitarie alle domande di aiuto nel frattempo presentate.
Questa Corte ha già più volte riconosciuto la legittimità dell'esercizio, da parte statale, di poteri sostitutivi nei confronti delle Regioni, anche ad autonomia speciale, la cui accertata e perdurante inerzia comporti inadempimento degli obblighi comunitari: ciò per consentire la puntuale esecuzione di tali obblighi e sollevare così lo Stato dalla responsabilità internazionale conseguente all'inadempimento; in tale caso, l'incisione nella sfera di competenza locale è giustificata in forza del limite del "rispetto degli obblighi internazionali" ad essa imposto dalle norme costituzionali (sent. n. 182 del 1976, sent. n. 81 del 1979, rese in relazione ai meccanismi sostitutivi previsti rispettivamente dalla legge n. 153 del 1975 e dalla legge n. 352 del 1976, tradottisi poi, con qualche modifica, nel terzo comma dell'art. 6 del D.P.R. n. 616 del 1977).
Un simile potere è però da riconoscere allo Stato, per le identiche ragioni - sia pure con le caratteristiche e i limiti che si preciseranno in seguito - anche nella diversa ipotesi in cui sussistano comprovati motivi di urgenza determinati dall'imminente scadenza dei termini per l'adempimento degli obblighi comunitari, senza che le Regioni o le Province abbiano l'effettiva possibilità di intervenire tempestivamente.
In tali casi ben può l'autorità statale adottare in via provvisoria i necessari provvedimenti che garantiscano l'adempimento nei termini e siano destinati ad operare in attesa e fino al momento dell'entrata in vigore delle corrispondenti misure regionali o provinciali. Del resto, la legittimità di un simile potere statale di sostituzione (in via suppletiva) è stata riconosciuta anche in una recente pronunzia di questa Corte (n. 49 del 1987) nell'ipotesi in cui l'urgenza di provvedere, in carenza di disposizioni regionali, era provocata dalla necessità di soddisfare senza ritardo esigenze fondamentali dei cittadini.
L'urgenza di provvedere, in simili ipotesi, non può però indurre a trascurare che la competenza nella materia incisa è pur sempre rimessa agli enti autonomi da norme costituzionali; di conseguenza, essa non può essere totalmente e definitivamente vanificata dall'intervento dello Stato in via sostitutiva. Sarà dunque necessario che gli enti medesimi siano preventivamente e per tempo sentiti in merito alla loro possibilità di adempiere e, in caso negativo, in ordine alla natura e al contenuto dell'atto statale sostitutivo, mentre la disciplina posta da quest'ultimo, non potrà che porsi come "suppletiva" o "cedevole" nei confronti dei successivi atti di esercizio da parte delle autorità regionali e provinciali, delle competenze ad esse attribuite.
3.5. Ponendo a raffronto con i principi testè enunciati il D.M. 12 settembre 1985 del Ministro dell'agricoltura, si può ritenere che nella specie sussistano effettivamente i presupposti e le condizioni che legittimano il provvisorio intervento dello Stato nella sfera di competenza delle ricorrenti in ordine all'attuazione del Regolamento CEE n. 797/85.
Per ciò che concerne l'urgenza, invocata nella premessa del decreto, di "dare immediata attuazione alla nuova azione comune", risulta che essa è in effetti collegata alla prossima scadenza del termine posto dall'art. 32 dello stesso Reg. CEE, termine entro il quale, oltretutto, occorreva espletare la complessa procedura prevista dagli artt. 24 e 25 Reg. per ottenere, in sede comunitaria, la valutazione di conformità delle misure nazionali e la loro ammissione a finanziamento CEE.
Il decreto, recante la data del 12 settembre 1985 - con le modifiche contenute nel provvedimento del successivo 26 settembre 1985 - anticipa di pochi giorni la scadenza del termine comunitario. Esso - come risulta dalle informazioni acquisite da questa Corte con la più volte ricordata ord. n. 318 del 1986 - fu preceduto da una comunicazione inviata in data 27 aprile 1985 (e, quindi, non molti giorni dopo la pubblicazione del regolamento, avvenuta il 30 marzo 1985) dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste agli assessori all'agricoltura delle Regioni ordinarie e a statuto speciale e delle Province autonome, con la quale - in relazione all'emanazione del Regolamento CEE n. 797/85 e alla necessità di adottare disposizioni integrative e complementari di attuazione da parte degli Stati membri - si faceva presente l'opportunità di indire una riunione per il 15 maggio 1985 con i rappresentanti delle predette Regioni e Province per un esame complessivo dei problemi, di ordine giuridico e tecnico, connessi all'applicazione delle nuove normative comunitarie. I suggerimenti e i dati forniti dagli enti autonomi costituiscono - secondo le notizie fornite alla Corte dalla ricordata nota ministeriale - la base del decreto emanato dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste, preannunziato come atto di indirizzo e coordinamento, ma poi attuato con le caratteristiche sopra descritte. Non si può non ammettere che sussistessero prevedibili difficoltà per le Regioni di riuscire ad adottare le necessarie normative di attuazione prima della data del 30 settembre, come emerge dal fatto che, per quanto rapidamente impegnatesi in tale compito, le Regioni hanno emanato dette normative in tempi notevolmente successivi alla data del 30 settembre 1985 (la delibera cons. della Lombardia è del 29 aprile 1986, quella della Toscana del 25 giugno 1986, la legge provinciale di Trento è del 27 febbraio 1986).
Le rilevate circostanze rendono evidente che il ricorso da parte dello Stato ad altri strumenti di intervento diversi da quello concretamente utilizzato non sarebbe stato idoneo ad evitare il superamento del termine imposto in sede comunitaria. L'atto impugnato, inoltre, si limita a porre le concrete modalità di attuazione di istituti già sufficientemente disegnati, sia pure per linee generali, dalle norme del Reg. CEE e, soprattutto si pone senz'altro come "cedevole" rispetto alle successive iniziative regionali e provinciali, com'è dimostrato sia dai suoi ripetuti riconoscimenti delle competenze degli enti autonomi, sia dal fatto che, come informa la menzionata nota del Ministero dell'agricoltura, tutti i provvedimenti normativi locali di attuazione della disciplina comunitaria - ivi compresi quelli delle Regioni ricorrenti - hanno avuto corso, senza impedimenti, sia a livello nazionale che comunitario.
3.6. In conclusione, i ricorsi possono ritenersi non fondati, dovendosi escludere che il D.M. 12 settembre 1985, come atto inteso a specificare la normativa comunitaria in via meramente provvisoria e suppletiva, motivato dall'urgenza di evitare l'inutile scadenza di termini prescritti dal Reg. CEE, altrimenti non tempestivamente osservabili, ed adottato con il coinvolgimento degli enti autonomi, leda la competenza delle Regioni e delle Province ricorrenti per l'attuazione del Regolamento CEE n. 797/85.
E da ribadire, infine, che il ricorso a simili interventi da parte dello Stato deve essere tassativamente circoscritto all'ipotesi sopra descritta, non essendo ammissibile, al di fuori di questa, che la stessa autorità governativa che contribuisce in sede comunitaria, in rappresentanza del nostro Paese, alla formazione del regolamento, provveda poi a dettare le relative norme di attuazione nell'ordinamento interno, così non solo vanificando le competenze regionali, ma eludendo anche la partecipazione collegiale del Consiglio dei Ministri ed, eventualmente, del Parlamento. Del resto, la recente legislazione nazionale ( legge n. 183 del 1987) è intesa a realizzare un maggiore coinvolgimento sia delle Regioni sia delle Camere nella formazione degli atti normativi comunitari e detta, con riguardo alle direttive e raccomandazioni, rinnovati criteri e modalità di attuazione che valorizzano ed ampliano il margine di intervento riconosciuto alle Regioni, specie se ad autonomia differenziata.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara che spetta alla Provincia autonoma di Trento e alla Regione Friuli-Venezia Giulia stabilire criteri e modalità per la concessione dell'indennità prevista dall'art. 4 del Regolamento CEE n. 857/84, primo comma, lett. a) del Consiglio del 31 marzo 1984, e conseguentemente annulla il D.M. 8 novembre 1984 impugnato (nn. 4 e 5 reg. confl. 1985);
2) dichiara che spetta allo Stato, ricorrendo un'effettiva situazione di urgenza determinata dalla necessità di rispettare i termini di adempimento prescritti dal Regolamento CEE n. 797/85 del Consiglio del 12 marzo 1985, di dettare, previa consultazione degli enti autonomi, in via provvisoria e in attesa dei conseguenti provvedimenti delle Regioni e delle Province competenti, i necessari criteri e modalità applicativi del predetto Regolamento, nei confronti delle Regioni Lombardia e Toscana e della Provincia autonoma di Trento (nn. 48, 49 e 50 reg. confl. 1985).
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ActionAction Corte costituzionale - Sentenza N. 302 del 22.05.1987
ActionAction Corte costituzionale - Sentenza N. 188 del 25.05.1987
ActionAction Corte costituzionale - Sentenza N. 191 del 25.05.1987
ActionAction Corte costituzionale - Sentenza N. 210 del 28.05.1987
ActionAction Corte costituzionale - Sentenza N. 227 del 17.06.1987
ActionAction Corte costituzionale - Sentenza N. 289 del 28.07.1987
ActionAction Corte costituzionale - Sentenza N. 304 del 30.09.1987
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